TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria Il Giudice del lavoro dott. Mariarosa Pipponzi, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 30 gennaio 2023, ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nella causa civile iscritta al n. r.g. 1444/2022 promossa da C. A., nata a ... in data ... e residente in ..., n. ..., c.f. ..., in qualita' di titolare dell'... di C. A., corrente oggi in ..., n. ..., p.i. ..., all'epoca della violazione con sede in ... (...), come da visura camerale che si allega (doc. n. 1-1a, Visura) rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Ambrosini, c.f. MBR CRL 68H18 E884S, carlo.ambrosini@brescia.pecavvocati.it, presso lo studio del quale difensore, in via XX Settembre n. 66 - Brescia, ha eletto domicilio giusta procura ex art. 83, comma 3, del codice di procedura civile, allegata telematicamente al ricorso - ricorrente; Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, c.f. 80078750587, in persona del Presidente pro tempore, con sede legale in 00144-Roma - via Ciro il Grande n. 21 - e sede territoriale in Brescia - via Benedetto Croce n. 32 - elettivamente domiciliato nell'avvocatura distrettuale dell'INPS in Brescia - via Pietro Bulloni n. 14 - presso l'avv. Alessandro Mineo (c.f. MNILSN70P18F205T; indirizzo pec: avv.alessandro.mineo@postacert.inps.gov.it), che lo rappresenta e difende in forza di procura generale alle liti rep. 80974 del 21 luglio 2015 per atti Paolo Castellini notaio in Roma - resistente; Rilevato che: C. A., titolate dell'Azienda agricola ... di C. A., ha proposto tempestiva opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione n. ... prot. ... notificatale in data ... dall'INPS il quale, a fronte dell'omesso versamento, nei termini di legge, di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori in relazione all'anno ... per un importo complessivo pari ad euro 221,00, le aveva irrogato la sanzione amministrativa di euro 17.500,00; C. A. ha evidenziato di aver effettuato il versamento delle ritenute in data ..., seppur oltre il termine di tre mesi decorrente dalla notifica dell'accertamento della violazione avvenuto in data ...; parte ricorrente ha riferito che il ritardo nel pagamento e' attribuibile esclusivamente alle temporanee difficolta' indotte dalla pandemia da influenza aviaria negli anni 2016-2017 (virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicita' (HPAI) rilevati in Italia nel biennio 2016-2017), senza che vi fosse alcuna volonta' di omettere il versamento di quanto dovuto, come confermato dal successivo adempimento e che tale omissione era giustificata dalla sussistenza di uno stato di necessita' idoneo ad escludere la sua responsabilita' alla luce dell'art. 4 della legge n. 689/1981; parte ricorrente ha, altresi', evidenziato che tutto il pollame dell'azienda ..., in conseguenza della pandemia, era stato abbattuto proprio nell'autunno del 2017 ed i ristori erano pervenuti da ATS solo a fine febbraio 2018 come attestava la documentazione prodotta; C. A. ha, inoltre, sottolineato che la violazione era stata posta in essere in buona fede senza alcuna consapevolezza che il ritardo nel pagamento dell'importo di euro 221,00 avrebbe determinato una sanzione cosi' rilevante; parte ricorrente, premesso che la quantificazione della sanzione nell'ordinanza ingiunzione in una somma intermedia fra il minimo ed il massimo edittale era stata operata senza alcun riferimento ai criteri di cui all'art. 11, legge n. 686/1981 e che l'esiguita' dell'importo di cui era stato ritardato il pagamento avrebbe dovuto condurre alla non punibilita' del fatto, ha chiesto l'annullamento della sanzione irrogata evidenziandone l'importo esorbitante rispetto all'illecito posto in essere o, in via subordinata, la rideterminazione della stessa; l'Inps, nel costituirsi in giudizio, premesso di aver notificato, in presenza di omesso versamenti di importo inferiore alla soglia di rilevanza penale (euro 10,000,00) riferiti al secondo trimestre del 2016, l'accertamento di violazione a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 8/2016, che ha sostituito l'art. 2, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, cui non aveva fatto seguito alcun pagamento entro i termini di legge, ha rilevato di aver fornito piena prova della sussistenza dell'illecito amministrativo, della conoscenza da parte della ricorrente della motivazione dell'illecito amministrativo, del corretto svolgimento dell'iter amministrativo di irrogazione della sanzione, nonche' del compimento di tempestivi atti interruttivi della prescrizione; all'udienza del 30 gennaio 2023 parte ricorrente ha insistito per l'accoglimento del ricorso contestando la nuova determinazione della sanzione operata dall'INPS nelle more del giudizio che, stante l'estrema sproporzione rispetto alla violazione posta in essere, era anch'essa palesemente costituzionalmente illegittima. Osserva Ad avviso del sottoscritto giudice l'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 nel testo sostituito dall'art. 3, comma 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 nella parte in cui prevede «Se l'importo omesso non e' superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000» pone dubbi di compatibilita' con l'art. 3 della Costituzione e pertanto tale questione va rimessa alla Corte costituzionale. Quanto alla rilevanza E' pacifico inter partes oltre che documentalmente provato che C. A. ha provveduto al versamento delle ritenute previdenziali di euro 221,00 oltre il termine di tre mesi dalla notifica nell'atto di accertamento da parte dell'INPS e quindi, in applicazione del disposto dell'art. 2, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 nel testo sostituito dall'art. 3, comma 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016, e' punibile e va assoggettata alla sanzione amministrativa. I motivi di opposizione concretantesi nel rilievo che le temporanee difficolta' economiche indotte dalla pandemia da influenza aviaria negli anni 2016-2017 e l'abbattimento del pollame avessero reso impossibile provvedere al versamento delle ritenute non possono essere accolti in quanto, come da tempo chiarito dalla Corte di cassazione, la responsabilita' del datore di lavoro per omesso versamento delle ritenute non e' esclusa dalla situazione di crisi economica in cui versa l'impresa (cfr. ex multis Cassazione, 12 luglio 2019, n. 42113 e Cassazione Sez. III, 12 febbraio 2015, n. 11353 proprio in riferimento al caso di una societa' messa in liquidazione). La giurisprudenza di legittimita' ha, piu' volte, ribadito che, essendo le ritenute previdenziali parte integrante della stessa retribuzione, il datore di lavoro sarebbe tenuto a ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere i compensi ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all'obbligo del versamento delle ritenute, anche se cio' possa riflettersi sulla possibilita' di pagare integralmente le retribuzioni medesime (Cassazione Sez. III, 25 settembre 2007, n. 38269). Quando alla dedotta sproporzionalita' ed irragionevolezza della sanzione irrogata, non pare percorribile la via della disapplicazione della norma interna, sulla base dei principi affermatisi nell'ambito dell'Unione, per ripristinare la proporzionalita' della misura della punizione rispetto all'illecito come segnalato dai piu' recenti interventi dalla Corte di giustizia UE (cfr. Corte di giustizia UE 8 marzo 2022, C. 205-20; Corte di giustizia UE 3 marzo 2020, C. 482-18). Come noto, il rispetto del principio di proporzionalita', che costituisce un principio generale del diritto dell'Unione, si impone agli Stati membri nell'attuazione di tale diritto, anche in assenza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili (cfr. in tal senso, sentenze del 26 aprile 2017, Farkas, C-564/15, EU:C:2017:302, punto 59, e del 27 gennaio 2022, Commissione/Spagna, C-788/19, EU:C:2022:55, punto 48). Tuttavia, benche' ad avviso di questo Giudice, si sia in presenza di sanzioni sostanzialmente penali in base ai criteri di cui alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 8 giugno 1976, Engel e al. v. Paesi Bassi e Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 febbraio 1984, Öztürk v. Germania, par. 52, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, 894), il principio di proporzionalita' di cui all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a norma del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato, non pare direttamente applicabile alla presente fattispecie. Invero nei casi sottoposti alla Corte CEDU, diversamente dal caso in esame, si dibatteva circa l'applicazione delle norme interne con le quali si era data attuazione alle direttive comunitarie. A cio' deve aggiungersi che l'art. 6 del decreto legislativo n. 8/2016 che recita «Nel procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689», rappresenta, appunto, la declinazione del principio di proporzionalita'. In forza di tale principio, dunque, la sanzione inflitta deve essere proporzionata alla gravita' dell'infrazione e nella sua concreta determinazione occorre che il giudice possa tenere conto delle particolari circostanze del caso come delineate dall'art. 11 della legge n. 689/1981. Tuttavia la disposizione censurata prevede un importo minimo tassativamente determinato in euro 10.000,00 che impedisce, nei casi di piu' lieve entita' della violazione, di applicare i criteri di commisurazione della sanzione di cui all'art. 11 della legge n. 689/1981 e quindi di considerare la gravita' della violazione, l'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonche' la personalita' dello stesso e le sue condizioni economiche. La sproporzione della sanzione irrogata rispetto all'entita', nella specie assai contenuta, delle ritenute previdenziali di cui e' stato dapprima omesso e poi ritardato il versamento nonche' alla personalita' dell'autore della violazione (si tratta delle prime ed uniche violazioni poste in essere) e delle sue condizioni economiche come emergenti dalla documentazione prodotta dalla ricorrente (peraltro non contestate dall'INPS), non potrebbe essere superata neppure in seguito alla rideterminazione, ai sensi dell'art. 9, comma 5 del decreto legislativo n. 8 del 2016, sulla base delle indicazioni di cui alla nota del direttore generale dell'INPS n. 3516 del 27 settembre 2022 (con allegata tabella contenente il nuovo meccanismo di determinazione, che tiene conto di coefficienti predefiniti di conteggio) stante la tassativita' del minimo edittale di euro 10.000,00 per ciascuna violazione che preclude allo stesso Istituto la concreta possibilita' di commisurare la sanzione all'illecito posto in essere. Tant'e' vero che nella rideterminazione operata, nelle more del giudizio, dall'INPS (prodotta sub. allegato 9 all' atto di costituzione in giudizio) viene chiesto il pagamento di una sanzione pari ad euro 10.000,00 cioe' pari a 45 volte la somma per la quale e' stato ritardato e non omesso il pagamento. A questo Giudice sarebbe consentito annullare l'ordinanza opposta e rimodulare la sanzione nel rispetto del principio di proporzionalita' solamente ove venisse espunto dal testo della norma in esame il riferimento al limite minimo di euro 10.000,00 previsto per la sanzione amministrativa pecuniaria degli importi non versati sotto soglia penale. Quanto alla non manifesta infondatezza Ad avviso di questo giudice il minimo edittale di euro 10.000,00 per la sanzione amministrativa sotto soglia penale conduce a risultati sanzionatori sproporzionati rispetto alla gravita' dell'illecito posto in essere e ad una evidente irrimediabile disparita' di trattamento in relazione alle condizioni economiche dell'autore del fatto in violazione del disposto dell'art. 3 della Costituzione. Come esaustivamente chiarito nella sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022 l'ampia discrezionalita' di cui dispone il legislatore nella quantificazione delle pene che incontra il limite della manifesta sproporzione ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 27, terzo comma, Cost. «non puo' non valere anche per la pena pecuniaria, che e' una sanzione criminale a tutti gli effetti, seppur con una precisazione imposta dalla sua stessa natura» nonche' per le sanzioni amministrative. Nella sentenza della Corte si legge infatti: «Analogamente, in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, l'art. 11 della legge n. 689 del 1981 dispone che, in sede di determinazione di tali sanzioni, si debba tenere conto, oltre che della gravita' della violazione e di eventuali condotte compiute dall'agente per l'eliminazione o l'attenuazione delle sue conseguenze, anche della personalita' e delle condizioni economiche dell'agente medesimo; mentre, nel settore specifico delle violazioni in materia di tutela dei mercati finanziari - caratterizzato da sanzioni pecuniarie amministrative di natura punitiva e di impatto potenzialmente assai significativo - l'art. 194-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) parimenti dispone che nella determinazione dell'ammontare delle sanzioni debba tenersi conto, tra l'altro, della "capacita' finanziaria del responsabile della violazione" (comma 1, lettera c).» Ne consegue che il suddetto limite costituzionale esclude, piu' in particolare, che la severita' della pena possa risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita' oggettiva e soggettiva dell'illecito come «accade, in particolare, ove il legislatore fissi una misura minima della pena troppo elevata, vincolando cosi' il giudice all'inflizione di pene che potrebbero risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua gravita'.» Orbene, nel caso in esame, l'art. 3, comma 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 ha sostituito l'originaria formulazione dell'art. 2, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, per scriminare i fatti che hanno ancora rilevanza penale da quelli per i quali sono previste le sole sanzioni amministrative pecuniarie. In tal modo le fattispecie di illecito che lo stesso legislatore ha ritenuto di maggiore gravita', sul presupposto oggettivo del superamento della soglia di euro 10.000,00, sono punibili ora «con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.» mentre le fattispecie di illecito di minore gravita', sotto la soglia di euro 10.000,00, sono ora punite con una sanzione amministrativa che va da un minimo di euro 10.000,00 ad un massimo di 50.000 euro. Ad avviso del sottoscritto giudice mentre il limite massimo, seppur elevato, consente all'Inps prima e comunque al giudice in sede di opposizione di graduare la sanzione utilizzando i criteri di cui al piu' volte citato art. 11 della legge n. 689/1981 e quindi di proporzionare la sanzione all'illecito concretamente posto in essere ed alla condizione soggettiva del suo autore, altro non si puo' dire dell'importo minimo che, appunto, vincola il giudice all'inflizione di pene che sono chiaramente eccessive soprattutto per i casi, come quello in esame, in cui l'entita' delle ritenute di cui e' stato tardivamente operato il versamento e' di modesta entita' e/o dipende da circostanze esterne sulle quali non sempre puo' incidere il comportamento dell'autore. Inoltre il limite minimo di importo cosi' elevato pone una irragionevole disparita' di trattamento fra i trasgressori della norma per le omissioni contributive sotto la soglia di rilevanza penale fino all'omissione di euro 10.000: in astratto il trasgressore che massimamente viola il precetto normativo nel suo massimo valore sottosoglia (per importi paria ad euro 10.000) puo' soffrire una sanzione amministrativa che, nella sua previsione massima, e' pari ad euro 50.000 e rappresenta il quintuplo della violazione. Diversamente, il trasgressore per un importo minimo oggetto della omissione che si collochi al di sotto di 1000 euro, verrebbe comunque sanzionato con un importo di euro 10.000 a prescindere dalle sue condizioni economiche o dalla tenuita' della condotta posta in essere o dalla sua personalita' ect., con un importo che puo' giungere anche al centuplo della propria violazione (ad esempio per omissioni di 100 euro). Cio' con un'evidente asimmetria di trattamento dei cittadini che, violando con diversa gravita' il precetto normativo, non vedono tale diversa gravita' altrettanto diversamente ponderata e graduata nella determinazione della sanzione. Al tempo stesso, la disposizione censurata ha finito per trasformare la attuata depenalizzazione in un privilegio per coloro che hanno posto in essere le omissioni piu' rilevanti sia che si tratti di plurime omissioni di versamenti di ritenute sotto soglia (ma di apprezzabile entita' ovvero prossime ai 10.000,00 euro) sia che si tratti di singole o plurime omissioni di versamenti di ritenute sopra la soglia e cio' in evidente in contrasto con l'art. 3 Cost. A quest'ultimo proposito, ove si consideri che coloro che hanno posto in essere fatti di rilevanza penale sono puniti «con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.» e che il limite minimo previsto per la reclusione e' stabilito nella durata di quindici giorni, dall'art. 23 c.p., appare evidente che la modulazione della pena per il reato operata dal giudice penale sulla base delle circostanze del caso concreto, unita alla possibilita' di ottenere la conversione in pena pecuniaria (a prescindere dagli altri istituti sostituitivi della pena cui il reo puo' accedere) finisce per assoggettare ad un trattamento deteriore proprio coloro che hanno posto in essere i fatti piu' lievi. Tale disparita' di trattamento emerge con evidenza se si considera il tasso di conversione della reclusione in pena pecuniaria (previsto dall'art. 53, legge n. 689/18, per le pene detentive brevi, e, in generale, all'art. 135 c.p.) risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 28 del 2022 che ha inciso sull'entita' dell'importo minimo di conversione. In applicazione dei parametri indicati dalla Corte e' agevole verificare che la sanzione amministrativa - astrattamente prevista per le fattispecie «sotto soglia» e quindi meno gravi - si palesa sempre maggiormente afflittiva di quella penale, tale da rendere l'intera disciplina del tutto incongrua, illogica e irrazionale. Infatti, applicando il tasso di conversione della pena della reclusione alla sanzione amministrativa, si puo' rilevare che la sanzione amministrativa minima «corrisponde» a 133 giorni di reclusione (euro 10.000/euro 75 giornalieri), ossia ad oltre quattro mesi, mentre per coloro che hanno posto in essere omissioni oltre la soglia di euro 10.000,00 essendo il limite minimo della reclusione pari a 15 giorni, il minimo della pena pecuniaria irrogabile in sede di conversione si attesta su euro 1.125,00 (75 euro per 15). Peraltro, essendo tale valore previsto sino a sei mesi di reclusione, il ragguaglio consente di evidenziare che per i fatti punibili con la reclusione in caso di sostituzione con pena detentiva la forbice e' compresa tra un minimo di euro 1.125 (75 euro per 15 giorni) ed un massimo di euro 13.500 (75 euro per 180 giorni) cui va aggiunta la multa, prevista dal minimo legale di euro 50 (cfr. art. 24 c.p.), che tuttavia il giudice puo' proporzionare alla situazione concreta sottoposta al suo esame. La disparita' di trattamento in senso deteriore rispetto ai fatti di piu' lieve entita' non necessita di ulteriore commento. Il limite minimo di sanzione amministrativa in euro 10.000,00 si appalesa ancora piu' irragionevole e sproporzionato ove si consideri che con decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022 e' stato ridisegnato anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi in precedenza regolamentate dalla legge n. 689/1981. Sicche', per coloro che abbiano superato la soglia dei 10.000 euro di omesso versamento di ritenute, il giudice penale potra' procedere a sostituire la pena detentiva breve (prevista per i casi di minor rilevanza, ma pur sempre sopra la soglia) applicando il valore della quota giornaliera che ora «non puo' essere inferiore a 5 euro e superiore a 2500 euro» e va commisurata alle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato, ottenendo cosi' il risultato di irrogare una pena pecuniaria proporzionata all'illecito posto in essere ed alla situazione anche reddituale del suo autore. Possibilita', viceversa, del tutto preclusa in sede civile per coloro che hanno posto in essere gli illeciti di minor gravita'. Le risultanze sino ad ora ottenute determinano quantomeno la violazione dell'art. 3 Cost., poiche' appare evidentemente irrazionale trattare piu' severamente una violazione piu' lieve e meno severamente una violazione piu' grave, tanto piu' se le due violazioni sono di identica specie e se pertanto la loro comparazione risulta immediata e obiettiva. Inoltre la segnalata impossibilita' per il giudice civile di graduare la sanzione amministrativa accentua la maggior afflittivita' di quest'ultima determinando risultati del tutto abnormi in punto disparita' di trattamento come sopra gia' evidenziato. Infine questo Giudice rileva che, qualora l'eccezione sollevata trovasse accoglimento, non vi sarebbe un vuoto normativo in quanto l'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 ha operato un richiamo specifico alle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689 e di conseguenza sarebbe applicabile l'art. 10 «la sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a 10 euro» considerando che l'art. 12 citato decreto a sua volta prevede «le disposizioni di questo capo si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito per tutte le violazioni per le quali e' prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non e' prevista in sostituzione di una sanzione penale.» Peraltro, come sottolineato nella piu' volte richiamata sentenza n. 28/2022 della Corte costituzionale, «l'impossibilita' di individuare un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus denunciato» puo' essere superata «ben potendo questa Corte reperire essa stessa soluzioni costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel sistema e idonee a colmare temporaneamente la lacuna creata dalla stessa pronuncia di accoglimento della questione; ferma restando poi la possibilita' per il legislatore di individuare, nell'esercizio della propria discrezionalita', una diversa soluzione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte. E cio' tanto in materia di dosimetria sanzionatoria (sentenze n. 185 del 2021, n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018, n. 236 del 2016), quanto altrove (ex multis, sentenze n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del 2019 e n. 99 del 2019). Un tale adeguamento, come rileva l'odierno rimettente, deve ritenersi imposto dal principio di eguaglianza, da cui discende il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini (art. 3, secondo comma, Cost.). Nella prospettiva di un'eguaglianza "sostanziale" e non solo "formale", il vaglio che questa Corte e' chiamata a compiere sulla manifesta sproporzione della pena pecuniaria non potra' che confrontarsi con il dato di realta' del diverso impatto del medesimo quantum di una tale pena rispetto a ciascun destinatario. Tale diverso impatto esige di essere "compensato" attraverso uno di quei rimedi cui aveva fatto cenno la sentenza n. 131 del 1979, in modo che il giudice sia posto nella condizione di tenere debito conto - nella commisurazione della pena pecuniaria - delle condizioni economiche del reo, oltre che della gravita' oggettiva e soggettiva del reato».