TRIBUNALE DI SIENA sezione lavoro Il Tribunale di Siena, in funzione di Giudice del lavoro; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza 16 novembre 2022; Nella causa iscritta al n. 143/2020 rgl promossa da S. F.; Contro il Comune di Siena, a mezzo ricorso depositato il 7 febbraio 2020, contenente le seguenti conclusioni (pp. 17-18): «Accertare e dichiarare il diritto dell'odierna ricorrente a percepire i diritti di segreteria relativi all'attivita' rogatoria svolta presso il Comune di Siena nel periodo compreso dal ... al ... e quindi condannare il Comune di Siena al pagamento alla medesima ricorrente dei suddetti diritti, nella misura riconosciuta dallo stesso comune, pari rispettivamente a euro 3.006,74 per il ... e a euro 5.643,22 per il ... o in quella diversa che sara' quantificata nel presente giudizio, sulla base di quanto normativamente previsto, oltre agli accessori di legge dal di' del dovuto al saldo. Con vittoria di spese, onorari e competenze come per legge». Dato atto della costituzione del Comune di Siena che ha concluso (memoria difensiva, p. 22): «1. Respingere integralmente il ricorso proposto poiche' palesemente e manifestamente infondato in fatto ed in diritto oltreche' destituito del benche' minimo fondamento giuridico e elemento probatorio; 2. Dichiarare, per l'effetto, pienamente legittima ed efficace l'azione amministrativa del Comune di Siena espletata nei confronti di parte ricorrente». Rileva, osserva e argomenta, in ordine alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2-bis del decreto-legge 2014, n. 90, convertito con modificazioni in legge 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1. Con decreto sindacale n. ... del ..., la dott.ssa ..., inquadrata nella fascia «A», veniva nominata segretario generale del Comune di Siena a decorrere dal ..., incarico che ha svolto fino al ... (doc. 4 conv.). Dopo la cessazione dal servizio presso l'Amministrazione comunale, con nota del ..., reiterata il ..., la lavoratrice ricorrente chiedeva al dirigente del settore personale del Comune di Siena il riconoscimento e la liquidazione della quota dei diritti dovuti alla medesima per gli atti rogitati dopo l'entrata in vigore della normativa implicata e appena sopra richiamata. A tale richiesta veniva dato riscontro da parte dell'Amministrazione, nella persona del sindaco pro tempore, con nota del ..., nella quale testualmente si affermava: «... si conferma che per effetto della cosiddetta riforma Renzi di cui al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, come modificato dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, non e' consentito il riconoscimento dei diritti di segreteria inerenti l'attivita' di rogito da lei svolta nel periodo dal ... al ..., in quanto il Comune di Siena e' ente che dispone di dipendenti con qualifica dirigenziale. L'ammontare dei diritti di segreteria percepiti al Comune di Siena nel periodo suddetto, fino alla concorrenza del quinto del suo stipendio di godimento, e' stimato in euro 3.006,74 relativamente all'anno ... e in euro 5.643,22 per l'anno ... importi entrambi comprensivi di oneri» (doc. 8 conv.). Costituisce pertanto dato non controverso tra le parti e in atti documentato, che nell'esercizio delle funzioni affidatele, la lavoratrice ha rogato un significativo numero di atti senza ricevere i correlati diritti di rogito. Ed e' espressamente in applicazione della norma in questione, come letteralmente formulata, che i diritti non sono stati corrisposti, secondo quanto risulta anche dalla stessa nota del Comune di Siena, cit. L'art. 10 del decreto-legge n. 90 del 2014, come sopra convertito in legge, rubricato «Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria», dispose, al comma 1, l'abrogazione dell'art. 41, quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 («Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato»), che, da ultimo, aveva attribuito ai segretari comunali e provinciali una quota dei diritti di segreteria spettanti al comune o alla provincia ai sensi dell'art. 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734 («Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennita' particolari»). Il comma 2-bis dello stesso art. 10, inserito in sede di conversione, stabili' quanto segue: «Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell'art. 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, e' attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento». La lavoratrice e' un segretario di fascia «A», dirigenziale, che ha operato in un Comune, Siena, la cui dotazione organica prevedeva al suo interno diverse figure dirigenziali anche al tempo in cui era in servizio la medesima (doc. 10 conv.). Viene pertanto a sussistere la condizione che esclude in base allo specifico enunciato normativo, cit., la corresponsione dei diritti di rogito. La questione scaturisce, dunque, nell'ambito di un giudizio nel quale la corresponsione dei diritti di rogito e' pretesa da un segretario di fascia «A» o «B» operante in un comune con dirigenti. La normativa qui investita dal dubbio di legittimita' costituzionale, individua puntualmente le situazioni che consentono il mantenimento dei diritti di rogito, pur a fronte della generale soppressione degli stessi per intervenuta abrogazione della norma che, da ultimo, li aveva introdotti (l'art. 41, quarto comma, della legge n. 312 del 1980, per l'appunto abrogato dal comma 1 dell'art. 10 in esame). Tali situazioni, in base al testo del comma 2-bis del richiamato art. 10, concernono, da un lato, «tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale» e, dall'altro, quelli che prestano servizio presso gli «enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale». Come precisato anche dalla giurisprudenza della Corte dei conti, alla stregua della disposizione in esame i diritti di rogito, nei limiti stabiliti dalla legge, competono sia ai segretari comunali di fascia «C», non aventi cioe' qualifica dirigenziale, sia a quelli appartenenti alle fasce professionali «A» e «B», aventi cioe' qualifica dirigenziale, purche' esercitino le loro funzioni presso enti nei quali siano assenti figure dirigenziali (Corte dei conti, sezione per le autonomie, delibera 30 luglio 2018, n. 18). La lavoratrice ricorrente, segretario di fascia «A», dirigenziale, che ha operato in un comune dotato di personale dirigenziale, non rientrava in alcuna delle due categorie indicate dalla norma e, pertanto, non le potevano piu' essere attribuiti i diritti di rogito, in applicazione della medesima norma censurata. La lavoratrice ricorrente - per affrontare un ulteriore aspetto decisivo ai fini dell'apprezzamento, anzitutto, del requisito della rilevanza - non ha beneficiato di allineamento stipendiale (comunemente «galleggiamento»). Infatti, la norma in rilievo ai fini della decisione del caso concreto si e' preteso giustificare con una ipotizzata finalita' «perequativa», sostenendo che, ai segretari operanti in enti con dirigenti si applichi l'istituto del «galleggiamento» al livello retributivo accessorio piu' elevato dirigenziale (in quanto i segretari, anche rivestenti qualifica dirigenziale, hanno un trattamento retributivo equiparato a quello dei dirigenti quanto alla retribuzione tabellare, ma non quanto alla retribuzione di posizione). In applicazione dell'istituto in parola, la retribuzione di posizione del segretario e' innalzata fino a quella stabilita dalla contrattazione collettiva per la funzione dirigenziale piu' elevata nell'ente. L'istituto e' stato previsto, per i segretari comunali e provinciali, dall'art. 41, comma 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 (come, oggi, richiamato dall'art. 107, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell'area delle funzioni locali, per il triennio 2016-2018, sottoscritto il 17 dicembre 2020). Simile riassetto retributivo - peraltro non operante automaticamente secondo la disciplina della fonte collettiva citata e spesso non realizzato, come nel caso concreto - porrebbe quindi i segretari operanti in enti muniti di dirigenti in una situazione tale da non rendere necessaria la corresponsione dei diritti di segreteria, che svolgerebbero invece una funzione «perequativa» per i segretari di fascia «A» e «B» operanti in comuni privi di dirigenti (che non possono pertanto «galleggiare») e per quelli di fascia «C». La legge ostativa al riconoscimento del diritto della lavoratrice ricorrente - art. 10, comma 2-bis del decreto-legge 2014, n. 90, convertito con modificazioni in legge 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 - nella parte in cui limita l'attribuzione di una quota dei diritti di rogito spettanti all'ente locale ai segretari comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o che prestino servizio in enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale, anziche' prevederla per tutti i segretari comunali e provinciali, non e' manifestamente infondato ritenere porsi in contrasto con piu' norme costituzionali: a) l'art. 3; b) l'art. 36; c) l'art. 97; d) l'art. 77. a) Con la disposizione di legge censurata, il legislatore ha attribuito al compenso per le attivita' rogatorie una funzione «perequativa» anziche' remuneratoria. L'attribuzione ai segretari comunali e provinciali della competenza a rogare gli atti dell'ente locale risale al regio decreto 3 marzo 1934, n. 383. In particolare, esso prevedeva, all'art. 89, la possibilita' per i segretari di rogare nell'esclusivo interesse dell'amministrazione comunale gli atti e i contratti di cui all'art. 87 (cioe' i contratti di alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere). Si trattava, come e' evidente, di una possibilita' attribuita autonomamente rispetto alle altre funzioni di competenza del segretario in servizio presso l'ente, per cui pienamente ragionevole il riconoscimento di un autonomo compenso. Successivamente, e' intervenuta la legge 15 maggio 1997, n. 127, che, all'art. 17, comma 68, ha previsto, tra altro, che il segretario «puo' rogare tutti i contratti nei quali l'ente e' parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente». Tale norma e' stata riprodotta nell'art. 97, decreto legislativo n. 267/2000, testo unico degli enti locali, approvato anche con l'obiettivo di riordinare la materia. Ulteriormente, e' intervenuta la novella di cui all'art. 10, comma 2-quater, decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha previsto che il segretario «roga, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente e' parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente», sembrando mirare a superare la circostanza per cui l'attivita' e' comunque rimessa alla richiesta dell'ente e alla positiva risposta del segretario, anche se tali caratteristiche parrebbero comunque insite nell'attivita' di rogito. Appare quindi del tutto ragionevole che sia riconosciuta una specifica voce stipendiale, commisurata all'attivita' effettivamente svolta, rispetto a questa funzione, nel cui esercizio il segretario svolge le funzioni di pubblico ufficiale, in alternativa a quelle di un notaio (al quale l'altra parte contrattuale potrebbe comunque decidere di rivolgersi), seppure con specifico riferimento agli atti in cui il comune (o la provincia) sia parte e alle scritture unilaterali nell'interesse dell'ente. Sin dall'origine, come emerge anche dalla normativa sopra richiamata, questa attivita' si e' posta come autonoma e del tutto specifica rispetto alle altre funzioni che il segretario esercita alle dipendenze dell'ente locale, rappresentando l'alternativa al ricorso a liberi professionisti quali i notai e implicando anche diverse e specifiche responsabilita', eccedenti l'ambito delle attribuzioni normalmente riconducibili al pubblico impiego (Cons. St., sez. V, 12 novembre 2015, n. 5183 e, in senso sostanzialmente analogo, C. Conti, sez. autonomie, deliberazione 28 ottobre 2008, n. 15) e per l'esercizio di tale autonoma competenza e' stato riconosciuto uno specifico compenso, che - nella versione contenuta nella legge 11 luglio 1980, n. 312 - era configurato secondo criteri di razionalita' e ragionevolezza. Infatti, si prevedeva che, della parte trattenuta dall'ente locale (pari prima al 70% e poi, dal 1981, al 90%), al segretario comunale o provinciale venisse erogato il 75%, ritenendo di mantenere alla struttura una quota che, pur nell'ambito della discrezionalita' del legislatore, poteva considerarsi ragionevolmente giustificata dal fatto che l'ufficiale rogante, in questo caso, operava per l'ente e avvalendosi delle strutture dello stesso. D'altronde, proprio il carattere accessorio di questa pur delicata e rilevante competenza aveva ragionevolmente determinato la previsione di un limite massimo calcolato in proporzione (di un terzo) allo stipendio, corrisposto per lo svolgimento delle altre funzioni, pistrettamente riconducibili alla dipendenza di servizio. E' in questa temperie normativa che viene a calare l'intervento del legislatore del 2014 che, a mezzo decretazione d'urgenza, ha lasciato agli enti locali l'intero importo dei diritti di segreteria (senza pi prevedere il trasferimento del 10% al fondo del Ministero dell'interno), eliminando, a differenza di quanto previsto anche dalla contrattazione collettiva, l'erogazione di una quota ai segretari comunali o provinciali. Tale soluzione fu giudicata inappropriata in sede di conversione, quando si tento' una (almeno parziale) marcia indietro, che produsse l'approvazione del gia' ricordato comma 2-bis, con cui si tornava a riconoscere ai segretari una quota dei diritti di segreteria, seppure nel limite complessivo del quinto (e non piu' del terzo) dello stipendio, ma a condizione che si trattasse di segretari privi della qualifica dirigenziale o comunque operanti in comuni privi di dirigenti, secondo una interpretazione letterale largamente accreditata in giurisprudenza. La norma denunciata, sia in relazione al profilo dell'uguaglianza che a quello della ragionevolezza, crea tra i segretari comunali e provinciali, che svolgano la medesima funzione, trattamenti differenziati senza razionale giustificazione che discenda dalla esigenza di tutela di valori diversi meritevoli di tutela, costituzionalmente rilevanti. Alla norma si e' preteso attribuire una ipotizzata finalita' «perequativa», sostenendo, come sopra gia' diffusamente analizzato, che ai segretari operanti in enti con dirigenti si applichi l'istituto del «galleggiamento» al livello retributivo accessorio piu' elevato dirigenziale. Ma, piu' correttamente, la norma non puo' svolgere quella funzione «perequativa» rispetto alle posizioni con retribuzione inferiore. In proposito, deve in primo luogo ribadirsi che la corresponsione dei diritti di segreteria non e' stata introdotta con funzione «perequativa» di diversi trattamenti retributivi, ma compensativa dello svolgimento di un'attivita' ulteriore e specifica, se ed in quanto effettivamente svolta. Ne' appare razionale assegnare una funzione perequativa a una voce di per se' variabile e potenzialmente comunque assente. Se, infatti, in determinate circostanze, questa attivita' venisse a mancare o a ridursi ai minimi termini a causa di scarse occasioni di rogare, essa determinerebbe il venir meno della pretesa funzione perequativa. In ogni caso, il c.d. «galleggiamento» si dovrebbe applicare a tutti i segretari, anche di fascia «C», e pertanto se la ratio della norma in discussione fosse stata quella sostitutiva del «galleggiamento» insussistente, sarebbe stato necessario individuare proprio questo discrimine attributivo, riconoscendo i diritti di rogito solo in assenza del medesimo. A parte merita, poi, di essere riportata la considerazione della inidoneita' e irragionevolezza del riconoscimento ai diritti di rogito di una funzione perequativa e della irragionevolezza dell'alternativita' tra «galleggiamento» e diritti di rogito, in ragione della differenza dei presupposti, essendo quella in questione una voce eventuale, variabile e prevista per una funzione specifica e separata dalle altre. Inoltre, l'utilizzazione dei diritti di rogito a fini «perequativi», ove non sussista il «galleggiamento» puo' produrre in concreto effetti del tutto irragionevolmente sperequati. Infatti, ad esempio, un segretario comunale che svolga le proprie funzioni in piu' comuni (come spesso accade) potrebbe avere il «galleggiamento» per la presenza di dirigenti anche in uno solo dei comuni presso i quali presta servizio, ma otterrebbe poi i diritti di rogito nell'altro o negli altri comuni privi di dirigenti, cumulando cosi' questi ultimi all'allineamento stipendiale a quello dirigenziale. Per converso, un segretario comunale o provinciale di analoga fascia professionale, titolare in uno o piu' comuni con dirigenti, sicuramente non riceve i diritti di rogito, anche in assenza di «galleggiamento». A cio' si aggiunga che, ove la ipotizzata funzione perequativa fosse considerata tra i segretari di fascia «C» e quelli di fascia «A» e «B» che godono dell'allineamento stipendiale risulterebbe ulteriormente irragionevole: infatti, a fronte di una carriera nella quale si procede attraverso concorsi (meglio, corsi-concorsi), si verrebbe a ritenere necessaria una funzione perequativa rispetto agli emolumenti del livello piu' basso della carriera stessa, con conseguente vanificazione, rispetto allo specifico trattamento, della progressione in carriera e perfino con possibile disincentivo della stessa. La norma in questione, pertanto, determina un fascio di assai frequenti applicazioni concrete foriere di irragionevolezza e discriminatorieta' in assenza di obiettive giustificazioni, in violazione dell'art. 3 Cost. b) La limitazione della corresponsione dei diritti di segreteria, gia' prevista dall'art. 41, comma 4, della legge n. 312/1980, da parte dell'art. 10, comma 2-bis, anche in combinato disposto con il comma 1, del decreto-legge n. 90/2014, convertito con modificazioni in legge n. 114/2014, risulta poi in contrasto con il diritto a ricevere un compenso per le proprie prestazioni, secondo quanto prescritto dall'art. 36 della Costituzione, per il quale «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Il precetto costituzionale non puo' ritenersi osservato, all'evidenza, azzerando nel caso concreto completamente il compenso per una specifica e peraltro assai delicata attivita'. In effetti, come accennato, il Consiglio di Stato, sez. V, 12 novembre 2015, n. 5183, ha precisato che «i diritti di rogito hanno una funzione di remunerazione di una particolare attivita' alla quale e' correlata una responsabilita' di ordine speciale e sorgono con l'effettiva estrinsecazione della funzione di rogante la quale, ancorche' di carattere obbligatorio, eccede l'ambito delle attribuzioni di lavoro normalmente riconducibili al pubblico impiego». Con la norma del 2014, quindi, si elimina nella generalita' dei casi e salvo le eccezioni previste, la remunerazione di una specifica attivita' lavorativa effettivamente svolta. Non si tratta in questo caso di una riduzione di voci «premiali» rispetto allo svolgimento di attivita' di servizio per le quali si e' gia' retribuiti, ma della eliminazione di uno specifico corrispettivo per una specifica attivita' con distinte responsabilita', effettivamente svolta e non remunerata. A cio' si aggiunga che la proporzionalita' e sufficienza della retribuzione e' normalmente verificata avuto riguardo al contratto collettivo che, nel caso, prevede la corresponsione dei diritti di segreteria (il cui ammontare e' poi determinato dalla legge). c) La norma in esame appare contrastare inoltre con l'art. 97, comma 2 Cost., in quanto la limitazione categoriale dei diritti di segreteria rappresenta un concreto disincentivo al ricorso alla rogatoria degli atti da parte di segretari comunali e provinciali di fascia «A» e «B», o di quelli che svolgono la propria attivita' in enti con personale dirigenziale, incidendo negativamente sulle esigenze funzionali di buon andamento della pubblica amministrazione, valorizzate dal precetto costituzionale. Al contempo, sempre sotto il medesimo profilo di disvalore costituzionale, la limitazione analizzata viene indirettamente e potenzialmente, ma in misura efficiente, a disincentivare come sopra esposto l'ambizione alla progressione in carriera di una importante categoria di funzionari pubblici. d) Ulteriore vizio di costituzionalita' puo' prospettarsi in relazione alla fonte normativa prescelta per la sua introduzione, il decreto-legge, la cui adozione e' subordinata, dall'art. 77 Cost., al ricorrere di casi straordinari di necessita' e urgenza, che nel caso risultano inidoneamente motivati rispetto alla disciplina in oggetto e comunque insussistenti. In particolare, tra i tre ordini di motivazione espressi nel preambolo del decreto-legge, puo' plausibilmente verificarsi soltanto se la disciplina in oggetto possa rientrare nell'ambito del primo ordine di motivi, relativo all'introduzione di «disposizioni volte a favorire la piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione». Tuttavia, anche in correlazione all'unico motivo possibile, la limitazione della corresponsione dei diritti di segreteria per l'attivita' di rogito ai segretari comunali e provinciali soltanto in presenza di determinate condizioni non appare finalizzata ne' ad una piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici ne' ad una semplificazione dell'azione amministrativa. La normativa censurata, pertanto, si palesa anzitutto come disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge. Manca, infine, qualunque ragione idonea a giustificare il ricorso al decreto-legge, considerata l'assenza di un caso straordinario di necessita' e urgenza.