IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO sezione prima quater Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 5671 del 2021, proposto da A.M.I.U. Bonifiche S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Piero Guido Alpa, Lorenzo Cuocolo e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, 44; Contro ANAC - Autorita' nazionale anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Nei confronti S.A.TER. Servizi ambientali territoriali S.p.a., AR.A.L. in house S.r.l., Alba Ruocco, Francesco Chiantia, Nadia Toscanino, non costituiti in giudizio; Per l'annullamento della delibera ANAC 3 marzo 2021, n. 207, comunicata il 19 marzo 2021, in tutte le sue statuizioni e prescrizioni, avente ad oggetto «Inconferibilita' ai sensi dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, dell'incarico di amministratore delegato della societa' A.M.I.U. Genova S.p.a., di amministratore unico della GE.AM. S.p.a. e di amministratore unico della A.M.I.U. Bonifiche S.p.a.», nonche' di ogni atto presupposto, preparatorio, conseguente e connesso e per l'accertamento della nullita', insussistenza, inopponibilita' e/o inefficacia della declaratoria di nullita' degli atti di conferimento degli incarichi e dei relativi contratti con le conseguenti prescrizioni, nonche' per la condanna al risarcimento del danno, ex art. 278, codice di procedura civile; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'ANAC - Autorita' nazionale anticorruzione; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. I. Sullo svolgimento dei fatti, sul provvedimento adottato dall'Autorita' nazionale anticorruzione e sulle perplessita' espresse della stessa ANAC in relazione alla ragionevolezza dell'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 nelle parti d'interesse nella presente vicenda (paragrafi 1-7). 1. L'Azienda multiservizi e d'igiene urbana Genova S.p.a. (d'ora in poi anche A.M.I.U. Genova S.p.a.) e' una societa' partecipata al 89,98% dal Comune di Genova e al 3,96% dalla Citta' metropolitana di Genova (e con il 6,06% di azioni proprie) che opera nel settore ambientale ed eroga tutti i servizi legati alla gestione del ciclo dei rifiuti e alla tutela dell'ambiente, provvedendovi direttamente e tramite le societa' del gruppo da essa controllato. 2. Il dott. Pietro Moltini e' un manager con esperienza decennale nella gestione di enti pubblici e societa' pubbliche e private operanti nel settore ambientale, il quale - per quanto di rilievo nella presente vicenda - e' stato: a) amministratore delegato di AR.A.L. S.p.a. (poi AR.AL. in house S.r.l.) societa' partecipata al 60% dal Comune di Arenzano e per il 40% da una societa' privata, dal 4 agosto 2016 al 26 marzo 2018 (su designazione del socio privato); b) amministratore unico di GE.AM. S.p.a. a far data dal 27 marzo 2018 (societa' del Gruppo A.M.I.U.); c) amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. dal 5 novembre 2018 (altra societa' del Gruppo A.M.I.U.); d) amministratore delegato di S.A.TER. S.p.a. societa' partecipata dal 51% dal Comune di Cogoleto e per il 49% da A.M.I.U. a far data dal 21 giugno 2019. 3. In data 21 novembre 2019, il dott. Pietro Moltini e' stato chiamato nel Consiglio di amministrazione di A.M.I.U. Genova S.p.a., nel quale - a far data dal 6 luglio 2020 - ha assunto le funzioni di vicepresidente. 4. Con nota 10 febbraio 2020, prot. n. 1631, A.M.I.U. Genova S.p.a. ha chiesto all'ANAC di rendere parere in ordine all'intendimento del Comune di Genova «nella sua qualita' di soggetto pubblico che detiene la totalita' della partecipazione di controllo di AMIU e di AMIU Bonifiche e una partecipazione maggioritaria in GEAM» di procedere alla nomina del dott. Moltini - come si e' notato gia' amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e di GE.AM. - quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova S.p.a. «e cioe' la societa' capogruppo controllante» per «evidenti ragioni di efficacia dell'azione amministrativa e di concentrazione del potere di attuazione delle scelte provenienti dal Comune e di complessiva razionalizzazione e di contenimento dei costi gestionali». Nella stessa nota, la societa' ha evidenziato che tale parere si rendeva necessario poiche' tale soluzione poteva «essere ostacolata da un'interpretazione restrittiva delle norme contenute dall'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, che potrebbe prefigurare una situazione di [inconferibilita']» che, tuttavia, si sarebbe a sua volta posta in contrasto con «i principi discendenti dal sopravveniente decreto legislativo n. 175/2016 sulle societa' pubbliche, laddove (cfr. art. 11, comma 11) le nomine riguardano societa' infragruppo». 5. Con successivo atto del 6 novembre 2020, l'Autorita' nazionale anticorruzione ha comunicato ad A.M.I.U. Genova S.p.a. l'avvio «di un procedimento di vigilanza relativo ad una possibile inconferibilita' degli incarichi detenuti dal dott. Moltini presso GE.AM. S.p.a. A.M.I.U. Bonifiche S.p.a., S.A.TER. S.p.a. e A.M.I.U. Genova S.p.a.», ritenendo che potesse sussistere in capo al dott. Moltini: a) un'ipotesi di inconferibilita' ex art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 dell'incarico di amministratore delegato e di vicepresidente della societa' A.M.I.U. Genova S.p.a. (in relazione all'incarico di amministratore delegato di AR.AL. in house S.r.l. rivestito fino al 31 dicembre 2018, nonche' agli incarichi di amministratore unico rivestiti presso GE.AM. S.p.a., A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e S.A.TER. S.p.a.); b) un'ipotesi di inconferibilita' ai sensi dell'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 rispetto all'assunzione dell'incarico di amministratore unico presso GE.AM. S.p.a., A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e SA.TER. S.p.a. (in relazione all'incarico di amministratore delegato della AR.AL. in house S.r.l.). 6. In data 25 novembre 2020, A.M.I.U. Genova S.p.a. ha inviato all'ANAC le proprie osservazioni e ha affermato l'insussistenza dell'inconferibilita', sottolineando che: gli incarichi nelle societa' controllate da A.M.I.U. Genova S.p.a. non potevano avere conseguenze ostative alla nomina del dott. Moltini quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova S.p.a. per effetto dell'art. 11, comma 11, decreto legislativo n. 175/2016; gli altri incarichi (presso S.A.TER. S.p.a. e AR.AL. S.r.l.) non potevano avere rilievo ai fini dell'applicazione delle norme sull'inconferibilita', in relazione alla dimensione istituzionale dei Comuni controllanti delle due societa', entrambi con popolazione inferiore a 15.000 abitanti; la disposizione di cui all'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 doveva essere in ogni caso interpretata e applicata in modo ragionevole e proporzionato, tenuto conto delle specifiche finalita' della disciplina in materia di inconferibilita'. 7. All'esito dell'istruttoria, l'ANAC ha adottato la delibera 3 marzo 2021, n. 207, con cui ha accertato la non conferibilita', ex art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, al dott. Moltini dell'incarico di amministratore delegato della A.M.I.U. Genova S.p.a. nonche' l'inconferibilita', sempre ex art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, degli incarichi conferiti al dott. Moltini di amministratore unico delle societa' GE.AM. S.p.a. e A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. 7.1. Segnatamente, l'Autorita' ha accolto le deduzioni difensive dei soggetti interessati in ordine al fatto che nelle ipotesi previste dall'art. 11, comma 11, decreto legislativo n. 175/2016 non si applicano le ipotesi di inconferibilita' di cui all'art. 7, comma 1, lettera d), e comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 e ha evidenziato, tuttavia, che tale ultima circostanza avrebbe fatto venir meno solamente «le ipotesi di inconferibilita' a favore del dott. Moltini dell'incarico di vicepresidente e dell'eventuale conferimento dell'incarico di amministratore delegato di A.M.I.U. Genova S.p.a. in ragione della precedente attribuzione al medesimo degli incarichi di amministratore delle societa' A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. e GE.AM. S.p.a.», notando conseguentemente che: a) erano comunque inconferibili al dott. Moltini - ex art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 - gli incarichi di vicepresidente e di amministratore delegato di A.M.I.U. Genova S.p.a. in relazione al precedente e attuale incarico di amministratore delegato della S.A.TER. S.p.a. «in quanto ente controllato dal Comune di Cogoleto, rispetto a cui il Comune di Genova detiene solo una partecipazione minoritaria»; b) erano altresi' inconferibili, ai sensi dell'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, gli incarichi di amministratore unico della GE.AM. S.p.a. e della A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. in relazione all'incarico precedentemente ricoperto dal dott. Moltini presso AR.AL. in house S.r.l. «societa' che non risulta controllata dal Comune di Genova ne' direttamente ne' indirettamente». 7.2. A tal proposito, l'Autorita' resistente: ha evidenziato che l'art 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 prevede, tra l'altro, che «a coloro che [nell'anno precedente] siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti ... incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»; ha rilevato di aver manifestato al Parlamento e al Governo (con atto n. 4 del 10 giugno 2015) le proprie perplessita' su detta previsione osservando che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico non puo' essere considerato come una condizione che, di per se', pregiudica l'imparzialita' nell'esercizio dell'incarico [e cio' anche perche'] i nominati non sono necessariamente parte della "politica"»; ha ritenuto tuttavia che, in ragione del tenore letterale della citata disposizione, questa non poteva che essere applicata anche nel caso di specie (cioe' con riferimento a un soggetto che non ha mai ricoperto incarichi "politici"). 7.3. La stessa Autorita' ha inoltre evidenziato l'irrilevanza del fatto che i Comuni di Cogoleto e di Arenzano (controllanti rispettivamente di S.A.TER. S.p.a. e di AR.AL. in house S.r.l.) avessero una popolazione inferiore a 15.000 abitanti, in quanto l'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 non richiede una soglia minima di abitanti del Comune che esercita il controllo nella societa' di provenienza «come invece richiesto da altre parti del testo normativo», notando tuttavia i possibili profili di irragionevolezza di tale disposizione «che vieta il passaggio diretto da una societa' controllata da enti di piccole dimensioni a societa' controllate da enti di piu', consentendo, invece, il passaggio inverso, ossia da una societa' in controllo da enti di maggiori dimensioni ad una societa' detenuta da piccoli comuni». 7.4. Per le superiori ragioni - tenuto conto della natura degli enti e degli incarichi - l'Autorita' ha accertato la sussistenza delle predette inconferibilita' e la conseguente nullita' ex art. 17, decreto legislativo n. 39/2013, degli atti di conferimento e dei relativi contratti e ha rimesso agli RPCT degli enti conferenti la valutazione in ordine all'elemento soggettivo della colpa in capo all'organo conferente previsto dall'art. 18, decreto legislativo n. 39/2013, invitandoli tuttavia a tenere conto, nelle proprie valutazioni, «delle peculiarita' del caso di specie e dei possibili profili di irragionevolezza dalla disciplina». II. Sul ricorso introduttivo e sulla vicenda processuale (paragrafi 8-11). 8. Con ricorso notificato il 14 maggio 2021 e iscritto innanzi a questo Tribunale al r.g. n. 5671/2021, A.M.I.U. Bonifiche S.p.a. ha impugnato la delibera ANAC, 3 marzo 2021, n. 207 e ne ha chiesto l'annullamento, eventualmente previa remissione alla Corte costituzionale di alcune questioni di legittimita' dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, sulla base di cinque distinti motivi in diritto. 8.1. Con il primo motivo di ricorso ha lamentato l'illegittimita' dell'atto impugnato per «violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 interpretato in conformita' agli articoli 3, 4, 51 e 97 Cost. e dei generali principi di ragionevolezza, proporzionalita' e del "minimo mezzo" [nonche' per] violazione dell'art. 12, comma 2 delle disposizioni sulla legge in generale», osservando che l'ANAC aveva il dovere di interpretare l'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nel senso di escludere la sua applicazione nell'ipotesi in cui - come nel caso di specie - il nominato non ha avuto incarichi politici (e cio' appunto anche alla luce del fatto che la stessa ANAC aveva notato che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico, anche se la nomina e' stata fatta da organi politici, non puo' essere considerato come una condizione che di per se', pregiudica l'imparzialita' nell'esercizio dell'incarico amministrativo [in quanto] i nominati non sono necessariamente parte della "politica" e quindi non sono sospettabili di apportare una visione parziale nell'esercizio dell'incarico»). In subordine, ha chiesto a questo Tribunale amministrativo regionale di sollevare questione d'incostituzionalita' degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui prevedono «l'inconferibilita' degli incarichi di tecnici non appartenenti alla politica, senza la possibilita' di una verifica in concreto dell'eventuale insorgenza di reali conflitti di interesse, pregiudizievole per la legalita' e l'efficienza», evidenziando come la stessa «risulta irragionevole e sproporzionata in relazione allo scopo da perseguire e quindi, in se', contrastante con gli articoli 3, 4, 51 e 97 Cost.». 8.2. Con il secondo motivo ha lamentato la «violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 per difetto del presupposto del controllo pubblico di ente diverso da A.M.I.U. Genova, sulle societa' AR.A.L. e SA.TER [nonche' per] violazione dell'art. 2.3.2 delle linee guida approvate da ANAC con delibera 8 novembre 2017 [e per] violazione del principio di liceita' delle norme infragruppo», sostenendo - in sintesi - che ne' AR.A.L. ne' SA.TER potevano essere considerate societa' in controllo pubblico ai fini dell'applicabilita' della disciplina di cui al decreto legislativo n. 39/2013. 8.3. Con il terzo motivo ha postulato l'illegittimita' del provvedimento impugnato per «violazione dell'art. 7, decreto legislativo n. 39/2013 e del principio di interpretazione conservativa e costituzionalmente orientata nonche' dell'art. 12, comma 1 delle disposizioni sulla legge in generale [nonche' per] contraddittorieta' intrinseca», sostenendo che l'Autorita' aveva il dovere di interpretare l'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nel senso di escludere la sua applicazione nell'ipotesi in cui la societa' di provenienza dell'interessato sia controllata da un ente locale con una popolazione inferiore ai 15.000 abitanti (e cio' anche in quanto «non esiste alcuna giustificazione logica per affermare che il limite minimo di 15.000 abitanti valga soltanto per la societa' pubblica di destinazione e non anche per la societa' pubblica di provenienza»). In subordine, ha chiesto a questo Tribunale di sollevare questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui non prevedono che l'inconferibilita' non si applichi a coloro che siano stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti» per violazione degli articoli 3, 4, 51 e 97 Cost. nonche' «dei principi di proporzionalita', ragionevolezza, eguaglianza e del minimo mezzo». 8.4. Con il quarto motivo ha lamentato la «violazione degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013», insistendo negli argomenti gia' spiegati nelle censure precedenti. 8.5. Con il quinto e ultimo motivo ha contestato la «declaratoria di nullita' degli incarichi e le prescrizioni impartite al RPCT» per «illegittimita' derivata; violazione degli articoli 15 e seguenti, decreto legislativo n. 39/2013 [e] incompetenza», sostenendo - in sintesi - che l'ANAC non aveva il potere ne' di dichiarare la nullita' degli atti di conferimento degli incarichi, ne' di rivolgere puntuali prescrizioni al «RPCT competente» e agli «enti interessati». 9. Con memoria del 12 novembre 2022, l'Autorita' ha spiegato le proprie difese e ha insistito per il rigetto del ricorso, evidenziando - tra l'altro - che S.A.TER. S.p.a. e AR.AL. in house S.r.l. sono senza dubbio societa' in controllo pubblico ai sensi degli articoli 1 e 7, decreto legislativo n. 39/2013. 10. Con successive memorie del 17 e del 18 novembre 2022, le parti hanno insistito nelle proprie posizioni. 11. All'udienza pubblica del 29 novembre 2022 - all'esito di ampia discussione - il ricorso e' stato trattenuto in decisione, in uno con gli altri ricorsi proposti da A.M.I.U. Genova S.p.a., dal dott. Moltini, e da GE.AM. S.p.a avverso la medesima delibera (iscritti innanzi a questo Tribunale amministrativo regionale al r.g. numeri 4323, 4804, e 5672 del 2022). III. Sulla non manifesta infondatezza e sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, nonche' sull'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente conforme della predetta disposizione (paragrafi 12-20). 12. Il Collegio ritiene che le questioni di legittimita' costituzionale prospettate da parte ricorrente - cosi' come specificate e integrate infra sub A) e B) - siano rilevanti e non manifestamente infondate, sicche', in assenza di una possibile interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione da applicare alla controversia, e' doveroso rimettere le stesse alla Corte costituzionale ai sensi e per gli effetti dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. D'altronde, la rimessione congiunta di piu' questioni di legittimita' costituzionale - relative a parti diverse della stessa disposizione sulla base della quale l'atto gravato e' stato adottato e che questo Tribunale e' chiamato ad applicare (e quindi, come si dira' ancora infra sub 14 e sub 18, tutte rilevanti ai fini della definizione del giudizio a quo) - risponde a esigenze di concentrazione e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e di buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.). Sarebbe infatti del tutto irragionevole che il giudice a quo chiamato ad applicare una disposizione affetta in due distinte parti (entrambe rilevanti nell'ambito del giudizio) da diversi profili di illegittimita' costituzionale, procedesse al promovimento soltanto di una delle due questioni emerse nel giudizio, per poi procedere (in caso di mancato accoglimento della prima) in un secondo momento a sollevare l'altra. A) Sulla prima questione di legittimita' costituzionale. 13. Cio' premesso, non e' manifestamente infondata, in primo luogo, la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 2, lettera f) e 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui prevedono che «a coloro che ... nell'anno precedente ... siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti ... incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione», ovvero nella parte in cui assimilano i precedenti incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» alla partecipazione a organi di indirizzo politico ai sensi dell'art. 1, comma 50, lettera c, legge n. 190/2012, per violazione degli articoli 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost. 13.1. A tal proposito, va innanzitutto osservato che l'art. 1, commi 49 e 50, legge n. 190/2012 - ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonche' della prevenzione dei conflitti di interessi - ha delegato il Governo ad adottare «uno o piu' decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilita' amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attivita' di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da conferire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, nonche' a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilita' tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarita' di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate» (cfr. art. 1, comma 49, legge n. 190/2012), indicando all'esecutivo, tra l'altro, di «disciplinare i criteri di conferimento nonche' i casi di non conferibilita' di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive» (cfr. art. 1, comma 50, lettera c, legge n. 190/2012). 13.2. La ratio sottesa a tale ultima specifica previsione della delega legislativa (e alla conseguente disciplina adottata dal Governo, contenuta nel capo IV del decreto legislativo n. 39/2013) era (ed e') duplice: per un verso, tutelare l'imparzialita' (reale e percepita) dell'azione amministrativa (articoli 54, 97 e 98 Cost.), con l'introduzione di limiti all'accesso ad alcuni incarichi pubblici di tipo gestionale e/o amministrativo connotati da imparzialita' a soggetti che si trovano in situazioni tali da ingenerare ragionevoli dubbi sulla loro personale imparzialita' (ovvero impedire l'esercizio della funzione amministrativa a soggetti che appaiono «politicamente schierati»); per altro verso, promuovere e garantire il principio meritocratico nella selezione dei vertici amministrativi (e quindi il buon andamento della p.a.), ostacolando la possibilita' che le nomine a detti incarichi siano determinate dalle esigenze dei partiti di (ri)collocazione del proprio «personale politico» (e non invece dalla volonta' di nominare soggetti in possesso delle competenze necessarie per lo svolgimento di tali incarichi). 13.3. La delega legislativa e' stata esercitata con l'approvazione del decreto legislativo n. 39/2013, che - in attuazione della specifica previsione di cui all'art. 1, comma 50, lettera c, legge n. 190/2012 - al capo IV ha disciplinato piu' fattispecie di «Inconferibilita' di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico», e segnatamente le «Inconferibilita' di incarichi a componenti di organo politico di livello nazionale» (art. 6); le «Inconferibilita' di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale» (art. 7); nonche' le «Inconferibilita' di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali» (art. 8). In particolare, nell'individuazione delle ipotesi di inconferibilita' a componenti di organo politico di livello locale (art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013), il predetto decreto legislativo ha - per un verso (e in coerenza con quanto previsto dall'art. 1, comma 50, lettera d), legge n. 190/2012) - individuato gli «incarichi di destinazione» per cui opera l'inconferibilita' (ovvero incarichi il cui svolgimento e' caratterizzato da imparzialita' e possesso di specifiche competenze) e segnatamente: «a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni; c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione». Per altro verso, ha individuato tre distinte categorie di c.d. «incarichi di provenienza» in relazione ai quali opera l'inconferibilita', prevedendo che la stessa si applichi a tre distinte categorie di soggetti, ovvero «coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico», nonche' «coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico» (soggetti evidentemente riconducibili alla categoria di coloro che hanno fatto parte di organi di indirizzo politico o ricoperto cariche pubbliche elettive), oltreche' infine «coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» (soggetti, questi ultimi, che come si dira' infra appaiono estranei al perimetro della delega, oltreche' piu' in generale alla ratio della normativa). Analogamente, l'art. 1, comma 2, lettera f), decreto legislativo n. 39/2013, ha espressamente previsto che per «componenti di organi di indirizzo politico», ai sensi della disciplina sull'inconferibilita', devono intendersi anche «gli appartenenti a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali». 13.4. A seguito dell'approvazione del decreto legislativo n. 39/2013, e' stata subito evidente anche all'Autorita' nazionale anticorruzione la sussistenza di un fumus di irragionevolezza delle disposizioni appena indicate (tenuto conto della ratio e dei limiti della delega), sicche' - come ricordato supra sub 7.4. - con atto di segnalazione n. 4 del 10 gennaio 2015, la stessa Autorita' ha sottolineato la necessita' «di eliminare, tra le cause di inconferibilita' per provenienza da cariche politiche, la provenienza da cariche in enti di diritto privato in controllo pubblico», osservando che «la delega (art. 1, comma 50) parla di coloro che "abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive"» e notando che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico, anche se la nomina e' stata fatta da organi politici, non puo' essere considerato come una condizione che, di per se', pregiudica l'imparzialita' nell'esercizio dell'incarico amministrativo [e cio' in quanto] i nominati non sono necessariamente parte della "politica" e quindi non sono sospettabili di apportare una visione parziale nell'esercizio dell'incarico (come presume la legge nel vietare l'accesso agli incarichi amministrativi per chi provenga da incarichi strettamente politici)». 13.5. Un analogo suggerimento e' stato avanzato dalla «Commissione di studio per la revisione della disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza» istituita dall'ANAC che, con relazione pubblicata nel mese di luglio 2015, ha osservato che la legge delega aveva «previsto l'interessamento dei titolari di indirizzo politico (tanto elettivi ... quanto di nomina) e di coloro che sono stati investiti attraverso procedure elettorali (anche se, per ipotesi, non partecipassero a funzioni di indirizzo politico» e ha rilevato che «nel caso dei presidenti e degli amministratori, tanto degli enti pubblici (si tratta degli enti pubblici diversi dalle amministrazioni territoriali; cioe' degli enti da esse istituiti o vigilati), quanto degli enti privati in controllo pubblico, non si riscontra nessuno di tali presupposti: le cariche non comportano, infatti, la titolarita' di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico "aziendale" (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico), ma sempre in attuazione dell'indirizzo politico ricevuto; esse comunque non sono attribuite attraverso elezioni». 13.6. Alla luce di quanto sopra rilevato, gli articoli 1, comma 2, lettera f) e 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, nella parte in cui prevedono l'inconferibilita' degli «incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» per coloro che nell'anno antecedente sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» e includono quindi tali ultimi soggetti nel novero degli organi di indirizzo politico ai sensi dell'art. 1, comma 50, lettera c, legge n. 190/2012, appaiono porsi in violazione delle disposizioni costituzionali richiamate supra sub 13 per le ragioni di seguito specificate. 13.6.1. In primo luogo, le disposizioni appaiono confliggere con gli articoli 3 e 76 Cost., atteso che - cosi' come rilevato nella citata relazione della Commissione di studio dell'ANAC - l'ipotesi di inconferibilita' delineata dalle stesse non e' coerente con la delega di cui all'art. 1, commi 49 e 50, lettera c, legge n. 190/2012 che vincolava il legislatore delegato a limitare tale tipologia di inconferibilita' soltanto a coloro che «abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive». Categoria, quest'ultima, a cui non pare possa ritenersi che appartengano coloro che sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico», atteso che tali soggetti - come gia' rilevato dalla Commissione di studio istituita dall'ANAC - esercitano ruoli di gestione o, al piu', di «indirizzo politico aziendale». A tal proposito, il collegio e' consapevole del fatto che la giurisprudenza amministrativa ha, in altre occasioni, ritenuto di non promuovere una siffatta questione di legittimita' costituzionale, evidenziando: a) che il legislatore delegato ha indicato tra gli incarichi da regolare «gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» (v. art. 1, comma 50, lettera d, legge n. 190/2012); b) che «per indentificare l'ambito di applicazione della disciplina su inconferibilita' e incompatibilita' degli incarichi e' a quest'ultima disposizione che si deve guardare, poiche' e' espressamente riferita agli incarichi da disciplinare» (cfr. Consiglio di Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 126 e 27 marzo 2020, n. 2149, nonche' in termini diversi Tribunale amministrativo regionale Bologna, I, 19 luglio 2018, n. 578). E, tuttavia, il collegio ritiene di non poter condividere una tale interpretazione dei criteri e principi direttivi contenuti nella legge delega che sovrappone in una lettura unitaria i criteri relativi agli incarichi di destinazione (di cui la legge delega mira a proteggere l'esercizio imparziale) contenuti nell'art. 1, comma 50, lettera d), legge n. 190/2012 e quelli relativi alla definizione delle cause di inconferibilita' (che riguardano quindi gli enti provenienza), indicati nell'art. 1, comma 50, lettera c), legge n. 190/2012. E cio' anche per gli esiti contraddittori a cui conduce una tale lettura: e' evidente infatti - come si dira' ancora infra sub 13.6.2 - che se gli incarichi di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» sono incarichi connotati dal requisito di imparzialita' (da regolare e «proteggere» appunto ai sensi dell'art. 1, comma 50, lettera d), legge n. 190/2012) gli stessi incarichi non possono costituire allo stesso tempo incarichi di indirizzo politico (ovvero incarichi naturalmente connotati da una condizione di parzialita'). 13.6.2. Inoltre, la fattispecie di inconferibilita' sopra indicata appare porsi in violazione degli articoli 3, 4, e 51 Cost., in quanto comporta in capo agli interessati un'evidente limitazione del proprio diritto al lavoro (art. 4 Cost.) nonche' della propria possibilita' di accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.), senza che una siffatta limitazione appaia proporzionata, ragionevole e adeguata in relazione alle specifiche finalita' perseguite dalla normativa di cui agli articoli 1, commi 49 e 50, lettera c), legge n. 190/2012, e 6-8, decreto legislativo n. 39/2013. Si e' gia' detto, infatti, che la prima finalita' di tali disposizioni e' quella di tutelare l'imparzialita' dell'amministrazione, attraverso l'imposizione di un adeguato periodo di raffreddamento a coloro che si trovano in situazioni tali da ingenerare dubbi sulla loro personale imparzialita' (come sono, per definizione, coloro che abbiano rivestito incarichi politici). E, tuttavia, come gia' notato, la posizione di coloro che sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» non e' affatto assimilabile a quella di coloro che nell'anno precedente sono stati componenti di un organo di indirizzo politico (ad es. un sindaco, una consigliera comunale, un assessore, etc.), ne' tantomeno annoverabile tra quelle di per se' idonee a generare dubbi sull'imparzialita' della persona, considerato che - come si e' gia' detto - e' proprio la normativa in materia di inconferibilita' a ricomprendere gli incarichi di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» tra quelli che devono essere esercitati nel rispetto del principio di imparzialita' (con cio' che ne consegue in termini di non politicita' dei soggetti che rivestono tali incarichi). Ne consegue che la severa (ancorche' temporanea) limitazione imposta attraverso l'inconferibilita' in oggetto appare inadeguata al conseguimento della (se non addirittura estranea alla) principale finalita' perseguita dalla normativa. Ancora piu' evidente appare l'inadeguatezza della disposizione rispetto all'ulteriore finalita' meritocratica sottesa alla normativa: e' chiaro, infatti, che la disposizione ostacola la circolazione (e le prospettive di carriera) all'interno del settore pubblico di amministratori competenti ed estranei a logiche di mera appartenenza politica (si pensi al giovane manager che all'esito di un primo incarico svolto brillantemente presso un piccolo ente si vede preclusa la possibilita' di immediato accesso a ulteriori incarichi di responsabilita' presso altre amministrazioni in un momento cruciale della propria vita professionale), con cio' che ne consegue sia in termini di disincentivo per i piu' competenti dall'impegno nel settore pubblico (con conseguente nocumento per il buon andamento della p.a.) sia in termini di inevitabili migrazioni dal settore pubblico a quello privato, peraltro in direzione biunivoca (non meno problematiche sotto il profilo dei potenziali rischi per l'imparzialita' dell'azione amministrativa). 13.6.3. Sotto altro profilo - e specularmente - la disposizione richiamata si pone in tensione con i principi di buon andamento e ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 Cost. poiche' preclude il conferimento degli incarichi «di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a soggetti che nell'anno precedente hanno dimostrato la propria competenza in altra societa' pubblica, ovvero impedisce all'ente conferente di attribuire l'incarico a chi ha gia' dimostrato «sul campo» la professionalita' e adeguatezza rispetto all'incarico da ricoprire (si pensi all'impossibilita' per un'amministrazione comunale di indicare in una societa' partecipata che versa in una condizione di «crisi» un amministratore che nell'anno precedente ha manifestato grandi capacita' nel risanamento di altra societa' pubblica che versava nelle medesime condizioni). E cio' ancora una volta senza che tale preclusione risulti proporzionata e adeguata rispetto alle specifiche finalita' sottese alla disciplina di cui all'art. 1, comma 50, lettera c), legge n. 190/2012 e al capo IV del decreto legislativo n. 39/2013 (risultando, anzi, la stessa - come si e' gia' notato - in tensione con la finalita' meritocratica della disciplina). L'irragionevolezza della regola individuata sub 13, peraltro, e' tanto piu' evidente se si considera che - al fine di temperare l'impatto della normativa sulla permanenza nella pubblica amministrazione di manager dotati di adeguate professionalita' - l'ANAC (con la delibera 27 giugno 2013, n. 48) e la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, V, 27 giugno 2018, n. 3946) hanno specificato che il divieto sancito nella stessa opera «soltanto per quanto riguarda l'incarico di amministratore presso un diverso ente e non impedisca invece la conferma dell'incarico gia' ricoperto» e cio' al fine di garantire la possibilita' che «un amministratore meritevole possa essere confermato». E' evidente, pero', che tale soluzione - pur temperando in maniera apprezzabile e costituzionalmente orientata la regola di cui all'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 - conduce a esiti irragionevoli in quanto consente la conferma dell'amministratore meritevole presso la medesima societa' e non la sua nomina in altra societa' pubblica (che magari ha maggiore necessita' di una tale professionalita', con tutto cio' che ne consegue in termine di pregiudizio per il buon andamento della p.a.). 13.6.4. Infine, la disposizione sopra indicata appare porsi in tensione altresi' con gli articoli 3, 5, 97, 114 e 118 Cost. poiche', a tutt'evidenza, disincentiva i migliori manager dall'accettare incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative» di piccole dimensioni (incarichi che, in ragione di tale disposizione, risultano preclusivi di piu' prestigiosi e delicati affidamenti nell'anno successivo) al fine di non veder ostacolato il proprio successivo accesso a piu' importanti incarichi, con cio' che ne consegue in termini di penalizzazione dei piccoli comuni e di compressione della loro possibilita' di rendere servizi pubblici adeguati (e, quindi, in ultimo, della loro autonomia). 13.6.5. Infine, fermo restando quanto osservato sopra, il collegio ritiene che, anche a voler ricondurre la causa di inconferibilita' prevista dall'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 per chi proviene dall'incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative» alla generalissima finalita' di prevenzione dei conflitti di interesse sottesa alla complessiva disciplina di cui alla legge n. 190/2012 e al decreto legislativo n. 39/2013 (e non invece, come pure pare necessario, alle specifiche finalita' sottese a tutte le ipotesi illustrate nel capo IV del decreto, cosi' come individuate supra sub 13.2), la regola prevista da tale disposizione non possa in ogni caso considerarsi adeguata, ragionevole e proporzionata rispetto a una tale generica finalita' (declinata nell'ottica di evitare la possibile funzionalizzazione del precedente incarico amministrativo al raggiungimento di nuovi e piu' importanti incarichi manageriali, attraverso la cura di interessi impropri), tenuto conto sia della natura fondamentale dei diritti personali compressi dall'inconferibilita' sopra indicata (cfr. supra sub 13.6.2), sia del complessivo impatto che la misura ha sulla funzionalita' dell'amministrazione (cfr. supra sub 13.6.3 e 13.6.4). Circostanze, queste ultime, che devono essere adeguatamente considerate nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze che vengono in rilievo in relazione all'istituto in oggetto. 14. Cio' chiarito sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' sopra specificata, il collegio ritiene che non vi possa esser dubbio in ordine al fatto che la stessa sia rilevante (se non addirittura dirimente) per la definizione del giudizio innanzi a questo Tribunale: e cio' sia perche' il provvedimento gravato ha come presupposto la disposizione di cui e' dubbia la costituzionalita'; sia perche' le specifiche censure relative all'applicazione dell'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 nei confronti di soggetti che sono estranei al mondo della politica (e la connessa questione di costituzionalita') sono state poste da parte ricorrente nel primo - e principale - motivo di ricorso; sia perche', infine, non appaiono fondate le ulteriori censure svolte nel ricorso che consentirebbero la decisione dello stesso senza il previo promovimento della questione di legittimita' costituzionale. 15. Infine, il Collegio ritiene che non sia possibile addivenire a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione (cosi' come pure richiesto da parte ricorrente con il primo motivo di gravame, nel quale e' stata lamentata l'errata applicazione della disposizione da parte di ANAC), tenuto conto del chiaro tenore letterale degli articoli 1, comma 2, lettera f) e 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 - che espressamente includono tra gli incarichi di provenienza (relativi a organi di indirizzo politico indicati dall'art. 1, comma 50, lettera c, decreto legislativo n. 190/2012) per i quali opera l'inconferibilita' quelli di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative». Cio' e' sufficiente a giustificare la rimessione della questione alla Corte costituzionale, atteso che da tempo la giurisprudenza di quest'ultima e' consolidata nell'escludere che il mancato ricorso da parte del giudice a quo a un'interpretazione costituzionalmente orientata possa essere causa d'inammissibilita' di una questione di legittimita' «quando vi sia un'adeguata motivazione circa l'impedimento a tale interpretazione, in ragione del tenore letterale della disposizione» (cfr. Corte costituzionale, 10 gennaio 2018, n. 15 e 24 febbraio 2017, n. 42). 16. Per tutte le ragioni appena illustrate, sussistono i presupposti previsti dall'art. 23, legge n. 87/1953 per la proposizione della questione di legittimita' costituzionale di cui alla lettera A) nei termini indicati supra sub 13. B) Sulla seconda questione di legittimita' costituzionale. 17. Ferma l'assorbente questione di legittimita' costituzionale sopra evidenziata, il collegio rileva che e' altresi' non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui non limita l'ipotesi di inconferibilita' per «coloro che ... nell'anno precedente ... siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l'ente controllante della societa' di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000, per violazione degli articoli 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost. 17.1. A tal proposito, e' opportuno notare che il testo integrale dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, prevede che «a coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonche' a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a); c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione». La disposizione, quindi, considera rilevante la popolazione dell'ente locale di riferimento in relazione a due distinte ipotesi: in relazione agli incarichi di provenienza, con esclusivo riferimento a coloro che nell'anno precedente «abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune o di una forma associativa tra comuni ... nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico» (per i quali la disposizione richiede, appunto, che l'ente locale dove si e' esercitato l'incarico politico abbia almeno 15.000 abitanti); in relazione agli incarichi di destinazione previsti alle lettere a), b) e d), disponendo che l'inconferibilita' opera solo se gli stessi sono relativi a enti locali (o societa' e enti di diritto privato controllati da enti locali) «con popolazione superiore a 15.000 abitanti». La stessa disposizione, al contrario, non prevede alcun limite minimo di popolazione con riferimento al motivo di inconferibilita' costituito dall'aver precedentemente ricoperto l'incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» (ovvero non richiede che l'ente locale che controlla la societa' di provenienza abbia una popolazione superiore a una determinata soglia). 17.2. Alla luce di quanto sopra, e' evidente l'irragionevolezza della disposizione che individua come causa di inconferibilita' l'aver ricoperto nell'anno precedente l'incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione», senza prevedere che la stessa opera solamente se il controllo e' esercitato da parte di enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti. 17.2.1. In primo luogo, la previsione di cui sopra appare irragionevole in quanto - cosi' come formulata - prevede l'inconferibilita' per coloro che nell'anno precedente hanno rivestito l'incarico di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di enti locali con meno di 15.000 abitanti, mentre al contrario non la prevede per chi e' stato componente degli organi politici di tali enti (sindaci, assessori, consiglieri). In tal modo la disposizione realizza una disparita' di trattamento intollerabile, specie se si considera la specifica finalita' delle disposizioni di cui al capo IV, decreto legislativo n. 39/2013 (che appunto - come si e' detto supra sub 13.2 - sono volte a regolare l'accesso negli incarichi amministrativi di soggetti che sono stati titolari di incarichi politici). E' evidente, allora, che se il legislatore delegato ha ritenuto che le piccole dimensioni del comune di provenienza di un sindaco o di un consigliere comunale siano tali da attenuare il rischio che la sua successiva nomina a un incarico amministrativo sia avvenuta per ragioni «politiche» (o comunque per attenuare i rischi di parzialita' reale o percepita), analoghe considerazioni dovevano e devono essere valide per chi ha rivestito l'incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» da parte di enti locali di con una popolazione inferiore a 15.000 abitanti. Tale irragionevole disparita' di trattamento (art. 3 Cost.), a tutt'evidenza si traduce in un'illegittima compressione di diritti fondamentali degli interessati, quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.) e quello di accedere alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonche' - per le ragioni spiegate supra sub 13.6.3 e 13.6.4 - in un pregiudizio per il buon andamento della pubblica amministrazione e in particolar modo degli enti locali di piccole dimensioni (cfr. articoli 5, 97, 114 e 118 Cost.). E' evidente, infatti, chela mancata indicazione della soglia dei 15.000 abitanti con riferimento all'ente locale che ha attribuito l'incarico di provenienza, per un verso ostacola il flusso bottom-up (da societa' controllate da enti di piccole dimensioni a societa' pubbliche di maggiore rilievo) dei manager piu' meritevoli e, per altro verso, disincentiva i migliori professionisti dall'accettazione degli incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» da parte di enti di piccole dimensioni. 17.2.2. La disposizione, inoltre, appare parimenti irragionevole (e quindi illegittima) sotto un diverso profilo, ovvero perche' - cosi' come evidenziato dalla stessa ANAC nel provvedimento impugnato (cfr. supra sub 7.3) - vieta il passaggio diretto da una societa' controllata da enti di piccole dimensioni a societa' controllate da enti di piu' grandi, consentendo, invece, il passaggio inverso, ossia da una societa' in controllo da enti di maggiori dimensioni a una societa' controllata da piccoli comuni (e cio' perche' - come si e' notato supra sub 16 - l'art. 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013 dispone che l'inconferibilita' opera solo se la societa' di destinazione e' controllata da enti locali «con popolazione superiore a 15.000 abitanti»). Tale asimmetria e' del tutto irragionevole, se si considera - appunto- che la stessa impedisce, come si e' gia' notato, a manager meritevoli che hanno ultimato il proprio incarico presso una societa' controllata da un ente di piccole dimensioni di essere «promossi» alla guida di societa' controllate da enti di maggiori dimensioni (e per cio' stesso tendenzialmente comportanti maggiori responsabilita'), mentre consente che un amministratore (che magari non ha dimostrato particolari capacita' alla guida di un ente di maggior rilievo) sia poi nominato in una societa' «minore» (passaggio che, peraltro, appare maggiormente esposto a influenze estranee alla logica meritocratica). Da quanto sopra, peraltro, e' evidente che - anche sotto tale profilo - l'irragionevolezza della disposizione si traduce non solo in un'illegittima e sproporzionata compressione dei diritti fondamentali degli interessati (articoli 4 e 51 Cost.), ma anche e soprattutto in un pregiudizio per il buon andamento della stessa p.a.(cfr. 97 Cost.). 18. Cio' chiarito in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, questo collegio e' ben consapevole che, ove questa Corte ritenesse fondata la prima questione di legittimita' indicata supra sub 13 (e identificata nella presente ordinanza con la lettera A), la questione indicata supra sub 17 (segnata sub B) non avrebbe piu' alcun rilievo nell'ambito del giudizio a quo. Tale circostanza, tuttavia, a opinione del collegio non importa l'insussistenza della rilevanza con riferimento a tale seconda questione ma costituirebbe al piu' (in caso di accoglimento della questione indicata supra sub A) un motivo di «irrilevanza sopravvenuta» (o, se si vuole, di «improcedibilita'») della seconda questione (che risulterebbe - in sostanza - assorbita nella prima). Una tale conclusione, per un verso, appare coerente con quanto evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al fatto che «il requisito della rilevanza riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non anche il periodo successivo alla rimessione della questione alla Corte costituzionale» (cfr. Corte costituzionale, ordinanza 20 aprile 2000, n. 110); per altro verso - come si e' gia' notato supra sub 12 - risponde a esigenze di concentrazione e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e di buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.). Alla luce di quanto sopra, considerato che, come si e' gia' detto, il provvedimento impugnato e' stato adottato sulla base dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, e osservato, inoltre, che la questione della consistenza della popolazione degli enti locali che controllavano le societa' di provenienza e' stata espressamente dedotta da parte ricorrente nel terzo motivo di ricorso, il collegio ritiene che anche la seconda questione sia rilevante. 19. Infine, il collegio ritiene di condividere quanto osservato dall'ANAC in ordine all'impossibilita' di addivenire a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, atteso il tenore letterale dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013, che non richiede una soglia minima di abitanti del comune che esercita il controllo nella societa' di provenienza del soggetto interessato come, invece, richiesto in altre parti del testo normativo (circostanza - quest'ultima - che induce a ritenere applicabile al caso di specie il principio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit). In ragione di quanto sopra, il collegio ritiene di dover sollevare anche tale questione, tenuto conto che, per giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, ove il giudice a quo ritenga che l'interpretazione letterale della disposizione osti alla possibilita' di un'interpretazione conforme «la possibilita' di un'ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell'esistenza e della legittimita' di tale ulteriore interpretazione e' questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilita'» (cfr. ancora Corte costituzionale, 24 febbraio 2017, n. 42). 20. Per tutte le ragioni appena illustrate, anche con riferimento alla questione di legittimita' costituzionale individuata supra sub 17 e rubricata alla lettera B sussistono i presupposti previsti dall'art. 23, legge n. 87/1953. IV. Conclusioni (paragrafi 21-23). 21. Per tutti i motivi sopra richiamati - ritenute rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale illustrate in parte motiva e constatata l'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni che vengono in rilievo - questo Tribunale deve sollevare la questione di legittimita' costituzionale: A) degli articoli 1, comma 2, lettera f) e 7, comma 2, lettera d), decreto legislativo n. 39/2013, nella parte in cui prevedono l'inconferibilita' degli «incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a coloro che nell'anno antecedente sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» e assimilano, quindi, tali ultimi soggetti a coloro che sono stati componenti di organi di indirizzo politico ai sensi dell'art. 1, comma 50, lettera c), legge n. 190/2012, per violazione degli articoli 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 13-16); B) dell'art. 7, comma 2, decreto legislativo n. 39/2013 nella parte in cui non limita l'ipotesi di inconferibilita' per «coloro che [nell'anno precedente] siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l'ente locale controllante della societa' di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000 (ovvero, in altri termini, nella parte in cui non prevede per tale incarico di provenienza la stessa soglia di rilevanza in termini di popolazione prevista dalla stessa disposizione sia per gli incarichi di provenienza cd. «politici», sia in relazione agli enti di destinazione), per violazione degli articoli 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost. (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 17-20). 22. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli effetti degli articoli 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c. con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 23. Ogni ulteriore statuizione e' riservata alla decisione definitiva.