TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di F F. . nato ad il , ivi domiciliato in via , n. ; 
      libero, assente; 
      difeso  d'ufficio  dall'avv.  Silvio  Toccafondi  del  Foro  di
Firenze; 
      imputato: 
        del delitto p. e p. dagli artt. 646 e 61 n. 11 c.p.  perche',
al fine di  procurarsi  un  ingiusto  profitto,  quale  intermediario
immobiliare, si appropriava della somma di euro  900,00  della  quale
aveva il  possesso  poiche'  consegnatagli  da  per  la  proposta  di
locazione di un immobile. 
    Con  l'aggravante  di  aver  commesso  il  .fatto  con  abuso  di
prestazione d'opera. 
    In in data anteriore e prossima all' . 
      sentite le parti: 
      premesso che: 
        F F era rinviato a giudizio con decreto del Gup del 22 aprile
2021 per il reato di appropriazione indebita aggravata ex artt. 646 e
61, n. 11 c.p.; 
        all'udienza del 10 ottobre 2022 veniva  sentito  il  teste  ,
persona offesa; 
        all'udienza del 12 dicembre 2022  le  parti  illustravano  le
rispettive conclusioni. In particolare, il PM  chiedeva  la  condanna
dell'imputato alla pena di anni 2 e giorni 15 di reclusione  ed  euro
1.500 di multa; il difensore chiedeva l'assoluzione  quanto  meno  ex
art. 530, comma 2 c.p.p. o, in subordine, una subordine, una sentenza
di non doversi procedere per particolare tenuita' del fatto  ex  art.
131-bis c.p.; 
        all'udienza  odierna.  cui  il  processo  era  rinviato   per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano: 
    Rilevato che 
      A) Dall'istruttoria svolta  e'  emerso  che  F  F  ,  esercente
l'attivita' di agente immobiliare, riceveva da la somma di euro 1.400
in  contanti  in  funzione  della  conclusione  di  un  contratto  di
locazione  di  un'abitazione   (presso   cui   la   persona   offesa,
accompagnata dall'imputato, si era precedentemente recata prendendone
visione), come risultante dalla proposta di locazione immobiliare  in
atti del ; tale somma, secondo quanto riportato dal , era composta da
700 euro (una mensilita') a titolo di deposito cauzionale e 700  euro
(un'altra mensilita') a titolo di compenso per l'intermediazione  che
l'imputato si apprestava  a  concludere;  nel  citato  documento  si'
prevedeva peraltro che in caso di problemi l'intero importo di  1.400
euro sarebbe stato restituito. 
    Dopo la consegui del denaro, F riferiva al che entro dieci giorni
avrebbero stipulato il contratto di locazione; allo scadere di  detto
termine l'imputato chiedeva una proroga di un mese per la  stipula  e
poi ulteriori proroghe; successivamente, l'imputato comunicava che il
proprietario aveva mutato avviso, decidendo di non concedere piu'  in
locazione l'immobile: il allora contattava l'imputato per tornare  in
possesso della somma versata, ottenendo la restituzione di una  parte
soltanto della stessa (piu' precisamente 250 euro erano resi il e 250
euro il ). La persona offesa si decideva pertanto in data a  sporgere
querela, dopo peraltro che l'imputato gli aveva  consegnato  in  data
una cambiale (per importo residuo di 900 euro), il cui incasso  pero'
non andava a buon fine (allo sportello, al  momento  dell'incasso  in
data , il apprendeva che la cambiale era falsa). 
    Soltanto a procedimento avviato e  in  funzione  della  possibile
remissione di querela l'imputato corrispondeva al ulteriori 200 euro;
non seguiva viceversa la restituzione dell'ulteriore somma consegnata
(benche' tra l'altro all'udienza del 6 dicembre 2021  fosse  concesso
un rinvio del processo a tale scopo), per cui la persona  offesa  non
rimetteva la querela. 
      B) Alla luce di quanto precede risulta certa la responsabilita'
dell'imputata per il fatto ascrittogli, potendo  controvertersi  solo
in ordine all'entita' dell'indebita appropriazione. 
    Il prevenuto riceveva dal la somma  complessiva  di  euro  1.400,
meta' della quale a titolo di deposito cauzionale e la restante parte
in relazione al compenso che egli avrebbe maturato per l'attivita' di
intermediazione. 
    In ordine alla prima meta',  corrisposta  a  titolo  di  deposito
cauzionale a garanzia del proprietario dell'appartamento, e' evidente
come su tale somma fosse impresso un vincolo di destinazione  idoneo,
in caso di violazione, a determinare l'integrazione  del  delitto  di
appropriazione indebita e non un mero inadempimento  civilistico  (si
vedano Cass. Sez. 2 - Sentenza n. 15566 dell'8 aprile 2021 Rv. 281103
- 01, Cass- Sez. 2 - , Sentenza n. 37820 del  26  novembre  2020  Rv.
280465 - 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 54945 del 16 novembre 2017 Rv.
271528 - 01). 
    Piu' incerta risulta invece la sussistenza di un  simile  vincolo
in ordine alla residua somma di euro 700  corrisposta  dalla  persona
offesa in relazione al compenso che l'imputato avrebbe  maturato.  Se
e' vero che il diritto a tale remunerazione sarebbe maturato  solo  a
seguito della conclusione del contratto di locazione, in mancanza  di
una disciplina scritta dettagliata di tale profilo, e' dubbio  se  la
somma fosse stata corrisposta a titolo di anticipo (nel qual caso  si
sarebbe  confusa  con  il  patrimonio  dell'imputato  e  la   mancata
restituzione non potrebbe  integrare  il  reato  contestato)  oppure,
anche questa, a titolo  di  deposito  cauzionale,  a  garanzia  della
provvigione spettante in caso di conclusione  dell'affare  all'agente
immobiliare (nel qual caso potrebbe integrarsi, anche con riguardo  a
tale somma, il reato di appropriazione indebita). 
    In ogni caso  l'imputato  ha  restituito  solo  500  euro  (senza
peraltro  imputare  tale  somma  alla   restituzione   del   deposito
cauzionale  costituito  in  favore  del  proprietario   oppure   alla
restituzione della somma relativa al compenso professionale); dunque,
gia' solo con riferimento alla mancata restituzione  integrale  della
somma corrisposta come deposito cauzionale in favore del proprietario
dell'immobile, e' integrato il reato di appropriazione indebita. 
    L'ulteriore restituzione di 200 euro, anche questa non oggetto di
specifica imputazione, non rileva ai fini della  sussistenza  o  meno
del reato, perche' intervenuta dopo la consumazione dello stesso  (1)
; 
      C) Il fatto non puo' ritenersi di particolare tenuita' ai sensi
dell'art. 131-bis  c.p.,  neppure  tenendo  conto  del  comportamento
successivo ai fatti, come ora consentito a  seguito  delle  modifiche
apportate alla citata norma  dall'art.  1,  comma  1,  lett.  c)  del
decreto legislativo n. 150/2022. 
    L'offesa non puo' infatti ritenersi di particolare tenuita',  non
potendo  considerarsi  tale  quella  conseguente   all'appropriazione
dell'importo di 200 euro (2) , per di piu' ai  danni  di  un  privato
cittadino (tra  l'altro  straniero  e  con  tre  figli,  di  cui  uno
autistico). 
    Ulteriore profilo di gravita' attiene alla commissione del  fatto
nell'ambito    dell'esercizio    di    un'attivita'     professionale
(intermediazione immobiliare), con riferimento peraltro alle somme di
denaro corrisposte in relazione alla  locazione  di  un  immobile  da
adibire ad abitazione e dunque per soddisfare un bisogno fondamentale
(non concluso il contratto in relazione al quale la somma  di  denaro
era  stata  corrisposta,  il  aveva  la  necessita'  di  prendere  in
locazione altra abitazione). 
    A fronte di tali  elementi,  il  semplice  fatto  che -  dopo  la
proposizione della querela da parte della persona offesa - l'imputato
abbia restituito  la  somma  di  200  euro  non  vaie  a  rendere  di
particolare  tenuita'  l'offesa  (diversamente  si  arriverebbe  alla
conclusione che - qualunque sia la gravita' di  un  reato  contro  il
patrimonio - la restituzione del maltolto o il risarcimento del danno
varrebbero sempre a rendere di particolare tenuita' l'offesa). 
    Del resto,  nell'ambito  della  condotta  susseguente  al  reato,
occorre altresi' considerare che prima di corrispondere i citati  200
euro l'imputato  ha  posto  in  essere  plurime  condotte  dilatorie,
arrivando a consegnare un titolo di credito non valido. 
      D) Parimenti non puo' ritenersi integrata  la  causa  estintiva
del reato costituita dalle condotte riparatorie ex art. 162-ter c.p. 
    Il reato in contestazione e' procedibile a querela e,  gia'  poco
dopo la presentazione della querela (e dunque prima dell'apertura del
dibattimento), l'imputato ha corrisposto alla persona offesa la somma
di 200 euro. 
    Pur imputando il citato importo alla  restituzione  del  deposito
cauzionale (in realta' non risulta un'imputazione  specifica  ne'  da
parte del F , ne' da  parte  del  ),  cio'  non  pare  sufficiente  a
riparare interamente il danno cagionato dal reato. 
    Anche a prescindere dagli  interessi  maturati  sulla  somma,  va
infatti considerato il danno morale certamente derivato dal reato  in
capo al : questi - fiducioso nella possibilita' di locare  l'immobile
(di cui aveva urgente bisogno per esigenze familiari) - non solo  non
ha ottenuto la disponibilita' dell'appartamento, ma  ha  anche  perso
parte della somma di denaro corrisposta al F in relazione alla citata
operazione, dovendo poi inseguire quest'ultimo vanamente per un lungo
periodo di tempo prima che l'imputato gli corrispondesse i  200  euro
restanti. D'altro canto la somma di 200 euro non era l'unica che il F
dovesse rendere  al  ,  che  vantava  il  diritto  alla  restituzione
altresi' dei 700 euro versati in relazione  al  futuro  compenso  del
mediatore: a maggior ragione bisogna dunque ritenere che  la  perdita
di una parte del deposito cauzionale abbia causato al frustrazione  e
sconforto. 
    Nulla e stato viceversa corrisposto alla persona offesa a  titolo
di risarcimento del danno morale. Non si puo' quindi ritenere che  il
danno  sia  stato  interamente  riparato.  Del  resto,  il   compiuto
risarcimento anche del danno morale (e  in  generale  del  danno  non
patrimoniale)  pare  essenziale  per  la  tenuta  del  sistema  e  in
particolare perche' le norme incriminatrici dei reati perseguibili  a
quercia  mantengano  la  propria  efficacia  dissuasiva:  e'  infatti
evidente che - se non fosse necessario il risarcimento di detto danno
per poter beneficiare della causa di estinzione  del  reato  ex  art.
162-ter c.p. -  per  molti  di  tali  reati  la  comminatoria  penale
perderebbe ogni effetto deterrente:  ove  scoperto,  l'autore  di  un
reato contro il patrimonio perseguibile a  querela  potrebbe  infatti
limitarsi a restituire il provento del reato  per  andare  esente  da
pena; nei casi di tentativo, come anche nei casi di reati lesivi solo
della liberta' morale (ad es. minacce, violenza  privata,  ecc.),  il
reo non dovrebbe compiere neppure tale gesto. 
    E) quanto alla determinazione dcl trattamento sanzionatorio,  per
poter addivenire ad  una  corretta  decisione  appare  necessario  il
pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita'
costituzionale della norma di cui all'art. 646, comma  1  c.p.  nella
parte in cui prevede la punizione «con la reclusione da due a  cinque
anni» oltre multa anziche' «con la reclusione da sei  mesi  a  cinque
anni», oltre multa. 
    Cio' premesso. 
 
                               Osserva 
 
L Rilevanza della questione 
    1.1 Il  delitto  di  appropriazione  indebita  in  esame  si   e'
consumato  nella  primavera  allorche'  era   gia'   in   vigore   la
formulazione dell'art. 646 c.p. introdotta dall'art. 1 co.  1,  lett.
u), legge n. 3 del 9 gennaio 2019. 
    E'  dunque  rilevante  la  questione   della   legittimita'   del
trattamento  sanzionatorio  introdotto  dalla  citata  novella,   con
particolare riguardo al minimo edittale della pena detentiva. 
    1.2 La questione pare tanto piu' rilevante nella misura in  cui -
se pur non puo' ritenersi applicabile la causa di non punibilita'  ex
art. 131-bis c.p. - lo specifico fatto di reato ora in esame  risulta
comunque di' graviti contenuta, in ragione dell'entita'  della  somma
di denaro oggetto dell'appropriazione. 
    1.3 In definitiva per l'imputato andrebbe  individuata  una  pena
base prossima al minimo edittale (la riparazione  non  integrale  del
danno pare rendere meritevole  l'imputato  del  riconoscimento  delle
circostanze  attenuanti  generiche,  da  bilanciarsi  in  termini  di
prevalenza rispetto alla circostanza aggravante ex  art.  61,  n.  11
c.p.). 
    E' quindi rilevante la questione della  legittimita'  della  pena
detentiva minima di  anni  due  di  reclusione;  in  particolare,  si
auspica un intervento manipolativo  della  Corte  costituzionale  che
sostituisca detta pena edittale minima con  quella  di  mesi  sei  di
reclusione. 
2. Non manifesta infondatezza 
    2.1 Si dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.  646,
primo comma c.p.,  limitatamente  alla  previsione  di  anni  due  di
reclusione come minimo edittale della pena detentiva. 
    Benche' anche la comminatoria della pena pecuniaria presenti  dei
profili di possibile  incongruenza,  con  la  presente  ordinanza  si
intende censurare minimo  edittale  della  sola  pena  detentiva.  In
ragione dei diversi beni su cui le due pene incidono  e  dell'importo
tutto sommato non spropositato della multa,  si  ritiene  infatti  di
dover concentrare le censure sulla sola pena detentiva,  suscettibile
di  limitare  in   misura   irragionevole   la   liberta'   personale
dell'individuo. 
    2.2 La stesura attuale della norma  clic  prevede  e  punisce  il
reato di appropriazione  indebita  e'  il  risultato  della  modifica
occorsa con l'art. 1, comma 1, lett.  u)  della  legge  n.  3  del  9
gennaio 2019. Con tale intervento il legislatore ha previsto  per  il
reato di appropriazione indebita la pena della reclusione  da  due  a
cinque anni e della multa da euro 1.000 a euro 3.000. in  luogo  alla
previgente cornice edittale (pena della reclusione tino a tre anni  e
della multa fino ad euro 1,032). 
    2.2.1  L'inasprimento  sanzionatorio  e'   stato   inserito   dal
legislatore all'interno di un piu' ampio sistema di  misure  volte  a
contrastare i reati contro la Pubblica amministrazione, attraverso il
quale, con la modifica  dell'art.  649-bis  c.p.  e'  stata  altresi'
prevista  la  procedibilita'  d'ufficio   per   talune   ipotesi   di
appropriazione indebita. 
    2.2.2 Nell'ambito di un intervento tanto articolato non pare  che
il singolo profilo ora in esame  sia  stato  oggetto  di  particolare
approfondimento: l'art. l dell'originario disegno di legge C 1189 non
prevedeva alcuna modifica  dell'art.  646  c.p.;  l'introduzione  nel
citato art. 1 della lettera p-bis) - poi diventata lettera u) -,  con
cui si e' inasprito il trattamento sanzionatorio  dell'appropriazione
indebita,  e'  avvenuta  in  sede  di   commissione   referente   con
l'emendamento 1.120, avanzato nella seduta  del  5  novembre  2018  e
approvato nella seduta del 15 novembre 2018; nel corso dei successivi
esami in assemblea, tanto alla Camera dei Deputati quanto in Senato e
poi nuovamente in seconda lettura alla  Camera,  la  disposizione  in
questione sarebbe poi rimasta immutata. 
    2.2.3 Una disamina - probabilmente non  esaustiva  -  dei  lavori
preparatori  non  ha  consentito  a  questo  giudice   di   rinvenire
l'esplicitazione   dei   motivi   per   cui   la   cornice   edittale
dell'appropriazione indebita - reato piuttosto frequente e dunque  di
rilevanza pratica certamente non marginale - era  mutata  in  termini
tanto significativi (il minimo  edittale  della  pena  detentiva  era
aumentato di ben 48 volte). 
    2.2.4 La ragione di un simile intervento e' forse da rintracciare
nella  volonta'  del  legislatore  di  colpire  pii  severamente   le
attivita'    prodromiche    ai    fenomeni    corruttivi.     Sebbene
l'appropriazione indebita  sia  inserita  tra  i  delitti  contro  il
patrimonio e non contro la Pubblica  amministrazione,  dal  dibattito
parlamentare relativo alla  modifica  del  regime  di  procedibilita'
emerge che ad  avviso  dei  legislatore  tale  reato  sarebbe  talora
realizzato in funzione della successiva attivita' corruttiva, con  la
sostanziale creazione di provviste illecite  cui  poi  attingere  per
pagare il prezzo della corruzione. 
    2.3 Tale disciplina normativa pare violare i precetti di cui agli
artt. 3 e 27, comma. 3 Costituzione, sia  per  cio'  che  attiene  al
generale  principio  di  uguaglianza,  sia  sotto  il  profilo  della
proporzionalita' intrinseca del trattamento sanzionatorio. Ad  avviso
di questo giudice l'art. 646 c.p. impone  l'inflizione  di  una  pena
irragionevole in relazione alla  dosimetria  sanzionatoria  impiegata
dal legislatore in altre fattispecie  offensive  del  bene  giuridico
patrimoniale,  e  pare  inoltre  che   un   minimo   edittale   cosi'
significativamente elevato impedisca al giudice di applicare una pena
adeguata a condotte delittuose  che,  per  quanto  conformi  al  tipo
considerato,  risultino  essere  caratterizzate  da   una   lesivita'
modesta. 
    Da questo punto di vista, si deve fin da ora rilevare che, mentre
il  legislatore  nell'innalzare  i  limiti  edittali  ha   preso   in
considerazione  (verosimilmente)  gli   episodi   di   appropriazione
indebita connessi a fenomeni corruttivi, in realta' nella  previsione
della norma incriminatrice ricadono anche molti altri fatti, ben piu'
banali e di minore portata offensiva. 
    In  ragione  della  formulazione  lata  e  generica  della  norma
incriminatrice  -  sotto  il  profilo   sia   della   condotta   («si
appropria»), sia dell'ometto della  stessa  («il  denaro  o  la  cosa
mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso», sia del
dolo specifico richiesto («per procurare a se' o ad altri un ingiusto
profitto») - e' infatti agevole immaginare dei fatti di lieve entita'
che ricadano nella fattispecie incriminatrice, che nulla  abbiano  in
particolare a che fare con fenomeni corruttivi. 
    ln  effetti,  i  processi   per   appropriazione   indebita   che
normalmente  impegnano  i  giudici  di  merito  e   di   legittimita'
riguardano fatti di appropriazione commessi dai conduttori  ai  danni
dei proprietari dei beni dati in locazione (ad es. Cass.  Sez.  2  n.
23176 del 9 aprile 2019 Rv. 276329 - 01. Cass. Sez. 2, n.  36113  del
27 giugno 2017 Rv. 271003 - 01. Cass. Sez. 2, n. 10991 del 6 dicembre
2012 Rv. 255155 - 01. Cass. Sez. n. 4958 del  22  dicembre  2011  Rv.
251807 - 01. Cass. Sez. 2, n. 36897 del 5 luglio 2011  Rv.  251143  -
01) o in leasing (ad es. Cass. Sez. 2, n. 25288 del  31  maggio  2016
Rv. 267114 - 01, Cass. Sez. 2. n. 5809 del 5 dicembre 2013 Rv. 258265
- 01, Cass. Sez. 2, n. 13347 del 7 gennaio  2011  Rv.  250026  -  01,
Cass. Sez. 2, n. 38604 del 20 settembre 2007 Rv. 238163 - 01), o  dai
professionisti o lavoratori  rispetto  alle  somme  o  ai  beni  loro
consegnati a vario titolo (ad es. Cass. Sez. 4  -  n.  23129  del  12
maggio 2022 Rv. 283280 - 01, Cass. Sez. 2, n. 44244 del 19  settembre
2018 Rv. 274079 - 01, Cass. Sez. 2, n. 23347 del 3  maggio  2016  Rv.
267086 - 01, Casa. Sez. 2, n. 25281 del 31 maggio 2016 Ud. Rv. 267013
- 01 Cass. Sez. 2, n. 44650 del 24 settembre 2015 Rv.  264899  -  01,
Cass. Sez. 2, n. 5499 del 9 ottobre 2013 Rv. 258220 - 01). 
    La scelta del legislatore di aumentare ii  massimo  edittale  non
pare irragionevole, avuto riguardo al disvalore dei fatti piu'  gravi
suscettibili  di  ricadere  nella  fattispecie   incriminatrice   (in
particolare  quelli  collegati  a  fenomeni  corrottivi);  il  citato
innalzamento tra l'altro rende ora possibile l'applicazione di misure
cautelari coercitive, prima non  consentita  se  non  nei  (piuttosto
rari) casi di arresto facoltativo in flagranza di reato. 
    La  modifica  appare  invece  manifestamente  irragionevole   con
riguardo al notevole incremento del minimo edittale,  avuto  riguardo
ai  possibili  (e  assai  numerosi  nella  pratica)  casi  di  minore
gravita', non adeguatamente presi in considerazione dal  legislatore,
forse proprio perche' l'intervento riformatore  si  e'  inserito  nel
quadro del sistema di misure volte a contrastare i  reati  contro  la
Pubblica amministrazione. 
    2.4.1  Quanto  al  primo  profilo  di  possibile  illegittimita',
occorre preliminarmente richiamare in breve  quanto  a  piu'  riprese
affermato dalla Corte costituzionale nelle pronunce in cui  e'  stata
chiamata  a  valutare  la  legittimita'  della  pena  alla  luce  del
franamento  previsto  dal  legislatore  per  altre  fattispecie.   La
valutazione della ragionevolezza  delle  scelte  del  legislatore  in
ordine alla dosimetria sanzionatoria trae origine  dal  principio  di
eguaglianza ex art. 3  Costituzione.  Tale  principio  costituzionale
impone di trattare in maniera eguale fattispecie  aventi  un  analogo
disvalore e di prevedere trattamenti sanzionatori diversi  per  fatti
con un diverso disvalore. Ferma restando l'ampia discrezionalita'  di
cui gode il legislatore in materia penale, in ordine sia alla  scelta
dei fatti da «criminalizzare» che alle pene da  comminare,  la  Corte
sin dalla sentenza n. 218 del 1974 ha fatto  ricorso  allo  strumento
della dichiarazione di incostituzionalita', per contrarieta' all'art.
3 Costituzione, al fine di elidere le  scelte  sanzionatorie  che  in
maniera non ragionevole operavano  una  parificazione,  in  punto  di
pena, di condotte  aventi  un  diverso  disvalore.  A  partire  dalla
successiva sentenza numero  176  del  1976  la  Consulta  e'  inoltre
intervenuta con una pronuncia di incostituzionalita', per  violazione
del  principio  di  eguaglianza  anche  su  trattamenti  sanzionatori
valutati come irragionevolmente piu' severi di  quelli  previsti  per
altro reato meno grave, all'uopo  individuato  dal  rimettente  quale
tertium comparationis. 
    2.4.2  Lo  stesso  parametro  di  costituzionalita'  dell'art.  3
Costituzione, e' stato poi impiegato nella sentenza n. 409 del  1989.
In tal caso la Corte ritenne irragionevole la scelta del  legislatore
di sanzionare in maniera piu' grave il reato di rifiuto del  servizio
militare di leva per motivi di coscienza (art. 8, legge  n.  772  del
1972), rispetto alla cornice edittale meno grave allora prevista  per
coloro che mancavano alla chiamata senza alcuna motivazione art.  151
c.p.m.p.). Tali reati, ad avviso dei giudici.  erano  stati  posti  a
tutela di uno stesso interesse e la  differenza  in  punto  di  pena,
legata solamente all'esplicitazione dei motivi di coscienza alla base
del rifiuto alla chiamata, era da ritenersi  una  scelta  legislativa
manifestamente irragionevole. 
    Il criterio della contrarieta' ai principio di eguaglianza per la
sperequazione  irragionevole  del   trattamento   sanzionatorio   tra
fattispecie tra loro omogenee e' stato poi piu' volte impiegato dalla
Corte, da ultimo nella sentenza n. 244 del 2022. 
    2.4.3 Stante il consolidato orientamento della Corte  sul  punto,
il  minimo  edittale  previsto  dal  legislatore  per  il  reato   di
appropriazione   indebita   (due   anni    di    reclusione),    pare
irragionevolmente sproporzionato rispetto al «limite inferiore» della
pena previsto per fattispecie di aggressione integrita'  patrimoniale
equiparabili al reato di appropriazione indebita e di gravita' simile
(se non superiore). 
    2.5 Venendo al delitto di cui all'art. 646 c.p.,  il  trattamento
sanzionatorio per lo stesso previsto appare  raffrontabile  in  primo
luogo con quello dettato per il delitto di furto di cui all'art.  624
c.p. 
    I  due  reati  condividono   innanzitutto   l'oggetto   giuridico
tutelato, il patrimonio. Entrambi  sono  inoltre  riconducibili  alla
categoria dei delitti di danno, richiedendo il concretizzarsi di  una
effettiva offesa al bene giuridico oggetto di  tutela.  Condiviso  e'
anche l'elemento soggettivo del dolo specifico, il fine  di  profitto
(non pare al riguardo significativa la circostanza che per il delitto
di appropriazione  indebita  -  come  per  quello  di  truffa  -  sia
richiesto un «ingiusto profitto», laddove per il  furto  e'  previsto
semplicemente il fine di trarne «profitto»,  posto  che  nella  quasi
totalita' dei casi di furto il «profitto» e' anche  «ingiusto»);  per
entrambi i reati la Corte  di  Cassazione  ha  precisato  come  detto
profitto non debba necessariamente avere natura patrimoniale. 
    23.1 Le due fattispecie confrontate  si  distinguono  percio'  in
ragione dei  diversi  presupposti  della  condotta,  nonche'  per  le
conseguenti modalita' di  azione  del  soggetto  attivo,  circostanza
quest'ultima che e' rispecchiata  anche  dalla  diversa  collocazione
all'interno del Titolo XIII del Libro II del codice penale, il  furto
nel Capo I «Dei delitti contro il patrimonio mediante  violenza  alle
cose o alle persone»,  l'appropriazione  nel  Capo  II  «Dei  delitti
contro il patrimonio mediante frode». 
    Quanto al primo profilo, il furto presuppone la detenzione  della
cosa da parte di un  terzo,  da  intendersi  come  la  disponibilita'
materiale o  la  possibilita'  di  instaurarla  ad  libitum,  nonche'
l'assenza della disponibilita' materiale (o quanto meno l'assenza  di
una  disponibilita'  materiale  autonoma)   da   parte   dell'agente.
Viceversa,  l'appropriazione  presuppone  la  preesistenza  in   capo
all'agente del possesso della cosa e'  da  intendersi  non  in  senso
civilistico), con volonta' di tenerla per conto di altri, in  ragione
di  un  qualsiasi  titolo   lecito   e   derivativo,   che   comporti
l'affidamento della stessa. 
    Conseguentemente, le diverse situazioni fattuali  presupposte  ai
due  reati  comportano  diverse  modalita'  di  aggressione  al  bene
tutelato. In caso di furto si' e' in presenza della sottrazione della
cosa oggetto dell'altrui detenzione, mediante una condotta capace  di
infrangere la relazione materiale presupposta o  rendere  impossibile
l'instaurazione   della   stessa   ad   libitum,    a    cui    segue
l'impossessamento da parte del soggetto agente della cosa  sottratta.
Nel delitto ex art.  646  c.p.  la  condotta  consiste  invece  nella
«interversione del possesso» da  parte  di  colui  che  gia'  dispone
materialmente della cosa nomine alieno e che muta il  proprio  animus
disponendo della cosa come se fosse  propria  ed  estrinsecando  tale
interversione mediante il compimento di atti di signoria. 
    2.5.2 Ebbene. stante quanto sopra esposto, il  delitto  di  furto
pare ampiamente idoneo a fungere da tertium comparationis ai fini che
qui  interessano,  non  essendo  una  fattispecie  residuale,   bensi
presentando  una  pluralita'  di  elementi  che  lo  accomunano  alla
fattispecie oggetto della presente ordinanza (3) . In ragione di tale
analogia, la previsione del minimo edittale di due anni di reclusione
per    l'appropriazione    indebita     risulta     irragionevolmente
sproporzionata rispetto alla dosimetria sanzionatoria  impiegata  dal
legislatore per la fattispecie di cui all'art. 624 c.p., per la quale
la pena minima e' fissata in mesi sei di reclusione. 
    Come gia' rilevato, entrambe le condotte punite rappresentano una
forma di aggressione  al  medesimo  bene  giuridico,  il  patrimonio.
Questo e' aggredito in maniera unilaterale dal soggetto attivo  e  la
consumazione comporta in entrambe le ipotesi  la  perdita,  totale  o
parziale, della cosa oggetto della condotta del reo.  La  scelta  del
legislatore di  differenziare  in  maniera  cosi'  marcata  i  limiti
inferiori delle due cornici edittali, l'uno il  quadruplo  dell'altro
(due anni - sei mesi), non appare  adeguatamente  giustificata  dalla
diversa modalita' di aggressione richiesta nei due delitti. 
    2.5.3  in  particolare,  la  caratteristica  della  condotta   di
appropriazione  indebita,  consistente   nell'approfittamento   della
preesistente disponibilita' autonoma del bene da parte  del  soggetto
attivo,  non  pare   giustificare   lo   iato   sanzionatorio   sopra
evidenziato.  quanto  meno  rispetto  alle  ipotesi  meno   gravi   e
meritevoli  di  un  trattamento  sanzionatorio  prossimo  al   minimo
edittale. 
    Mediante l'appropriazione indebita  il  reo  lede  il  patrimonio
della  vittima   approfittando   della   particolare   posizione   di
disponibilita' della cosa, a lui  affidata  a  «qualsiasi  titolo»  e
sulla base di un rapporto inevitabilmente fiduciario, in  conseguenza
del quale vi e' una tendenziale esiguita' di controllo da parte della
vittima. 
    2.5.4 Viceversa il furto,  presupponendo  la  non  disponibilita'
autonoma del bene in capo al soggetto agente, richiede quale elemento
aggiuntivo la  sottrazione:  si  tratta  certamente  di  un  elemento
portatore di un quid pluris in termini di  disvalore  del  fatto,  in
relazione alla violazione da  parte  dell'agente  della  sfera  della
disponibilita' materiale della vittima (si' consideri che e' il  dato
della  compiuta  sottrazione  o  meno  della  cosa  che  ad   esempio
costituisce il discrimine tra rapina  impropria  consumata  e  rapina
impropria solo tentata, con le notevoli conseguenze che  ne  derivano
in termini sanzionatori). 
    Inoltre, il furto normalmente si verifica in  una  situazione  di
clandestinita'. La sottrazione  e  l'impossessamento  comportano  una
violazione della intangibilita'  dei  patrimonio  della  vittima  che
tendenzialmente si verifica su cose non sottoposte alla  sorveglianza
diretta del proprietario o del detentore; anche in tale  caso  dunque
la persona offesa puo' avere notizia del reato patito a  distanza  di
tempo dalla consumazione. 
    2.5.5 Merita ancora porre attenzione alla qualita'  del  soggetto
agente. che assieme agli altri  elementi  essenziali  contribuisce  a
determinare il disvalore del reato. Nelle ipotesi di  appropriazione,
presupposto necessario alla commissione dei reato e' che il reo abbia
la pregressa detenzione nomine alieno della cosa. Tale disponibilita'
deve essere stata ottenuta  mediante  un  qualsiasi  titolo,  purche'
penalmente lecito, derivativo, non originario e non traslativo  della
proprieta'. Nonostante l'espressione letterale «chiunque»  utilizzata
dalla norma, la peculiarita' del soggetto agente  dell'appropriazione
indebita,  e  la  conseguente  identificazione  o  identificabilita',
rappresentano  ulteriore  elemento  di  riflessione  in  ordine  alla
ragionevolezza della scelta sanzionatoria. 
    A fronte della certezza sull'identita' del  soggetto  agente  nel
reato di appropriazione indebita, il furto  e'  invece  qualificatile
come reato comune, potendo essere commesso da qualsiasi persona. Tale
elemento non puo' che essere  considerato  nella  comparazione  della
gravita' delle due fattispecie. In particolare, la maggiore facilita'
di  commissione  dell'appropriazione  e'  senza   dubbio   bilanciata
dall'agevole individuazione dell'identita' del soggetto agente  (cio'
che rende anche piu'  semplice  il  recupero  del  bene);  tale  dato
viceversa non ricorre per il furto, che sconta l'indeterminatezza del
reo, e di conseguenza una maggiore difficolta' di individuazione  del
responsabile ed un ostacolo all'esercizio  dell'autodifesa  da  parte
della vittima, non solo immediatamente, ma anche  successivamente  al
fine di recuperare quanto perso in ragione del reato. 
    2.5.6 Anche ponendosi  nella  prospettiva  del  soggetto  agente.
l'appropriazione indebita risulta meno grave del furto. 
    Posto che il delitto ex art. 646 c.p. presuppone la  preesistente
disponibilita' materiale del  bene,  la  condotta  di  appropriazione
denota una minore capacita' a delinquere in capo al soggetto  agente,
che si «limita» a convertire il proprio possesso in proprieta', senza
spingersi  -  come  invece  avviene  nel  furto  -  ad  intromettersi
unilateralmente nella  sfera  della  disponibilita'  materiale  della
persona offesa. 
    2.5.7 In definitiva, fatti salvi taluni episodi  particolari  che
forse giustificano per la loro gravita'  l'innalzamento  del  massimo
edittale,  nella  normalita'  dei  casi   l'appropriazione   indebita
presenta un disvalore inferiore (o al piu' pari) al reato  di  furto,
cosi' rendendo priva di' ogni  ragionevolezza  la  previsione  di  un
minimo edittale piu' elevato. 
    2.5.8 Si consideri infine che e' vero che per il delitto di furto
il legislatore ha previsto numerose circostanze speciali  ad  effetto
speciale,  la  cui  integrazione  determina  un  severo  inasprimento
sanzionatorio.  Tuttavia,  come   ha   rilevato   la   stessa   Corte
costituzionale.  il  legislatore  pur  non  affrontando  una  riforma
integrale del codice Rocco -  per  adeguarsi  al  mutato  sistema  di
valori fatto proprio dal Costituente si e' «affidato  prevalentemente
al  potere  discrezionale  del   giudice,   essenzialmente   con   la
modificazione del quarto e del quinto comma dell'art. 69  cod.  pen.,
nel  senso  di  eliminare  le  limitazioni  poste  al   giudizio   di
bilanciamento delle circostanze. Infatti, «con la nuova  formulazione
dell'art. 69 cod.  pen.,  le  aggravanti  del  furto  possono  essere
neutralizzate anche dalle sole attenuanti generiche che, se del caso,
il giudice puo' persino dichiarare prevalenti. La gravita' di  questo
delitto e' attualmente, percio', soltanto nell'astratta  comminazione
della  pena,  ma  non  lo  e'  piu'  nella  realta'   dell'esperienza
giuridica, come ben dimostra la casistica  giudiziaria,  ispirata  ai
nuovi principi costituzionali» (cosi' Corte  costituzionale  sentenza
n. 259 del 2021, che richiamava la sentenza n. 268 del 1986). 
    Nel caso dell'appropriazione indebita,  viceversa  l'inasprimento
sanzionatorio si e' esplicato non  nella  previsione  di  circostanze
aggravanti, eventualmente ad effetto speciale, bensi'  attraverso  un
innalzamento del minimo (e del massimo) della cornice edittale  base.
Pertanto,  mentre  per  il  furto  il  significativo   rigore   della
comminatoria legale puo' essere di fatto neutralizzato attraverso  il
giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti - comprese le
circostanze  attenuanti  generiche  eventualmente  riconoscibili   in
ragione della limitata gravita' del  singolo  fatto  concreto  -  con
riguardo  all'appropriazione  indebita  tale   mitigazione   non   e'
possibile, se non nella misura limitata della normale incidenza delle
circostanze attenuanti sui limiti edittali. 
    Conseguentemente, mentre per il furto pur pluriaggravato la pena,
per  effetto  del  riconoscimento  ad   esempio   delle   circostanze
attenuanti generiche, puo' assestarsi sul minimo «finale di sei  mesi
(o essere anche inferiore in caso di  giudizio  di  prevalenza  delle
attenuanti), per  l'appropriazione  indebita  anche  riconoscendo  le
circostanze  attenuanti  generiche  (eventualmente  prevalenti  sulle
possibili aggravanti) la pena minima non  puo'  essere  inferiore  ad
anni uno e mesi quattro di reclusione (piu'  del  doppio  della  pena
minima prevista per il furto). 
    2.6  E'  possibile  un'ulteriore  riflessione  in   ordine   alla
proporzionalita' estrinseca della pena minima edittale  prevista  per
l'approvazione  indebita,   considerando   come   ulteriore   tertium
comparationis il delitto di  truffa  di  cui  all'art.  640  c.p.,  e
realizzando  cosi'  una  «triangolazione»   utile   ai   fini   della
valutazione della ragionevolezza della scelta legislativa in punto di
trattamento sanzionatorio. 
    La  truffa,  offensiva  del  patrimonio  al  pari  del  furto   e
dell'appropriazione indebita, e' prevista - come quest'ultima  -  nel
capo «Dei delitti contro il patrimonio mediante frode». 
    La forma non aggravata della truffa  inoltre,  nelle  valutazioni
del legislatore, pare avere un disvalore coincidente con il furto non
aggravato, condividendo con questo la  cornice  edittale  della  pena
detentiva (reclusione da sei mesi a tre anni). 
    2.6.1 Anche la truffa pare idonea a costituire un  utile  termine
di raffronto per l'appropriazione indebita. Entrambi i  delitti  sono
reati di danno e colpiscono il medesimo bene giuridico, La truffa non
richiede  il  dolo  specifico  (bensi'  e'  caratterizzata  dal  dolo
generico, ossia la coscienza e volonta' di indurre taluno in  errore,
mediante artifici e raggiri, si' da determinarlo a compiere  un  atto
di disposizione patrimoniale), in quanto l'altrui danno e  l'ingiusto
profitto sono gia' ricompresi nell'elemento  oggettivo  del  reato  e
piu' precisamente sono individuati come  conseguenza  della  condotta
del reo e della persona indotta  in  errore  (normalmente  la  stessa
persona che subisce il danno, ma non necessariamente). 
    2.6.2 Come gia'  precedentemente  osservato,  nell'appropriazione
indebita   il   soggetto   agente   approfitta   della   preesistente
disponibilita' del bene, derivante dal  precedente  atto  dispositivo
della vittima e dalla fiducia che la stessa ha riposto  nel  soggetto
attivo; nella truffa l'aggressione al patrimonio si verifica  con  la
cooperazione dell'offeso, che compie un atto dispositivo per  effetto
dell'alterazione della realta' esterna o dei raggiri posti in  essere
dal reo. 
    In altri termini, il truffatore non si limita ad approfittare  di
una situazione preesistente, determinatasi lecitamente; al contrario,
attraverso i propri artifici o raggiri fa sorgere  nella  vittima  la
fiducia necessaria ad  indurla  a  compiere  l'atto  di  disposizione
patrimoniale. 
    2.6.3 Il disvalore individuato nella  fattispecie  appropriativa,
il cui compimento va a minare la certezza nei rapporti di affidamento
tra  consociati,  pare  dunque  nettamente  inferiore   rispetto   al
disvalore caratterizzante la truffa, o quanto meno non superiore. 
    Anche la fattispecie della truffa e'  infatti  posta  a  presidio
della certezza nei rapporti economici trai soggetti, la  quale  viene
minacciata dalla condotta di coloro che pongono in essere artifici  o
raggiri al fine di ottenere la disposizione patrimoniale del terzo. 
    2.6.4 Inoltre, come gia' sottolineato  per  il  furto,  anche  la
truffa puo' essere posta  in  essere  da  persone  che  travisano  la
propria identita' o che spesso rimangono comunque ignote, potendo  la
stessa essere realizzata (e normalmente cosi' e')  in  situazioni  in
cui  il  reo  e  la  vittima  non  hanno  un  pregresso  rapporto  di
conoscenza. 
    Tale elemento, non presente invece normalmente nelle  ipotesi  di
appropriazione  indebita  le  quali  presuppongono  una   traslazione
mediante un titolo lecito, deve essere indubbiamente  considerato  ai
fini della valutazione della gravita' delle due fattispecie  e  della
conseguente comparazione dei trattamenti sanzionatori. 
    2.6.5 Il difetto di ragionevolezza nella scelta  dei  legislatore
emerge altresi' avendo riguardo alla  fattispecie  aggravata  di  cui
agli artt. 640, comma 2, n. 2-bis e 61, n. 5 c.p., per  la  quale  il
legislatore ha previsto come minimo edittale la pena di' un  anno  di
reclusione. 
    Alla gravita' della truffa, di cui si e' detto,  si  aggiunge  in
tal  caso  un  ulteriore  profilo   di   disvalore,   ovvero   l'aver
approfittato della minorata difesa della persona offesa  (in  ragione
di circostanze di tempo, di luogo  o  di  persona),  che  rende  piu'
agevole il compimento del reato e la sottrazione alle conseguenze del
medesimo. 
    A maggior ragione risulta dunque irragionevole il minimo edittale
previste  per  l'appropriazione  indebita,  pari  ad  anni   due   di
reclusione, e cioe' al quadruplo di' quello previsto  per  la  truffa
base e al doppio di quello previsto per  la  truffa  aggravata  dalla
minorata difesa della persona offesa. 
    2.6.6 E' necessaria formulare  un'ultima  riflessione,  originata
dalla fattispecie in concreto  oggetto  del  presente  processo,  che
risulta proficua ai fini della valutazione delle scelte sanzionatorie
del legislatore. 
    L'imputato mediante la stipula della proposta di locazione si  e'
impegnato a mediare per la conclusione di un contratto  di  locazione
di un immobile effettivamente esistente (visitato anche dalla persona
offesa), salvo poi approfittare della fiducia naturalmente insita  in
tali rapporti negoziali e appropriarsi di parte del denaro  ottenuto,
di cui era in quel momento possessore nomine alieno. 
    Qualora l'imputato avesse pubblicizzato un annuncio di  locazione
per un immobile non effettivamente esistente o comunque non nella sua
disponibilita', facendo credere di poterlo concedere in  locazione  e
determinando con tali artifizi e raggiri la  vittima  a  compiere  la
dazione di  denaro -  qualora  cioe'  l'imputato  avesse  determinato
fraudolentemente la fiducia della vittima e cosi' ottenuto il  denaro
oggetto di appropriazione - la sua  condotta,  da  qualificarsi  come
truffa, lo avrebbe esposto ad un trattamento sanzionatorio in termini
di comminatoria edittale decisamente meno severo  rispetto  a  quello
previsto per appropriazione indebita. 
    Risulta evidente l'irragionevolezza della scelta  legislativa.  A
fronte di due condotte offensive del medesimo bene giuridico,  quella
ictu oculi meno grave e' sanzionata con una pena  edittale  superiore
(rectius: decisamente superiore). 
    2.6.7 Ad analoghe conclusioni si giunge considerando la  capacita
a delinquere del soggetto agente dell'appropriazione indebita e della
truffa_ 
    Il  primo  si  limita   ad   approfittare   di   una   situazione
preesistente, per cosi' dire cedendo alla  tentazione  di  trattenere
come propria la cosa altrui; il  secondo  invece  fin  dal  principio
opera fraudolentemente e con un proposito criminoso. 
    2.7 L'ultima censura pare doversi muovere  per  violazione  degli
artt. 3 e 27, comma 3 Costituzione. 
    Dal principio di ragionevolezza-uguaglianza e dal principio della
finalita' rieducativa della pena la Corte costituzionale ha enucleato
il principio della necessaria proporzionalita'  della  pena  rispetto
alla gravita' del reato. Nelle ultime pronunce tale  affermazione  ha
riguardato  anche  i  profili  di   ragionevolezza   intrinseca   del
trattamento sanzionatorio, a  prescindere  dal  raffronto  con  altre
fattispecie di reato similari. 
    2.7.1  All'appropriazione  indebita  possono  essere   ricondotti
episodi caratterizzati da  una  significativa  carica  offensiva,  si
pensi  alle  appropriazioni   di   cifre   ingenti   commesse   dagli
amministratori di societa' di capitali. 
    Tale    fenomenologia    delle    condotte    appropriative    ha
(verosimilmente) ispirato l'intervento legislativo di riforma, che ha
notevolmente innalzato i limiti edittali. 
    Con riguardo ai citati fenomeni in ambito  societario,  anche  in
ragione  del  peculiare  rapporto  esigente  tra  societa'  e  organo
gestorio,  il  nuovo  limite  massimo  della  pena   puo'   ritenersi
ragionevole. 
    La  gravita'  di  alcune   delle   condotte   sussumibili   nella
fattispecie dell'appropriazione indebita non esclude che pero' che in
altre ipotesi (concretamente le piu' comuni) nel medesimo  titolo  di
reato possano essere sussunti fatti marcatamente  dissimili,  che  in
ragione delle modalita' concrete della condotta, del diverso rapporto
esistente  tra  soggetto  agente  e  vittima  e   della   consistenza
dell'offesa patrimoniale appaiono di gravita' decisamente  contenuta.
Tali casi impongono dunque  una  riflessione  sulla  proporzionalita'
della disciplina sanzionatoria dettata dal legislatore. 
    2.7.2 Come affermato nella sentenza della Corte n. 343 del  1993,
«la palese sproporzione  del  sacrificio  delia  liberta'»  provocata
dalla previsione di  una  sanzione  penale  manifestamente  eccessiva
rispetto al disvalore dell'illecito «produce [...] una  vanificazione
del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma,
della Costituzione». AI fine  di  evitare  la  frustrazione  di  tale
finalita' la Corte ha piu' volte ribadito la necessita' che la  pena,
e  dunque  la  cornice  edittale  delineata  dal   legislatore,   sia
proporzionata   rispetto   all'intera    gamma    di    comportamenti
riconducibili ad uno specifico tipo di reato. 
    In tal senso, i tratti salienti del  fano  oggetto  del  presente
processo (che non e' affatto eccezionale,  ma  anzi  pare  costituire
un'ipotesi ordinaria di appropriazione indebita) evidenziano in  modo
emblematico l'eccessiva  severita'  della  pena  prevista.  Il  fatto
appropriativo e' stato compiuto da un  soggetto  ben  identificato  e
conosciuto dalla vittima, tale circostanza ha fatto si' che la stessa
potesse successivamente recuperare - sia pure  soltanto  rivolgendosi
alle autorita' e presentando  la  querela  -  il  denaro  oggetto  di
appropriazione. La  lesione  patrimoniale  cagionata  dalla  condona,
seppur non irrisoria, e' stata comunque contenuta. 
    2.7.3 In definitiva, la pena minima prevista dall'art. 646  c.p.,
come modificato dalla  legge  n.  3/2019,  risulta  irragionevolmente
sproporzionata,  non  solo  rispetto  alle   fattispecie   delittuose
similari  precedentemente  individuale,  ma  altresi'  rispetto  alla
gravita'  in  se'  del  reato  di  appropriazione  indebita,  essendo
manifesta l'incapacita' della attuale cornice edittale dell'art.  646
c.p., di essere adeguata rispetto alle plurime ipotesi sussumibili in
detta fattispecie e prevedere per ciascuna di' esse una pena  equa  e
capace  di  assolvere  al  necessario  compito   rieducativo,   senza
risultare eccessivamente afflittiva. 
    2.8 Al fine di garantire ii rispetto degli artt. 3 e 27, comma  3
Costituzione  pare  dunque  necessario  un  intervento  della   Corte
costituzionale.  Pur  nel   rispetto   della   discrezionalita'   del
legislatore,  ad  avviso  di   questo   giudice   sembra   necessario
rideterminare il minimo edittale della pena detentiva prevista per il
reato  di  appropriazione  indebita,  fissandolo  in  mesi   sei   di
reclusione. 
    Tale  limite  minimo  edittale  e'  quello   proprio   di   altre
fattispecie  di  reato  che  afferiscono  a  fatti   di   aggressione
patrimoniale   dalle    caratteristiche    similari;    nelle    loro
estrinsecazioni meno gravi il furto,  la  truffa  e  l'appropriazione
indebita paiono inoltre equiparatili  in  punto  di  disvalore  della
condotta (o addirittura il furto e la truffa  presentano  un  maggior
disvalore),   si'    da    far    apparire    congrua    l'estensione
all'appropriazione indebita del minimo edittale proprio delle  citate
fattispecie similari, potendo le stesse costituire dei «precisi punti
di riferimento gia' nel sistema legislativo» (4) . 
    Un simile intervento manipolativo ad avviso di chi scrive sarebbe
rispettoso della scelta discrezionale del legislatore di inasprire il
trattamento    sanzionatorio     precedentemente     previsto     per
l'appropriazione indebita, ma altresi' capace di  eliminare  ilvulnus
costituzionale sopra evidenziato e  garantire  una  cornice  edittale
(reclusione da sei mesi a cinque anni) che  consenta  al  giudice  di
poter  adeguare  la  pena  al  caso  concreto,  nel  rispetto   della
necessaria proporzionalita' della stessa. 
3. Possibilita' di un'interpretazione conforme 
    Non risultano percorribili interpretazioni conformi  della  norma
ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione,  chiaro  e
univoco essendo il dato letterale. 

(1) In una prospettiva piu' severa, o forse piu' formale. si potrebbe
    sostenere che  l'appropriazione  indebita  si  sia  consumata  al
    momento della prima restituzione di 250 euro del ,  con  riguardo
    all'importo residuo di  450  euro,  posto  che  l'imputato  aveva
    l'obbligo di  restituire  subito  l'intero  importo,  che  doveva
    essere  tenuto  a  disposizione  in  considerazione  del  vincolo
    imposto, senza che possa rilevare  ai  fini  dell'integrazione  o
    meno del reato l'ulteriore restituzione di 250 euro avvenuta il ;
    le conclusioni comunque non muterebbero ai fini in esame. 

(2) La  Corte  di  Cassazione  ha   negato   l'applicabilita'   della
    circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 c.p. anche  in  relazione
    ad importi decisamente piu' bassi; si vedano, tra le altre, Cass.
    n. 6635 del 19 gennaio 2017, Cass. n. 6571 del 21 novembre 2019 e
    Cass. n. 3346 del 29 novembre 2019. 

(3) Tale caratteristica deve essere presente affinche' la fattispecie
    individuata a quo possa essere presa a riferimento  come  tertium
    comparationis, Corte costituzione, sentenza n. 68 del 2012. 

(4) Cosi' la Corte costituzionale nella sentenza n. 222 del 2018.