Ricorso   per   conflitto   di   attribuzione    della    Regione
Friuli-Venezia Giulia (codice fiscale n. 80014930327), in persona del
Presidente della Regione pro  tempore,  dott.  Massimiliano  Fedriga,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 24  marzo  2023,
n.  583  (doc.  1),  rappresentata   e   difesa,   congiuntamente   e
disgiuntamente, come da procura speciale in calce al  presente  atto,
dall'avvocato  professore  Giandomenico   Falcon   (codice   fiscale:
FLCGDM45C06L736E) del Foro di Padova, con studio in Padova,  via  San
Gregorio Barbarigo n. 4; telefono  049/660231;  telefax  049/8776503;
PEC  giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it  e  dagli   avvocati
Daniela    Iuri    (codice     fiscale:     RIUDNL63M56L483B,     PEC
daniela.iuri@certregione.fvg.it), Avvocato della Regione, e  Beatrice
Croppo       (codice       fiscale:       CRPBRC62L47C758R,       PEC
beatrice.croppo@certregione.fvg.it)    dell'Avvocatura     Regionale,
entrambe con sede a Trieste, piazza Unita' d'Italia  n.  1;  telefono
040/3772913;  telefax  040-3772929;  con  domicilio   eletto   presso
l'Ufficio di rappresentanza  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia in 00186 Roma, piazza Colonna n. 355, contro il Presidente del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, con notifica anche al Tribunale
di Udine - Sezione lavoro, ai sensi  dell'art.  27,  comma  2,  delle
norme integrative, per la dichiarazione che non spetta allo Stato,  e
per esso al Tribunale di Udine, sezione lavoro, adottare  l'ordinanza
31 gennaio - 1° febbraio 2023, resa nel procedimento R.G. 358/2022; 
    - nella parte in cui (i) al punto 2 ordina alla Regione  autonoma
di modificare immediatamente il regolamento di esecuzione della legge
regionale n. 1 del 2016, emanato con  decreto  del  presidente  della
Regione 13 luglio 2016 0144/Pres., in relazione  all'art.  12,  comma
3-bis, «nella parte  che  prevede  per  i  cittadini  extracomunitari
soggiornanti di lungo periodo requisiti o modalita' diverse  rispetto
a  quelli  previsti  per  i  cittadini   comunitari   per   attestare
l'impossidenza di alloggi in Italia e all'estero e garantendo  invece
che i cittadini comunitari e quelli extracomunitari  soggiornanti  di
lungo periodo possano documentare allo stesso modo l'impossidenza  di
cui all'art. 9, comma 2 lettera C)» dello stesso regolamento; 
    - nonche', conseguentemente, nelle parti in cui: (ii) al punto  3
ordina che «della modifica del  regolamento  sia  data  comunicazione
alla popolazione, inserendo permanentemente nell'home page  del  sito
istituzionale  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  un  avviso  in
caratteri  rossi  che  chiarisca  che  ai  fini   dell'accesso   alla
prestazione di cui all'art. 18 della legge regionale  2016  non  sono
piu' previsti per i cittadini extracomunitari soggiornanti  di  lungo
periodo requisiti o modalita' diversi rispetto a quelli previsti  per
i cittadini comunitari per attestare  l'impossidenza  di  alloggi  in
Italia  e  all'estero»;  (iii)  al  punto  7  condanna   la   Regione
Friuli-Venezia Giulia, anche in relazione agli ordini di cui ai punti
2  e  3,  «al  pagamento  in  favore   dei   ricorrenti   individuali
dell'importo di euro 100,00 ciascuno  per  ogni  giorno  di  ritardo»
nell'esecuzione degli ordini  di  cui  ai  punti  (i)  e  (ii),  «con
decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione  della
presente ordinanza»; (iv) al punto 8 analogamente condanna la Regione
Friuli-Venezia Giulia al pagamento in favore di ASGI  -  Associazione
per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione dell'importo  di  €  100,00
per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione degli  ordini  di  cui  ai
punti (i) e (ii) con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla
comunicazione della predetta ordinanza; 
    - o, comunque, per la dichiarazione che non spetta allo Stato,  e
per esso al Tribunale di Udine, sezione lavoro, adottare la  medesima
ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio 2023, nelle parti indicate  sopra,
senza aver prima chiesto ed ottenuto da codesta Corte  costituzionale
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 29, comma
1-bis, della legge regionale n. 1 del  2016,  e  per  il  conseguente
annullamento in parte qua dell'ordinanza predetta. 
    Per violazione degli articoli 101, 113, 118,  primo  comma,  117,
primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 120 della Costituzione,
anche in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale  n.  3
del 2001, e del principio costituzionale di separazione  dei  poteri;
degli articoli 4, 5, 8,  12,  42,  primo  comma,  lettera  b),  dello
Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,  come
attuato dall'art. 16, comma 1 lettera a)  della  legge  regionale  18
giugno 2007, n. 17; 
    degli articoli 134 e 136 della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
La controversia dipartenza. 
    Il presente conflitto di attribuzione trae origine dall'ordinanza
31 gennaio - 1°  febbraio  2023,  del  Tribunale  di  Udine,  Sezione
lavoro, depositata telematicamente il 1° febbraio 2023  e  comunicata
in pari data. 
    Con tale pronuncia il Tribunale di Udine ha parzialmente  accolto
l'azione civile contro la discriminazione per motivi di  nazionalita'
promossa - ai sensi degli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n.
286 del 1998 (testo unico delle  leggi  sulla  immigrazione  e  sulla
condizione giuridica dello straniero), dell'art. 702-bis  del  codice
di procedura civile e dell'art. 28 del decreto legislativo n. 151 del
2011 - da  un  cittadino  italiano  e  dalla  sua  coniuge  albanese,
titolare di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo  periodo,
per contestare la mancata erogazione del  contributo  per  l'acquisto
dell'alloggio da  destinare  a  prima  casa  di  abitazione  previsto
dall'art. 15,  comma  1,  lettera  c)  e  dell'art.  18  della  legge
regionale 19 febbraio 2016, n. 1, «Riforma organica  delle  politiche
abitative  e  riordino  delle  Ater».  A  fianco  degli  attori   era
intervenuta    la    Associazione    per    gli    studi    giuridici
sull'immigrazione - ASGI. 
    -  La  disciplina  normativa  regionale   del   contribuito   per
l'acquisto della prima casa: 
      a) l'art. 29 della legge regionale n. 1 del 2016. 
    Tale contributo, al pari delle altre misure di sostegno  previste
nella sezione II dalla legge regionale n. 1 del 2016, e' riservato ai
soggetti identificati direttamente dall'art. 29 della stessa legge ed
e' poi attuativamente disciplinato dai regolamenti previsti dall'art.
12 della medesima legge. 
    I soggetti destinatari sono individuati dalla legge regionale  n.
1  del  2016  nei  cittadini  italiani  e  nei  cittadini  di   Stati
appartenenti all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia e
loro  familiari;  nei  titolari  di  permesso  di  soggiorno  CE  per
soggiornanti di lungo periodo; negli stranieri di cui all'art. 41 del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), ovvero  titolari  di  permesso  di
soggiorno della durata di almeno un anno (art. 29, comma  1,  lettera
a). 
    I beneficiari devono essere in possesso di  un  determinato  ISEE
(art. 29, comma 1, lettera b) e di requisiti di residenza qualificata
sul territorio nazionale  (art.  29,  comma  1,  lettera  c),  e  nei
precedenti dieci anni non devono  essere  stati  condannati,  in  via
definitiva, per il reato di invasione di terreni o  edifici,  di  cui
all'art. 633 c.p. (art. 29, comma 1, lettera d-bis). 
    - L'art. 29, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 1  del
2016 prevede, in particolare, che coloro che si giovano delle  azioni
per le politiche  abitative  da  essa  previste  non  devono  «essere
proprietari  neppure  della  nuda  proprieta'   di   altri   alloggi,
all'interno  del  territorio  nazionale  o  all'estero,  purche'  non
dichiarati inagibili, con esclusione delle quote  di  proprieta'  non
riconducibili all'unita', ricevuti per successione ereditaria,  della
nuda proprieta' di alloggi il cui usufrutto  e'  in  capo  a  parenti
entro il secondo  grado  e  degli  alloggi,  o  quote  degli  stessi,
assegnati in sede di separazione personale o divorzio  al  coniuge  o
convivente». 
    - L'art. 29,  comma  1-bis,  introdotto  dall'art.  1,  comma  1,
lettera d), della legge regionale n. 24 del 2018, stabilisce poi  che
«ai fini della verifica del requisito di cui al comma 1, lettera  d),
i  cittadini  di  Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  con
esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione  sussidiaria
di cui all'art. 2, comma 1, lettera a-bis), del  decreto  legislativo
19 novembre 2007, n. 251  (Attuazione  della  direttiva  2004/83/  CE
recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi  o
apolidi, della  qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti
bisognosa di protezione  internazionale,  nonche'  norme  minime  sul
contenuto della protezione riconosciuta), devono presentare, ai sensi
del  combinato  disposto  dell'art.  3,  comma  4,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000,  n.  445  (Testo  unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
documentazione  amministrativa),  e  dell'art.  2  del  decreto   del
Presidente della Repubblica  31  agosto  1999,  n.  394  (Regolamento
recante norme  di  attuazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello  straniero,  a  norma  dell'art.  1,  comma  6,   del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286), la documentazione attestante che
tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri
alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza». 
    Il successivo comma 2 aggiunge che «fermi  restando  i  requisiti
minimi  previsti  dal  presente  articolo  i  regolamenti   prevedono
ulteriori requisiti in relazione alla specifica azione di sostegno». 
      b) il regolamento  emanato  con  decreto  13  luglio  2016,  n.
0144/Pres. 
    La previsione della legge, che si ricollega ai limiti in  materia
di autocertificazione posti allo straniero dall'art.  2  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999  e  dall'art.  3  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 445  del  2000,  e'  stata
riprodotta  dal  regolamento  regionale  emanato  con   decreto   del
Presidente della Regione 13 luglio 2016, n. 0144/Pres., il  cui  art.
12, comma 3-bis, introdotto con decreto del Presidente della  Regione
24 giugno 2019, n. 0104/Pres., stabilisce che «ai fini della verifica
del requisito di cui all'art. 9, comma 2, lettera c), i cittadini  di
Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  con  esclusione   dei
rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all'art.
2, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007,
n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE  recante  norme  minime
sull'attribuzione, a  cittadini  di  Paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti  bisognosa   di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta), devono presentare, ai sensi  del  combinato
disposto dell'art. 3, comma  4,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 445/2000 e dell'art. 2 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1999,  n.  394  (Regolamento  recante  norme  di
attuazione  del  testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del decreto  legislativo  25
luglio 1998, n.  286),  la  documentazione  attestante  che  tutti  i
componenti del nucleo familiare, come definito dall'art. 2, non  sono
proprietari di altri alloggi nel paese di  origine  e  nel  paese  di
provenienza». 
Il ricorso contro  l'asserita  discriminazione  degli  stranieri  non
appartenenti all'UE nell'accesso al contributo. 
    I ricorrenti avevano chiesto il contributo per  l'acquisto  della
prima  casa  e  lamentavano  che  il  procedimento  non  fosse  stato
positivamente definito dalla Banca  Mediocredito  del  Friuli-Venezia
Giulia S.p.a. - soggetto delegato alla istruttoria e alla  erogazione
del  beneficio  -  in  ragione   della   mancata   produzione   della
documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare
non sono proprietari di altri alloggi nel  paese  di  origine  e  nel
paese  di  provenienza,  documentazione  richiesta,  appunto,  per  i
cittadini stranieri non appartenenti all'UE. 
    Le parti ricorrenti «preliminarmente», ma per il  «solo  caso  in
cui il Giudice  ritenga  di  non  poter  accogliere  le  domande  che
seguono,  facendo  applicazione  delle  invocate  norme  di   diritto
dell'Unione europea», chiedevano al giudice di «dichiarare  rilevante
e non manifestamente  infondata  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 29, legge regionale n. 1/2016 nella parte in cui prevede: 
      A) al comma 1,  lettera  d)  che  il  diritto  di  accedere  al
beneficio di cui all'art. 18 della stessa legge sia  condizionato  al
requisito della assenza di proprieta' in Italia o all'estero; 
      B) al comma 1-bis che l'accesso al beneficio economico  di  cui
sopra  preveda  modalita'  diverse  per  italiani  e  stranieri   per
attestare il requisito di cui  all'art.  29,  comma  1,  lettera  d),
escludendo dall'accesso alla prestazione tutti i cittadini  extra  UE
che non forniscano "documentazione attestante che tutti i  componenti
del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel  paese
di origine e nel paese di provenienza"». 
    Di seguito, «per effetto della invocata  disapplicazione,  ovvero
all'esito  dell'incidente   di   costituzionalita'»   le   ricorrenti
chiedevano al Tribunale di Udine, in funzione di giudice del  lavoro,
non solo le conseguenti  pronunce  in  relazione  al  caso  specifico
dedotto in giudizio, ma anche di ordinare il  nuovo  esercizio  delle
potesta' normative della Regione. 
    Complessivamente, veniva infatti richiesto: (i) di  accertare  il
carattere discriminatorio della condotta, consistente  nel  prevedere
il requisito di impossidenza e le diverse modalita' di prova di  tale
requisito; (ii) di ordinare alla Regione Friuli-Venezia Giulia e alla
Banca Mediocredito la cessazione del comportamento illegittimo; (iii)
di  ordinare  alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  e  per  essa  al
Presidente pro tempore di modificare il regolamento adottato  di  cui
al d.P.  13  luglio  2016  0144/Pres.,  con  riferimento  alle  parti
ritenute discriminatorie; (iv) di condannare la Banca  a  erogare  in
favore dei ricorrenti l'incentivo richiesto o in subordine condannare
lo stesso istituito di credito, in solido con la Regione a pagare  ai
ricorrenti la medesima somma  a  titolo  di  risarcimento  del  danno
patrimoniale  conseguente  all'asserita   discriminazione;   (v)   di
condannare la banca e  la  Regione  al  risarcimento  del  danno  non
patrimoniale, quantificato in una  somma  pari  al  50%  dell'importo
dell'incentivo  ovvero  quantificato  in  via  equitativa,  ai  sensi
dell'art. 1226 del codice civile; (vi) di condannare la Regione (e la
banca Mediocredito) ad astreintes di cui all'art. 614-bis del  codice
di procedura civile, nella somma non inferiore a 100  euro  per  ogni
giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini  impartiti;  (vii)  di
ordinare la pubblicazione dell'emanando provvedimento sulla home page
del sito istituzionale della Regione per un minimo di giorni  trenta,
nonche' su un giornale a tiratura nazionale, con caratteri  doppi  di
quelli normalmente utilizzati;  (viii)  di  adottare  ogni  opportuno
provvedimento, nell'ambito del piano di rimozione di cui all'art.  28
del decreto legislativo n. 150  del  2011,  al  fine  di  evitare  il
reiterarsi della discriminazione. 
    Sia consentito di notare subito non solo la  commistione  tra  le
domande relative al caso specifico e quelle relative  alle  modifiche
de futuro della normativa regionale, ma anche che nelle  seconde  non
appare  piu'  alcun  riferimento  alla  legge   regionale,   ritenuta
evidentemente da non piu' considerare  a  seguito  (oltre  che  della
eventuale pronuncia di codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale)  anche
della sola auspicata disapplicazione per asserito  contrasto  con  il
diritto dell'Unione europea. 
    Domande analoghe erano proposte dalla Associazione per gli  studi
giuridici sull'immigrazione - ASGI con atto di intervento qualificato
da come intervento autonomo o in subordine adesivo. 
    A fronte di tali domande, la Regione autonoma si  era  costituita
per resistere al ricorso, svolgendo eccezioni in rito  e  nel  merito
negando il carattere discriminatorio della condotta e la  sussistenza
di un contrasto con norme auto-applicative della direttiva europea n.
2003/109/CE. 
    In ogni caso, e in particolare, la Regione eccepiva anche che non
rientrava tra i poteri dell'autorita' giudiziaria quello di  ordinare
una modifica del regolamento esecutivo,  anzi  riproduttivo,  di  una
legge regionale. 
L'ordinanza che ha definito il giudizio. 
    Con ordinanza del 31 gennaio 2023,  depositata  e  comunicata  il
successivo 1° febbraio 2023, il Tribunale di Udine,  sezione  lavoro,
ha parzialmente accolto le domande proposte dai due soggetti  privati
e da ASGI e previa disapplicazione dell'art. 29, comma  1-bis,  della
legge regionale, e  il  corrispondente  art.  12,  comma  3-bis,  del
regolamento di attuazione. 
    Il  Tribunale  di  Udine  non   contesta   il   requisito   della
impossidenza  in  se'  e  per  se',  ed  afferma   invece   che   «la
discriminazione lamentata dai ricorrenti deriva dall'art.  29,  comma
1-bis della legge regionale n. 1/2016  e  non  riguarda  i  requisiti
sostanziali per l'accesso a benefici previsti dalla  medesima  legge,
bensi' le modalita' di prova di questi requisiti e si  sostanzia  nel
fatto che i cittadini comunitari possono avvalersi, a  questo  scopo,
di una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del decreto del Presidente
della Repubblica n. 445/2000, mentre  cio'  non  e'  consentito  agli
extracomunitari» (pagina 7 dell'ordinanza). 
    Sulla  base  di  questa  premessa,   il   Tribunale   prende   in
considerazione il trattamento da riservare alla legge  regionale  che
regola la materia, affermando (p. 12 ordinanza) che dal suo  asserito
carattere discriminatorio «consegue che sia l'art.  29,  comma  1-bis
della legge regionale  n.  1/16,  sia  l'art.  12,  comma  3-bis  del
regolamento  attuativo  n.  144/164,   in   quanto   integranti   una
discriminazione diretta sulla base della nazionalita', devono  essere
disapplicati  dal  giudice  interno,  in  forza  del  primo  pilastro
portante di integrazione europea ed al  fine  di  garantire,  con  la
propria decisione, il principio di primazia del diritto  dell'Unione»
e che, in  particolare,  «cio'  esclude,  quindi,  la  necessita'  di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale». 
    Si osserva da subito che la Regione Friuli-Venezia Giulia e'  ben
consapevole del potere del giudice di disapplicare la legge regionale
ove la ritenga in contrasto con il diritto dell'Unione europea, e che
essa dunque non contesta le affermazioni sopra riportate, sino a  che
esse si riferiscono al potere del giudice di  decidere  la  specifica
vicenda sottoposta al suo  giudizio  (e  salve  le  impugnazioni  che
competono ad ogni parte). 
    Sennonche', con l'ordinanza qui impugnata il Tribunale  di  Udine
non si e' limitato a pronunciare  sulla  vicenda  sottoposta  al  suo
giudizio, ma ha preteso di ordinare  alla  Regione  di  esercitare  i
propri poteri normativi secondo contenuti decisi da esso giudice,  ed
in particolare  -  nel  caso  specifico  -  di  esercitarli  in  modo
contrario a quando precisamente disposto dalla legge regionale. 
    Infatti, sulla base della asserita difformita' della legge e  del
pedissequo regolamento regionale dal diritto  dell'Unione  europea  e
del loro carattere discriminatorio, il Tribunale di Udine,  in  larga
misura   riprendendo   le   domande   formulate   dagli   attori    e
dall'associazione intervenuta, ha disposto come segue: 
      1)  accerta  e  dichiara  il  carattere  discriminatorio  della
condotta  tenuta  dalla  Regione  Friuli-Venezia   Giulia   nell'aver
adottato il regolamento del 13 luglio 2016 n. 0144/Pres. «Regolamento
di esecuzione per la disciplina degli incentivi di edilizia agevolata
a favore dei privati cittadini, a sostegno  dell'acquisizione  o  del
recupero di alloggi da destinare a prima casa di  abitazione  di  cui
all'art. 18 della legge regionale 19 febbraio  2016,  n.  1  (Riforma
organica delle politiche abitative  e  riordino  delle  Ater)»  nella
parte in cui, ai fini dell'accesso alla prestazione di  cui  all'art.
18, legge regionale n. 1/2016, detto regolamento prevede, all'art. 9,
comma 2, lettera C), il requisito  della  assenza  di  proprieta'  di
immobili in Italia e all'estero in capo ad ogni componente del nucleo
familiare e, all'art. 12, comma 3-bis, che i soli cittadini extra  UE
debbano fornire «documentazione attestante che tutti i componenti del
nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel  paese  di
origine e nel paese di provenienza», con  conseguente  esclusione  di
tutti i richiedenti di cittadinanza extra UE che non forniscano  tale
documentazione; 
      2) ordina alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  di  modificare
immediatamente detto  regolamento  nella  parte  che  prevede  per  i
cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo  requisiti  o
modalita' diverse rispetto  a  quelli  -  previsti  per  i  cittadini
comunitari per  attestare  l'impossidenza  di  alloggi  in  Italia  e
all'estero e garantendo invece che i cittadini  comunitari  e  quelli
extracomunitari soggiornanti di  lungo  periodo  possano  documentare
allo stesso modo l'impossidenza di cui all'art. 9, comma  2,  lettera
C); 
      3)  ordina  che  della  modifica  del  regolamento   sia   data
comunicazione alla popolazione, inserendo  permanentemente  nell'home
page del sito istituzionale della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  un
avviso in caratteri rossi che chiarisca che ai fini dell'accesso alla
prestazione di cui all'art. 18, legge regionale n.  1/2016  non  sono
piu' previsti per i cittadini extracomunitari soggiornanti  di  lungo
periodo requisiti o modalita' diversi rispetto a quelli previsti  per
i cittadini comunitari per attestare  l'impossidenza  di  alloggi  in
Italia e all'estero; 
      4) ordina a Banca Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia S.p.a.
di valutare la domanda presentata dai ricorrenti in  data  26  giugno
2019,  cosi'  come  le  domande   presentate   da   altri   cittadini
extracomunitari  soggiornanti  di   lungo   periodo,   come   se   la
documentazione attestante  l'impossidenza  di  altri  immobili  fosse
stata regolarmente prodotta in base agli stessi criteri valevoli  per
i cittadini comunitari; 
      5) rigetta la domanda dei ricorrenti di risarcimento del  danno
patrimoniale; 
      6) condanna  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  al  pagamento
dell'importo di euro 3.500,00 per ciascuno dei ricorrenti,  a  titolo
di risarcimento del danno non patrimoniale,  oltre  interessi  legali
dal giorno successivo al deposito del presente provvedimento fino  al
saldo; 
      7) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia  al  pagamento  in
favore dei ricorrenti dell'importo di euro 100,00 ciascuno  per  ogni
giorno di ritardo nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti  2)  e
3),  con   decorrenza   dal   trentesimo   giorno   successivo   alla
comunicazione della presente ordinanza; 
      8) condanna la Regione Friuli-Venezia Giulia  al  pagamento  in
favore di ASGI - Associazione degli Studi Giuridici sull'Immigrazione
dell'importo  di   euro   100,00   per   ogni   giorno   di   ritardo
nell'esecuzione degli ordini di cui ai punti 2) e 3), con  decorrenza
dal trentesimo giorno successivo alla  comunicazione  della  presente
ordinanza; 
      9) ordina la pubblicazione  della  presente  ordinanza,  previa
anonimizzazione delle  generalita'  dei  ricorrenti,  a  spese  della
Regione Friuli-Venezia Giulia sul Corriere della Sera  per  una  sola
volta; 
      10) condanna la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  all'integrale
rifusione delle spese del presente giudizio sostenute dai ricorrenti,
spese che liquida in euro 3.500,00 per compensi,  oltre  al  15%  dei
compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come  per
legge, con distrazione in favore dei procuratori di parte ricorrente,
che si sono dichiarati anticipatari; 
      11) condanna la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  all'integrale
rifusione delle spese  del  presente  giudizio  sostenute  da  ASGI -
Associazione  degli  Studi  Giuridici  sull'Immigrazione,  spese  che
liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15%  dei  compensi  a
titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per  legge  con
distrazione in favore dei procuratori di parte  intervenuta,  che  si
sono dichiarati anticipatari. 
    Laddove e' chiaro che i punti 2) e 3), e le  astreintes  ad  essi
accessorie, non decidono il caso oggetto del giudizio, ma  dispongono
dei poteri normativi regionali, e cio' fanno in contrasto con  quanto
stabilito dalla specifica legge regionale. 
    Contro le considerazioni che precedono non varrebbe obiettare che
nel giudizio agiva anche ASGI, il cui interesse  e  obiettivo  e'  la
prevenzione  delle  discriminazioni   collettive.   Occorre   infatti
distinguere   tra    l'interesse    tutelato    e    gli    strumenti
costituzionalmente disponibili per la sua tutela: ed ove per giungere
a tale tutela erga omnes si debba disporre in senso opposto a  quanto
stabilito da una legge regionale, e' necessario che prima di tutto la
legge  supposta   illegittima   sia   dichiarata   tale   dall'organo
costituzionalmente competente, cioe' da codesta Corte costituzionale. 
    L'ordinanza e' stata medio tempore gravata dalla Regione autonoma
con appello proposto avanti alla Corte dell'appello di  Trieste,  ove
l'impugnazione e' pendente, iscritta al numero 36/2023 R.G. 
    Trattandosi di pronuncia  immediatamente  esecutiva,  la  Regione
autonoma, al solo scopo di evitare il pagamento delle  astreintes  ex
art.  614-bis  del  codice  di  procedura  civile  e   dunque   senza
acquiescenza,  ha  altresi'   dato   esecuzione   al   provvedimento,
abrogando, con l'art. 1, comma 1, del decreto  del  Presidente  della
Regione del 1° marzo 2023,  n.  044/Pres  pubblicato  nel  Bollettino
Ufficiale della Regione 15 marzo 2023, n. 11, l'art. 12, comma 3-bis,
del regolamento emanato con decreto del Presidente della Regione  del
13 luglio 2016, n. 144/Pres. 
    La presente controversia, dunque,  non  riguarda  il  merito  del
giudizio  emesso  dal  Tribunale  di  Udine,  sezione   lavoro,   con
l'ordinanza 31 gennaio - 1° febbraio, a definizione della causa  R.G.
358/2022,  con  l'ordinanza  qui  impugnata.  Non  riguarda  ne'   la
conformita' della disciplina regionale al diritto dell'Unione europea
ne' il suo asserito carattere discriminatorio, in relazione ai  quali
la Regione  ha  gia'  provveduto  a  contestare  le  valutazioni  del
Tribunale presso la competente Corte d'appello. 
    Essa riguarda invece i poteri ordinatori esercitati in  relazione
alle  potesta'  normative  regionali  in  contraddizione  con  quanto
disposto dalla legge regionale e comunque in  violazione  dei  limiti
posti alla giurisdizione. 
    La Regione autonoma ritiene che cosi' facendo  lo  Stato,  e  per
esso il Tribunale di Udine, abbia invaso la sfera di attribuzione  ad
essa riservata dalla Costituzione e dello statuto speciale  approvato
con legge costituzionale n. 1 del 1963, ledendo lo status della legge
regionale (primo motivo), l'autonomia della  Regione  nell'uso  delle
proprie fonti normative (secondo motivo), esorbitando dai limiti  che
la  Costituzione  pone  alla   giurisdizione   rispetto   ai   poteri
regolamentari e di amministrazione  (terzo  motivo),  e  cio'  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Violazione dello status della legge regionale. 
    La Regione autonoma contesta, anzitutto, la violazione del regime
giuridico della legge regionale n. 1 del 2016 in quanto avente natura
di legge, vale a dire il disconoscimento, ad opera del  Tribunale  di
Udine, del valore e della  forza  tipici  della  legge  regionale,  e
dunque lamenta la lesione della autonomia dell'ente quale ente dotato
di potesta' legislativa. 
    Che la Regione  Friuli-Venezia  Giulia  disponga  della  funzione
legislativa risulta dallo statuto speciale, e  in  particolare  dagli
articoli 4, 5 e 6, nonche' dall'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione,   in   combinazione   con   l'art.   10   della   legge
costituzionale n. 3 del 2001. 
    Che tale autonomia legislativa della  regione  si  traduca  nella
capacita' di adottare atti dotati di forza di  legge  -  intesa  come
capacita' di innovare l'ordinamento giuridico a livello primario e di
resistere alla abrogazione da parte di fonti normative secondarie - e
di valore di legge -  inteso  come  trattamento  giuridico  dell'atto
legislativo  -  e'  un  dato  di  sistema  troppo  ovvio  per  essere
tematizzato. Ad ogni buon conto esso risulta, tra l'altro, (i)  dalla
denominazione  «legge   regionale»   riservata   dalla   Costituzione
(articoli  117,  127,  primo  comma,  e  134,  primo  alinea,   della
Costituzione) e dallo statuto speciale (si veda  l'intero  capo  VII,
dedicato  alla  «formazione  delle  leggi   regionali»)   agli   atti
legislativi approvati dal Consiglio regionale;  (ii)  dalla  generale
preminenza gerarchica della legge rispetto ai regolamenti  dichiarata
dall'art.  4  delle  disposizioni  preliminari  al   codice   civile,
preminenza che e' implicita nelle diverse riserve di legge sancite in
Costituzione e in particolare nella riserva di legge di cui  all'art.
97, secondo comma, della Costituzione, con riferimento alla attivita'
amministrava, e che nel rapporto tra legge  regionale  e  regolamento
regionale  e'  presupposta  nell'art.   117,   sesto   comma,   della
Costituzione; (iii) quanto al valore, nella previsione costituzionale
che assoggetta la giurisdizione alla legge (art.  101,  primo  comma,
della Costituzione) e riserva alla Corte costituzionale i giudizi  di
legittimita' costituzionale della legge  regionale  (art.  134  della
Costituzione) e il potere di disporne  l'annullamento  con  efficacia
erga omnes (art. 136 della Costituzione). 
    Tali  principi  hanno   gia'   indotto   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 285 del 1990, a ritenere, in  sede
di conflitto  di  attribuzione  tra  enti,  che  una  sentenza  della
Cassazione penale, in cui il giudice  aveva  disapplicato  una  legge
regionale in ragione della sua  asserita  illegittimita',  fosse  «in
violazione, oltre che degli articoli 101 e 117, anche  dell'art.  134
della  Costituzione,  che  attribuisce  esclusivamente   alla   Corte
costituzionale il  sindacato  di  legittimita'  costituzionale  sulle
leggi e sugli  atti  aventi  forza  di  legge  dello  Stato  e  delle
regioni», e configurasse quindi invasione della sfera  di  competenza
costituzionalmente riservata alla Regione. Piu' recentemente, con  la
sentenza n. 26  del  2022,  la  Corte  ha  accolto  un  conflitto  di
attribuzione proposto dalla  Regione  Sardegna  contro  lo  Stato  in
relazione ad atti di disapplicazione della legge regionale  ad  opera
di amministrazioni statali, in pendenza del giudizio di  impugnazione
della stessa legge regionale promosso dal Governo ai sensi  dell'art.
127 della Costituzione Nella  pronuncia  citata  codesta  ecc.  Corte
afferma  che  «chiarito  che  si  e'  in  presenza  di   una   voluta
disapplicazione, da parte di autorita' amministrative statali, di una
legge  regionale  su  cui  il  Governo  ha  promosso   questione   di
legittimita' costituzionale, ne  consegue  che  gli  atti  contestati
violano  le  norme  costituzionali  richiamate  dalla  ricorrente,  e
precisamente gli articoli 127, 134 e 136 della Costituzione». 
    Naturalmente la Regione non ignora che nei rapporti  tra  diritto
interno e diretto dell'Unione il giudice nazionale ha la facolta'  di
disapplicare il diritto interno contrastante con il  diritto  europeo
auto-applicativo, cosi' come non ignora che al principio  di  parita'
di trattamento dettato dall'art. 11 della  direttiva  n.  2003/109/CE
puo'  essere  riconosciuto  carattere  auto-applicativo   (cio'   non
significa, peraltro, che la Regione riconosca che  tale  disposizione
della  direttiva  e  le  altre  norme  dell'Unione  sui  divieti   di
discriminazione siano state invocate  pertinentemente  dall'ordinanza
oggetto del conflitto, ne' che esse possano legittimamente fondare la
disapplicazione  della   legge   regionale;   ma   tale   discussione
investirebbe possibili errores in iudicando, che  rimangono  estranei
al perimetro del presente conflitto di attribuzione tra enti). 
    Cio' che la Regione contesta non e' la disapplicazione incidenter
tantum della norma legislativa e della stessa norma, ma la pretesa  -
una volta disapplicata nel  caso  concreto  la  norma  legislativa  e
quella regolamentare - di imporre alla Regione  l'adozione  di  norme
regolamentari in diretto e voluto contrasto con  la  disposizione  di
legge disapplicata. 
    A mezzo della  disapplicazione  e  dell'ordine  di  modifica  del
regolamento, infatti, il Tribunale di Udine  perviene  a  privare  di
effetto,  con  valenza  erga  omnes,  una  disposizione  legislativa,
sottraendola ad una corrispondente valutazione  di  altri  giudicanti
(sia di pari grado in diversi casi, sia di grado superiore in sede di
impugnazione), valutazione che potrebbe condurre tali  giudicanti  ad
esiti diversi: risultandone dunque  contraddetto  lo  stesso  diritto
della Regione di difendere la propria normativa. 
    In questi termini, il Tribunale di  Udine  produce  in  relazione
all'art.  29  della  legge  regionale  n.  1  del  2016  un   effetto
corrispondente non a quello della disapplicazione incidenter  tantum,
ma  a  quello  erga  omnes  proprio  -  oltre  che  dell'abrogazione,
riservata ai legislatori  -  della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale pronunciata da codesta ecc.ma Corte costituzionale. 
    D'altronde, se - come afferma l'ordinanza - il diritto europeo e'
auto-applicativo, ogni giudicante potra'  direttamente  applicare  la
regola dell'Unione, sostituendola alle norme regionali -  legislative
e regolamentari - che ritenga in contrasto con quello,  senza  che  a
questo  scopo  sia  necessaria  alcuna   ulteriore   normazione   con
l'effetto. Se invece e' richiesto adeguamento, anche ai soli fini  di
una certezza del diritto, allora le norme in asserito  contrasto  con
il diritto dell'Unione vanno rimosse con effetto erga  omnes  e  tale
operazione, in presenza di una disposizione legislativa, e'  preclusa
al giudice comune e, in  presenza  di  una  norma  regolamentare,  e'
comunque preclusa all'autorita'  giurisdizionale  ordinaria,  secondo
quando prevede l'art. 113, ultimo comma, della Costituzione. 
    A  riprova  e   ulteriore   conferma   della   fondatezza   della
prospettazione qui esposta  -  giova  constatare  che  nel  parallelo
giudizio n. 745/2022 il medesimo Tribunale di Udine, sezione  lavoro,
in diversa composizione, pur muovendo  da  un  identico  giudizio  di
incompatibilita' della disciplina legislativa e regolamentare con  la
direttiva europea, abbia bensi' accolto le  domande  individuali,  ma
abbia ritenuto necessario - per decidere sulle domande relative  alle
modifiche del regolamento - rimettere a codesta Corte, con  ordinanza
8  febbraio  2023,  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1 del 2016 (oltre
che dell'art. 29, comma 1, lettera d, in relazione al requisito della
impossidenza, che nel presente contenzioso non rileva), in base  alla
constatazione che per emettere un ordine di modifica del  regolamento
nell'ambito di un piano di rimozione delle discriminazioni, ai  sensi
dell'art. 28, comma 5, secondo periodo, del  decreto  legislativo  n.
151  del   2011,   risulta   all'evidenza   necessaria   una   previa
dichiarazione di incostituzionalita' della legge regionale (pagine 20
e ss. dell'ordinanza 9 febbraio 2023). 
    Il  giudice,  infatti,  osserva  che  «la  questione  e'   quindi
rilevante  nel  senso  che,  qualora  la  normativa  regionale  venga
ritenuta conforme a Costituzione, la stessa giustifica l'adozione del
regolamento  censurato;  nel  caso  invece  la  legge  regionale  non
rispetti i parametri costituzionali di cui  si  dira'  infra,  potra'
essere emesso un ordine di modifica del Regolamento che  eviti  anche
pro futuro un contenzioso ormai nutrito in questo Distretto»  (pagine
21- 22). 
    E' chiaro invece che il giudice dell'ordinanza qui  impugnata  ha
creduto  di  poter  utilizzare  una  scorciatoia,  facendosi  giudice
assoluto e formulando esso  stesso  quel  giudizio  definitivo  sulla
legittimita'  costituzionale  (oltre  che  comunitaria)  della  legge
regionale,  che  palesemente  non  gli  e'  consentito   e   che   la
Costituzione riserva alla Corte costituzionale. 
    In  conclusione,  appare  ad  avviso  della  ricorrente   Regione
evidente che l'ordine di  modificare  il  regolamento,  e  le  misure
coercitive dirette a garantire l'esecuzione di tale ordine,  comporta
il venir meno erga omnes degli effetti della legge regionale in  modo
incompatibile con i limiti legati alla  disapplicazione  incidentale,
esorbitano dalla funzione giurisdizionale come configurata  dall'art.
101  della  Costituzione,  e  invadono  la  sfera   di   attribuzioni
regionali, con violazione (i) della potesta'  legislativa  regionale,
riservata alla Regione dagli articoli  4,  5  e  6  dello  statuto  e
dall'art. 117, primo, terzo e quarto comma, della Costituzione, anche
in combinazione con l'art. 10 della legge  costituzionale  n.  3  del
2001;  (ii)  dell'articoli  134  e  136   della   Costituzione,   che
rispettivamente riservano a codesta Corte costituzionale il sindacato
sugli atti con valore di legge e il  potere  di  annullare  le  leggi
regionali con effetti erga omnes; (iii)  con  la  forza  della  legge
rispetto al regolamento, imponendosi alla Regione  di  esercitare  la
funzione regolamentare  in  violazione  di  una  propria  legge,  con
lesione del principio di legalita' (art.  97,  secondo  comma,  della
Costituzione) e delle  norme  costituzionali  da  cui  si  ricava  la
supremazia gerarchia del regolamento rispetto  alla  legge  regionale
(art. 117, sesto comma, della Costituzione). 
    Le censure rivolte qui e nei seguenti  punti  di  questo  ricorso
avverso i capi dell'ordinanza che ordinano alla Regione  di  assumere
misure regolamentari in luogo ed in contrasto con la legge  regionale
si riverberano,  ugualmente  viziandole,  su  quelle  che  dispongono
astreintes per il caso di inadempimento all'illegittimo ordine. 
II. Ulteriore violazione dell'autonomia costituzionale della  Regione
nell'uso delle fonti normative.  
    Il Tribunale di Udine ordina alla Regione  Friuli-Venezia  Giulia
di modificare il proprio «regolamento nella parte che prevede  per  i
cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo  requisiti  o
modalita'  diverse  rispetto  a  quelli  previsti  per  i   cittadini
comunitari per  attestare  l'impossidenza  di  alloggi  in  Italia  e
all'estero e garantendo invece che i cittadini  comunitari  e  quelli
extracomunitari soggiornanti di  lungo  periodo  possano  documentare
allo stesso modo l'impossidenza di cui all'art. 9,  comma  2  lettera
C)». 
    Ora, la  Regione  ha  disciplinato  tale  materia  con  legge,  e
precisamente con l'art. 29 della legge regionale n. 1  del  2016,  di
cui le norme regolamentari sono meramente  riproduttive,  circostanza
di cui il giudice era - ovviamente - perfettamente consapevole,  come
risulta dal fatto che nel decidere il caso concreto ha  espressamente
disapplicato congiuntamente legge e regolamento con le  parole  sopra
riportate. 
    Ora - se pure fosse  concesso  ad  ogni  giudice  di  imporre  al
titolare costituzionale dei poteri normativi di tradurre  il  proprio
convincimento in disposizioni operanti erga omnes (e non lo e',  come
esposto sopra per quanto riguarda il rapporto con la legge regionale,
e come ulteriormente  si  dira'  nel  punto  seguente)  -  non  tocca
certamente ad esso decidere con quale atto normativo intervenire, per
di piu' sovvertendo l'ordine naturale delle fonti. 
    Verosimilmente, la ragione per la quale il  giudice  ha  commesso
questa doppia invasione - ovvero l'indicazione precisa della fonte  e
l'indicazione della fonte inidonea anziche' della fonte idonea - puo'
essere individuata  nella  consapevolezza  che  diversamente  facendo
(cioe' indicando quale fonte da modificare la disposizione di  legge,
anziche' la norma regolamentare che la  riproduce)  avrebbe  commesso
una  invasione  ancora  maggiore,  pretendendo  di  farsi  non   solo
«normatore», ma addirittura legislatore, in contrasto con  una  legge
regionale ancora vigente, benche' da lui disapplicata nel pronunciare
sul caso concreto. 
    Come gia' osservato, nel presente ricorso la  ricorrente  Regione
non contesta questa disapplicazione concreta e legata alla supremazia
del  diritto  dell'Unione,  che  ritiene  errata  nel  merito   (come
sostenuto nel ricorso in  appello),  ma  rientrante  nei  poteri  del
giudice. Contesta invece che  il  giudice  abbia  ritenuto  che  tale
disapplicazione concreta lo abilitasse a considerare  la  legge  come
non piu' esistente e priva di efficacia: laddove, come codesta  Corte
costituzionale ha ribadito ancora nella sentenza n. 26 del 2022, tale
efficacia,  e  la  corrispondente  applicazione,  permangono   «anche
laddove esse vengano contestate e fintantoche' questa  Corte  non  ne
abbia dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale»,  precisando  che
«solo quest'ultima declaratoria comporta la cessazione dell'efficacia
(art. 136 della Costituzione)». Contesta  dunque  la  disapplicazione
generale della legge regionale nel diritto  interno,  ai  fini  della
produzione di una norma generale ed  astratta  incompatibile  con  la
disposizione  disapplicata,  operazione  equivalente,  come   esposto
sopra, alla abrogazione della disposizione legislativa. 
    Evidente risulta dunque  il  carattere  pretestuoso  ed  invasivo
dell'ordine di modificare «il regolamento», e comunque la violazione,
ancora,  degli  articoli  134   e   136   della   Costituzione,   che
rispettivamente riservano a codesta Corte costituzionale il sindacato
sugli atti con valore di legge e il  potere  di  annullare  le  leggi
regionali con effetti erga  omnes;  della  superiorita'  della  legge
rispetto al regolamento, imponendosi alla Regione  di  esercitare  la
funzione regolamentare  in  violazione  di  una  propria  legge,  con
lesione del principio di legalita' (art.  97,  secondo  comma,  della
Costituzione) e delle  norme  costituzionali  da  cui  si  ricava  la
supremazia gerarchia del regolamento rispetto  alla  legge  regionale
(art. 117, sesto comma, della Costituzione). 
III. Violazione dell'autonomia regolamentare ed amministrativa  della
Regione. Eccesso di potere giurisdizionale.  Violazione  delle  norme
costituzionali sul potere sostitutivo. 
    Le violazioni sopra allegate sono,  ad  avviso  della  ricorrente
Regione  Friuli-Venezia   Giulia,   ciascuna   tale   da   richiedere
l'annullamento in parte qua dell'impugnata ordinanza. 
    Essa ritiene, tuttavia, che persino se non vi fosse la  norma  di
legge regionale, e persino se non fosse  arbitraria  la  pretesa  del
giudice  di  scegliere  esso   stesso   quale   strumento   normativo
utilizzare,  allo  scopo  di   mascherare   la   pretesa   di   porre
definitivamente nel nulla la legge regionale, anche in questa ipotesi
le misure normative che  il  giudice  vorrebbe  imporre  con  la  sua
ordinanza vadano oltre quanto affidato  al  giudice  comune:  ritiene
cioe' -  e  sottopone  alla  valutazione  propria  di  codesta  Corte
costituzionale - che lo Stato abbia invaso la sfera  di  attribuzione
della  Regione,  quale  ente  costituzionale  dotato   di   autonomia
normativa  ed  amministrativa,  attraverso  un  provvedimento   della
autorita' giudiziaria  che  ordina  la  modifica  di  un  regolamento
regionale in violazione dei limiti generali che la Costituzione  pone
alla stessa giurisdizione. Tale censura ha dunque carattere  generale
e preliminare, anche se nella presente esposizione  si  e'  preferito
sottolineare per prime le censure che concernono  la  violazione  del
regime della legge o l'autonomia della Regione nell'uso delle fonti. 
    Ad avviso della ricorrente, comunque, il  provvedimento  esorbita
dai limiti della giurisdizione anche sotto  i  profili  indicati  nel
presente punto. 
Le competenze regionali incise. 
    Benche' la competenza regionale nella materia dei benefici per la
prima  abitazione  non  sia  contestata,  ma  anzi  presupposta   dal
provvedimento censurato con il presente conflitto, sembra  opportuno,
per meglio valutare se quanto disposto  dall'ordinanza  potrebbe  (in
assenza delle violazioni lamentate nei punti  I  e  II  del  presente
ricorso) astrattamente rientrare  nei  poteri  del  giudice,  esporre
quale ne siano il fondamento costituzionale e la dimensione. 
    Preliminarmente,  la  ricorrente  osserva  che  essa,  in  quanto
regione, e' titolare di funzioni normative, anche regolamentari, e di
funzioni amministrative (art. 114, secondo comma, della Costituzione)
e che in quanto regione ad autonomia  speciale  dispone  di  forme  e
condizioni particolari di  autonomia,  secondo  lo  statuto  speciale
adottato con legge  costituzionale  (art.  116,  primo  comma,  della
Costituzione). 
    Per quanto riguarda le sovvenzioni  per  l'acquisto  della  prima
casa, la Regione  Friuli-Venezia  Giulia  dispone  di  una  specifica
competenza concorrente in materia di  «edilizia  popolare»  (art.  5,
numero 18), locuzione che comprende  l'edilizia  sovvenzionata,  come
gia' ritenuto da codesta Corte «non solo sulla base del dato  storico
relativo  all'evoluzione  legislativa  della  materia   dell'edilizia
sovvenzionata - quale si e' avuta dalla legge n. 865  del  1971,  che
l'ha configurata come servizio pubblico, alla legge n. 457 del  1978,
che ne ha ampliato i confini sino a ricomprendervi la  c.d.  edilizia
assistita  -  ma  anche  sulla  base  del  principio   giustificativo
dell'intera materia, che consiste nella predisposizione di interventi
pubblici di varia natura comunque diretti al fine  di  provvedere  al
servizio sociale della provvista di alloggi per  i  lavoratori  e  le
famiglie meno abbienti» (cosi' la sentenza n. 217 del 1988). Essa  e'
titolare,  inoltre,  della  competenza   primaria   in   materia   di
urbanistica (art. 4, numero 12, dello statuto) e di  lavori  pubblici
(art. 4, numero 9,  dello  statuto),  materie  alle  quali  e'  stata
tradizionalmente - a partire  dalla  sentenza  n.  221  del  1975  di
codesta  Corte  -  e'  stata  ricondotta  la   competenza   regionale
sull'edilizia residenziale pubblica, sempre intesa in senso largo. 
    E' nell'esercizio di queste competenze statutarie che la  Regione
ha approvato la legge regionale n. 1 del 2016, che si pone,  appunto,
primariamente come «attuazione dell'art. 4, primo  comma,  n.  12,  e
dell'art. 5, primo comma, n. 18, dello Statuto speciale, adottato con
la legge costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1»,  secondo  quanto
stabilisce l'art. 1, comma 1. 
    In forza delle proprie competenze legislative  sulla  materia  la
Regione dispone,  in  applicazione  del  principio  del  parallelismo
sancito  dall'art.  8  dello  statuto,  anche  delle   corrispondenti
funzioni amministrative,  oltre  che  delle  funzioni  di  normazione
secondaria, quest'ultime presupposte dall'art. 42, comma  1,  lettera
b) dello statuto, a mente  del  quale  il  Presidente  della  Regione
«emana, con proprio decreto, i regolamenti deliberati dalla Giunta». 
    Tali funzioni regolamentari, prima della revisione dello  statuto
regionale effettuata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001,  erano
direttamente intestate  alla  Giunta  regionale  dall'art.  46  dello
statuto, che assegnava a tale  organo  il  compito  di  deliberare  i
regolamenti per la esecuzione delle  leggi  approvate  dal  Consiglio
regionale: oggi, e' l'art. 16,  comma  1,  lettera  a),  della  legge
rinforzata adottata ai sensi dell'art. 12 dello statuto,  come  legge
regionale 18 giugno 2007,  n.  17,  «Determinazione  della  forma  di
governo della Regione Friuli-Venezia Giulia e del sistema  elettorale
regionale, ai sensi dell'art.  12  dello  Statuto  di  autonomia»,  a
riservare alla Giunta regionale la funzione regolamentare («La Giunta
regionale svolge le funzioni previste dallo Statuto e dalla  legge  e
coadiuva  il  Presidente  della  Regione   nella   determinazione   e
nell'attuazione dell'indirizzo politico. In particolare: a)  delibera
i disegni di legge e i regolamenti regionali»). Tale attribuzione  di
competenza, in quanto contenuta nella fonte specializzata cui  rinvia
l'art. 12 dello statuto, e' opponibile allo Stato,  come  sancito  da
codesta Corte costituzionale nella sentenza n.  23  del  2014,  punto
11.2, sul rilievo che tale legge regionale e' «integrante lo  statuto
nella  definizione  degli  aspetti  fondamentali  dell'organizzazione
interna della Regione». 
    In ogni evenienza, le  sovvenzioni  per  l'acquisto  della  prima
casa, ove non fossero comprese nelle materie  statutarie  richiamate,
sarebbero comunque riconducibili a competenze della Regione normative
ed amministrative ai  sensi  degli  articoli  117,  commi  terzo  (in
relazione al governo  del  territorio),  quarto  (in  relazione  alle
politiche sociali) e sesto (per la potesta'  regolamentare),  e  118,
primo comma, della Costituzione, in combinazione con l'art. 10  della
legge costituzionale n. 3 del 2001. 
    L'esorbitanza dell'ordinanza del Tribunale di  Udine  dai  limiti
della giurisdizione. Illustrato dunque che la Regione,  nell'adottare
il regolamento che il Tribunale di Udine  ordina  di  riscrivere,  ha
esercitato  competenze  amministrative  normative  ed  amministrative
costituzionalmente proprie, essa ritiene  che  fuoriesca  dai  poteri
dell'autorita' giudiziaria ordinare alla stessa Regione di esercitare
in un certo modo la potesta' regolamentare, conformando il  contenuto
del precetto normativo da disporre. 
    Nessuna norma, a quel che risulta, consente al giudice  ordinario
di adottare una simile misura, che dunque  eccede  i  limiti  esterni
della giurisdizione nei confronti di una autorita'  amministrativa  e
lede, oltre  che  lo  statuto  costituzionale  della  amministrazione
(ricavabile  dagli  articoli  101  e  113  della  Costituzione),   il
principio di separazione dei poteri, rappresentando un  esercizio  di
attivita' formalmente amministrativa e sostanzialmente  normativa  ad
opera di un organo giurisdizionale. 
    La Regione autonoma e' consapevole, naturalmente, che l'ordinanza
impugnata definisce un giudizio promosso con l'azione  civile  contro
le discriminazioni, giudizio in cui  la  legge  consente  al  giudice
anche di pronunciare  ordini  nei  confronti  della  stessa  pubblica
amministrazione: in tal senso  dispone  l'art.  28,  comma  5,  primo
periodo, del 2011, che nel testo vigente ratione  temporis  stabiliva
che «con l'ordinanza [oggi, in  seguito  all'entrata  in  vigore  del
decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, "con la  sentenza"]  che
definisce il giudizio il giudice  puo'  condannare  il  convenuto  al
risarcimento  del  danno  anche  non  patrimoniale  e   ordinare   la
cessazione   del   comportamento,   della   condotta   o    dell'atto
discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della
pubblica  amministrazione,  ogni   altro   provvedimento   idoneo   a
rimuoverne gli effetti». 
    Lo stesso art. 28, comma  5,  al  secondo  e  al  terzo  periodo,
riconosce poi al giudice il potere di ordinare, al fine  di  impedire
la ripetizione della  discriminazione,  l'adozione  di  un  piano  di
rimozione delle discriminazioni accertate entro  il  termine  fissato
nel  provvedimento  (secondo  periodo),  piano  che   nel   caso   di
discriminazioni collettive  e'  adottato  sentito  l'ente  collettivo
ricorrente (terzo periodo). 
    Tali  disposizioni,   tuttavia,   vanno   collocate   ed   intese
all'interno di un quadro costituzionale che  distingue  i  poteri  in
base alle funzioni - normative, esecutive, giurisdizionali - ad  essi
affidate, e che limita, nell'art. 113 della  Costituzione,  i  poteri
del giudice ordinario nei confronti della  pubblica  amministrazione:
limiti  che,  che  sul  piano  della  legislazione  ordinaria,   sono
attestati da numerosi  disposizioni,  sia  risalenti  a  prima  della
Costituzione (come l'art. 4 dell'allegato  E  della  legge  20  marzo
1865, n. 2248 sul contenzioso amministrativo), sia  successive,  come
l'art.  34,  comma  2,  primo  periodo,  del  codice   del   processo
amministrativo - che pure dispone del pieno potere di annullamento di
eventuali regolamenti illegittimi - il  divieto  per  il  giudice  di
pronunciare in ordine a poteri amministrativi -  e  ovviamente  anche
regolamentari - non ancora esercitati. 
    Particolarmente significative, ai fini  della  ricostruzione  dei
limiti    costituzionali    alla    giurisdizione    rispetto    alla
amministrazione,  sono  le  affermazioni  di  codesta  ecc.ma   Corte
costituzionale che  si  leggono  nella  sentenza  n.  150  del  1981,
pronunciata all'esito di un conflitto di attribuzione tra il  Governo
e il potere giudiziario. 
    Tale pronuncia, accogliendo il ricorso del Governo,  osserva  che
«provvedimenti come quello impugnato collidono ... con l'ultimo comma
dell'art. 113 della Costituzione». Pur riconoscendo che «tale  norma,
rinviando alla legge la determinazione degli  organi  giurisdizionali
abilitati ad  annullare  gli  atti  della  pubblica  amministrazione,
ammette implicitamente che il legislatore possa - nei limiti  in  cui
lo consentono i criteri di riparto fra la giurisdizione  ordinaria  e
la giurisdizione amministrativa, statuiti dal primo  comma  dell'art.
103 della Costituzione - attribuire siffatti poteri  di  annullamento
anche al giudice ordinario (si vedano gia' in tal senso  le  sentenze
n. 32 del 1970 e n. 161 del 1971)», precisa  che  «con  cio'  stesso,
l'art. 113 esclude che spetti alle autorita' giudiziarie ordinarie di
annullare gli atti amministrativi, in mancanza  d'una  previsione  di
legge; ed a piu'  forte  ragione  comporta  che  tali  autorita'  non
possano contrapporsi o  sovrapporsi  alle  autorita'  amministrative,
arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in
forme e con procedimenti prefissati: fino al punto  di  perseguire  -
come si riscontra nel caso  in  esame  -  l'eliminazione  dei  poteri
medesimi». 
    Con   specifico   riferimento   alla   tutela   della   autonomia
amministrativa della Regione va richiamata anche la sentenza  n.  175
del 1991, con cui codesta ecc.ma Corte  ha  accolto  un  ricorso  per
conflitto  promosso  dalla  Toscana  per   far   valere   la   difesa
dell'«ambito   di   attribuzioni   della   regione   come    pubblica
amministrazione» rispetto ad un provvedimento  giudiziale  che  aveva
dichiarato l'obbligo  della  Regione  di  procedere  al  conferimento
dell'incarico  di  medico  convenzionato,  secondo  una   graduatoria
formata  nel  procedimento  in  corso  ma  ritenuta  dalla   pubblica
amministrazione non utilizzabile.  Codesta  Corte  ha  ritenuto,  nel
caso, che il pretore  avesse  preteso  di  «orientare,  e  quindi  di
condizionare,  nell'an  e  nel   quomodo,   l'azione   amministrativa
dettandone la regola nel caso concreto», in tal modo esorbitando  dai
limiti della giurisdizione rispetto  alla  pubblica  amministrazione.
Nella sentenza, la Corte ha  evidenziato  che  «almeno  la'  dove  la
pubblica amministrazione  agisca  quale  autorita',  esercitando  una
potesta' discrezionale ad essa spettante, i detti limiti sono infatti
segnati,  per  qualsiasi  giudice,  dalla  necessita'  di  non  porre
ostacolo al libero spiegarsi  di  quella  potesta'  discrezionale,  e
pertanto   di   non   sostituirsi   alla   pubblica   amministrazione
condizionando positivamente l'azione  amministrativa  nel  suo  farsi
(che  di  quella   potesta'   costituisce   appunto   espressione   e
svolgimento)». 
    E' certo, dunque, che l'art. 28, comma 5, non puo' essere  inteso
ne'  nel  senso  di  attribuire  al  giudice  ordinario   poteri   di
annullamento di atti amministrativi, poteri cui la  disposizione  non
fa cenno,  ne',  tanto  meno,  poteri  di  amministrazione  attiva  o
addirittura poteri di preventiva sostituzione normativa. 
    E' significativo che la giurisprudenza delle Sezioni unite  della
Corte di cassazione abbia ricondotto i poteri  conferiti  al  giudice
nei   confronti   della   pubblica   amministrazione   dal    diritto
antidiscriminatorio  al  tradizionale  schema  della  disapplicazione
incidentale dell'atto amministrativo illegittimo. 
    In particolare nella sentenza  delle  Sezioni  unite  civili,  15
febbraio 2011, n. 3670, la Corte regolatrice ha  chiarito  che  anche
nell'abito dei giudizi antidiscriminatori il giudice deve limitarsi a
decidere la controversia - pure in  quella  evenienza  relativa  alla
spettanza delle prestazioni - «valutando  il  provvedimento  comunale
denunziato, eventualmente disattendendolo,  tamquam  non  esset,  ove
confermato lesivo del principio di non discriminazione od  integrante
gli estremi dell'illegittima reazione, cosi' dunque non  interferendo
nelle potesta' della P.A., se non nei consueti e  fisiologici  limiti
ordinamentali, della disapplicazione incidentale ai fini della tutela
dei diritti soggettivi controversi». 
    Piu' recentemente, la stessa Corte  di  cassazione,  sez.  I,  ha
ripreso testualmente tali passaggi dell'ordinanza delle Sezioni unite
n. 3670 del 2011 nell'ordinanza 15 febbraio 2021, n. 3842, in cui  ha
ribadito che «il giudice ordinario deve ... limitarsi "a decidere  la
controversia valutando il  provvedimento  amministrativo  denunziato,
disattendendolo  tamquam  non  esset  e   adottando   i   conseguenti
provvedimenti  idonei  a  rimuoverne  gli   effetti"»,   ove   l'atto
amministrativo sia illegittimo perche' lesivo del  principio  di  non
discriminazione,  confermando  dunque  che  il   giudice   non   puo'
interferire nelle potesta'  della  pubblica  amministrazione  se  non
attraverso la disapplicazione incidentale finalizzata alla tutela dei
diritti soggettivi. 
    L'ordinanza n. 3842 del  2021  osserva  che  nel  caso  la  Corte
d'appello aveva fatto un corretto uso  di  tale  principio,  a  nulla
rilevando la circostanza che la stessa avesse affermato «nella  parte
motiva (non ripetendolo, tuttavia, nel dispositivo)», che la delibera
amministrativa,  di  cui  aveva  ritenuta  l'illegittimita',  dovesse
essere rimossa. La Cassazione, nel confermare la sentenza di appello,
sottolinea che in quel caso non vi era stata esorbitanza  dai  limiti
della giurisdizione: «che la Corte d'Appello non  intendesse  operare
una vera e propria  rimozione  della  delib.  in  oggetto  dal  mondo
giuridico (ossia, il suo annullamento, che  e'  potere  spettante  al
G.A.) e intendesse, invece, limitarsi all'accertamento  dell'avvenuta
sterilizzazione degli  effetti  della  stessa  in  conseguenza  della
dichiarata discriminazione di cui e' causa, emerge inequivocabilmente
dal rilievo che  lo  stesso  giudice  di  secondo  grado,  dopo  aver
affermato che, in caso di accertamento del carattere  discriminatorio
del comportamento della P.A. puo' essere ordinato a quest'ultima ogni
provvedimento   idoneo   alla   rimozione   degli    effetti    della
discriminazione, ha, altresi', puntualizzato che "esula, inoltre, dai
poteri della Corte ordinare al  Comune  l'adozione  di  provvedimenti
amministrativi, che restano di competenza del Comune ed attuabili  su
richiesta dell'interessato"». 
    Non ignora la ricorrente che la stessa Corte di cassazione, nella
sentenza 30 marzo 2011, n. 7186, ha ricostruito  in  modo  diverso  i
poteri  dell'autorita'  giurisdizionale   nell'ambito   dei   giudizi
antidiscriminatori  promossi  ai  sensi  dell'art.  44  del   decreto
legislativo n. 286 del 1998, riconducendoli ai moduli di  tutela  dei
diritti   soggettivi   assoluti   a   fondamento   costituzionale   o
sovranazionale, qual e' il diritto a non essere discriminati. 
    Tale collegamento, del resto, e' anche quello che sta  alla  base
della sentenza n. 140 del 2001 di codesta ecc.ma  Corte,  in  cui  si
nega  che  esista  «un  principio  costituzionale  che   escluda   la
possibilita'  per  il  legislatore  ordinario,  in  determinati  casi
(rimessi alla scelta discrezionale dello stesso legislatore), in sede
di affidamento della tutela giurisdizionale  dei  diritti  soggettivi
nei  confronti  della  pubblica  amministrazione,  di  attribuire  al
giudice ordinario anche un potere di annullamento e speciali  effetti
talora sostitutivi dell'azione amministrativa, inadempiente  rispetto
a diritti che lo stesso legislatore considera  prioritari,  anche  se
cio'  puo'  comportare  la  necessita'  da  parte  del   giudice   di
valutazioni ed apprezzamenti  non  del  tutto  vincolati,  ma  sempre
riguardanti  situazioni  regolate  da   una   serie   di   previsioni
legislative, che prevedano espressamente l'esercizio di tali poteri». 
    Senonche' tale sentenza, appunto, ragiona di  diritti  prioritari
ed e' specificamente riferita ad una ipotesi  di  tutela  di  diritti
familiari assoluti degli  stranieri  rispetto  alle  decisioni  della
amministrazione sull'ingresso ed il soggiorno. 
    Ora,  la  Regione,  ferme  le  contestazioni  degli  errores   in
iudicando dedotti nell'atto di appello e  non  oggetto  del  presente
conflitto, non contesta qui che il giudice fosse privo del potere  di
attribuire il  bene  della  vita  al  soggetto  che  si  e'  ritenuto
discriminato, se la pretesa a tale bene passa attraverso la deduzione
di  un  diritto  fondamentale  qual  e'  la  pretesa  a  non   subire
discriminazione; cio' che contesta, invece, e' che  il  Tribunale  di
Udine potesse emanare l'ordine di emanare specifiche  norme  generali
ed astratte. 
    In   proposito   va   richiamata   la   costante   giurisprudenza
amministrativa in tema di difetto di posizione soggettiva nel caso di
azione contro  il  silenzio  rispetto  ai  regolamenti.  Infatti,  in
riferimento agli  atti  regolamentari  (e  agli  atti  amministrativi
generali),  «e'  esclusa  l'ammissibilita'  dello  speciale   rimedio
processuale avverso il silenzio - inadempimento della P.A., in quanto
strettamente  circoscritto  alla  sola  attivita'  amministrativa  di
natura  provvedimentale,  ossia  finalizzata  all'adozione  di   atti
destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari»,
cosa che «non avviene per gli atti generali, i quali sono indirizzati
ad una pluralita' indifferenziata di destinatari e non sono destinati
a  produrre  effetti  nella  sfera  giuridica  di  singoli   soggetti
specificamente individuati» (Consiglio di stato, sez. IV, sentenza 26
marzo 2014 n. 1460, ripresa anche dalla sentenza 27 dicembre 2017, n.
6096). 
    Anche nella successiva sentenza della sezione IV del 2  settembre
2019, n. 6048, il Consiglio di Stato ha ribadito che tale azione  non
puo' trovare applicazione «allorquando si sia in presenza di  atti  a
contenuto    generale    rimessi    alla     scelta     discrezionale
dell'Amministrazione e rispetto alla quale non  e'  configurabile  un
interesse  qualificato  del  privato  tale   da   poter   rivendicare
l'esistenza di un obbligo per l'ente  di  procedere  all'adozione  di
atti a contenuto regolamentare (Cons. Stato, sez. IV,  n.  13495  del
2013; sez. V, n. 1182 del 2015)». 
    La presenza di una legittimazione degli enti associativi  per  le
discriminazioni collettive non muta i termini del problema, dovendosi
collocare nel quadro del sistema complessivo gli strumenti di  tutela
degli interessi ad essi affidati. 
Violazione indiretta delle norme sul potere sostitutivo. 
    A ben vedere, con il provvedimento qui contestato il Tribunale di
Udine, sezione lavoro, si e' sostituito  agli  organi  della  Regione
conformando  il  contenuto  di  un  regolamento  regionale  e  dunque
violando  lo  stesso  statuto  del  potere  sostitutivo,  chiaramente
disegnato dall'art. 117,  quinto  comma,  e  dall'art.  120,  secondo
comma, della Costituzione. 
    Tali disposizioni, infatti, intestano il  potere  sostitutivo  al
Governo, inteso come Consiglio dei ministri, e richiedono il rispetto
del principio della leale collaborazione. 
    Che l'ordinanza  voglia  «produrre»  un  atto  normativo,  e  non
dirimere una controversia, e' confermato non soltanto  dall'emissione
dell'ordine  di   modificare   un   regolamentare   conferendo   alla
disposizione regolamentare  un  preciso  contenuto,  ma  anche  dalla
predisposizione  di  un  apparato  coercitivo  sanzionatorio   -   le
astreintes - diretto  a  strumentare  quell'ordine  e  finanche  alla
predisposizione di modalita' di  pubblicazione  delle  modifiche  (da
inserire permanentemente nell'home page del sito istituzionale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia  in  caratteri  rossi),  modalita'  che
peraltro vanno a sovrapporsi alle consuete modalita'  di  pubblicita'
ufficiale  degli  atti  regolamentari,  che   sono   pubblicati   nel
Bollettino ufficiale della Regione.