IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                        sezione prima quater 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 5671  del  2021,  proposto  da  A.M.I.U.  Bonifiche
S.p.a.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentato e difeso  dagli  avvocati  Piero  Guido  Alpa,  Lorenzo
Cuocolo e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come  da  PEC  da
Registri di Giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio  Giovanni
Corbyons in Roma, via Cicerone, 44; 
    Contro ANAC - Autorita' nazionale anticorruzione, in persona  del
legale   rappresentante   pro   tempore,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma,
via dei Portoghesi, 12; 
    Nei confronti S.A.TER. Servizi  ambientali  territoriali  S.p.a.,
AR.A.L. in house  S.r.l.,  Alba  Ruocco,  Francesco  Chiantia,  Nadia
Toscanino, non costituiti in giudizio; 
    Per l'annullamento della delibera ANAC  3  marzo  2021,  n.  207,
comunicata  il  19  marzo  2021,  in  tutte  le  sue  statuizioni   e
prescrizioni, avente ad oggetto «Inconferibilita' ai sensi  dell'art.
7,  comma  2,  decreto  legislativo  n.  39/2013,  dell'incarico   di
amministratore delegato della societa'  A.M.I.U.  Genova  S.p.a.,  di
amministratore unico della GE.AM. S.p.a. e  di  amministratore  unico
della A.M.I.U. Bonifiche S.p.a.», nonche' di ogni  atto  presupposto,
preparatorio, conseguente  e  connesso  e  per  l'accertamento  della
nullita',  insussistenza,  inopponibilita'  e/o   inefficacia   della
declaratoria di nullita' degli atti di conferimento degli incarichi e
dei relativi contratti con le conseguenti prescrizioni,  nonche'  per
la condanna al  risarcimento  del  danno,  ex  art.  278,  codice  di
procedura civile; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  dell'ANAC  -  Autorita'
nazionale anticorruzione; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  29  novembre  2022  il
dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per  le  parti  i  difensori
come specificato nel verbale. 
I.  Sullo  svolgimento  dei   fatti,   sul   provvedimento   adottato
dall'Autorita' nazionale anticorruzione e sulle perplessita' espresse
della stessa ANAC in relazione alla ragionevolezza dell'art. 7, comma
2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 nelle parti d'interesse
nella presente vicenda (paragrafi 1-7). 
    1. L'Azienda multiservizi e d'igiene urbana Genova S.p.a.  (d'ora
in poi anche A.M.I.U. Genova S.p.a.) e' una societa'  partecipata  al
89,98% dal Comune di Genova e al 3,96% dalla Citta' metropolitana  di
Genova (e con il 6,06% di  azioni  proprie)  che  opera  nel  settore
ambientale ed eroga tutti i servizi legati alla  gestione  del  ciclo
dei rifiuti e alla tutela dell'ambiente, provvedendovi direttamente e
tramite le societa' del gruppo da essa controllato. 
    2. Il dott. Pietro Moltini e' un manager con esperienza decennale
nella gestione di  enti  pubblici  e  societa'  pubbliche  e  private
operanti nel settore ambientale, il quale -  per  quanto  di  rilievo
nella presente vicenda - e' stato: 
        a) amministratore delegato di AR.A.L. S.p.a. (poi  AR.AL.  in
house S.r.l.) societa' partecipata al 60% dal Comune  di  Arenzano  e
per il 40% da una societa' privata, dal 4 agosto  2016  al  26  marzo
2018 (su designazione del socio privato); 
        b) amministratore unico di GE.AM. S.p.a. a far  data  dal  27
marzo 2018 (societa' del Gruppo A.M.I.U.); 
        c) amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche  S.p.a.  dal  5
novembre 2018 (altra societa' del Gruppo A.M.I.U.); 
        d)  amministratore  delegato  di  S.A.TER.  S.p.a.   societa'
partecipata dal 51% dal Comune di Cogoleto e per il 49% da A.M.I.U. a
far data dal 21 giugno 2019. 
    3. In data 21 novembre 2019, il dott.  Pietro  Moltini  e'  stato
chiamato nel Consiglio di amministrazione di A.M.I.U. Genova  S.p.a.,
nel quale - a far data dal 6 luglio 2020 - ha assunto le funzioni  di
vicepresidente. 
    4. Con nota 10 febbraio 2020,  prot.  n.  1631,  A.M.I.U.  Genova
S.p.a.  ha   chiesto   all'ANAC   di   rendere   parere   in   ordine
all'intendimento del Comune di Genova «nella sua qualita' di soggetto
pubblico che detiene la totalita' della partecipazione  di  controllo
di AMIU e di AMIU Bonifiche e  una  partecipazione  maggioritaria  in
GEAM» di procedere alla nomina del dott. Moltini - come si e'  notato
gia' amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e di GE.AM.  -
quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova S.p.a. «e  cioe'  la
societa' capogruppo controllante» per «evidenti ragioni di  efficacia
dell'azione  amministrativa  e  di  concentrazione  del   potere   di
attuazione delle scelte  provenienti  dal  Comune  e  di  complessiva
razionalizzazione e di contenimento dei costi gestionali». 
    Nella stessa nota, la societa' ha evidenziato che tale parere  si
rendeva necessario poiche' tale soluzione poteva  «essere  ostacolata
da un'interpretazione restrittiva delle norme contenute dall'art.  7,
comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, che potrebbe prefigurare una
situazione di [inconferibilita']» che, tuttavia,  si  sarebbe  a  sua
volta  posta  in  contrasto   con   «i   principi   discendenti   dal
sopravveniente  decreto  legislativo  n.  175/2016   sulle   societa'
pubbliche, laddove (cfr. art. 11,  comma  11)  le  nomine  riguardano
societa' infragruppo». 
    5. Con successivo atto del 6 novembre 2020, l'Autorita' nazionale
anticorruzione ha comunicato ad A.M.I.U. Genova S.p.a. l'avvio «di un
procedimento di vigilanza relativo ad una possibile  inconferibilita'
degli incarichi detenuti  dal  dott.  Moltini  presso  GE.AM.  S.p.a.
A.M.I.U. Bonifiche S.p.a., S.A.TER. S.p.a. e A.M.I.U. Genova S.p.a.»,
ritenendo che potesse sussistere in capo al dott. Moltini: 
        a) un'ipotesi di inconferibilita' ex art. 7, comma 2, lettera
d), decreto legislativo n. 39/2013  dell'incarico  di  amministratore
delegato e di vicepresidente della societa'  A.M.I.U.  Genova  S.p.a.
(in relazione all'incarico di amministratore delegato  di  AR.AL.  in
house S.r.l.  rivestito  fino  al  31  dicembre  2018,  nonche'  agli
incarichi di amministratore unico  rivestiti  presso  GE.AM.  S.p.a.,
A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e S.A.TER. S.p.a.); 
        b) un'ipotesi di inconferibilita' ai sensi dell'art. 7, comma
2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 rispetto all'assunzione
dell'incarico di amministratore unico presso GE.AM. S.p.a.,  A.M.I.U.
Bonifiche S.p.a. e  SA.TER.  S.p.a.  (in  relazione  all'incarico  di
amministratore delegato della AR.AL. in house S.r.l.). 
    6. In data 25 novembre 2020, A.M.I.U. Genova  S.p.a.  ha  inviato
all'ANAC le  proprie  osservazioni  e  ha  affermato  l'insussistenza
dell'inconferibilita', sottolineando che: 
        gli incarichi nelle societa' controllate da  A.M.I.U.  Genova
S.p.a. non potevano avere conseguenze ostative alla nomina del  dott.
Moltini quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova  S.p.a.  per
effetto dell'art. 11, comma 11, decreto legislativo n. 175/2016; 
        gli altri incarichi (presso S.A.TER. S.p.a. e AR.AL.  S.r.l.)
non potevano avere rilievo  ai  fini  dell'applicazione  delle  norme
sull'inconferibilita', in relazione alla dimensione istituzionale dei
Comuni controllanti delle  due  societa',  entrambi  con  popolazione
inferiore a 15.000 abitanti; 
        la disposizione di cui  all'art.  7,  comma  2,  lettera  d),
decreto  legislativo  n.  39/2013  doveva   essere   in   ogni   caso
interpretata e applicata in modo ragionevole e proporzionato,  tenuto
conto delle specifiche  finalita'  della  disciplina  in  materia  di
inconferibilita'. 
    7. All'esito dell'istruttoria, l'ANAC ha adottato la  delibera  3
marzo 2021, n. 207, con cui ha accertato la  non  conferibilita',  ex
art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, al dott.
Moltini  dell'incarico  di  amministratore  delegato  della  A.M.I.U.
Genova S.p.a. nonche' l'inconferibilita', sempre ex art. 7, comma  2,
lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, degli incarichi conferiti
al dott. Moltini di amministratore unico delle societa' GE.AM. S.p.a.
e A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. 
    7.1. Segnatamente, l'Autorita' ha accolto le deduzioni  difensive
dei soggetti  interessati  in  ordine  al  fatto  che  nelle  ipotesi
previste dall'art. 11, comma 11, decreto legislativo n. 175/2016  non
si applicano le ipotesi di inconferibilita' di cui all'art. 7,  comma
1, lettera d), e comma 2, lettera d), decreto legislativo n.  39/2013
e ha evidenziato, tuttavia, che tale ultima circostanza avrebbe fatto
venir meno solamente «le ipotesi di  inconferibilita'  a  favore  del
dott.  Moltini  dell'incarico  di  vicepresidente  e   dell'eventuale
conferimento dell'incarico di  amministratore  delegato  di  A.M.I.U.
Genova S.p.a. in ragione della precedente  attribuzione  al  medesimo
degli incarichi di amministratore delle societa'  A.M.I.U.  Bonifiche
S.p.a. e GE.AM. S.p.a.», notando conseguentemente che: 
        a) erano comunque inconferibili al dott. Moltini - ex art. 7,
comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 -  gli  incarichi
di vicepresidente e di amministratore  delegato  di  A.M.I.U.  Genova
S.p.a.  in  relazione   al   precedente   e   attuale   incarico   di
amministratore  delegato  della  S.A.TER.  S.p.a.  «in  quanto   ente
controllato dal Comune di Cogoleto,  rispetto  a  cui  il  Comune  di
Genova detiene solo una partecipazione minoritaria»; 
        b) erano altresi' inconferibili, ai sensi dell'art. 7,  comma
2, lettera d), decreto  legislativo  n.  39/2013,  gli  incarichi  di
amministratore unico della GE.AM. S.p.a. e della  A.M.I.U.  Bonifiche
S.p.a. in relazione all'incarico precedentemente ricoperto dal  dott.
Moltini presso AR.AL. in  house  S.r.l.  «societa'  che  non  risulta
controllata   dal   Comune   di   Genova   ne'    direttamente    ne'
indirettamente». 
    7.2. A tal proposito, l'Autorita' resistente: 
        ha evidenziato che l'art 7,  comma  2,  lettera  d),  decreto
legislativo n. 39/2013  prevede,  tra  l'altro,  che  «a  coloro  che
[nell'anno  precedente]  siano  stati  presidente  o   amministratore
delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di
province, comuni e loro forme associative della stessa  regione,  non
possono essere conferiti ... incarichi di amministratore di  ente  di
diritto privato in controllo pubblico da parte di una  provincia,  di
un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una  forma
associativa tra comuni avente la medesima popolazione»; 
        ha rilevato di aver manifestato al Parlamento  e  al  Governo
(con atto n. 4 del 10 giugno 2015) le proprie perplessita'  su  detta
previsione osservando che «il provenire da cariche in enti pubblici o
in enti di diritto privato in  controllo  pubblico  non  puo'  essere
considerato  come  una  condizione  che,  di  per   se',   pregiudica
l'imparzialita' nell'esercizio dell'incarico [e cio' anche perche'] i
nominati non sono necessariamente parte della "politica"»; 
        ha ritenuto tuttavia che, in  ragione  del  tenore  letterale
della citata disposizione, questa non  poteva  che  essere  applicata
anche nel caso di specie (cioe' con riferimento a un soggetto che non
ha mai ricoperto incarichi "politici"). 
    7.3. La stessa Autorita' ha inoltre evidenziato l'irrilevanza del
fatto  che  i  Comuni  di  Cogoleto  e  di   Arenzano   (controllanti
rispettivamente di S.A.TER. S.p.a.  e  di  AR.AL.  in  house  S.r.l.)
avessero una popolazione  inferiore  a  15.000  abitanti,  in  quanto
l'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013  non  richiede  una
soglia minima di abitanti del Comune che esercita il controllo  nella
societa' di provenienza «come invece richiesto  da  altre  parti  del
testo  normativo»,  notando   tuttavia   i   possibili   profili   di
irragionevolezza di tale disposizione «che vieta il passaggio diretto
da una societa' controllata da enti di piccole dimensioni a  societa'
controllate da  enti  di  piu',  consentendo,  invece,  il  passaggio
inverso, ossia da una societa'  in  controllo  da  enti  di  maggiori
dimensioni ad una societa' detenuta da piccoli comuni». 
    7.4. Per le superiori ragioni - tenuto conto della  natura  degli
enti e degli incarichi -  l'Autorita'  ha  accertato  la  sussistenza
delle predette inconferibilita' e la conseguente nullita' ex art. 17,
decreto legislativo n. 39/2013, degli  atti  di  conferimento  e  dei
relativi contratti e ha rimesso agli RPCT degli  enti  conferenti  la
valutazione in ordine all'elemento soggettivo  della  colpa  in  capo
all'organo conferente previsto dall'art. 18, decreto  legislativo  n.
39/2013,  invitandoli  tuttavia  a  tenere   conto,   nelle   proprie
valutazioni, «delle peculiarita' del caso di specie e  dei  possibili
profili di irragionevolezza dalla disciplina». 
II. Sul ricorso introduttivo e sulla vicenda  processuale  (paragrafi
8-11). 
    8. Con ricorso notificato il 14 maggio 2021 e iscritto innanzi  a
questo Tribunale al r.g. n. 5671/2021, A.M.I.U. Bonifiche  S.p.a.  ha
impugnato la delibera ANAC, 3 marzo 2021, n.  207  e  ne  ha  chiesto
l'annullamento,   eventualmente   previa   remissione   alla    Corte
costituzionale di alcune questioni di legittimita' dell'art. 7, comma
2, decreto legislativo n. 39/2013,  sulla  base  di  cinque  distinti
motivi in diritto. 
    8.1. Con il primo motivo di ricorso ha lamentato l'illegittimita'
dell'atto  impugnato  per  «violazione  e  falsa  applicazione  degli
articoli 1 e  7,  decreto  legislativo  n.  39/2013  interpretato  in
conformita' agli articoli 3, 4, 51 e 97 Cost. e dei generali principi
di ragionevolezza, proporzionalita' e  del  "minimo  mezzo"  [nonche'
per] violazione dell'art. 12, comma 2 delle disposizioni sulla  legge
in generale», osservando che l'ANAC aveva il dovere  di  interpretare
l'art. 7, comma 2,  decreto  legislativo  n.  39/2013  nel  senso  di
escludere la sua applicazione nell'ipotesi in cui - come nel caso  di
specie - il nominato non ha avuto incarichi politici (e cio'  appunto
anche alla luce del fatto che la stessa ANAC  aveva  notato  che  «il
provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in
controllo pubblico, anche se la  nomina  e'  stata  fatta  da  organi
politici, non puo' essere considerato come una condizione che di  per
se',   pregiudica   l'imparzialita'   nell'esercizio    dell'incarico
amministrativo [in quanto] i nominati non sono necessariamente  parte
della "politica" e quindi non  sono  sospettabili  di  apportare  una
visione parziale nell'esercizio dell'incarico»). 
    In  subordine,  ha  chiesto  a  questo  Tribunale  amministrativo
regionale di sollevare questione d'incostituzionalita' degli articoli
1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte  in  cui  prevedono
«l'inconferibilita' degli incarichi di tecnici non appartenenti  alla
politica,  senza  la  possibilita'  di  una  verifica   in   concreto
dell'eventuale  insorgenza   di   reali   conflitti   di   interesse,
pregiudizievole per la legalita' e l'efficienza»,  evidenziando  come
la stessa «risulta irragionevole e sproporzionata in  relazione  allo
scopo da perseguire e quindi, in se', contrastante con  gli  articoli
3, 4, 51 e 97 Cost.». 
    8.2. Con il secondo motivo ha lamentato la  «violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 per
difetto del presupposto del controllo pubblico  di  ente  diverso  da
A.M.I.U. Genova,  sulle  societa'  AR.A.L.  e  SA.TER  [nonche'  per]
violazione dell'art. 2.3.2 delle linee guida approvate  da  ANAC  con
delibera 8 novembre 2017 [e per] violazione del principio di liceita'
delle norme infragruppo», sostenendo - in sintesi - che  ne'  AR.A.L.
ne' SA.TER potevano essere considerate societa' in controllo pubblico
ai fini  dell'applicabilita'  della  disciplina  di  cui  al  decreto
legislativo n. 39/2013. 
    8.3. Con  il  terzo  motivo  ha  postulato  l'illegittimita'  del
provvedimento  impugnato  per  «violazione   dell'art.   7,   decreto
legislativo  n.  39/2013   e   del   principio   di   interpretazione
conservativa e costituzionalmente  orientata  nonche'  dell'art.  12,
comma 1 delle disposizioni sulla  legge  in  generale  [nonche'  per]
contraddittorieta' intrinseca», sostenendo che l'Autorita'  aveva  il
dovere di interpretare l'art. 7,  comma  2,  decreto  legislativo  n.
39/2013 nel senso di escludere la sua  applicazione  nell'ipotesi  in
cui la societa' di provenienza dell'interessato sia controllata da un
ente locale con una popolazione inferiore ai 15.000 abitanti (e  cio'
anche  in  quanto  «non  esiste  alcuna  giustificazione  logica  per
affermare che il limite minimo di 15.000 abitanti valga soltanto  per
la societa' pubblica di destinazione e  non  anche  per  la  societa'
pubblica di provenienza»). 
    In  subordine,  ha  chiesto  a  questo  Tribunale  di   sollevare
questione di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  1  e  7,
decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui non  prevedono  che
l'inconferibilita'  non  si  applichi  a  coloro  che   siano   stati
«presidente o amministratore delegato di enti di diritto  privato  in
controllo  pubblico  da  parte  di  province,  comuni  e  loro  forme
associative della stessa regione con popolazione inferiore ai  15.000
abitanti» per violazione degli articoli 3, 4, 51 e 97  Cost.  nonche'
«dei principi di proporzionalita', ragionevolezza, eguaglianza e  del
minimo mezzo». 
    8.4. Con il quarto  motivo  ha  lamentato  la  «violazione  degli
articoli 1 e 7, decreto legislativo  n.  39/2013»,  insistendo  negli
argomenti gia' spiegati nelle censure precedenti. 
    8.5. Con il quinto e ultimo motivo ha contestato la «declaratoria
di nullita' degli incarichi e le prescrizioni impartite al RPCT»  per
«illegittimita' derivata; violazione degli articoli  15  e  seguenti,
decreto legislativo n. 39/2013 [e]  incompetenza»,  sostenendo  -  in
sintesi - che l'ANAC  non  aveva  il  potere  ne'  di  dichiarare  la
nullita' degli atti di conferimento degli incarichi, ne' di rivolgere
puntuali prescrizioni al «RPCT competente» e agli «enti interessati». 
    9. Con memoria del 12 novembre 2022, l'Autorita' ha  spiegato  le
proprie  difese  e  ha  insistito  per  il   rigetto   del   ricorso,
evidenziando - tra l'altro - che S.A.TER. S.p.a. e  AR.AL.  in  house
S.r.l. sono senza dubbio societa'  in  controllo  pubblico  ai  sensi
degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013. 
    10. Con successive memorie del 17 e  del  18  novembre  2022,  le
parti hanno insistito nelle proprie posizioni. 
    11. All'udienza pubblica del 29  novembre  2022  -  all'esito  di
ampia discussione - il ricorso e' stato trattenuto in  decisione,  in
uno con gli altri ricorsi proposti da  A.M.I.U.  Genova  S.p.a.,  dal
dott. Moltini,  e  da  GE.AM.  S.p.a  avverso  la  medesima  delibera
(iscritti innanzi a questo Tribunale amministrativo regionale al r.g.
numeri 4323, 4804, e 5672 del 2022). 
III.  Sulla  non  manifesta  infondatezza  e  sulla  rilevanza  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma  2,
lettera    d),    decreto    legislativo    n.    39/2013,    nonche'
sull'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente conforme
della predetta disposizione (paragrafi 12-20). 
    12.  Il  Collegio  ritiene  che  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale  prospettate  da  parte  ricorrente   -   cosi'   come
specificate e integrate infra sub A) e B) -  siano  rilevanti  e  non
manifestamente  infondate,  sicche',  in  assenza  di  una  possibile
interpretazione costituzionalmente  conforme  della  disposizione  da
applicare alla controversia, e' doveroso  rimettere  le  stesse  alla
Corte costituzionale ai sensi e per gli effetti dell'art.  23,  legge
11 marzo 1953, n. 87. 
    D'altronde,  la  rimessione  congiunta  di  piu'   questioni   di
legittimita' costituzionale - relative a parti diverse  della  stessa
disposizione sulla base della quale l'atto gravato e' stato  adottato
e che questo Tribunale e' chiamato ad applicare (e  quindi,  come  si
dira' ancora infra sub 14 e sub 18, tutte  rilevanti  ai  fini  della
definizione  del  giudizio  a  quo)  -   risponde   a   esigenze   di
concentrazione e ragionevole durata del processo (art. 111  Cost.)  e
di buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.). 
    Sarebbe infatti del tutto irragionevole  che  il  giudice  a  quo
chiamato ad applicare una disposizione affetta in due distinte  parti
(entrambe rilevanti nell'ambito del giudizio) da diversi  profili  di
illegittimita' costituzionale, procedesse al promovimento soltanto di
una delle due questioni emerse nel giudizio, per  poi  procedere  (in
caso di mancato accoglimento della prima) in  un  secondo  momento  a
sollevare l'altra. 
    A) Sulla prima questione di legittimita' costituzionale. 
    13. Cio' premesso, non  e'  manifestamente  infondata,  in  primo
luogo, la questione di legittimita' costituzionale degli articoli  1,
comma 2, lettera f) e 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo  n.
39/2013 nella parte in cui prevedono che «a coloro che ...  nell'anno
precedente ... siano stati presidente o  amministratore  delegato  di
enti di diritto privato in controllo pubblico da parte  di  province,
comuni e loro forme associative della  stessa  regione,  non  possono
essere conferiti ... incarichi di amministratore di ente  di  diritto
privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune
con  popolazione  superiore  a  15.000  abitanti  o  di   una   forma
associativa tra comuni avente la medesima popolazione», ovvero  nella
parte in cui assimilano  i  precedenti  incarichi  di  «presidente  o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico» alla partecipazione a organi di indirizzo politico ai sensi
dell'art. 1, comma 50, lettera c, legge n. 190/2012,  per  violazione
degli articoli 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost. 
    13.1. A tal proposito, va innanzitutto osservato  che  l'art.  1,
commi 49 e 50, legge n. 190/2012 - ai fini della  prevenzione  e  del
contrasto della corruzione, nonche' della prevenzione  dei  conflitti
di interessi - ha delegato il Governo ad adottare «uno o piu' decreti
legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia  di
attribuzione  di   incarichi   dirigenziali   e   di   incarichi   di
responsabilita'   amministrativa   di   vertice    nelle    pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e  negli  enti  di
diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti  funzioni
amministrative, attivita' di produzione di beni e  servizi  a  favore
delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da
conferire   a   soggetti   interni   o   esterni    alle    pubbliche
amministrazioni,  che  comportano  funzioni  di   amministrazione   e
gestione, nonche' a modificare la disciplina vigente  in  materia  di
incompatibilita' tra i detti incarichi e lo svolgimento di  incarichi
pubblici elettivi o la titolarita' di interessi privati  che  possano
porsi  in  conflitto  con  l'esercizio  imparziale   delle   funzioni
pubbliche affidate» (cfr. art.  1,  comma  49,  legge  n.  190/2012),
indicando all'esecutivo, tra l'altro, di «disciplinare i  criteri  di
conferimento nonche'  i  casi  di  non  conferibilita'  di  incarichi
dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni  che,  per  un
congruo periodo di tempo, non inferiore ad un  anno,  antecedente  al
conferimento abbiano fatto parte di organi di  indirizzo  politico  o
abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive» (cfr. art. 1, comma 50,
lettera c, legge n. 190/2012). 
    13.2. La ratio sottesa a tale ultima specifica  previsione  della
delega  legislativa  (e  alla  conseguente  disciplina  adottata  dal
Governo, contenuta nel capo IV del decreto  legislativo  n.  39/2013)
era (ed e') duplice: per un verso, tutelare l'imparzialita' (reale  e
percepita) dell'azione amministrativa (articoli 54, 97 e  98  Cost.),
con l'introduzione di limiti all'accesso ad alcuni incarichi pubblici
di tipo gestionale e/o amministrativo connotati  da  imparzialita'  a
soggetti che si trovano in situazioni tali da ingenerare  ragionevoli
dubbi sulla loro personale imparzialita' (ovvero impedire l'esercizio
della funzione amministrativa a soggetti che appaiono  «politicamente
schierati»); per altro verso, promuovere  e  garantire  il  principio
meritocratico nella selezione dei vertici amministrativi (e quindi il
buon andamento della p.a.), ostacolando la possibilita' che le nomine
a detti incarichi siano determinate dalle  esigenze  dei  partiti  di
(ri)collocazione del proprio «personale politico» (e non invece dalla
volonta' di nominare soggetti in possesso delle competenze necessarie
per lo svolgimento di tali incarichi). 
    13.3.   La   delega   legislativa   e'   stata   esercitata   con
l'approvazione  del  decreto  legislativo  n.  39/2013,  che   -   in
attuazione della specifica previsione di cui all'art.  1,  comma  50,
lettera c, legge n. 190/2012  -  al  capo  IV  ha  disciplinato  piu'
fattispecie di «Inconferibilita' di incarichi a componenti di  organi
di  indirizzo  politico»,  e  segnatamente  le  «Inconferibilita'  di
incarichi a componenti di organo politico di livello nazionale» (art.
6); le «Inconferibilita' di incarichi a componenti di organo politico
di livello regionale e locale» (art. 7); nonche' le «Inconferibilita'
di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali» (art. 8). 
    In   particolare,   nell'individuazione    delle    ipotesi    di
inconferibilita' a componenti di organo politico  di  livello  locale
(art. 7, comma  2,  decreto  legislativo  n.  39/2013),  il  predetto
decreto legislativo ha - per un  verso  (e  in  coerenza  con  quanto
previsto dall'art. 1, comma 50, lettera  d),  legge  n.  190/2012)  -
individuato  gli  «incarichi   di   destinazione»   per   cui   opera
l'inconferibilita'  (ovvero   incarichi   il   cui   svolgimento   e'
caratterizzato da imparzialita' e possesso di specifiche  competenze)
e segnatamente: 
        «a)   gli   incarichi   amministrativi   di   vertice   nelle
amministrazioni di  una  provincia,  di  un  comune  con  popolazione
superiore ai 15.000 abitanti o di una forma  associativa  tra  comuni
avente la medesima popolazione; 
        b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni; 
        c) gli  incarichi  di  amministratore  di  ente  pubblico  di
livello provinciale o comunale; 
        d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato
in controllo pubblico da parte di una provincia,  di  un  comune  con
popolazione superiore a 15.000 abitanti o di  una  forma  associativa
tra comuni avente la medesima popolazione». 
    Per altro verso, ha individuato tre distinte  categorie  di  c.d.
«incarichi   di   provenienza»   in   relazione   ai   quali    opera
l'inconferibilita', prevedendo  che  la  stessa  si  applichi  a  tre
distinte categorie di soggetti,  ovvero  «coloro  che  nei  due  anni
precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio  della
provincia, del comune  o  della  forma  associativa  tra  comuni  che
conferisce l'incarico»,  nonche'  «coloro  che  nell'anno  precedente
abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di
un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma
associativa tra comuni avente la medesima popolazione,  nella  stessa
regione  dell'amministrazione  locale  che   conferisce   l'incarico»
(soggetti evidentemente riconducibili alla categoria  di  coloro  che
hanno fatto parte di organi di indirizzo politico o ricoperto cariche
pubbliche  elettive),  oltreche'  infine  «coloro  che  siano   stati
presidente o amministratore delegato di enti di  diritto  privato  in
controllo  pubblico  da  parte  di  province,  comuni  e  loro  forme
associative della stessa regione» (soggetti, questi ultimi, che  come
si dira' infra appaiono estranei al perimetro della delega, oltreche'
piu' in generale alla ratio della normativa). 
    Analogamente, l'art. 1, comma 2, lettera f), decreto  legislativo
n. 39/2013, ha espressamente previsto che per «componenti  di  organi
di    indirizzo    politico»,    ai    sensi     della     disciplina
sull'inconferibilita', devono intendersi anche  «gli  appartenenti  a
organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in
controllo pubblico, nazionali, regionali e locali». 
    13.4. A seguito  dell'approvazione  del  decreto  legislativo  n.
39/2013, e'  stata  subito  evidente  anche  all'Autorita'  nazionale
anticorruzione la sussistenza di un fumus di  irragionevolezza  delle
disposizioni appena indicate (tenuto conto della ratio e  dei  limiti
della delega), sicche' - come ricordato supra sub 7.4. - con atto  di
segnalazione n. 4  del  10  gennaio  2015,  la  stessa  Autorita'  ha
sottolineato  la  necessita'  «di  eliminare,   tra   le   cause   di
inconferibilita' per provenienza da cariche politiche, la provenienza
da cariche  in  enti  di  diritto  privato  in  controllo  pubblico»,
osservando che «la delega (art. 1, comma  50)  parla  di  coloro  che
"abbiano fatto parte  di  organi  di  indirizzo  politico  o  abbiano
ricoperto cariche pubbliche elettive"» e notando che «il provenire da
cariche in enti pubblici o in enti di diritto  privato  in  controllo
pubblico, anche se la nomina e' stata fatta da organi  politici,  non
puo'  essere  considerato  come  una  condizione  che,  di  per  se',
pregiudica     l'imparzialita'      nell'esercizio      dell'incarico
amministrativo [e cio' in quanto] i nominati non sono necessariamente
parte della "politica" e quindi non sono  sospettabili  di  apportare
una visione parziale nell'esercizio dell'incarico  (come  presume  la
legge nel vietare l'accesso agli  incarichi  amministrativi  per  chi
provenga da incarichi strettamente politici)». 
    13.5.  Un  analogo   suggerimento   e'   stato   avanzato   dalla
«Commissione di studio per la revisione della disciplina  vigente  in
materia di prevenzione della corruzione e di  trasparenza»  istituita
dall'ANAC che, con relazione pubblicata nel mese di luglio  2015,  ha
osservato che la legge delega aveva  «previsto  l'interessamento  dei
titolari di indirizzo politico (tanto elettivi ... quanto di  nomina)
e di coloro che sono stati investiti attraverso procedure  elettorali
(anche se, per ipotesi, non partecipassero a  funzioni  di  indirizzo
politico» e  ha  rilevato  che  «nel  caso  dei  presidenti  e  degli
amministratori, tanto degli  enti  pubblici  (si  tratta  degli  enti
pubblici diversi dalle amministrazioni territoriali; cioe' degli enti
da esse istituiti o vigilati), quanto degli enti privati in controllo
pubblico, non si riscontra nessuno di tali  presupposti:  le  cariche
non comportano, infatti, la  titolarita'  di  funzioni  di  indirizzo
politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50),  ma
piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo  (per  gli
enti pubblici) e di indirizzo politico "aziendale" (per gli  enti  di
diritto privato in  controllo  pubblico),  ma  sempre  in  attuazione
dell'indirizzo politico ricevuto; esse comunque non  sono  attribuite
attraverso elezioni». 
    13.6. Alla luce di quanto sopra rilevato, gli articoli  1,  comma
2, lettera f) e 7,  comma  2,  lettera  d),  decreto  legislativo  n.
39/2013,  nella  parte  in  cui  prevedono  l'inconferibilita'  degli
«incarichi di amministratore di ente di diritto privato in  controllo
pubblico da parte di una provincia,  di  un  comune  con  popolazione
superiore a 15.000 abitanti o di una  forma  associativa  tra  comuni
avente la medesima popolazione» per coloro che nell'anno  antecedente
sono stati «presidente o amministratore delegato di enti  di  diritto
privato in controllo pubblico da parte di  province,  comuni  e  loro
forme associative della  stessa  regione»  e  includono  quindi  tali
ultimi soggetti nel novero degli  organi  di  indirizzo  politico  ai
sensi dell'art. 1, comma 50, lettera c, legge n.  190/2012,  appaiono
porsi in  violazione  delle  disposizioni  costituzionali  richiamate
supra sub 13 per le ragioni di seguito specificate. 
    13.6.1. In primo luogo, le disposizioni appaiono confliggere  con
gli articoli 3 e 76 Cost., atteso che -  cosi'  come  rilevato  nella
citata relazione della Commissione di studio dell'ANAC - l'ipotesi di
inconferibilita' delineata dalle stesse non e' coerente con la delega
di cui all'art. 1, commi 49 e 50, lettera c, legge  n.  190/2012  che
vincolava il  legislatore  delegato  a  limitare  tale  tipologia  di
inconferibilita' soltanto a coloro che «abbiano fatto parte di organi
di  indirizzo  politico  o  abbiano   ricoperto   cariche   pubbliche
elettive». Categoria, quest'ultima, a cui non  pare  possa  ritenersi
che appartengano coloro che sono stati «presidente  o  amministratore
delegato di enti di diritto privato in  controllo  pubblico»,  atteso
che tali soggetti - come gia' rilevato dalla  Commissione  di  studio
istituita dall'ANAC - esercitano ruoli di gestione  o,  al  piu',  di
«indirizzo politico aziendale». 
    A tal proposito, il collegio e'  consapevole  del  fatto  che  la
giurisprudenza amministrativa ha, in altre occasioni, ritenuto di non
promuovere una siffatta  questione  di  legittimita'  costituzionale,
evidenziando: 
        a) che il legislatore delegato ha indicato tra gli  incarichi
da regolare «gli incarichi di amministratore di enti  pubblici  e  di
enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» (v. art.  1,
comma 50, lettera d, legge n. 190/2012); 
        b) che «per  indentificare  l'ambito  di  applicazione  della
disciplina su inconferibilita' e incompatibilita' degli incarichi  e'
a  quest'ultima  disposizione  che  si  deve  guardare,  poiche'   e'
espressamente  riferita  agli  incarichi   da   disciplinare»   (cfr.
Consiglio di Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 126 e 27  marzo  2020,  n.
2149, nonche' in termini diversi Tribunale  amministrativo  regionale
Bologna, I, 19 luglio 2018, n. 578). 
    E, tuttavia, il collegio ritiene di  non  poter  condividere  una
tale interpretazione dei criteri e principi direttivi contenuti nella
legge delega  che  sovrappone  in  una  lettura  unitaria  i  criteri
relativi agli incarichi di destinazione (di cui la legge delega  mira
a proteggere l'esercizio imparziale) contenuti nell'art. 1, comma 50,
lettera d), legge n. 190/2012  e  quelli  relativi  alla  definizione
delle cause di  inconferibilita'  (che  riguardano  quindi  gli  enti
provenienza), indicati nell'art. 1, comma 50, lettera  c),  legge  n.
190/2012. 
    E cio' anche per gli esiti contraddittori a cui conduce una  tale
lettura: e' evidente infatti - come si dira' ancora infra sub  13.6.2
- che se gli incarichi di «amministratore di enti pubblici e di  enti
di diritto privato sottoposti a controllo  pubblico»  sono  incarichi
connotati dal requisito di imparzialita' (da regolare e  «proteggere»
appunto ai  sensi  dell'art.  1,  comma  50,  lettera  d),  legge  n.
190/2012) gli stessi incarichi non  possono  costituire  allo  stesso
tempo incarichi di indirizzo politico (ovvero incarichi  naturalmente
connotati da una condizione di parzialita'). 
    13.6.2.  Inoltre,  la  fattispecie  di   inconferibilita'   sopra
indicata appare porsi in violazione degli articoli 3, 4, e 51  Cost.,
in quanto comporta in capo agli interessati  un'evidente  limitazione
del proprio diritto al lavoro (art. 4 Cost.)  nonche'  della  propria
possibilita' di accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.),  senza
che una siffatta  limitazione  appaia  proporzionata,  ragionevole  e
adeguata in relazione  alle  specifiche  finalita'  perseguite  dalla
normativa di cui agli articoli 1, commi 49 e 50, lettera c), legge n.
190/2012, e 6-8, decreto legislativo n. 39/2013. 
    Si e' gia'  detto,  infatti,  che  la  prima  finalita'  di  tali
disposizioni    e'     quella     di     tutelare     l'imparzialita'
dell'amministrazione, attraverso l'imposizione di un adeguato periodo
di raffreddamento a coloro che  si  trovano  in  situazioni  tali  da
ingenerare dubbi sulla loro personale imparzialita' (come  sono,  per
definizione, coloro che abbiano  rivestito  incarichi  politici).  E,
tuttavia, come gia' notato, la posizione di  coloro  che  sono  stati
«presidente o amministratore delegato di enti di diritto  privato  in
controllo pubblico» non e' affatto assimilabile a  quella  di  coloro
che nell'anno precedente  sono  stati  componenti  di  un  organo  di
indirizzo politico (ad es. un sindaco, una consigliera  comunale,  un
assessore, etc.), ne' tantomeno annoverabile tra quelle  di  per  se'
idonee a generare dubbi sull'imparzialita' della persona, considerato
che - come si e' gia' detto - e' proprio la normativa in  materia  di
inconferibilita' a ricomprendere gli incarichi di «amministratore  di
enti pubblici e di enti di diritto  privato  sottoposti  a  controllo
pubblico» tra quelli che devono essere esercitati  nel  rispetto  del
principio di imparzialita' (con cio' che ne consegue  in  termini  di
non politicita' dei soggetti che rivestono tali incarichi). 
    Ne consegue che  la  severa  (ancorche'  temporanea)  limitazione
imposta attraverso l'inconferibilita' in oggetto appare inadeguata al
conseguimento della (se non  addirittura  estranea  alla)  principale
finalita' perseguita dalla normativa. 
    Ancora piu' evidente appare  l'inadeguatezza  della  disposizione
rispetto   all'ulteriore   finalita'   meritocratica   sottesa   alla
normativa: e'  chiaro,  infatti,  che  la  disposizione  ostacola  la
circolazione (e le prospettive di carriera) all'interno  del  settore
pubblico di amministratori competenti ed estranei a logiche  di  mera
appartenenza politica (si pensi al giovane manager che  all'esito  di
un primo incarico svolto brillantemente presso  un  piccolo  ente  si
vede preclusa  la  possibilita'  di  immediato  accesso  a  ulteriori
incarichi di  responsabilita'  presso  altre  amministrazioni  in  un
momento cruciale della propria vita professionale), con cio'  che  ne
consegue sia  in  termini  di  disincentivo  per  i  piu'  competenti
dall'impegno nel settore pubblico (con conseguente nocumento  per  il
buon andamento della p.a.) sia in termini di  inevitabili  migrazioni
dal  settore  pubblico  a  quello  privato,  peraltro  in   direzione
biunivoca (non meno problematiche sotto  il  profilo  dei  potenziali
rischi per l'imparzialita' dell'azione amministrativa). 
    13.6.3. Sotto altro profilo - e specularmente -  la  disposizione
richiamata si pone in tensione con i principi  di  buon  andamento  e
ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 Cost. poiche' preclude  il
conferimento degli incarichi «di amministratore di  ente  di  diritto
privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune
con  popolazione  superiore  a  15.000  abitanti  o  di   una   forma
associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a soggetti che
nell'anno precedente hanno dimostrato la propria competenza in  altra
societa' pubblica, ovvero impedisce all'ente conferente di attribuire
l'incarico a chi ha gia' dimostrato «sul campo» la professionalita' e
adeguatezza   rispetto   all'incarico   da   ricoprire   (si    pensi
all'impossibilita' per un'amministrazione comunale di indicare in una
societa' partecipata che  versa  in  una  condizione  di  «crisi»  un
amministratore  che  nell'anno  precedente  ha   manifestato   grandi
capacita' nel risanamento di  altra  societa'  pubblica  che  versava
nelle medesime condizioni). 
    E cio' ancora  una  volta  senza  che  tale  preclusione  risulti
proporzionata e adeguata rispetto alle specifiche  finalita'  sottese
alla disciplina di cui all'art. 1, comma 50,  lettera  c),  legge  n.
190/2012 e al capo IV del decreto legislativo n. 39/2013 (risultando,
anzi, la stessa - come si  e'  gia'  notato  -  in  tensione  con  la
finalita' meritocratica della disciplina). 
    L'irragionevolezza della regola individuata sub 13, peraltro,  e'
tanto piu' evidente se si  considera  che  -  al  fine  di  temperare
l'impatto   della   normativa   sulla   permanenza   nella   pubblica
amministrazione di manager  dotati  di  adeguate  professionalita'  -
l'ANAC (con la delibera 27 giugno 2013, n. 48)  e  la  giurisprudenza
amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, V, 27 giugno 2018, n.  3946)
hanno specificato che il divieto sancito nella stessa opera «soltanto
per quanto riguarda l'incarico di amministratore  presso  un  diverso
ente e non impedisca invece la conferma dell'incarico gia' ricoperto»
e cio' al fine di garantire la possibilita'  che  «un  amministratore
meritevole possa essere confermato». E'  evidente,  pero',  che  tale
soluzione   -   pur   temperando   in    maniera    apprezzabile    e
costituzionalmente orientata la regola di cui all'art.  7,  comma  2,
lettera  d),  decreto  legislativo  n.  39/2013  -  conduce  a  esiti
irragionevoli in  quanto  consente  la  conferma  dell'amministratore
meritevole presso la medesima societa' e non la sua nomina  in  altra
societa' pubblica (che magari ha  maggiore  necessita'  di  una  tale
professionalita', con tutto  cio'  che  ne  consegue  in  termine  di
pregiudizio per il buon andamento della p.a.). 
    13.6.4. Infine, la disposizione sopra indicata  appare  porsi  in
tensione altresi' con gli articoli 3, 5, 97, 114 e 118 Cost. poiche',
a  tutt'evidenza,  disincentiva  i  migliori  manager  dall'accettare
incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto
privato in controllo pubblico da parte di  province,  comuni  e  loro
forme associative» di piccole dimensioni (incarichi che,  in  ragione
di tale disposizione, risultano  preclusivi  di  piu'  prestigiosi  e
delicati affidamenti nell'anno  successivo)  al  fine  di  non  veder
ostacolato il proprio successivo accesso a piu' importanti incarichi,
con cio' che ne consegue in termini  di  penalizzazione  dei  piccoli
comuni e di compressione della loro possibilita' di  rendere  servizi
pubblici adeguati (e, quindi, in ultimo, della loro autonomia). 
    13.6.5.  Infine,  fermo  restando  quanto  osservato  sopra,   il
collegio  ritiene  che,  anche  a  voler  ricondurre  la   causa   di
inconferibilita' prevista dall'art. 7, comma 2,  decreto  legislativo
n.  39/2013  per  chi  proviene  dall'incarico   di   «presidente   o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative»  alla
generalissima finalita' di prevenzione  dei  conflitti  di  interesse
sottesa alla complessiva disciplina di cui alla legge n.  190/2012  e
al decreto legislativo n. 39/2013  (e  non  invece,  come  pure  pare
necessario, alle specifiche finalita'  sottese  a  tutte  le  ipotesi
illustrate nel capo IV del decreto, cosi' come individuate supra  sub
13.2), la regola prevista da tale disposizione non possa in ogni caso
considerarsi adeguata, ragionevole e  proporzionata  rispetto  a  una
tale  generica  finalita'  (declinata  nell'ottica  di   evitare   la
possibile funzionalizzazione del precedente  incarico  amministrativo
al raggiungimento di nuovi e piu' importanti  incarichi  manageriali,
attraverso la cura di interessi impropri),  tenuto  conto  sia  della
natura    fondamentale    dei     diritti     personali     compressi
dall'inconferibilita' sopra indicata (cfr. supra sub 13.6.2), sia del
complessivo  impatto   che   la   misura   ha   sulla   funzionalita'
dell'amministrazione (cfr. supra sub 13.6.3 e  13.6.4).  Circostanze,
queste  ultime,  che  devono  essere  adeguatamente  considerate  nel
bilanciamento tra le contrapposte esigenze che vengono in rilievo  in
relazione all'istituto in oggetto. 
    14.  Cio'  chiarito  sulla  non  manifesta   infondatezza   della
questione di legittimita' sopra specificata, il collegio ritiene  che
non vi possa esser dubbio in  ordine  al  fatto  che  la  stessa  sia
rilevante (se non  addirittura  dirimente)  per  la  definizione  del
giudizio  innanzi  a  questo  Tribunale:  e  cio'  sia   perche'   il
provvedimento gravato ha come presupposto la disposizione di  cui  e'
dubbia  la  costituzionalita';  sia  perche'  le  specifiche  censure
relative all'applicazione dell'art. 7, comma 2, lettera  d),  decreto
legislativo n. 39/2013 nei confronti di soggetti che sono estranei al
mondo della politica (e la connessa questione  di  costituzionalita')
sono state poste da parte ricorrente  nel  primo  -  e  principale  -
motivo di ricorso; sia  perche',  infine,  non  appaiono  fondate  le
ulteriori censure svolte nel ricorso che consentirebbero la decisione
dello  stesso  senza  il  previo  promovimento  della  questione   di
legittimita' costituzionale. 
    15. Infine, il Collegio ritiene che non sia possibile  addivenire
a un'interpretazione costituzionalmente orientata della  disposizione
(cosi' come pure richiesto da parte ricorrente con il primo motivo di
gravame, nel quale e' stata  lamentata  l'errata  applicazione  della
disposizione da parte  di  ANAC),  tenuto  conto  del  chiaro  tenore
letterale degli articoli 1, comma 2, lettera f) e 7, comma 2, decreto
legislativo  n.  39/2013  -  che  espressamente  includono  tra   gli
incarichi di provenienza (relativi a  organi  di  indirizzo  politico
indicati dall'art. 1, comma 50, lettera  c,  decreto  legislativo  n.
190/2012) per i quali opera l'inconferibilita' quelli di  «presidente
o amministratore delegato di enti di  diritto  privato  in  controllo
pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative». 
    Cio' e' sufficiente a giustificare la rimessione della  questione
alla Corte costituzionale, atteso che da tempo la  giurisprudenza  di
quest'ultima e' consolidata nell'escludere che il mancato ricorso  da
parte del  giudice  a  quo  a  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata possa essere causa d'inammissibilita' di una  questione  di
legittimita'   «quando   vi   sia   un'adeguata   motivazione   circa
l'impedimento a tale interpretazione, in ragione del tenore letterale
della disposizione» (cfr. Corte costituzionale, 10 gennaio  2018,  n.
15 e 24 febbraio 2017, n. 42). 
    16.  Per  tutte  le  ragioni  appena  illustrate,  sussistono   i
presupposti  previsti  dall'art.  23,  legge  n.   87/1953   per   la
proposizione della questione di legittimita'  costituzionale  di  cui
alla lettera A) nei termini indicati supra sub 13. 
    B) Sulla seconda questione di legittimita' costituzionale. 
    17. Ferma l'assorbente questione di  legittimita'  costituzionale
sopra  evidenziata,  il  collegio  rileva   che   e'   altresi'   non
manifestamente infondata la questione di  legittimita'  dell'art.  7,
comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui non limita
l'ipotesi  di  inconferibilita'  per  «coloro   che   ...   nell'anno
precedente ... siano stati presidente o  amministratore  delegato  di
enti di diritto privato in controllo pubblico da parte  di  province,
comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in
cui  l'ente  controllante  della  societa'   di   provenienza   abbia
popolazione superiore a 15.000, per violazione degli articoli  3,  4,
5, 51, 97, 114 e 118 Cost. 
    17.1. A tal proposito, e' opportuno notare che il testo integrale
dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, prevede che  «a
coloro che nei due  anni  precedenti  siano  stati  componenti  della
giunta o del consiglio della provincia,  del  comune  o  della  forma
associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che
nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio
di una provincia, di un comune con popolazione  superiore  ai  15.000
abitanti o di una forma associativa tra  comuni  avente  la  medesima
popolazione, nella stessa  regione  dell'amministrazione  locale  che
conferisce l'incarico, nonche' a coloro che siano stati presidente  o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative  della
stessa regione, non possono essere conferiti: 
        a)   gli   incarichi   amministrativi   di   vertice    nelle
amministrazioni di  una  provincia,  di  un  comune  con  popolazione
superiore ai 15.000 abitanti o di una forma  associativa  tra  comuni
avente la medesima popolazione; 
        b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime  amministrazioni
di cui alla lettera a); 
        c) gli  incarichi  di  amministratore  di  ente  pubblico  di
livello provinciale o comunale; 
        d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato
in controllo pubblico da parte di una provincia,  di  un  comune  con
popolazione superiore a 15.000 abitanti o di  una  forma  associativa
tra comuni avente la medesima popolazione». 
    La  disposizione,  quindi,  considera  rilevante  la  popolazione
dell'ente locale di riferimento in relazione a due distinte ipotesi: 
        in relazione agli incarichi  di  provenienza,  con  esclusivo
riferimento a coloro che nell'anno precedente  «abbiano  fatto  parte
della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune o di  una
forma   associativa   tra   comuni   ...   nella    stessa    regione
dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico» (per  i  quali
la disposizione richiede, appunto,  che  l'ente  locale  dove  si  e'
esercitato l'incarico politico abbia almeno 15.000 abitanti); 
        in relazione agli incarichi  di  destinazione  previsti  alle
lettere a), b) e d), disponendo che l'inconferibilita' opera solo  se
gli stessi sono relativi a enti locali (o societa' e enti di  diritto
privato controllati da enti  locali)  «con  popolazione  superiore  a
15.000 abitanti». 
    La stessa disposizione, al contrario, non  prevede  alcun  limite
minimo di popolazione con riferimento al motivo  di  inconferibilita'
costituito  dall'aver   precedentemente   ricoperto   l'incarico   di
«presidente o amministratore delegato di enti di diritto  privato  in
controllo  pubblico  da  parte  di  province,  comuni  e  loro  forme
associative della stessa regione» (ovvero  non  richiede  che  l'ente
locale che controlla la societa' di provenienza abbia una popolazione
superiore a una determinata soglia). 
    17.2. Alla luce di quanto sopra, e'  evidente  l'irragionevolezza
della disposizione  che  individua  come  causa  di  inconferibilita'
l'aver ricoperto nell'anno precedente  l'incarico  di  «presidente  o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative  della
stessa regione», senza prevedere che la stessa opera solamente se  il
controllo e' esercitato da  parte  di  enti  locali  con  popolazione
superiore a 15.000 abitanti. 
    17.2.1. In  primo  luogo,  la  previsione  di  cui  sopra  appare
irragionevole  in  quanto  -   cosi'   come   formulata   -   prevede
l'inconferibilita'  per  coloro  che   nell'anno   precedente   hanno
rivestito l'incarico di presidente o amministratore delegato di  enti
di diritto privato in controllo pubblico da parte di enti locali  con
meno di 15.000 abitanti, mentre al contrario non la prevede  per  chi
e' stato componente degli organi  politici  di  tali  enti  (sindaci,
assessori, consiglieri). 
    In  tal  modo  la  disposizione  realizza   una   disparita'   di
trattamento  intollerabile,  specie  se  si  considera  la  specifica
finalita' delle disposizioni di cui al capo IV,  decreto  legislativo
n. 39/2013 (che appunto - come si e' detto  supra  sub  13.2  -  sono
volte a regolare l'accesso negli incarichi amministrativi di soggetti
che sono stati titolari di incarichi politici). 
    E' evidente, allora, che se il legislatore delegato  ha  ritenuto
che le piccole dimensioni del comune di provenienza di un  sindaco  o
di un consigliere comunale siano tali da attenuare il rischio che  la
sua successiva nomina a un incarico amministrativo sia  avvenuta  per
ragioni «politiche» (o comunque per attenuare i rischi di parzialita'
reale o percepita), analoghe considerazioni dovevano e devono  essere
valide  per  chi   ha   rivestito   l'incarico   di   «presidente   o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico» da parte di enti locali di con una popolazione inferiore  a
15.000 abitanti. 
    Tale irragionevole disparita' di trattamento (art.  3  Cost.),  a
tutt'evidenza si traduce in un'illegittima  compressione  di  diritti
fondamentali degli interessati, quale il diritto al  lavoro  (art.  4
Cost.) e quello di accedere alle cariche pubbliche  (art.  51  Cost.)
nonche' - per le ragioni spiegate supra sub 13.6.3 e 13.6.4 -  in  un
pregiudizio per il buon andamento della pubblica amministrazione e in
particolar  modo  degli  enti  locali  di  piccole  dimensioni  (cfr.
articoli 5, 97, 114 e 118 Cost.). 
    E' evidente, infatti, chela mancata indicazione della soglia  dei
15.000 abitanti con riferimento all'ente  locale  che  ha  attribuito
l'incarico di provenienza, per un verso ostacola il flusso  bottom-up
(da societa' controllate da enti di  piccole  dimensioni  a  societa'
pubbliche di maggiore rilievo) dei manager  piu'  meritevoli  e,  per
altro verso, disincentiva i migliori professionisti dall'accettazione
degli incarichi di «presidente o amministratore delegato di  enti  di
diritto privato in controllo pubblico» da parte di  enti  di  piccole
dimensioni. 
    17.2.2. La disposizione, inoltre, appare parimenti  irragionevole
(e quindi illegittima) sotto un diverso  profilo,  ovvero  perche'  -
cosi' come evidenziato dalla stessa ANAC nel provvedimento  impugnato
(cfr. supra sub 7.3) - vieta il passaggio  diretto  da  una  societa'
controllata da enti di piccole dimensioni a societa'  controllate  da
enti di piu' grandi, consentendo, invece, il passaggio inverso, ossia
da una societa' in controllo da enti di  maggiori  dimensioni  a  una
societa' controllata da piccoli comuni (e cio' perche' - come  si  e'
notato supra sub  16  -  l'art.  7,  comma  2,  lettera  d),  decreto
legislativo n. 39/2013 dispone che l'inconferibilita' opera  solo  se
la societa' di  destinazione  e'  controllata  da  enti  locali  «con
popolazione superiore a 15.000 abitanti»). 
    Tale asimmetria e' del tutto irragionevole,  se  si  considera  -
appunto- che la stessa impedisce, come si e' gia' notato,  a  manager
meritevoli che hanno ultimato il proprio incarico presso una societa'
controllata da un ente di piccole  dimensioni  di  essere  «promossi»
alla guida di societa' controllate da enti di maggiori dimensioni  (e
per    cio'    stesso    tendenzialmente     comportanti     maggiori
responsabilita'), mentre consente che un amministratore  (che  magari
non ha dimostrato particolari capacita' alla  guida  di  un  ente  di
maggior rilievo) sia poi nominato in una societa' «minore» (passaggio
che, peraltro, appare maggiormente esposto a influenze estranee  alla
logica meritocratica). 
    Da quanto sopra, peraltro, e' evidente che  -  anche  sotto  tale
profilo - l'irragionevolezza della disposizione si traduce  non  solo
in  un'illegittima  e   sproporzionata   compressione   dei   diritti
fondamentali degli interessati (articoli 4 e 51 Cost.),  ma  anche  e
soprattutto in un pregiudizio per  il  buon  andamento  della  stessa
p.a.(cfr. 97 Cost.). 
    18. Cio' chiarito in ordine alla non manifesta infondatezza della
questione, questo collegio e' ben consapevole che, ove  questa  Corte
ritenesse fondata la prima questione di legittimita'  indicata  supra
sub 13 (e identificata nella presente ordinanza con la lettera A), la
questione indicata supra sub 17 (segnata  sub  B)  non  avrebbe  piu'
alcun rilievo nell'ambito del giudizio a quo. 
    Tale circostanza, tuttavia, a opinione del collegio  non  importa
l'insussistenza  della  rilevanza  con  riferimento  a  tale  seconda
questione ma costituirebbe al piu' (in  caso  di  accoglimento  della
questione  indicata  supra  sub  A)   un   motivo   di   «irrilevanza
sopravvenuta» (o, se si vuole, di «improcedibilita'»)  della  seconda
questione (che risulterebbe - in sostanza - assorbita nella prima). 
    Una tale conclusione, per un verso, appare  coerente  con  quanto
evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale in  ordine  al  fatto
che «il requisito della rilevanza riguarda solo il  momento  genetico
in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non anche  il
periodo  successivo  alla  rimessione  della  questione  alla   Corte
costituzionale» (cfr. Corte costituzionale, ordinanza 20 aprile 2000,
n. 110); per altro verso - come si e' gia'  notato  supra  sub  12  -
risponde a  esigenze  di  concentrazione  e  ragionevole  durata  del
processo (art. 111 Cost.) e di buon andamento del servizio  giustizia
(art. 97 Cost.). 
    Alla luce di quanto sopra,  considerato  che,  come  si  e'  gia'
detto, il  provvedimento  impugnato  e'  stato  adottato  sulla  base
dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n.  39/2013,  e  osservato,
inoltre, che la questione della consistenza della  popolazione  degli
enti locali che controllavano le societa'  di  provenienza  e'  stata
espressamente  dedotta  da  parte  ricorrente  nel  terzo  motivo  di
ricorso, il collegio ritiene  che  anche  la  seconda  questione  sia
rilevante. 
    19. Infine, il collegio ritiene di condividere  quanto  osservato
dall'ANAC   in   ordine   all'impossibilita'    di    addivenire    a
un'interpretazione costituzionalmente orientata  della  disposizione,
atteso il tenore letterale dell'art. 7, comma 2, decreto  legislativo
n. 39/2013, che non richiede una soglia minima di abitanti del comune
che esercita il controllo nella societa' di provenienza del  soggetto
interessato  come,  invece,  richiesto  in  altre  parti  del   testo
normativo  (circostanza  -  quest'ultima  -  che  induce  a  ritenere
applicabile al caso di specie il  principio  interpretativo  ubi  lex
voluit dixit, ubi noluit tacuit). 
    In  ragione  di  quanto  sopra,  il  collegio  ritiene  di  dover
sollevare anche tale questione, tenuto conto che, per  giurisprudenza
costituzionale ormai consolidata, ove il giudice a  quo  ritenga  che
l'interpretazione letterale della disposizione osti alla possibilita'
di  un'interpretazione  conforme  «la  possibilita'  di  un'ulteriore
interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto  di
fare propria, non riveste alcun significativo  rilievo  ai  fini  del
rispetto delle regole  del  processo  costituzionale,  in  quanto  la
verifica  dell'esistenza  e  della  legittimita'  di  tale  ulteriore
interpretazione  e'   questione   che   attiene   al   merito   della
controversia, e non  alla  sua  ammissibilita'»  (cfr.  ancora  Corte
costituzionale, 24 febbraio 2017, n. 42). 
    20. Per tutte le ragioni appena illustrate, anche con riferimento
alla questione di legittimita' costituzionale individuata  supra  sub
17 e rubricata alla  lettera  B  sussistono  i  presupposti  previsti
dall'art. 23, legge n. 87/1953. 
    IV. Conclusioni (paragrafi 21-23). 
    21. Per tutti i motivi sopra richiamati -  ritenute  rilevanti  e
non   manifestamente   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale   illustrate   in   parte    motiva    e    constatata
l'impossibilita' di  un'interpretazione  costituzionalmente  conforme
delle disposizioni che vengono in rilievo  -  questo  Tribunale  deve
sollevare la questione di legittimita' costituzionale: 
        A) degli articoli 1, comma  2,  lettera  f)  e  7,  comma  2,
lettera d), decreto  legislativo  n.  39/2013,  nella  parte  in  cui
prevedono l'inconferibilita' degli «incarichi  di  amministratore  di
ente di diritto  privato  in  controllo  pubblico  da  parte  di  una
provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o
di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a
coloro  che  nell'anno   antecedente   sono   stati   «presidente   o
amministratore delegato di  enti  di  diritto  privato  in  controllo
pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative  della
stessa regione» e assimilano, quindi, tali ultimi soggetti  a  coloro
che sono stati componenti di organi di indirizzo  politico  ai  sensi
dell'art. 1, comma 50, lettera c), legge n. 190/2012, per  violazione
degli articoli 3, 4, 5, 51,  76,  97,  114  e  118  (per  le  ragioni
spiegate in motivazione supra sub 13-16); 
        B) dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nella
parte in cui non limita l'ipotesi di inconferibilita' per «coloro che
[nell'anno  precedente]  siano  stati  presidente  o   amministratore
delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di
province, comuni e loro forme associative della  stessa  regione»  ai
soli casi  in  cui  l'ente  locale  controllante  della  societa'  di
provenienza abbia popolazione superiore a 15.000  (ovvero,  in  altri
termini, nella  parte  in  cui  non  prevede  per  tale  incarico  di
provenienza la stessa soglia di rilevanza in termini  di  popolazione
prevista  dalla  stessa  disposizione  sia  per  gli   incarichi   di
provenienza  cd.  «politici»,  sia  in   relazione   agli   enti   di
destinazione), per violazione degli articoli 3, 4, 5, 51, 97,  114  e
118 Cost. (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 17-20). 
    22. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli
effetti degli articoli 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c.  con  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    23.  Ogni  ulteriore  statuizione  e'  riservata  alla  decisione
definitiva.