Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Friuli-Venezia Giulia (codice fiscale n. 80014930327), in persona del Presidente della Regione pro tempore, dott. Massimiliano Fedriga, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 24 marzo 2023, n. 583 (doc. 1), rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, come da procura speciale in calce al presente atto, dall'avvocato professore Giandomenico Falcon (codice fiscale: FLCGDM45C06L736E) del Foro di Padova, con studio in Padova, via San Gregorio Barbarigo n. 4; telefono 049/660231; telefax 049/8776503; PEC giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it e dagli avvocati Daniela Iuri (codice fiscale: RIUDNL63M56L483B, PEC daniela.iuri@certregione.fvg.it), Avvocato della Regione, e Beatrice Croppo (codice fiscale: CRPBRC62L47C758R, PEC beatrice.croppo@certregione.fvg.it) dell'Avvocatura Regionale, entrambe con sede a Trieste, piazza Unita' d'Italia n. 1; telefono 040/3772913; telefax 040-3772929; con domicilio eletto presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in 00186 Roma, piazza Colonna n. 355, contro il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con notifica anche al Tribunale di Udine - Sezione lavoro, ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme integrative, per la dichiarazione che non spetta allo Stato, e per esso al Tribunale di Udine, sezione lavoro, adottare l'ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio 2023, resa nel procedimento R.G. 358/2022; - nella parte in cui (i) al punto 2 ordina alla Regione autonoma di modificare immediatamente il regolamento di esecuzione della legge regionale n. 1 del 2016, emanato con decreto del presidente della Regione 13 luglio 2016 0144/Pres., in relazione all'art. 12, comma 3-bis, «nella parte che prevede per i cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diverse rispetto a quelli previsti per i cittadini comunitari per attestare l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero e garantendo invece che i cittadini comunitari e quelli extracomunitari soggiornanti di lungo periodo possano documentare allo stesso modo l'impossidenza di cui all'art. 9, comma 2 lettera C)» dello stesso regolamento; - nonche', conseguentemente, nelle parti in cui: (ii) al punto 3 ordina che «della modifica del regolamento sia data comunicazione alla popolazione, inserendo permanentemente nell'home page del sito istituzionale della Regione Friuli-Venezia Giulia un avviso in caratteri rossi che chiarisca che ai fini dell'accesso alla prestazione di cui all'art. 18 della legge regionale 2016 non sono piu' previsti per i cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diversi rispetto a quelli previsti per i cittadini comunitari per attestare l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero»; (iii) al punto 7 condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia, anche in relazione agli ordini di cui ai punti 2 e 3, «al pagamento in favore dei ricorrenti individuali dell'importo di euro 100,00 ciascuno per ogni giorno di ritardo» nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti (i) e (ii), «con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione della presente ordinanza»; (iv) al punto 8 analogamente condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia al pagamento in favore di ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione dell'importo di € 100,00 per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti (i) e (ii) con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione della predetta ordinanza; - o, comunque, per la dichiarazione che non spetta allo Stato, e per esso al Tribunale di Udine, sezione lavoro, adottare la medesima ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio 2023, nelle parti indicate sopra, senza aver prima chiesto ed ottenuto da codesta Corte costituzionale la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1 del 2016, e per il conseguente annullamento in parte qua dell'ordinanza predetta. Per violazione degli articoli 101, 113, 118, primo comma, 117, primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 120 della Costituzione, anche in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e del principio costituzionale di separazione dei poteri; degli articoli 4, 5, 8, 12, 42, primo comma, lettera b), dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, come attuato dall'art. 16, comma 1 lettera a) della legge regionale 18 giugno 2007, n. 17; degli articoli 134 e 136 della Costituzione. Fatto La controversia dipartenza. Il presente conflitto di attribuzione trae origine dall'ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio 2023, del Tribunale di Udine, Sezione lavoro, depositata telematicamente il 1° febbraio 2023 e comunicata in pari data. Con tale pronuncia il Tribunale di Udine ha parzialmente accolto l'azione civile contro la discriminazione per motivi di nazionalita' promossa - ai sensi degli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unico delle leggi sulla immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero), dell'art. 702-bis del codice di procedura civile e dell'art. 28 del decreto legislativo n. 151 del 2011 - da un cittadino italiano e dalla sua coniuge albanese, titolare di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, per contestare la mancata erogazione del contributo per l'acquisto dell'alloggio da destinare a prima casa di abitazione previsto dall'art. 15, comma 1, lettera c) e dell'art. 18 della legge regionale 19 febbraio 2016, n. 1, «Riforma organica delle politiche abitative e riordino delle Ater». A fianco degli attori era intervenuta la Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione - ASGI. - La disciplina normativa regionale del contribuito per l'acquisto della prima casa: a) l'art. 29 della legge regionale n. 1 del 2016. Tale contributo, al pari delle altre misure di sostegno previste nella sezione II dalla legge regionale n. 1 del 2016, e' riservato ai soggetti identificati direttamente dall'art. 29 della stessa legge ed e' poi attuativamente disciplinato dai regolamenti previsti dall'art. 12 della medesima legge. I soggetti destinatari sono individuati dalla legge regionale n. 1 del 2016 nei cittadini italiani e nei cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia e loro familiari; nei titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; negli stranieri di cui all'art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ovvero titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno (art. 29, comma 1, lettera a). I beneficiari devono essere in possesso di un determinato ISEE (art. 29, comma 1, lettera b) e di requisiti di residenza qualificata sul territorio nazionale (art. 29, comma 1, lettera c), e nei precedenti dieci anni non devono essere stati condannati, in via definitiva, per il reato di invasione di terreni o edifici, di cui all'art. 633 c.p. (art. 29, comma 1, lettera d-bis). - L'art. 29, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 1 del 2016 prevede, in particolare, che coloro che si giovano delle azioni per le politiche abitative da essa previste non devono «essere proprietari neppure della nuda proprieta' di altri alloggi, all'interno del territorio nazionale o all'estero, purche' non dichiarati inagibili, con esclusione delle quote di proprieta' non riconducibili all'unita', ricevuti per successione ereditaria, della nuda proprieta' di alloggi il cui usufrutto e' in capo a parenti entro il secondo grado e degli alloggi, o quote degli stessi, assegnati in sede di separazione personale o divorzio al coniuge o convivente». - L'art. 29, comma 1-bis, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 24 del 2018, stabilisce poi che «ai fini della verifica del requisito di cui al comma 1, lettera d), i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all'art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/ CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche' norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza». Il successivo comma 2 aggiunge che «fermi restando i requisiti minimi previsti dal presente articolo i regolamenti prevedono ulteriori requisiti in relazione alla specifica azione di sostegno». b) il regolamento emanato con decreto 13 luglio 2016, n. 0144/Pres. La previsione della legge, che si ricollega ai limiti in materia di autocertificazione posti allo straniero dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999 e dall'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, e' stata riprodotta dal regolamento regionale emanato con decreto del Presidente della Regione 13 luglio 2016, n. 0144/Pres., il cui art. 12, comma 3-bis, introdotto con decreto del Presidente della Regione 24 giugno 2019, n. 0104/Pres., stabilisce che «ai fini della verifica del requisito di cui all'art. 9, comma 2, lettera c), i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all'art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche' norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 445/2000 e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare, come definito dall'art. 2, non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza». Il ricorso contro l'asserita discriminazione degli stranieri non appartenenti all'UE nell'accesso al contributo. I ricorrenti avevano chiesto il contributo per l'acquisto della prima casa e lamentavano che il procedimento non fosse stato positivamente definito dalla Banca Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia S.p.a. - soggetto delegato alla istruttoria e alla erogazione del beneficio - in ragione della mancata produzione della documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza, documentazione richiesta, appunto, per i cittadini stranieri non appartenenti all'UE. Le parti ricorrenti «preliminarmente», ma per il «solo caso in cui il Giudice ritenga di non poter accogliere le domande che seguono, facendo applicazione delle invocate norme di diritto dell'Unione europea», chiedevano al giudice di «dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 29, legge regionale n. 1/2016 nella parte in cui prevede: A) al comma 1, lettera d) che il diritto di accedere al beneficio di cui all'art. 18 della stessa legge sia condizionato al requisito della assenza di proprieta' in Italia o all'estero; B) al comma 1-bis che l'accesso al beneficio economico di cui sopra preveda modalita' diverse per italiani e stranieri per attestare il requisito di cui all'art. 29, comma 1, lettera d), escludendo dall'accesso alla prestazione tutti i cittadini extra UE che non forniscano "documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza"». Di seguito, «per effetto della invocata disapplicazione, ovvero all'esito dell'incidente di costituzionalita'» le ricorrenti chiedevano al Tribunale di Udine, in funzione di giudice del lavoro, non solo le conseguenti pronunce in relazione al caso specifico dedotto in giudizio, ma anche di ordinare il nuovo esercizio delle potesta' normative della Regione. Complessivamente, veniva infatti richiesto: (i) di accertare il carattere discriminatorio della condotta, consistente nel prevedere il requisito di impossidenza e le diverse modalita' di prova di tale requisito; (ii) di ordinare alla Regione Friuli-Venezia Giulia e alla Banca Mediocredito la cessazione del comportamento illegittimo; (iii) di ordinare alla Regione Friuli-Venezia Giulia e per essa al Presidente pro tempore di modificare il regolamento adottato di cui al d.P. 13 luglio 2016 0144/Pres., con riferimento alle parti ritenute discriminatorie; (iv) di condannare la Banca a erogare in favore dei ricorrenti l'incentivo richiesto o in subordine condannare lo stesso istituito di credito, in solido con la Regione a pagare ai ricorrenti la medesima somma a titolo di risarcimento del danno patrimoniale conseguente all'asserita discriminazione; (v) di condannare la banca e la Regione al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in una somma pari al 50% dell'importo dell'incentivo ovvero quantificato in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 del codice civile; (vi) di condannare la Regione (e la banca Mediocredito) ad astreintes di cui all'art. 614-bis del codice di procedura civile, nella somma non inferiore a 100 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini impartiti; (vii) di ordinare la pubblicazione dell'emanando provvedimento sulla home page del sito istituzionale della Regione per un minimo di giorni trenta, nonche' su un giornale a tiratura nazionale, con caratteri doppi di quelli normalmente utilizzati; (viii) di adottare ogni opportuno provvedimento, nell'ambito del piano di rimozione di cui all'art. 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, al fine di evitare il reiterarsi della discriminazione. Sia consentito di notare subito non solo la commistione tra le domande relative al caso specifico e quelle relative alle modifiche de futuro della normativa regionale, ma anche che nelle seconde non appare piu' alcun riferimento alla legge regionale, ritenuta evidentemente da non piu' considerare a seguito (oltre che della eventuale pronuncia di codesta ecc.ma Corte costituzionale) anche della sola auspicata disapplicazione per asserito contrasto con il diritto dell'Unione europea. Domande analoghe erano proposte dalla Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione - ASGI con atto di intervento qualificato da come intervento autonomo o in subordine adesivo. A fronte di tali domande, la Regione autonoma si era costituita per resistere al ricorso, svolgendo eccezioni in rito e nel merito negando il carattere discriminatorio della condotta e la sussistenza di un contrasto con norme auto-applicative della direttiva europea n. 2003/109/CE. In ogni caso, e in particolare, la Regione eccepiva anche che non rientrava tra i poteri dell'autorita' giudiziaria quello di ordinare una modifica del regolamento esecutivo, anzi riproduttivo, di una legge regionale. L'ordinanza che ha definito il giudizio. Con ordinanza del 31 gennaio 2023, depositata e comunicata il successivo 1° febbraio 2023, il Tribunale di Udine, sezione lavoro, ha parzialmente accolto le domande proposte dai due soggetti privati e da ASGI e previa disapplicazione dell'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale, e il corrispondente art. 12, comma 3-bis, del regolamento di attuazione. Il Tribunale di Udine non contesta il requisito della impossidenza in se' e per se', ed afferma invece che «la discriminazione lamentata dai ricorrenti deriva dall'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016 e non riguarda i requisiti sostanziali per l'accesso a benefici previsti dalla medesima legge, bensi' le modalita' di prova di questi requisiti e si sostanzia nel fatto che i cittadini comunitari possono avvalersi, a questo scopo, di una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, mentre cio' non e' consentito agli extracomunitari» (pagina 7 dell'ordinanza). Sulla base di questa premessa, il Tribunale prende in considerazione il trattamento da riservare alla legge regionale che regola la materia, affermando (p. 12 ordinanza) che dal suo asserito carattere discriminatorio «consegue che sia l'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/16, sia l'art. 12, comma 3-bis del regolamento attuativo n. 144/164, in quanto integranti una discriminazione diretta sulla base della nazionalita', devono essere disapplicati dal giudice interno, in forza del primo pilastro portante di integrazione europea ed al fine di garantire, con la propria decisione, il principio di primazia del diritto dell'Unione» e che, in particolare, «cio' esclude, quindi, la necessita' di sollevare la questione di legittimita' costituzionale». Si osserva da subito che la Regione Friuli-Venezia Giulia e' ben consapevole del potere del giudice di disapplicare la legge regionale ove la ritenga in contrasto con il diritto dell'Unione europea, e che essa dunque non contesta le affermazioni sopra riportate, sino a che esse si riferiscono al potere del giudice di decidere la specifica vicenda sottoposta al suo giudizio (e salve le impugnazioni che competono ad ogni parte). Sennonche', con l'ordinanza qui impugnata il Tribunale di Udine non si e' limitato a pronunciare sulla vicenda sottoposta al suo giudizio, ma ha preteso di ordinare alla Regione di esercitare i propri poteri normativi secondo contenuti decisi da esso giudice, ed in particolare - nel caso specifico - di esercitarli in modo contrario a quando precisamente disposto dalla legge regionale. Infatti, sulla base della asserita difformita' della legge e del pedissequo regolamento regionale dal diritto dell'Unione europea e del loro carattere discriminatorio, il Tribunale di Udine, in larga misura riprendendo le domande formulate dagli attori e dall'associazione intervenuta, ha disposto come segue: 1) accerta e dichiara il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia nell'aver adottato il regolamento del 13 luglio 2016 n. 0144/Pres. «Regolamento di esecuzione per la disciplina degli incentivi di edilizia agevolata a favore dei privati cittadini, a sostegno dell'acquisizione o del recupero di alloggi da destinare a prima casa di abitazione di cui all'art. 18 della legge regionale 19 febbraio 2016, n. 1 (Riforma organica delle politiche abitative e riordino delle Ater)» nella parte in cui, ai fini dell'accesso alla prestazione di cui all'art. 18, legge regionale n. 1/2016, detto regolamento prevede, all'art. 9, comma 2, lettera C), il requisito della assenza di proprieta' di immobili in Italia e all'estero in capo ad ogni componente del nucleo familiare e, all'art. 12, comma 3-bis, che i soli cittadini extra UE debbano fornire «documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza», con conseguente esclusione di tutti i richiedenti di cittadinanza extra UE che non forniscano tale documentazione; 2) ordina alla Regione Friuli-Venezia Giulia di modificare immediatamente detto regolamento nella parte che prevede per i cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diverse rispetto a quelli - previsti per i cittadini comunitari per attestare l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero e garantendo invece che i cittadini comunitari e quelli extracomunitari soggiornanti di lungo periodo possano documentare allo stesso modo l'impossidenza di cui all'art. 9, comma 2, lettera C); 3) ordina che della modifica del regolamento sia data comunicazione alla popolazione, inserendo permanentemente nell'home page del sito istituzionale della Regione Friuli-Venezia Giulia un avviso in caratteri rossi che chiarisca che ai fini dell'accesso alla prestazione di cui all'art. 18, legge regionale n. 1/2016 non sono piu' previsti per i cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diversi rispetto a quelli previsti per i cittadini comunitari per attestare l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero; 4) ordina a Banca Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia S.p.a. di valutare la domanda presentata dai ricorrenti in data 26 giugno 2019, cosi' come le domande presentate da altri cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo, come se la documentazione attestante l'impossidenza di altri immobili fosse stata regolarmente prodotta in base agli stessi criteri valevoli per i cittadini comunitari; 5) rigetta la domanda dei ricorrenti di risarcimento del danno patrimoniale; 6) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia al pagamento dell'importo di euro 3.500,00 per ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre interessi legali dal giorno successivo al deposito del presente provvedimento fino al saldo; 7) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia al pagamento in favore dei ricorrenti dell'importo di euro 100,00 ciascuno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti 2) e 3), con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione della presente ordinanza; 8) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia al pagamento in favore di ASGI - Associazione degli Studi Giuridici sull'Immigrazione dell'importo di euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti 2) e 3), con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione della presente ordinanza; 9) ordina la pubblicazione della presente ordinanza, previa anonimizzazione delle generalita' dei ricorrenti, a spese della Regione Friuli-Venezia Giulia sul Corriere della Sera per una sola volta; 10) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia all'integrale rifusione delle spese del presente giudizio sostenute dai ricorrenti, spese che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dei procuratori di parte ricorrente, che si sono dichiarati anticipatari; 11) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia all'integrale rifusione delle spese del presente giudizio sostenute da ASGI - Associazione degli Studi Giuridici sull'Immigrazione, spese che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per legge con distrazione in favore dei procuratori di parte intervenuta, che si sono dichiarati anticipatari. Laddove e' chiaro che i punti 2) e 3), e le astreintes ad essi accessorie, non decidono il caso oggetto del giudizio, ma dispongono dei poteri normativi regionali, e cio' fanno in contrasto con quanto stabilito dalla specifica legge regionale. Contro le considerazioni che precedono non varrebbe obiettare che nel giudizio agiva anche ASGI, il cui interesse e obiettivo e' la prevenzione delle discriminazioni collettive. Occorre infatti distinguere tra l'interesse tutelato e gli strumenti costituzionalmente disponibili per la sua tutela: ed ove per giungere a tale tutela erga omnes si debba disporre in senso opposto a quanto stabilito da una legge regionale, e' necessario che prima di tutto la legge supposta illegittima sia dichiarata tale dall'organo costituzionalmente competente, cioe' da codesta Corte costituzionale. L'ordinanza e' stata medio tempore gravata dalla Regione autonoma con appello proposto avanti alla Corte dell'appello di Trieste, ove l'impugnazione e' pendente, iscritta al numero 36/2023 R.G. Trattandosi di pronuncia immediatamente esecutiva, la Regione autonoma, al solo scopo di evitare il pagamento delle astreintes ex art. 614-bis del codice di procedura civile e dunque senza acquiescenza, ha altresi' dato esecuzione al provvedimento, abrogando, con l'art. 1, comma 1, del decreto del Presidente della Regione del 1° marzo 2023, n. 044/Pres pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione 15 marzo 2023, n. 11, l'art. 12, comma 3-bis, del regolamento emanato con decreto del Presidente della Regione del 13 luglio 2016, n. 144/Pres. La presente controversia, dunque, non riguarda il merito del giudizio emesso dal Tribunale di Udine, sezione lavoro, con l'ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio, a definizione della causa R.G. 358/2022, con l'ordinanza qui impugnata. Non riguarda ne' la conformita' della disciplina regionale al diritto dell'Unione europea ne' il suo asserito carattere discriminatorio, in relazione ai quali la Regione ha gia' provveduto a contestare le valutazioni del Tribunale presso la competente Corte d'appello. Essa riguarda invece i poteri ordinatori esercitati in relazione alle potesta' normative regionali in contraddizione con quanto disposto dalla legge regionale e comunque in violazione dei limiti posti alla giurisdizione. La Regione autonoma ritiene che cosi' facendo lo Stato, e per esso il Tribunale di Udine, abbia invaso la sfera di attribuzione ad essa riservata dalla Costituzione e dello statuto speciale approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963, ledendo lo status della legge regionale (primo motivo), l'autonomia della Regione nell'uso delle proprie fonti normative (secondo motivo), esorbitando dai limiti che la Costituzione pone alla giurisdizione rispetto ai poteri regolamentari e di amministrazione (terzo motivo), e cio' per i seguenti motivi di Diritto I. Violazione dello status della legge regionale. La Regione autonoma contesta, anzitutto, la violazione del regime giuridico della legge regionale n. 1 del 2016 in quanto avente natura di legge, vale a dire il disconoscimento, ad opera del Tribunale di Udine, del valore e della forza tipici della legge regionale, e dunque lamenta la lesione della autonomia dell'ente quale ente dotato di potesta' legislativa. Che la Regione Friuli-Venezia Giulia disponga della funzione legislativa risulta dallo statuto speciale, e in particolare dagli articoli 4, 5 e 6, nonche' dall'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Che tale autonomia legislativa della regione si traduca nella capacita' di adottare atti dotati di forza di legge - intesa come capacita' di innovare l'ordinamento giuridico a livello primario e di resistere alla abrogazione da parte di fonti normative secondarie - e di valore di legge - inteso come trattamento giuridico dell'atto legislativo - e' un dato di sistema troppo ovvio per essere tematizzato. Ad ogni buon conto esso risulta, tra l'altro, (i) dalla denominazione «legge regionale» riservata dalla Costituzione (articoli 117, 127, primo comma, e 134, primo alinea, della Costituzione) e dallo statuto speciale (si veda l'intero capo VII, dedicato alla «formazione delle leggi regionali») agli atti legislativi approvati dal Consiglio regionale; (ii) dalla generale preminenza gerarchica della legge rispetto ai regolamenti dichiarata dall'art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile, preminenza che e' implicita nelle diverse riserve di legge sancite in Costituzione e in particolare nella riserva di legge di cui all'art. 97, secondo comma, della Costituzione, con riferimento alla attivita' amministrava, e che nel rapporto tra legge regionale e regolamento regionale e' presupposta nell'art. 117, sesto comma, della Costituzione; (iii) quanto al valore, nella previsione costituzionale che assoggetta la giurisdizione alla legge (art. 101, primo comma, della Costituzione) e riserva alla Corte costituzionale i giudizi di legittimita' costituzionale della legge regionale (art. 134 della Costituzione) e il potere di disporne l'annullamento con efficacia erga omnes (art. 136 della Costituzione). Tali principi hanno gia' indotto codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la sentenza n. 285 del 1990, a ritenere, in sede di conflitto di attribuzione tra enti, che una sentenza della Cassazione penale, in cui il giudice aveva disapplicato una legge regionale in ragione della sua asserita illegittimita', fosse «in violazione, oltre che degli articoli 101 e 117, anche dell'art. 134 della Costituzione, che attribuisce esclusivamente alla Corte costituzionale il sindacato di legittimita' costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni», e configurasse quindi invasione della sfera di competenza costituzionalmente riservata alla Regione. Piu' recentemente, con la sentenza n. 26 del 2022, la Corte ha accolto un conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Sardegna contro lo Stato in relazione ad atti di disapplicazione della legge regionale ad opera di amministrazioni statali, in pendenza del giudizio di impugnazione della stessa legge regionale promosso dal Governo ai sensi dell'art. 127 della Costituzione Nella pronuncia citata codesta ecc. Corte afferma che «chiarito che si e' in presenza di una voluta disapplicazione, da parte di autorita' amministrative statali, di una legge regionale su cui il Governo ha promosso questione di legittimita' costituzionale, ne consegue che gli atti contestati violano le norme costituzionali richiamate dalla ricorrente, e precisamente gli articoli 127, 134 e 136 della Costituzione». Naturalmente la Regione non ignora che nei rapporti tra diritto interno e diretto dell'Unione il giudice nazionale ha la facolta' di disapplicare il diritto interno contrastante con il diritto europeo auto-applicativo, cosi' come non ignora che al principio di parita' di trattamento dettato dall'art. 11 della direttiva n. 2003/109/CE puo' essere riconosciuto carattere auto-applicativo (cio' non significa, peraltro, che la Regione riconosca che tale disposizione della direttiva e le altre norme dell'Unione sui divieti di discriminazione siano state invocate pertinentemente dall'ordinanza oggetto del conflitto, ne' che esse possano legittimamente fondare la disapplicazione della legge regionale; ma tale discussione investirebbe possibili errores in iudicando, che rimangono estranei al perimetro del presente conflitto di attribuzione tra enti). Cio' che la Regione contesta non e' la disapplicazione incidenter tantum della norma legislativa e della stessa norma, ma la pretesa - una volta disapplicata nel caso concreto la norma legislativa e quella regolamentare - di imporre alla Regione l'adozione di norme regolamentari in diretto e voluto contrasto con la disposizione di legge disapplicata. A mezzo della disapplicazione e dell'ordine di modifica del regolamento, infatti, il Tribunale di Udine perviene a privare di effetto, con valenza erga omnes, una disposizione legislativa, sottraendola ad una corrispondente valutazione di altri giudicanti (sia di pari grado in diversi casi, sia di grado superiore in sede di impugnazione), valutazione che potrebbe condurre tali giudicanti ad esiti diversi: risultandone dunque contraddetto lo stesso diritto della Regione di difendere la propria normativa. In questi termini, il Tribunale di Udine produce in relazione all'art. 29 della legge regionale n. 1 del 2016 un effetto corrispondente non a quello della disapplicazione incidenter tantum, ma a quello erga omnes proprio - oltre che dell'abrogazione, riservata ai legislatori - della dichiarazione di illegittimita' costituzionale pronunciata da codesta ecc.ma Corte costituzionale. D'altronde, se - come afferma l'ordinanza - il diritto europeo e' auto-applicativo, ogni giudicante potra' direttamente applicare la regola dell'Unione, sostituendola alle norme regionali - legislative e regolamentari - che ritenga in contrasto con quello, senza che a questo scopo sia necessaria alcuna ulteriore normazione con l'effetto. Se invece e' richiesto adeguamento, anche ai soli fini di una certezza del diritto, allora le norme in asserito contrasto con il diritto dell'Unione vanno rimosse con effetto erga omnes e tale operazione, in presenza di una disposizione legislativa, e' preclusa al giudice comune e, in presenza di una norma regolamentare, e' comunque preclusa all'autorita' giurisdizionale ordinaria, secondo quando prevede l'art. 113, ultimo comma, della Costituzione. A riprova e ulteriore conferma della fondatezza della prospettazione qui esposta - giova constatare che nel parallelo giudizio n. 745/2022 il medesimo Tribunale di Udine, sezione lavoro, in diversa composizione, pur muovendo da un identico giudizio di incompatibilita' della disciplina legislativa e regolamentare con la direttiva europea, abbia bensi' accolto le domande individuali, ma abbia ritenuto necessario - per decidere sulle domande relative alle modifiche del regolamento - rimettere a codesta Corte, con ordinanza 8 febbraio 2023, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1 del 2016 (oltre che dell'art. 29, comma 1, lettera d, in relazione al requisito della impossidenza, che nel presente contenzioso non rileva), in base alla constatazione che per emettere un ordine di modifica del regolamento nell'ambito di un piano di rimozione delle discriminazioni, ai sensi dell'art. 28, comma 5, secondo periodo, del decreto legislativo n. 151 del 2011, risulta all'evidenza necessaria una previa dichiarazione di incostituzionalita' della legge regionale (pagine 20 e ss. dell'ordinanza 9 febbraio 2023). Il giudice, infatti, osserva che «la questione e' quindi rilevante nel senso che, qualora la normativa regionale venga ritenuta conforme a Costituzione, la stessa giustifica l'adozione del regolamento censurato; nel caso invece la legge regionale non rispetti i parametri costituzionali di cui si dira' infra, potra' essere emesso un ordine di modifica del Regolamento che eviti anche pro futuro un contenzioso ormai nutrito in questo Distretto» (pagine 21- 22). E' chiaro invece che il giudice dell'ordinanza qui impugnata ha creduto di poter utilizzare una scorciatoia, facendosi giudice assoluto e formulando esso stesso quel giudizio definitivo sulla legittimita' costituzionale (oltre che comunitaria) della legge regionale, che palesemente non gli e' consentito e che la Costituzione riserva alla Corte costituzionale. In conclusione, appare ad avviso della ricorrente Regione evidente che l'ordine di modificare il regolamento, e le misure coercitive dirette a garantire l'esecuzione di tale ordine, comporta il venir meno erga omnes degli effetti della legge regionale in modo incompatibile con i limiti legati alla disapplicazione incidentale, esorbitano dalla funzione giurisdizionale come configurata dall'art. 101 della Costituzione, e invadono la sfera di attribuzioni regionali, con violazione (i) della potesta' legislativa regionale, riservata alla Regione dagli articoli 4, 5 e 6 dello statuto e dall'art. 117, primo, terzo e quarto comma, della Costituzione, anche in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; (ii) dell'articoli 134 e 136 della Costituzione, che rispettivamente riservano a codesta Corte costituzionale il sindacato sugli atti con valore di legge e il potere di annullare le leggi regionali con effetti erga omnes; (iii) con la forza della legge rispetto al regolamento, imponendosi alla Regione di esercitare la funzione regolamentare in violazione di una propria legge, con lesione del principio di legalita' (art. 97, secondo comma, della Costituzione) e delle norme costituzionali da cui si ricava la supremazia gerarchia del regolamento rispetto alla legge regionale (art. 117, sesto comma, della Costituzione). Le censure rivolte qui e nei seguenti punti di questo ricorso avverso i capi dell'ordinanza che ordinano alla Regione di assumere misure regolamentari in luogo ed in contrasto con la legge regionale si riverberano, ugualmente viziandole, su quelle che dispongono astreintes per il caso di inadempimento all'illegittimo ordine. II. Ulteriore violazione dell'autonomia costituzionale della Regione nell'uso delle fonti normative. Il Tribunale di Udine ordina alla Regione Friuli-Venezia Giulia di modificare il proprio «regolamento nella parte che prevede per i cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diverse rispetto a quelli previsti per i cittadini comunitari per attestare l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero e garantendo invece che i cittadini comunitari e quelli extracomunitari soggiornanti di lungo periodo possano documentare allo stesso modo l'impossidenza di cui all'art. 9, comma 2 lettera C)». Ora, la Regione ha disciplinato tale materia con legge, e precisamente con l'art. 29 della legge regionale n. 1 del 2016, di cui le norme regolamentari sono meramente riproduttive, circostanza di cui il giudice era - ovviamente - perfettamente consapevole, come risulta dal fatto che nel decidere il caso concreto ha espressamente disapplicato congiuntamente legge e regolamento con le parole sopra riportate. Ora - se pure fosse concesso ad ogni giudice di imporre al titolare costituzionale dei poteri normativi di tradurre il proprio convincimento in disposizioni operanti erga omnes (e non lo e', come esposto sopra per quanto riguarda il rapporto con la legge regionale, e come ulteriormente si dira' nel punto seguente) - non tocca certamente ad esso decidere con quale atto normativo intervenire, per di piu' sovvertendo l'ordine naturale delle fonti. Verosimilmente, la ragione per la quale il giudice ha commesso questa doppia invasione - ovvero l'indicazione precisa della fonte e l'indicazione della fonte inidonea anziche' della fonte idonea - puo' essere individuata nella consapevolezza che diversamente facendo (cioe' indicando quale fonte da modificare la disposizione di legge, anziche' la norma regolamentare che la riproduce) avrebbe commesso una invasione ancora maggiore, pretendendo di farsi non solo «normatore», ma addirittura legislatore, in contrasto con una legge regionale ancora vigente, benche' da lui disapplicata nel pronunciare sul caso concreto. Come gia' osservato, nel presente ricorso la ricorrente Regione non contesta questa disapplicazione concreta e legata alla supremazia del diritto dell'Unione, che ritiene errata nel merito (come sostenuto nel ricorso in appello), ma rientrante nei poteri del giudice. Contesta invece che il giudice abbia ritenuto che tale disapplicazione concreta lo abilitasse a considerare la legge come non piu' esistente e priva di efficacia: laddove, come codesta Corte costituzionale ha ribadito ancora nella sentenza n. 26 del 2022, tale efficacia, e la corrispondente applicazione, permangono «anche laddove esse vengano contestate e fintantoche' questa Corte non ne abbia dichiarato l'illegittimita' costituzionale», precisando che «solo quest'ultima declaratoria comporta la cessazione dell'efficacia (art. 136 della Costituzione)». Contesta dunque la disapplicazione generale della legge regionale nel diritto interno, ai fini della produzione di una norma generale ed astratta incompatibile con la disposizione disapplicata, operazione equivalente, come esposto sopra, alla abrogazione della disposizione legislativa. Evidente risulta dunque il carattere pretestuoso ed invasivo dell'ordine di modificare «il regolamento», e comunque la violazione, ancora, degli articoli 134 e 136 della Costituzione, che rispettivamente riservano a codesta Corte costituzionale il sindacato sugli atti con valore di legge e il potere di annullare le leggi regionali con effetti erga omnes; della superiorita' della legge rispetto al regolamento, imponendosi alla Regione di esercitare la funzione regolamentare in violazione di una propria legge, con lesione del principio di legalita' (art. 97, secondo comma, della Costituzione) e delle norme costituzionali da cui si ricava la supremazia gerarchia del regolamento rispetto alla legge regionale (art. 117, sesto comma, della Costituzione). III. Violazione dell'autonomia regolamentare ed amministrativa della Regione. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione delle norme costituzionali sul potere sostitutivo. Le violazioni sopra allegate sono, ad avviso della ricorrente Regione Friuli-Venezia Giulia, ciascuna tale da richiedere l'annullamento in parte qua dell'impugnata ordinanza. Essa ritiene, tuttavia, che persino se non vi fosse la norma di legge regionale, e persino se non fosse arbitraria la pretesa del giudice di scegliere esso stesso quale strumento normativo utilizzare, allo scopo di mascherare la pretesa di porre definitivamente nel nulla la legge regionale, anche in questa ipotesi le misure normative che il giudice vorrebbe imporre con la sua ordinanza vadano oltre quanto affidato al giudice comune: ritiene cioe' - e sottopone alla valutazione propria di codesta Corte costituzionale - che lo Stato abbia invaso la sfera di attribuzione della Regione, quale ente costituzionale dotato di autonomia normativa ed amministrativa, attraverso un provvedimento della autorita' giudiziaria che ordina la modifica di un regolamento regionale in violazione dei limiti generali che la Costituzione pone alla stessa giurisdizione. Tale censura ha dunque carattere generale e preliminare, anche se nella presente esposizione si e' preferito sottolineare per prime le censure che concernono la violazione del regime della legge o l'autonomia della Regione nell'uso delle fonti. Ad avviso della ricorrente, comunque, il provvedimento esorbita dai limiti della giurisdizione anche sotto i profili indicati nel presente punto. Le competenze regionali incise. Benche' la competenza regionale nella materia dei benefici per la prima abitazione non sia contestata, ma anzi presupposta dal provvedimento censurato con il presente conflitto, sembra opportuno, per meglio valutare se quanto disposto dall'ordinanza potrebbe (in assenza delle violazioni lamentate nei punti I e II del presente ricorso) astrattamente rientrare nei poteri del giudice, esporre quale ne siano il fondamento costituzionale e la dimensione. Preliminarmente, la ricorrente osserva che essa, in quanto regione, e' titolare di funzioni normative, anche regolamentari, e di funzioni amministrative (art. 114, secondo comma, della Costituzione) e che in quanto regione ad autonomia speciale dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo lo statuto speciale adottato con legge costituzionale (art. 116, primo comma, della Costituzione). Per quanto riguarda le sovvenzioni per l'acquisto della prima casa, la Regione Friuli-Venezia Giulia dispone di una specifica competenza concorrente in materia di «edilizia popolare» (art. 5, numero 18), locuzione che comprende l'edilizia sovvenzionata, come gia' ritenuto da codesta Corte «non solo sulla base del dato storico relativo all'evoluzione legislativa della materia dell'edilizia sovvenzionata - quale si e' avuta dalla legge n. 865 del 1971, che l'ha configurata come servizio pubblico, alla legge n. 457 del 1978, che ne ha ampliato i confini sino a ricomprendervi la c.d. edilizia assistita - ma anche sulla base del principio giustificativo dell'intera materia, che consiste nella predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti» (cosi' la sentenza n. 217 del 1988). Essa e' titolare, inoltre, della competenza primaria in materia di urbanistica (art. 4, numero 12, dello statuto) e di lavori pubblici (art. 4, numero 9, dello statuto), materie alle quali e' stata tradizionalmente - a partire dalla sentenza n. 221 del 1975 di codesta Corte - e' stata ricondotta la competenza regionale sull'edilizia residenziale pubblica, sempre intesa in senso largo. E' nell'esercizio di queste competenze statutarie che la Regione ha approvato la legge regionale n. 1 del 2016, che si pone, appunto, primariamente come «attuazione dell'art. 4, primo comma, n. 12, e dell'art. 5, primo comma, n. 18, dello Statuto speciale, adottato con la legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1», secondo quanto stabilisce l'art. 1, comma 1. In forza delle proprie competenze legislative sulla materia la Regione dispone, in applicazione del principio del parallelismo sancito dall'art. 8 dello statuto, anche delle corrispondenti funzioni amministrative, oltre che delle funzioni di normazione secondaria, quest'ultime presupposte dall'art. 42, comma 1, lettera b) dello statuto, a mente del quale il Presidente della Regione «emana, con proprio decreto, i regolamenti deliberati dalla Giunta». Tali funzioni regolamentari, prima della revisione dello statuto regionale effettuata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, erano direttamente intestate alla Giunta regionale dall'art. 46 dello statuto, che assegnava a tale organo il compito di deliberare i regolamenti per la esecuzione delle leggi approvate dal Consiglio regionale: oggi, e' l'art. 16, comma 1, lettera a), della legge rinforzata adottata ai sensi dell'art. 12 dello statuto, come legge regionale 18 giugno 2007, n. 17, «Determinazione della forma di governo della Regione Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi dell'art. 12 dello Statuto di autonomia», a riservare alla Giunta regionale la funzione regolamentare («La Giunta regionale svolge le funzioni previste dallo Statuto e dalla legge e coadiuva il Presidente della Regione nella determinazione e nell'attuazione dell'indirizzo politico. In particolare: a) delibera i disegni di legge e i regolamenti regionali»). Tale attribuzione di competenza, in quanto contenuta nella fonte specializzata cui rinvia l'art. 12 dello statuto, e' opponibile allo Stato, come sancito da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 23 del 2014, punto 11.2, sul rilievo che tale legge regionale e' «integrante lo statuto nella definizione degli aspetti fondamentali dell'organizzazione interna della Regione». In ogni evenienza, le sovvenzioni per l'acquisto della prima casa, ove non fossero comprese nelle materie statutarie richiamate, sarebbero comunque riconducibili a competenze della Regione normative ed amministrative ai sensi degli articoli 117, commi terzo (in relazione al governo del territorio), quarto (in relazione alle politiche sociali) e sesto (per la potesta' regolamentare), e 118, primo comma, della Costituzione, in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. L'esorbitanza dell'ordinanza del Tribunale di Udine dai limiti della giurisdizione. Illustrato dunque che la Regione, nell'adottare il regolamento che il Tribunale di Udine ordina di riscrivere, ha esercitato competenze amministrative normative ed amministrative costituzionalmente proprie, essa ritiene che fuoriesca dai poteri dell'autorita' giudiziaria ordinare alla stessa Regione di esercitare in un certo modo la potesta' regolamentare, conformando il contenuto del precetto normativo da disporre. Nessuna norma, a quel che risulta, consente al giudice ordinario di adottare una simile misura, che dunque eccede i limiti esterni della giurisdizione nei confronti di una autorita' amministrativa e lede, oltre che lo statuto costituzionale della amministrazione (ricavabile dagli articoli 101 e 113 della Costituzione), il principio di separazione dei poteri, rappresentando un esercizio di attivita' formalmente amministrativa e sostanzialmente normativa ad opera di un organo giurisdizionale. La Regione autonoma e' consapevole, naturalmente, che l'ordinanza impugnata definisce un giudizio promosso con l'azione civile contro le discriminazioni, giudizio in cui la legge consente al giudice anche di pronunciare ordini nei confronti della stessa pubblica amministrazione: in tal senso dispone l'art. 28, comma 5, primo periodo, del 2011, che nel testo vigente ratione temporis stabiliva che «con l'ordinanza [oggi, in seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, "con la sentenza"] che definisce il giudizio il giudice puo' condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti». Lo stesso art. 28, comma 5, al secondo e al terzo periodo, riconosce poi al giudice il potere di ordinare, al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, l'adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro il termine fissato nel provvedimento (secondo periodo), piano che nel caso di discriminazioni collettive e' adottato sentito l'ente collettivo ricorrente (terzo periodo). Tali disposizioni, tuttavia, vanno collocate ed intese all'interno di un quadro costituzionale che distingue i poteri in base alle funzioni - normative, esecutive, giurisdizionali - ad essi affidate, e che limita, nell'art. 113 della Costituzione, i poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione: limiti che, che sul piano della legislazione ordinaria, sono attestati da numerosi disposizioni, sia risalenti a prima della Costituzione (come l'art. 4 dell'allegato E della legge 20 marzo 1865, n. 2248 sul contenzioso amministrativo), sia successive, come l'art. 34, comma 2, primo periodo, del codice del processo amministrativo - che pure dispone del pieno potere di annullamento di eventuali regolamenti illegittimi - il divieto per il giudice di pronunciare in ordine a poteri amministrativi - e ovviamente anche regolamentari - non ancora esercitati. Particolarmente significative, ai fini della ricostruzione dei limiti costituzionali alla giurisdizione rispetto alla amministrazione, sono le affermazioni di codesta ecc.ma Corte costituzionale che si leggono nella sentenza n. 150 del 1981, pronunciata all'esito di un conflitto di attribuzione tra il Governo e il potere giudiziario. Tale pronuncia, accogliendo il ricorso del Governo, osserva che «provvedimenti come quello impugnato collidono ... con l'ultimo comma dell'art. 113 della Costituzione». Pur riconoscendo che «tale norma, rinviando alla legge la determinazione degli organi giurisdizionali abilitati ad annullare gli atti della pubblica amministrazione, ammette implicitamente che il legislatore possa - nei limiti in cui lo consentono i criteri di riparto fra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, statuiti dal primo comma dell'art. 103 della Costituzione - attribuire siffatti poteri di annullamento anche al giudice ordinario (si vedano gia' in tal senso le sentenze n. 32 del 1970 e n. 161 del 1971)», precisa che «con cio' stesso, l'art. 113 esclude che spetti alle autorita' giudiziarie ordinarie di annullare gli atti amministrativi, in mancanza d'una previsione di legge; ed a piu' forte ragione comporta che tali autorita' non possano contrapporsi o sovrapporsi alle autorita' amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati: fino al punto di perseguire - come si riscontra nel caso in esame - l'eliminazione dei poteri medesimi». Con specifico riferimento alla tutela della autonomia amministrativa della Regione va richiamata anche la sentenza n. 175 del 1991, con cui codesta ecc.ma Corte ha accolto un ricorso per conflitto promosso dalla Toscana per far valere la difesa dell'«ambito di attribuzioni della regione come pubblica amministrazione» rispetto ad un provvedimento giudiziale che aveva dichiarato l'obbligo della Regione di procedere al conferimento dell'incarico di medico convenzionato, secondo una graduatoria formata nel procedimento in corso ma ritenuta dalla pubblica amministrazione non utilizzabile. Codesta Corte ha ritenuto, nel caso, che il pretore avesse preteso di «orientare, e quindi di condizionare, nell'an e nel quomodo, l'azione amministrativa dettandone la regola nel caso concreto», in tal modo esorbitando dai limiti della giurisdizione rispetto alla pubblica amministrazione. Nella sentenza, la Corte ha evidenziato che «almeno la' dove la pubblica amministrazione agisca quale autorita', esercitando una potesta' discrezionale ad essa spettante, i detti limiti sono infatti segnati, per qualsiasi giudice, dalla necessita' di non porre ostacolo al libero spiegarsi di quella potesta' discrezionale, e pertanto di non sostituirsi alla pubblica amministrazione condizionando positivamente l'azione amministrativa nel suo farsi (che di quella potesta' costituisce appunto espressione e svolgimento)». E' certo, dunque, che l'art. 28, comma 5, non puo' essere inteso ne' nel senso di attribuire al giudice ordinario poteri di annullamento di atti amministrativi, poteri cui la disposizione non fa cenno, ne', tanto meno, poteri di amministrazione attiva o addirittura poteri di preventiva sostituzione normativa. E' significativo che la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione abbia ricondotto i poteri conferiti al giudice nei confronti della pubblica amministrazione dal diritto antidiscriminatorio al tradizionale schema della disapplicazione incidentale dell'atto amministrativo illegittimo. In particolare nella sentenza delle Sezioni unite civili, 15 febbraio 2011, n. 3670, la Corte regolatrice ha chiarito che anche nell'abito dei giudizi antidiscriminatori il giudice deve limitarsi a decidere la controversia - pure in quella evenienza relativa alla spettanza delle prestazioni - «valutando il provvedimento comunale denunziato, eventualmente disattendendolo, tamquam non esset, ove confermato lesivo del principio di non discriminazione od integrante gli estremi dell'illegittima reazione, cosi' dunque non interferendo nelle potesta' della P.A., se non nei consueti e fisiologici limiti ordinamentali, della disapplicazione incidentale ai fini della tutela dei diritti soggettivi controversi». Piu' recentemente, la stessa Corte di cassazione, sez. I, ha ripreso testualmente tali passaggi dell'ordinanza delle Sezioni unite n. 3670 del 2011 nell'ordinanza 15 febbraio 2021, n. 3842, in cui ha ribadito che «il giudice ordinario deve ... limitarsi "a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunziato, disattendendolo tamquam non esset e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti"», ove l'atto amministrativo sia illegittimo perche' lesivo del principio di non discriminazione, confermando dunque che il giudice non puo' interferire nelle potesta' della pubblica amministrazione se non attraverso la disapplicazione incidentale finalizzata alla tutela dei diritti soggettivi. L'ordinanza n. 3842 del 2021 osserva che nel caso la Corte d'appello aveva fatto un corretto uso di tale principio, a nulla rilevando la circostanza che la stessa avesse affermato «nella parte motiva (non ripetendolo, tuttavia, nel dispositivo)», che la delibera amministrativa, di cui aveva ritenuta l'illegittimita', dovesse essere rimossa. La Cassazione, nel confermare la sentenza di appello, sottolinea che in quel caso non vi era stata esorbitanza dai limiti della giurisdizione: «che la Corte d'Appello non intendesse operare una vera e propria rimozione della delib. in oggetto dal mondo giuridico (ossia, il suo annullamento, che e' potere spettante al G.A.) e intendesse, invece, limitarsi all'accertamento dell'avvenuta sterilizzazione degli effetti della stessa in conseguenza della dichiarata discriminazione di cui e' causa, emerge inequivocabilmente dal rilievo che lo stesso giudice di secondo grado, dopo aver affermato che, in caso di accertamento del carattere discriminatorio del comportamento della P.A. puo' essere ordinato a quest'ultima ogni provvedimento idoneo alla rimozione degli effetti della discriminazione, ha, altresi', puntualizzato che "esula, inoltre, dai poteri della Corte ordinare al Comune l'adozione di provvedimenti amministrativi, che restano di competenza del Comune ed attuabili su richiesta dell'interessato"». Non ignora la ricorrente che la stessa Corte di cassazione, nella sentenza 30 marzo 2011, n. 7186, ha ricostruito in modo diverso i poteri dell'autorita' giurisdizionale nell'ambito dei giudizi antidiscriminatori promossi ai sensi dell'art. 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, riconducendoli ai moduli di tutela dei diritti soggettivi assoluti a fondamento costituzionale o sovranazionale, qual e' il diritto a non essere discriminati. Tale collegamento, del resto, e' anche quello che sta alla base della sentenza n. 140 del 2001 di codesta ecc.ma Corte, in cui si nega che esista «un principio costituzionale che escluda la possibilita' per il legislatore ordinario, in determinati casi (rimessi alla scelta discrezionale dello stesso legislatore), in sede di affidamento della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione, di attribuire al giudice ordinario anche un potere di annullamento e speciali effetti talora sostitutivi dell'azione amministrativa, inadempiente rispetto a diritti che lo stesso legislatore considera prioritari, anche se cio' puo' comportare la necessita' da parte del giudice di valutazioni ed apprezzamenti non del tutto vincolati, ma sempre riguardanti situazioni regolate da una serie di previsioni legislative, che prevedano espressamente l'esercizio di tali poteri». Senonche' tale sentenza, appunto, ragiona di diritti prioritari ed e' specificamente riferita ad una ipotesi di tutela di diritti familiari assoluti degli stranieri rispetto alle decisioni della amministrazione sull'ingresso ed il soggiorno. Ora, la Regione, ferme le contestazioni degli errores in iudicando dedotti nell'atto di appello e non oggetto del presente conflitto, non contesta qui che il giudice fosse privo del potere di attribuire il bene della vita al soggetto che si e' ritenuto discriminato, se la pretesa a tale bene passa attraverso la deduzione di un diritto fondamentale qual e' la pretesa a non subire discriminazione; cio' che contesta, invece, e' che il Tribunale di Udine potesse emanare l'ordine di emanare specifiche norme generali ed astratte. In proposito va richiamata la costante giurisprudenza amministrativa in tema di difetto di posizione soggettiva nel caso di azione contro il silenzio rispetto ai regolamenti. Infatti, in riferimento agli atti regolamentari (e agli atti amministrativi generali), «e' esclusa l'ammissibilita' dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio - inadempimento della P.A., in quanto strettamente circoscritto alla sola attivita' amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all'adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari», cosa che «non avviene per gli atti generali, i quali sono indirizzati ad una pluralita' indifferenziata di destinatari e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati» (Consiglio di stato, sez. IV, sentenza 26 marzo 2014 n. 1460, ripresa anche dalla sentenza 27 dicembre 2017, n. 6096). Anche nella successiva sentenza della sezione IV del 2 settembre 2019, n. 6048, il Consiglio di Stato ha ribadito che tale azione non puo' trovare applicazione «allorquando si sia in presenza di atti a contenuto generale rimessi alla scelta discrezionale dell'Amministrazione e rispetto alla quale non e' configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l'esistenza di un obbligo per l'ente di procedere all'adozione di atti a contenuto regolamentare (Cons. Stato, sez. IV, n. 13495 del 2013; sez. V, n. 1182 del 2015)». La presenza di una legittimazione degli enti associativi per le discriminazioni collettive non muta i termini del problema, dovendosi collocare nel quadro del sistema complessivo gli strumenti di tutela degli interessi ad essi affidati. Violazione indiretta delle norme sul potere sostitutivo. A ben vedere, con il provvedimento qui contestato il Tribunale di Udine, sezione lavoro, si e' sostituito agli organi della Regione conformando il contenuto di un regolamento regionale e dunque violando lo stesso statuto del potere sostitutivo, chiaramente disegnato dall'art. 117, quinto comma, e dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione. Tali disposizioni, infatti, intestano il potere sostitutivo al Governo, inteso come Consiglio dei ministri, e richiedono il rispetto del principio della leale collaborazione. Che l'ordinanza voglia «produrre» un atto normativo, e non dirimere una controversia, e' confermato non soltanto dall'emissione dell'ordine di modificare un regolamentare conferendo alla disposizione regolamentare un preciso contenuto, ma anche dalla predisposizione di un apparato coercitivo sanzionatorio - le astreintes - diretto a strumentare quell'ordine e finanche alla predisposizione di modalita' di pubblicazione delle modifiche (da inserire permanentemente nell'home page del sito istituzionale della Regione Friuli-Venezia Giulia in caratteri rossi), modalita' che peraltro vanno a sovrapporsi alle consuete modalita' di pubblicita' ufficiale degli atti regolamentari, che sono pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione.