TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione penale Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di F F. . nato ad il , ivi domiciliato in via , n. ; libero, assente; difeso d'ufficio dall'avv. Silvio Toccafondi del Foro di Firenze; imputato: del delitto p. e p. dagli artt. 646 e 61 n. 11 c.p. perche', al fine di procurarsi un ingiusto profitto, quale intermediario immobiliare, si appropriava della somma di euro 900,00 della quale aveva il possesso poiche' consegnatagli da per la proposta di locazione di un immobile. Con l'aggravante di aver commesso il .fatto con abuso di prestazione d'opera. In in data anteriore e prossima all' . sentite le parti: premesso che: F F era rinviato a giudizio con decreto del Gup del 22 aprile 2021 per il reato di appropriazione indebita aggravata ex artt. 646 e 61, n. 11 c.p.; all'udienza del 10 ottobre 2022 veniva sentito il teste , persona offesa; all'udienza del 12 dicembre 2022 le parti illustravano le rispettive conclusioni. In particolare, il PM chiedeva la condanna dell'imputato alla pena di anni 2 e giorni 15 di reclusione ed euro 1.500 di multa; il difensore chiedeva l'assoluzione quanto meno ex art. 530, comma 2 c.p.p. o, in subordine, una subordine, una sentenza di non doversi procedere per particolare tenuita' del fatto ex art. 131-bis c.p.; all'udienza odierna. cui il processo era rinviato per eventuali repliche, le parti vi rinunciavano: Rilevato che A) Dall'istruttoria svolta e' emerso che F F , esercente l'attivita' di agente immobiliare, riceveva da la somma di euro 1.400 in contanti in funzione della conclusione di un contratto di locazione di un'abitazione (presso cui la persona offesa, accompagnata dall'imputato, si era precedentemente recata prendendone visione), come risultante dalla proposta di locazione immobiliare in atti del ; tale somma, secondo quanto riportato dal , era composta da 700 euro (una mensilita') a titolo di deposito cauzionale e 700 euro (un'altra mensilita') a titolo di compenso per l'intermediazione che l'imputato si apprestava a concludere; nel citato documento si' prevedeva peraltro che in caso di problemi l'intero importo di 1.400 euro sarebbe stato restituito. Dopo la consegui del denaro, F riferiva al che entro dieci giorni avrebbero stipulato il contratto di locazione; allo scadere di detto termine l'imputato chiedeva una proroga di un mese per la stipula e poi ulteriori proroghe; successivamente, l'imputato comunicava che il proprietario aveva mutato avviso, decidendo di non concedere piu' in locazione l'immobile: il allora contattava l'imputato per tornare in possesso della somma versata, ottenendo la restituzione di una parte soltanto della stessa (piu' precisamente 250 euro erano resi il e 250 euro il ). La persona offesa si decideva pertanto in data a sporgere querela, dopo peraltro che l'imputato gli aveva consegnato in data una cambiale (per importo residuo di 900 euro), il cui incasso pero' non andava a buon fine (allo sportello, al momento dell'incasso in data , il apprendeva che la cambiale era falsa). Soltanto a procedimento avviato e in funzione della possibile remissione di querela l'imputato corrispondeva al ulteriori 200 euro; non seguiva viceversa la restituzione dell'ulteriore somma consegnata (benche' tra l'altro all'udienza del 6 dicembre 2021 fosse concesso un rinvio del processo a tale scopo), per cui la persona offesa non rimetteva la querela. B) Alla luce di quanto precede risulta certa la responsabilita' dell'imputata per il fatto ascrittogli, potendo controvertersi solo in ordine all'entita' dell'indebita appropriazione. Il prevenuto riceveva dal la somma complessiva di euro 1.400, meta' della quale a titolo di deposito cauzionale e la restante parte in relazione al compenso che egli avrebbe maturato per l'attivita' di intermediazione. In ordine alla prima meta', corrisposta a titolo di deposito cauzionale a garanzia del proprietario dell'appartamento, e' evidente come su tale somma fosse impresso un vincolo di destinazione idoneo, in caso di violazione, a determinare l'integrazione del delitto di appropriazione indebita e non un mero inadempimento civilistico (si vedano Cass. Sez. 2 - Sentenza n. 15566 dell'8 aprile 2021 Rv. 281103 - 01, Cass- Sez. 2 - , Sentenza n. 37820 del 26 novembre 2020 Rv. 280465 - 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 54945 del 16 novembre 2017 Rv. 271528 - 01). Piu' incerta risulta invece la sussistenza di un simile vincolo in ordine alla residua somma di euro 700 corrisposta dalla persona offesa in relazione al compenso che l'imputato avrebbe maturato. Se e' vero che il diritto a tale remunerazione sarebbe maturato solo a seguito della conclusione del contratto di locazione, in mancanza di una disciplina scritta dettagliata di tale profilo, e' dubbio se la somma fosse stata corrisposta a titolo di anticipo (nel qual caso si sarebbe confusa con il patrimonio dell'imputato e la mancata restituzione non potrebbe integrare il reato contestato) oppure, anche questa, a titolo di deposito cauzionale, a garanzia della provvigione spettante in caso di conclusione dell'affare all'agente immobiliare (nel qual caso potrebbe integrarsi, anche con riguardo a tale somma, il reato di appropriazione indebita). In ogni caso l'imputato ha restituito solo 500 euro (senza peraltro imputare tale somma alla restituzione del deposito cauzionale costituito in favore del proprietario oppure alla restituzione della somma relativa al compenso professionale); dunque, gia' solo con riferimento alla mancata restituzione integrale della somma corrisposta come deposito cauzionale in favore del proprietario dell'immobile, e' integrato il reato di appropriazione indebita. L'ulteriore restituzione di 200 euro, anche questa non oggetto di specifica imputazione, non rileva ai fini della sussistenza o meno del reato, perche' intervenuta dopo la consumazione dello stesso (1) ; C) Il fatto non puo' ritenersi di particolare tenuita' ai sensi dell'art. 131-bis c.p., neppure tenendo conto del comportamento successivo ai fatti, come ora consentito a seguito delle modifiche apportate alla citata norma dall'art. 1, comma 1, lett. c) del decreto legislativo n. 150/2022. L'offesa non puo' infatti ritenersi di particolare tenuita', non potendo considerarsi tale quella conseguente all'appropriazione dell'importo di 200 euro (2) , per di piu' ai danni di un privato cittadino (tra l'altro straniero e con tre figli, di cui uno autistico). Ulteriore profilo di gravita' attiene alla commissione del fatto nell'ambito dell'esercizio di un'attivita' professionale (intermediazione immobiliare), con riferimento peraltro alle somme di denaro corrisposte in relazione alla locazione di un immobile da adibire ad abitazione e dunque per soddisfare un bisogno fondamentale (non concluso il contratto in relazione al quale la somma di denaro era stata corrisposta, il aveva la necessita' di prendere in locazione altra abitazione). A fronte di tali elementi, il semplice fatto che - dopo la proposizione della querela da parte della persona offesa - l'imputato abbia restituito la somma di 200 euro non vaie a rendere di particolare tenuita' l'offesa (diversamente si arriverebbe alla conclusione che - qualunque sia la gravita' di un reato contro il patrimonio - la restituzione del maltolto o il risarcimento del danno varrebbero sempre a rendere di particolare tenuita' l'offesa). Del resto, nell'ambito della condotta susseguente al reato, occorre altresi' considerare che prima di corrispondere i citati 200 euro l'imputato ha posto in essere plurime condotte dilatorie, arrivando a consegnare un titolo di credito non valido. D) Parimenti non puo' ritenersi integrata la causa estintiva del reato costituita dalle condotte riparatorie ex art. 162-ter c.p. Il reato in contestazione e' procedibile a querela e, gia' poco dopo la presentazione della querela (e dunque prima dell'apertura del dibattimento), l'imputato ha corrisposto alla persona offesa la somma di 200 euro. Pur imputando il citato importo alla restituzione del deposito cauzionale (in realta' non risulta un'imputazione specifica ne' da parte del F , ne' da parte del ), cio' non pare sufficiente a riparare interamente il danno cagionato dal reato. Anche a prescindere dagli interessi maturati sulla somma, va infatti considerato il danno morale certamente derivato dal reato in capo al : questi - fiducioso nella possibilita' di locare l'immobile (di cui aveva urgente bisogno per esigenze familiari) - non solo non ha ottenuto la disponibilita' dell'appartamento, ma ha anche perso parte della somma di denaro corrisposta al F in relazione alla citata operazione, dovendo poi inseguire quest'ultimo vanamente per un lungo periodo di tempo prima che l'imputato gli corrispondesse i 200 euro restanti. D'altro canto la somma di 200 euro non era l'unica che il F dovesse rendere al , che vantava il diritto alla restituzione altresi' dei 700 euro versati in relazione al futuro compenso del mediatore: a maggior ragione bisogna dunque ritenere che la perdita di una parte del deposito cauzionale abbia causato al frustrazione e sconforto. Nulla e stato viceversa corrisposto alla persona offesa a titolo di risarcimento del danno morale. Non si puo' quindi ritenere che il danno sia stato interamente riparato. Del resto, il compiuto risarcimento anche del danno morale (e in generale del danno non patrimoniale) pare essenziale per la tenuta del sistema e in particolare perche' le norme incriminatrici dei reati perseguibili a quercia mantengano la propria efficacia dissuasiva: e' infatti evidente che - se non fosse necessario il risarcimento di detto danno per poter beneficiare della causa di estinzione del reato ex art. 162-ter c.p. - per molti di tali reati la comminatoria penale perderebbe ogni effetto deterrente: ove scoperto, l'autore di un reato contro il patrimonio perseguibile a querela potrebbe infatti limitarsi a restituire il provento del reato per andare esente da pena; nei casi di tentativo, come anche nei casi di reati lesivi solo della liberta' morale (ad es. minacce, violenza privata, ecc.), il reo non dovrebbe compiere neppure tale gesto. E) quanto alla determinazione dcl trattamento sanzionatorio, per poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 646, comma 1 c.p. nella parte in cui prevede la punizione «con la reclusione da due a cinque anni» oltre multa anziche' «con la reclusione da sei mesi a cinque anni», oltre multa. Cio' premesso. Osserva L Rilevanza della questione 1.1 Il delitto di appropriazione indebita in esame si e' consumato nella primavera allorche' era gia' in vigore la formulazione dell'art. 646 c.p. introdotta dall'art. 1 co. 1, lett. u), legge n. 3 del 9 gennaio 2019. E' dunque rilevante la questione della legittimita' del trattamento sanzionatorio introdotto dalla citata novella, con particolare riguardo al minimo edittale della pena detentiva. 1.2 La questione pare tanto piu' rilevante nella misura in cui - se pur non puo' ritenersi applicabile la causa di non punibilita' ex art. 131-bis c.p. - lo specifico fatto di reato ora in esame risulta comunque di' graviti contenuta, in ragione dell'entita' della somma di denaro oggetto dell'appropriazione. 1.3 In definitiva per l'imputato andrebbe individuata una pena base prossima al minimo edittale (la riparazione non integrale del danno pare rendere meritevole l'imputato del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da bilanciarsi in termini di prevalenza rispetto alla circostanza aggravante ex art. 61, n. 11 c.p.). E' quindi rilevante la questione della legittimita' della pena detentiva minima di anni due di reclusione; in particolare, si auspica un intervento manipolativo della Corte costituzionale che sostituisca detta pena edittale minima con quella di mesi sei di reclusione. 2. Non manifesta infondatezza 2.1 Si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 646, primo comma c.p., limitatamente alla previsione di anni due di reclusione come minimo edittale della pena detentiva. Benche' anche la comminatoria della pena pecuniaria presenti dei profili di possibile incongruenza, con la presente ordinanza si intende censurare minimo edittale della sola pena detentiva. In ragione dei diversi beni su cui le due pene incidono e dell'importo tutto sommato non spropositato della multa, si ritiene infatti di dover concentrare le censure sulla sola pena detentiva, suscettibile di limitare in misura irragionevole la liberta' personale dell'individuo. 2.2 La stesura attuale della norma clic prevede e punisce il reato di appropriazione indebita e' il risultato della modifica occorsa con l'art. 1, comma 1, lett. u) della legge n. 3 del 9 gennaio 2019. Con tale intervento il legislatore ha previsto per il reato di appropriazione indebita la pena della reclusione da due a cinque anni e della multa da euro 1.000 a euro 3.000. in luogo alla previgente cornice edittale (pena della reclusione tino a tre anni e della multa fino ad euro 1,032). 2.2.1 L'inasprimento sanzionatorio e' stato inserito dal legislatore all'interno di un piu' ampio sistema di misure volte a contrastare i reati contro la Pubblica amministrazione, attraverso il quale, con la modifica dell'art. 649-bis c.p. e' stata altresi' prevista la procedibilita' d'ufficio per talune ipotesi di appropriazione indebita. 2.2.2 Nell'ambito di un intervento tanto articolato non pare che il singolo profilo ora in esame sia stato oggetto di particolare approfondimento: l'art. l dell'originario disegno di legge C 1189 non prevedeva alcuna modifica dell'art. 646 c.p.; l'introduzione nel citato art. 1 della lettera p-bis) - poi diventata lettera u) -, con cui si e' inasprito il trattamento sanzionatorio dell'appropriazione indebita, e' avvenuta in sede di commissione referente con l'emendamento 1.120, avanzato nella seduta del 5 novembre 2018 e approvato nella seduta del 15 novembre 2018; nel corso dei successivi esami in assemblea, tanto alla Camera dei Deputati quanto in Senato e poi nuovamente in seconda lettura alla Camera, la disposizione in questione sarebbe poi rimasta immutata. 2.2.3 Una disamina - probabilmente non esaustiva - dei lavori preparatori non ha consentito a questo giudice di rinvenire l'esplicitazione dei motivi per cui la cornice edittale dell'appropriazione indebita - reato piuttosto frequente e dunque di rilevanza pratica certamente non marginale - era mutata in termini tanto significativi (il minimo edittale della pena detentiva era aumentato di ben 48 volte). 2.2.4 La ragione di un simile intervento e' forse da rintracciare nella volonta' del legislatore di colpire pii severamente le attivita' prodromiche ai fenomeni corruttivi. Sebbene l'appropriazione indebita sia inserita tra i delitti contro il patrimonio e non contro la Pubblica amministrazione, dal dibattito parlamentare relativo alla modifica del regime di procedibilita' emerge che ad avviso dei legislatore tale reato sarebbe talora realizzato in funzione della successiva attivita' corruttiva, con la sostanziale creazione di provviste illecite cui poi attingere per pagare il prezzo della corruzione. 2.3 Tale disciplina normativa pare violare i precetti di cui agli artt. 3 e 27, comma. 3 Costituzione, sia per cio' che attiene al generale principio di uguaglianza, sia sotto il profilo della proporzionalita' intrinseca del trattamento sanzionatorio. Ad avviso di questo giudice l'art. 646 c.p. impone l'inflizione di una pena irragionevole in relazione alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in altre fattispecie offensive del bene giuridico patrimoniale, e pare inoltre che un minimo edittale cosi' significativamente elevato impedisca al giudice di applicare una pena adeguata a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultino essere caratterizzate da una lesivita' modesta. Da questo punto di vista, si deve fin da ora rilevare che, mentre il legislatore nell'innalzare i limiti edittali ha preso in considerazione (verosimilmente) gli episodi di appropriazione indebita connessi a fenomeni corruttivi, in realta' nella previsione della norma incriminatrice ricadono anche molti altri fatti, ben piu' banali e di minore portata offensiva. In ragione della formulazione lata e generica della norma incriminatrice - sotto il profilo sia della condotta («si appropria»), sia dell'ometto della stessa («il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso», sia del dolo specifico richiesto («per procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto») - e' infatti agevole immaginare dei fatti di lieve entita' che ricadano nella fattispecie incriminatrice, che nulla abbiano in particolare a che fare con fenomeni corruttivi. ln effetti, i processi per appropriazione indebita che normalmente impegnano i giudici di merito e di legittimita' riguardano fatti di appropriazione commessi dai conduttori ai danni dei proprietari dei beni dati in locazione (ad es. Cass. Sez. 2 n. 23176 del 9 aprile 2019 Rv. 276329 - 01. Cass. Sez. 2, n. 36113 del 27 giugno 2017 Rv. 271003 - 01. Cass. Sez. 2, n. 10991 del 6 dicembre 2012 Rv. 255155 - 01. Cass. Sez. n. 4958 del 22 dicembre 2011 Rv. 251807 - 01. Cass. Sez. 2, n. 36897 del 5 luglio 2011 Rv. 251143 - 01) o in leasing (ad es. Cass. Sez. 2, n. 25288 del 31 maggio 2016 Rv. 267114 - 01, Cass. Sez. 2. n. 5809 del 5 dicembre 2013 Rv. 258265 - 01, Cass. Sez. 2, n. 13347 del 7 gennaio 2011 Rv. 250026 - 01, Cass. Sez. 2, n. 38604 del 20 settembre 2007 Rv. 238163 - 01), o dai professionisti o lavoratori rispetto alle somme o ai beni loro consegnati a vario titolo (ad es. Cass. Sez. 4 - n. 23129 del 12 maggio 2022 Rv. 283280 - 01, Cass. Sez. 2, n. 44244 del 19 settembre 2018 Rv. 274079 - 01, Cass. Sez. 2, n. 23347 del 3 maggio 2016 Rv. 267086 - 01, Casa. Sez. 2, n. 25281 del 31 maggio 2016 Ud. Rv. 267013 - 01 Cass. Sez. 2, n. 44650 del 24 settembre 2015 Rv. 264899 - 01, Cass. Sez. 2, n. 5499 del 9 ottobre 2013 Rv. 258220 - 01). La scelta del legislatore di aumentare ii massimo edittale non pare irragionevole, avuto riguardo al disvalore dei fatti piu' gravi suscettibili di ricadere nella fattispecie incriminatrice (in particolare quelli collegati a fenomeni corrottivi); il citato innalzamento tra l'altro rende ora possibile l'applicazione di misure cautelari coercitive, prima non consentita se non nei (piuttosto rari) casi di arresto facoltativo in flagranza di reato. La modifica appare invece manifestamente irragionevole con riguardo al notevole incremento del minimo edittale, avuto riguardo ai possibili (e assai numerosi nella pratica) casi di minore gravita', non adeguatamente presi in considerazione dal legislatore, forse proprio perche' l'intervento riformatore si e' inserito nel quadro del sistema di misure volte a contrastare i reati contro la Pubblica amministrazione. 2.4.1 Quanto al primo profilo di possibile illegittimita', occorre preliminarmente richiamare in breve quanto a piu' riprese affermato dalla Corte costituzionale nelle pronunce in cui e' stata chiamata a valutare la legittimita' della pena alla luce del franamento previsto dal legislatore per altre fattispecie. La valutazione della ragionevolezza delle scelte del legislatore in ordine alla dosimetria sanzionatoria trae origine dal principio di eguaglianza ex art. 3 Costituzione. Tale principio costituzionale impone di trattare in maniera eguale fattispecie aventi un analogo disvalore e di prevedere trattamenti sanzionatori diversi per fatti con un diverso disvalore. Ferma restando l'ampia discrezionalita' di cui gode il legislatore in materia penale, in ordine sia alla scelta dei fatti da «criminalizzare» che alle pene da comminare, la Corte sin dalla sentenza n. 218 del 1974 ha fatto ricorso allo strumento della dichiarazione di incostituzionalita', per contrarieta' all'art. 3 Costituzione, al fine di elidere le scelte sanzionatorie che in maniera non ragionevole operavano una parificazione, in punto di pena, di condotte aventi un diverso disvalore. A partire dalla successiva sentenza numero 176 del 1976 la Consulta e' inoltre intervenuta con una pronuncia di incostituzionalita', per violazione del principio di eguaglianza anche su trattamenti sanzionatori valutati come irragionevolmente piu' severi di quelli previsti per altro reato meno grave, all'uopo individuato dal rimettente quale tertium comparationis. 2.4.2 Lo stesso parametro di costituzionalita' dell'art. 3 Costituzione, e' stato poi impiegato nella sentenza n. 409 del 1989. In tal caso la Corte ritenne irragionevole la scelta del legislatore di sanzionare in maniera piu' grave il reato di rifiuto del servizio militare di leva per motivi di coscienza (art. 8, legge n. 772 del 1972), rispetto alla cornice edittale meno grave allora prevista per coloro che mancavano alla chiamata senza alcuna motivazione art. 151 c.p.m.p.). Tali reati, ad avviso dei giudici. erano stati posti a tutela di uno stesso interesse e la differenza in punto di pena, legata solamente all'esplicitazione dei motivi di coscienza alla base del rifiuto alla chiamata, era da ritenersi una scelta legislativa manifestamente irragionevole. Il criterio della contrarieta' ai principio di eguaglianza per la sperequazione irragionevole del trattamento sanzionatorio tra fattispecie tra loro omogenee e' stato poi piu' volte impiegato dalla Corte, da ultimo nella sentenza n. 244 del 2022. 2.4.3 Stante il consolidato orientamento della Corte sul punto, il minimo edittale previsto dal legislatore per il reato di appropriazione indebita (due anni di reclusione), pare irragionevolmente sproporzionato rispetto al «limite inferiore» della pena previsto per fattispecie di aggressione integrita' patrimoniale equiparabili al reato di appropriazione indebita e di gravita' simile (se non superiore). 2.5 Venendo al delitto di cui all'art. 646 c.p., il trattamento sanzionatorio per lo stesso previsto appare raffrontabile in primo luogo con quello dettato per il delitto di furto di cui all'art. 624 c.p. I due reati condividono innanzitutto l'oggetto giuridico tutelato, il patrimonio. Entrambi sono inoltre riconducibili alla categoria dei delitti di danno, richiedendo il concretizzarsi di una effettiva offesa al bene giuridico oggetto di tutela. Condiviso e' anche l'elemento soggettivo del dolo specifico, il fine di profitto (non pare al riguardo significativa la circostanza che per il delitto di appropriazione indebita - come per quello di truffa - sia richiesto un «ingiusto profitto», laddove per il furto e' previsto semplicemente il fine di trarne «profitto», posto che nella quasi totalita' dei casi di furto il «profitto» e' anche «ingiusto»); per entrambi i reati la Corte di Cassazione ha precisato come detto profitto non debba necessariamente avere natura patrimoniale. 23.1 Le due fattispecie confrontate si distinguono percio' in ragione dei diversi presupposti della condotta, nonche' per le conseguenti modalita' di azione del soggetto attivo, circostanza quest'ultima che e' rispecchiata anche dalla diversa collocazione all'interno del Titolo XIII del Libro II del codice penale, il furto nel Capo I «Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone», l'appropriazione nel Capo II «Dei delitti contro il patrimonio mediante frode». Quanto al primo profilo, il furto presuppone la detenzione della cosa da parte di un terzo, da intendersi come la disponibilita' materiale o la possibilita' di instaurarla ad libitum, nonche' l'assenza della disponibilita' materiale (o quanto meno l'assenza di una disponibilita' materiale autonoma) da parte dell'agente. Viceversa, l'appropriazione presuppone la preesistenza in capo all'agente del possesso della cosa e' da intendersi non in senso civilistico), con volonta' di tenerla per conto di altri, in ragione di un qualsiasi titolo lecito e derivativo, che comporti l'affidamento della stessa. Conseguentemente, le diverse situazioni fattuali presupposte ai due reati comportano diverse modalita' di aggressione al bene tutelato. In caso di furto si' e' in presenza della sottrazione della cosa oggetto dell'altrui detenzione, mediante una condotta capace di infrangere la relazione materiale presupposta o rendere impossibile l'instaurazione della stessa ad libitum, a cui segue l'impossessamento da parte del soggetto agente della cosa sottratta. Nel delitto ex art. 646 c.p. la condotta consiste invece nella «interversione del possesso» da parte di colui che gia' dispone materialmente della cosa nomine alieno e che muta il proprio animus disponendo della cosa come se fosse propria ed estrinsecando tale interversione mediante il compimento di atti di signoria. 2.5.2 Ebbene. stante quanto sopra esposto, il delitto di furto pare ampiamente idoneo a fungere da tertium comparationis ai fini che qui interessano, non essendo una fattispecie residuale, bensi presentando una pluralita' di elementi che lo accomunano alla fattispecie oggetto della presente ordinanza (3) . In ragione di tale analogia, la previsione del minimo edittale di due anni di reclusione per l'appropriazione indebita risulta irragionevolmente sproporzionata rispetto alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore per la fattispecie di cui all'art. 624 c.p., per la quale la pena minima e' fissata in mesi sei di reclusione. Come gia' rilevato, entrambe le condotte punite rappresentano una forma di aggressione al medesimo bene giuridico, il patrimonio. Questo e' aggredito in maniera unilaterale dal soggetto attivo e la consumazione comporta in entrambe le ipotesi la perdita, totale o parziale, della cosa oggetto della condotta del reo. La scelta del legislatore di differenziare in maniera cosi' marcata i limiti inferiori delle due cornici edittali, l'uno il quadruplo dell'altro (due anni - sei mesi), non appare adeguatamente giustificata dalla diversa modalita' di aggressione richiesta nei due delitti. 2.5.3 in particolare, la caratteristica della condotta di appropriazione indebita, consistente nell'approfittamento della preesistente disponibilita' autonoma del bene da parte del soggetto attivo, non pare giustificare lo iato sanzionatorio sopra evidenziato. quanto meno rispetto alle ipotesi meno gravi e meritevoli di un trattamento sanzionatorio prossimo al minimo edittale. Mediante l'appropriazione indebita il reo lede il patrimonio della vittima approfittando della particolare posizione di disponibilita' della cosa, a lui affidata a «qualsiasi titolo» e sulla base di un rapporto inevitabilmente fiduciario, in conseguenza del quale vi e' una tendenziale esiguita' di controllo da parte della vittima. 2.5.4 Viceversa il furto, presupponendo la non disponibilita' autonoma del bene in capo al soggetto agente, richiede quale elemento aggiuntivo la sottrazione: si tratta certamente di un elemento portatore di un quid pluris in termini di disvalore del fatto, in relazione alla violazione da parte dell'agente della sfera della disponibilita' materiale della vittima (si' consideri che e' il dato della compiuta sottrazione o meno della cosa che ad esempio costituisce il discrimine tra rapina impropria consumata e rapina impropria solo tentata, con le notevoli conseguenze che ne derivano in termini sanzionatori). Inoltre, il furto normalmente si verifica in una situazione di clandestinita'. La sottrazione e l'impossessamento comportano una violazione della intangibilita' dei patrimonio della vittima che tendenzialmente si verifica su cose non sottoposte alla sorveglianza diretta del proprietario o del detentore; anche in tale caso dunque la persona offesa puo' avere notizia del reato patito a distanza di tempo dalla consumazione. 2.5.5 Merita ancora porre attenzione alla qualita' del soggetto agente. che assieme agli altri elementi essenziali contribuisce a determinare il disvalore del reato. Nelle ipotesi di appropriazione, presupposto necessario alla commissione dei reato e' che il reo abbia la pregressa detenzione nomine alieno della cosa. Tale disponibilita' deve essere stata ottenuta mediante un qualsiasi titolo, purche' penalmente lecito, derivativo, non originario e non traslativo della proprieta'. Nonostante l'espressione letterale «chiunque» utilizzata dalla norma, la peculiarita' del soggetto agente dell'appropriazione indebita, e la conseguente identificazione o identificabilita', rappresentano ulteriore elemento di riflessione in ordine alla ragionevolezza della scelta sanzionatoria. A fronte della certezza sull'identita' del soggetto agente nel reato di appropriazione indebita, il furto e' invece qualificatile come reato comune, potendo essere commesso da qualsiasi persona. Tale elemento non puo' che essere considerato nella comparazione della gravita' delle due fattispecie. In particolare, la maggiore facilita' di commissione dell'appropriazione e' senza dubbio bilanciata dall'agevole individuazione dell'identita' del soggetto agente (cio' che rende anche piu' semplice il recupero del bene); tale dato viceversa non ricorre per il furto, che sconta l'indeterminatezza del reo, e di conseguenza una maggiore difficolta' di individuazione del responsabile ed un ostacolo all'esercizio dell'autodifesa da parte della vittima, non solo immediatamente, ma anche successivamente al fine di recuperare quanto perso in ragione del reato. 2.5.6 Anche ponendosi nella prospettiva del soggetto agente. l'appropriazione indebita risulta meno grave del furto. Posto che il delitto ex art. 646 c.p. presuppone la preesistente disponibilita' materiale del bene, la condotta di appropriazione denota una minore capacita' a delinquere in capo al soggetto agente, che si «limita» a convertire il proprio possesso in proprieta', senza spingersi - come invece avviene nel furto - ad intromettersi unilateralmente nella sfera della disponibilita' materiale della persona offesa. 2.5.7 In definitiva, fatti salvi taluni episodi particolari che forse giustificano per la loro gravita' l'innalzamento del massimo edittale, nella normalita' dei casi l'appropriazione indebita presenta un disvalore inferiore (o al piu' pari) al reato di furto, cosi' rendendo priva di' ogni ragionevolezza la previsione di un minimo edittale piu' elevato. 2.5.8 Si consideri infine che e' vero che per il delitto di furto il legislatore ha previsto numerose circostanze speciali ad effetto speciale, la cui integrazione determina un severo inasprimento sanzionatorio. Tuttavia, come ha rilevato la stessa Corte costituzionale. il legislatore pur non affrontando una riforma integrale del codice Rocco - per adeguarsi al mutato sistema di valori fatto proprio dal Costituente si e' «affidato prevalentemente al potere discrezionale del giudice, essenzialmente con la modificazione del quarto e del quinto comma dell'art. 69 cod. pen., nel senso di eliminare le limitazioni poste al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Infatti, «con la nuova formulazione dell'art. 69 cod. pen., le aggravanti del furto possono essere neutralizzate anche dalle sole attenuanti generiche che, se del caso, il giudice puo' persino dichiarare prevalenti. La gravita' di questo delitto e' attualmente, percio', soltanto nell'astratta comminazione della pena, ma non lo e' piu' nella realta' dell'esperienza giuridica, come ben dimostra la casistica giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali» (cosi' Corte costituzionale sentenza n. 259 del 2021, che richiamava la sentenza n. 268 del 1986). Nel caso dell'appropriazione indebita, viceversa l'inasprimento sanzionatorio si e' esplicato non nella previsione di circostanze aggravanti, eventualmente ad effetto speciale, bensi' attraverso un innalzamento del minimo (e del massimo) della cornice edittale base. Pertanto, mentre per il furto il significativo rigore della comminatoria legale puo' essere di fatto neutralizzato attraverso il giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti - comprese le circostanze attenuanti generiche eventualmente riconoscibili in ragione della limitata gravita' del singolo fatto concreto - con riguardo all'appropriazione indebita tale mitigazione non e' possibile, se non nella misura limitata della normale incidenza delle circostanze attenuanti sui limiti edittali. Conseguentemente, mentre per il furto pur pluriaggravato la pena, per effetto del riconoscimento ad esempio delle circostanze attenuanti generiche, puo' assestarsi sul minimo «finale di sei mesi (o essere anche inferiore in caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti), per l'appropriazione indebita anche riconoscendo le circostanze attenuanti generiche (eventualmente prevalenti sulle possibili aggravanti) la pena minima non puo' essere inferiore ad anni uno e mesi quattro di reclusione (piu' del doppio della pena minima prevista per il furto). 2.6 E' possibile un'ulteriore riflessione in ordine alla proporzionalita' estrinseca della pena minima edittale prevista per l'approvazione indebita, considerando come ulteriore tertium comparationis il delitto di truffa di cui all'art. 640 c.p., e realizzando cosi' una «triangolazione» utile ai fini della valutazione della ragionevolezza della scelta legislativa in punto di trattamento sanzionatorio. La truffa, offensiva del patrimonio al pari del furto e dell'appropriazione indebita, e' prevista - come quest'ultima - nel capo «Dei delitti contro il patrimonio mediante frode». La forma non aggravata della truffa inoltre, nelle valutazioni del legislatore, pare avere un disvalore coincidente con il furto non aggravato, condividendo con questo la cornice edittale della pena detentiva (reclusione da sei mesi a tre anni). 2.6.1 Anche la truffa pare idonea a costituire un utile termine di raffronto per l'appropriazione indebita. Entrambi i delitti sono reati di danno e colpiscono il medesimo bene giuridico, La truffa non richiede il dolo specifico (bensi' e' caratterizzata dal dolo generico, ossia la coscienza e volonta' di indurre taluno in errore, mediante artifici e raggiri, si' da determinarlo a compiere un atto di disposizione patrimoniale), in quanto l'altrui danno e l'ingiusto profitto sono gia' ricompresi nell'elemento oggettivo del reato e piu' precisamente sono individuati come conseguenza della condotta del reo e della persona indotta in errore (normalmente la stessa persona che subisce il danno, ma non necessariamente). 2.6.2 Come gia' precedentemente osservato, nell'appropriazione indebita il soggetto agente approfitta della preesistente disponibilita' del bene, derivante dal precedente atto dispositivo della vittima e dalla fiducia che la stessa ha riposto nel soggetto attivo; nella truffa l'aggressione al patrimonio si verifica con la cooperazione dell'offeso, che compie un atto dispositivo per effetto dell'alterazione della realta' esterna o dei raggiri posti in essere dal reo. In altri termini, il truffatore non si limita ad approfittare di una situazione preesistente, determinatasi lecitamente; al contrario, attraverso i propri artifici o raggiri fa sorgere nella vittima la fiducia necessaria ad indurla a compiere l'atto di disposizione patrimoniale. 2.6.3 Il disvalore individuato nella fattispecie appropriativa, il cui compimento va a minare la certezza nei rapporti di affidamento tra consociati, pare dunque nettamente inferiore rispetto al disvalore caratterizzante la truffa, o quanto meno non superiore. Anche la fattispecie della truffa e' infatti posta a presidio della certezza nei rapporti economici trai soggetti, la quale viene minacciata dalla condotta di coloro che pongono in essere artifici o raggiri al fine di ottenere la disposizione patrimoniale del terzo. 2.6.4 Inoltre, come gia' sottolineato per il furto, anche la truffa puo' essere posta in essere da persone che travisano la propria identita' o che spesso rimangono comunque ignote, potendo la stessa essere realizzata (e normalmente cosi' e') in situazioni in cui il reo e la vittima non hanno un pregresso rapporto di conoscenza. Tale elemento, non presente invece normalmente nelle ipotesi di appropriazione indebita le quali presuppongono una traslazione mediante un titolo lecito, deve essere indubbiamente considerato ai fini della valutazione della gravita' delle due fattispecie e della conseguente comparazione dei trattamenti sanzionatori. 2.6.5 Il difetto di ragionevolezza nella scelta dei legislatore emerge altresi' avendo riguardo alla fattispecie aggravata di cui agli artt. 640, comma 2, n. 2-bis e 61, n. 5 c.p., per la quale il legislatore ha previsto come minimo edittale la pena di' un anno di reclusione. Alla gravita' della truffa, di cui si e' detto, si aggiunge in tal caso un ulteriore profilo di disvalore, ovvero l'aver approfittato della minorata difesa della persona offesa (in ragione di circostanze di tempo, di luogo o di persona), che rende piu' agevole il compimento del reato e la sottrazione alle conseguenze del medesimo. A maggior ragione risulta dunque irragionevole il minimo edittale previste per l'appropriazione indebita, pari ad anni due di reclusione, e cioe' al quadruplo di' quello previsto per la truffa base e al doppio di quello previsto per la truffa aggravata dalla minorata difesa della persona offesa. 2.6.6 E' necessaria formulare un'ultima riflessione, originata dalla fattispecie in concreto oggetto del presente processo, che risulta proficua ai fini della valutazione delle scelte sanzionatorie del legislatore. L'imputato mediante la stipula della proposta di locazione si e' impegnato a mediare per la conclusione di un contratto di locazione di un immobile effettivamente esistente (visitato anche dalla persona offesa), salvo poi approfittare della fiducia naturalmente insita in tali rapporti negoziali e appropriarsi di parte del denaro ottenuto, di cui era in quel momento possessore nomine alieno. Qualora l'imputato avesse pubblicizzato un annuncio di locazione per un immobile non effettivamente esistente o comunque non nella sua disponibilita', facendo credere di poterlo concedere in locazione e determinando con tali artifizi e raggiri la vittima a compiere la dazione di denaro - qualora cioe' l'imputato avesse determinato fraudolentemente la fiducia della vittima e cosi' ottenuto il denaro oggetto di appropriazione - la sua condotta, da qualificarsi come truffa, lo avrebbe esposto ad un trattamento sanzionatorio in termini di comminatoria edittale decisamente meno severo rispetto a quello previsto per appropriazione indebita. Risulta evidente l'irragionevolezza della scelta legislativa. A fronte di due condotte offensive del medesimo bene giuridico, quella ictu oculi meno grave e' sanzionata con una pena edittale superiore (rectius: decisamente superiore). 2.6.7 Ad analoghe conclusioni si giunge considerando la capacita a delinquere del soggetto agente dell'appropriazione indebita e della truffa_ Il primo si limita ad approfittare di una situazione preesistente, per cosi' dire cedendo alla tentazione di trattenere come propria la cosa altrui; il secondo invece fin dal principio opera fraudolentemente e con un proposito criminoso. 2.7 L'ultima censura pare doversi muovere per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3 Costituzione. Dal principio di ragionevolezza-uguaglianza e dal principio della finalita' rieducativa della pena la Corte costituzionale ha enucleato il principio della necessaria proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del reato. Nelle ultime pronunce tale affermazione ha riguardato anche i profili di ragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, a prescindere dal raffronto con altre fattispecie di reato similari. 2.7.1 All'appropriazione indebita possono essere ricondotti episodi caratterizzati da una significativa carica offensiva, si pensi alle appropriazioni di cifre ingenti commesse dagli amministratori di societa' di capitali. Tale fenomenologia delle condotte appropriative ha (verosimilmente) ispirato l'intervento legislativo di riforma, che ha notevolmente innalzato i limiti edittali. Con riguardo ai citati fenomeni in ambito societario, anche in ragione del peculiare rapporto esigente tra societa' e organo gestorio, il nuovo limite massimo della pena puo' ritenersi ragionevole. La gravita' di alcune delle condotte sussumibili nella fattispecie dell'appropriazione indebita non esclude che pero' che in altre ipotesi (concretamente le piu' comuni) nel medesimo titolo di reato possano essere sussunti fatti marcatamente dissimili, che in ragione delle modalita' concrete della condotta, del diverso rapporto esistente tra soggetto agente e vittima e della consistenza dell'offesa patrimoniale appaiono di gravita' decisamente contenuta. Tali casi impongono dunque una riflessione sulla proporzionalita' della disciplina sanzionatoria dettata dal legislatore. 2.7.2 Come affermato nella sentenza della Corte n. 343 del 1993, «la palese sproporzione del sacrificio delia liberta'» provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito «produce [...] una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione». AI fine di evitare la frustrazione di tale finalita' la Corte ha piu' volte ribadito la necessita' che la pena, e dunque la cornice edittale delineata dal legislatore, sia proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili ad uno specifico tipo di reato. In tal senso, i tratti salienti del fano oggetto del presente processo (che non e' affatto eccezionale, ma anzi pare costituire un'ipotesi ordinaria di appropriazione indebita) evidenziano in modo emblematico l'eccessiva severita' della pena prevista. Il fatto appropriativo e' stato compiuto da un soggetto ben identificato e conosciuto dalla vittima, tale circostanza ha fatto si' che la stessa potesse successivamente recuperare - sia pure soltanto rivolgendosi alle autorita' e presentando la querela - il denaro oggetto di appropriazione. La lesione patrimoniale cagionata dalla condona, seppur non irrisoria, e' stata comunque contenuta. 2.7.3 In definitiva, la pena minima prevista dall'art. 646 c.p., come modificato dalla legge n. 3/2019, risulta irragionevolmente sproporzionata, non solo rispetto alle fattispecie delittuose similari precedentemente individuale, ma altresi' rispetto alla gravita' in se' del reato di appropriazione indebita, essendo manifesta l'incapacita' della attuale cornice edittale dell'art. 646 c.p., di essere adeguata rispetto alle plurime ipotesi sussumibili in detta fattispecie e prevedere per ciascuna di' esse una pena equa e capace di assolvere al necessario compito rieducativo, senza risultare eccessivamente afflittiva. 2.8 Al fine di garantire ii rispetto degli artt. 3 e 27, comma 3 Costituzione pare dunque necessario un intervento della Corte costituzionale. Pur nel rispetto della discrezionalita' del legislatore, ad avviso di questo giudice sembra necessario rideterminare il minimo edittale della pena detentiva prevista per il reato di appropriazione indebita, fissandolo in mesi sei di reclusione. Tale limite minimo edittale e' quello proprio di altre fattispecie di reato che afferiscono a fatti di aggressione patrimoniale dalle caratteristiche similari; nelle loro estrinsecazioni meno gravi il furto, la truffa e l'appropriazione indebita paiono inoltre equiparatili in punto di disvalore della condotta (o addirittura il furto e la truffa presentano un maggior disvalore), si' da far apparire congrua l'estensione all'appropriazione indebita del minimo edittale proprio delle citate fattispecie similari, potendo le stesse costituire dei «precisi punti di riferimento gia' nel sistema legislativo» (4) . Un simile intervento manipolativo ad avviso di chi scrive sarebbe rispettoso della scelta discrezionale del legislatore di inasprire il trattamento sanzionatorio precedentemente previsto per l'appropriazione indebita, ma altresi' capace di eliminare ilvulnus costituzionale sopra evidenziato e garantire una cornice edittale (reclusione da sei mesi a cinque anni) che consenta al giudice di poter adeguare la pena al caso concreto, nel rispetto della necessaria proporzionalita' della stessa. 3. Possibilita' di un'interpretazione conforme Non risultano percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato letterale. (1) In una prospettiva piu' severa, o forse piu' formale. si potrebbe sostenere che l'appropriazione indebita si sia consumata al momento della prima restituzione di 250 euro del , con riguardo all'importo residuo di 450 euro, posto che l'imputato aveva l'obbligo di restituire subito l'intero importo, che doveva essere tenuto a disposizione in considerazione del vincolo imposto, senza che possa rilevare ai fini dell'integrazione o meno del reato l'ulteriore restituzione di 250 euro avvenuta il ; le conclusioni comunque non muterebbero ai fini in esame. (2) La Corte di Cassazione ha negato l'applicabilita' della circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 c.p. anche in relazione ad importi decisamente piu' bassi; si vedano, tra le altre, Cass. n. 6635 del 19 gennaio 2017, Cass. n. 6571 del 21 novembre 2019 e Cass. n. 3346 del 29 novembre 2019. (3) Tale caratteristica deve essere presente affinche' la fattispecie individuata a quo possa essere presa a riferimento come tertium comparationis, Corte costituzione, sentenza n. 68 del 2012. (4) Cosi' la Corte costituzionale nella sentenza n. 222 del 2018.