TRIBUNALE DI PALERMO 
              sezione VI civile - esecuzioni mobiliari 
 
    Il giudice dott.ssa Rachele Monfredi 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 23 novembre 2022; 
    Esaminati gli atti del procedimento; 
    Rilevato: 
        che lo stesso ha a oggetto la fase cautelare dell'opposizione
ex articoli 615 e 617 del codice di procedura civile proposta  da  S.
S.r.l. in liquidazione in confisca definitiva -  debitrice  esecutata
nel giudizio RGE 2020/22 - avverso l'esecuzione intrapresa da  R.  L.
S.r.l., con il pignoramento ex  art.  543  del  codice  di  procedura
civile dei crediti vantati dalla predetta debitrice nei confronti del
terzo Banca Popolare Sant'Angelo s.c.p.a.; 
        che il contraddittorio e' stato ritualmente instaurato  anche
nei confronti del terzo pignorato -  litisconsorte  necessario  nelle
opposizioni esecutive secondo  la  giurisprudenza  della  S.C.  (cfr.
Cassazione sez. III civ. n. 13533/21) - il quale, tuttavia, non si e'
costituito nel presente subprocedimento; 
        che i titoli esecutivi azionati sono il decreto ingiuntivo n.
10131/17 reso dal Tribunale di Napoli e la sentenza n.  2458/21  resa
dal Tribunale di Palermo  e  che  il  credito  complessivo,  come  da
precetto, ammonta ad euro 25.893,84 (oltre accessori e spese); 
        che il terzo pignorato (in data 13 aprile 2022)  ha  reso  la
dichiarazione di quantita' inviandola al creditore ex  art.  547  del
codice di procedura civile, riferendo con tale dichiarazione  che  la
societa' debitrice e' intestataria di un rapporto di conto con  saldo
contabile positivo e accantonando l'importo di euro 38.840,76; 
 
                               Osserva 
 
    Con il  primo  motivo,  la  debitrice  opponente  ha  dedotto  la
nullita' e l'inefficacia dell'atto di pignoramento in  ragione  della
sua notifica a mezzo PEC da parte del creditore invece  che  a  mezzo
dell'ufficiale giudiziario, evidenziando «per completezza» il decorso
del termine di efficacia del precetto. 
    Orbene - posto che il pignoramento  costituisce  una  fattispecie
complessa a formazione progressiva che nel  caso  dell'espropriazione
presso terzi si perfeziona con  la  dichiarazione  del  terzo  o  con
l'accertamento del relativo obbligo e che, tuttavia, gli effetti  per
il debitore e per il terzo decorrono dal momento del  perfezionamento
delle rispettive notifiche (cfr. ex multis Cassazione n.  6666/11)  -
rileva il Tribunale che, nel caso in esame, l'atto  di  pignoramento,
completo  dell'ingiunzione  e   degli   avvertimenti   dell'ufficiale
giudiziario, e' stato da quest'ultimo tempestivamente  e  validamente
notificato al terzo, mentre non risulta perfezionata la  notifica  al
debitore il quale, pero' - avendo  ricevuto  via  PEC  dal  creditore
copia dell'atto stesso e del  decreto  di  differimento  dell'udienza
reso dal giudice d'ufficio dopo l'iscrizione a ruolo  -  ha  proposto
l'opposizione (senza attendere che  all'udienza,  rilevato  il  vizio
della notifica ne venisse disposta la rinnovazione). 
    Alla luce di tali circostanze non  ricorre  alcuna  nullita'  e/o
inefficacia dell'atto  di  pignoramento,  bensi'  un  mero  vizio  di
notifica dello stesso che risulta sanato, come dedotto  dalla  difesa
della creditrice. 
    Come infatti chiarito dalla S. C. ,  diversamente  dal  vizio  di
notifica dell'atto di precetto, «il vizio di notificazione  dell'atto
di  pignoramento  e',  di  regola,  sanato  dalla  mera  proposizione
dell'opposizione, a meno che l'opponente non  deduca  contestualmente
un concreto pregiudizio al diritto di difesa verificatosi  prima  che
egli abbia avuto conoscenza dell'espropriazione forzata,  oppure  che
la notificazione sia radicalmente inesistente, in  quanto  del  tutto
mancante o priva  degli  elementi  costitutivi  essenziali  idonei  a
rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione» (cfr.
Cassazione sezione III civile n. 11290/20). 
    Tale motivo di opposizione, sussumibile nell'alveo dell'art.  617
del codice di procedura civile (dunque nell'ambito delle  opposizioni
agli atti esecutivi) non e' dunque supportato dal fumus necessario  a
fondare l'invocata sospensione (ex art. 618 del codice  di  procedura
civile). 
    Con il secondo motivo, l'opponente ha dedotto «l'impignorabilita'
dei beni ai sensi dell'art. 55  decreto  legislativo  159/11  (codice
antimafia)», alla luce delle circostanze e  delle  considerazioni  di
seguito riepilogate. 
    L'art. 55 del codice antimafia, fin dal  momento  del  sequestro,
vieta l'avvio di azioni esecutive  sui  beni  sequestrati  e  prevede
l'estinzione di quelle gia' in corso sui medesimi beni. 
    L'intero patrimonio aziendale della  S.  e'  stato  sottoposto  a
sequestro di prevenzione con decreto del 24 maggio 2013 e a  confisca
definitiva in data 24 marzo 2021,  con  conseguente  acquisizione  al
patrimonio dello Stato di tutti i beni che lo compongono  «liberi  da
pesi e oneri» e garanzia della tutela dei terzi nei  limiti  e  nelle
forme del titolo IV (art. 45). 
    Secondo la disciplina contenuta nel titolo IV (articoli 52 e ss.)
del  medesimo  codice,  i  creditori  devono  proporre   domanda   di
accertamento delle proprie pretese  solo  dinanzi  al  giudice  della
prevenzione  all'uopo  delegato   (art.   57)   e   possono   trovare
soddisfazione nei limiti preisti  dall'art.  53  e  secondo  l'ordine
regolato dall'art. 61. 
    Tale procedimento trova applicazione anche per i crediti sorti in
costanza di  procedura,  dunque  prededucibili,  al  pari  di  quanto
avviene in sede fallimentare per  i  debiti  contratti  dal  curatore
fallimentare. 
    Ha  concluso  che  «R.  L.  S.r.l.,  dunque,  deve  chiedere   il
riconoscimento dei propri crediti al Tribunale penale, sezione misure
di prevenzione e potra' essere soddisfatta nelle forme e  nei  limiti
previsti dall'art. 61 del codice antimafia, che disciplina,  l'ordine
e il grado di soddisfazione dei creditori da inserire nel progetto di
pagamento all'esito della procedura di liquidazione (che e'  regolata
sulla falsariga della liquidazione del passivo fallimentare)». 
    La  difesa  della  creditrice  procedente  ha  contestato  invece
l'applicabilita', ai crediti prededucibili,  delle  norme  richiamate
dall'opponente, evidenziando in punto di fatto: 
        che i crediti  azionati  hanno  a  oggetto  le  anticipazioni
sostenute per operazioni di sdoganamento richieste  dalla  S.  S.r.l.
nel 2017, quando gia' si trovava in amministrazione giudiziaria; 
        che quest'ultima, a mezzo  dei  legali  rappresentanti  della
societa', non ha mai contestato la fondatezza della pretesa, tanto da
non proporre opposizione al decreto ingiuntivo  e  da  dichiarare  la
propria  intenzione  di  pagare  all'esito  del  contenzioso  con  il
trasportatore; 
        che, pur avendo incassato le somme dovute  dal  trasportatore
(soccombente nel medesimo giudizio concluso con uno  dei  due  titoli
azionati), ha continuato  e  continua  a  non  adempiere  la  propria
obbligazione. 
    Cosi' riassunte le argomentazioni svolte dalle parti - posto  che
«in tema di opposizione all'esecuzione  promossa  in  base  a  titolo
esecutivo di formazione giudiziale, non possono essere dedotti  fatti
estintivi,  impeditivi  o  modificativi  verificatisi   prima   della
maturazione delle preclusioni  processuali,  ad  essi  relative,  nel
giudizio di cognizione che ha portato alla formazione di tale titolo»
(cfr. Cassazione sez. 6-3 civ. n. 3716/20) e che  il  principio  vale
anche nell'ipotesi in cui il titolo  sia  costituito  da  un  decreto
ingiuntivo non opposto (cfr. Cassazione sez. 1^ civ. n.  18725/07)  -
vanno disattesi  i  motivi  di  opposizione  volti  a  contestare  la
titolarita', in capo al  giudice  della  cognizione,  del  potere  di
accertamento dei crediti, in tesi spettante esclusivamente al giudice
delegato della misura di prevenzione ai sensi degli articoli 57 e ss.
del codice antimafia. 
    In proposito,  non  e'  comunque  superfluo  evidenziare  che  la
dedotta incompetenza del giudice civile  ad  accertare,  in  sede  di
cognizione, i crediti prededucibili contestati (sempre che si possano
considerare tali quelli semplicemente non  adempiuti  spontaneamente,
quale quello per cui e'  processo)  e'  tutt'altro  che  pacifica  in
giurisprudenza, proprio alla luce del tenore delle norme  del  codice
antimafia. 
    E  infatti,  l'art.  54  -  rubricato   Pagamento   dei   crediti
prededucibili - dispone che «i crediti prededucibili sorti nel  corso
del procedimento di prevenzione che sono  liquidi,  esigibili  e  non
contestati non debbono essere accertati secondo le modalita' previste
dagli articoli 57, 58 e 59 e possono essere soddisfatti in tutto o in
parte, al di fuori dal piano di riparto,  previa  autorizzazione  del
giudice delegato» (mediante il prelievo di somme  disponibili  o  con
anticipazione degli oneri da parte dello Stato),  mentre  nulla  dice
sui crediti prededucibili illiquidi e/o inesigibili e/o contestati. 
    A sua  volta,  l'art.  57  (collocato  all'inizio  della  sezione
sull'accertamento dei diritti dei terzi) fa espresso  riferimento  ai
«creditori  anteriori  al  sequestro,  ivi  compresi  quelli  di  cui
all'art. 54-bis» (e cioe' quelli le cui prestazioni «siano  collegate
a   rapporti   commerciali    essenziali    per    la    prosecuzione
dell'attivita'»), senza richiamare quelli di  cui  all'art.  54  che,
come gia'  evidenziato,  nella  rubrica  fa  riferimento  ai  crediti
prededucibili toutcourt, salvo poi disciplinare solo quelli  liquidi,
esigibili e non contestati. 
    E' inoltre tutt'altro che eccezionale l'ipotesi che l'esigenza di
accertamento del credito sorga  per  effetto  del  mancato  pagamento
(come nel caso di specie) dopo la confisca  definitiva,  allorquando,
secondo l'art. 60, si  apre  la  fase  della  liquidazione  dei  beni
gestita dall'agenzia e, dunque, non e' piu'  possibile  l'inserimento
nello stato passivo attraverso il procedimento di  verifica  previsto
dagli articoli 57 e ss. (a meno  di  ipotizzare  una  prorogatio  dei
poteri di accertamento e  verifica  del  Tribunale,  prevista  invero
dall'art. 62  solo  per  l'ipotesi  della  revocazione  proposta  dal
pubblico ministero, dall'agenzia o dall'amministratore giudiziario). 
    Anche sotto questo profilo, dunque, non sussiste il  fumus  della
proposta opposizione. 
    Ben piu' articolate e complesse sono le questioni che si  pongono
alla luce  dei  motivi  di  opposizione  con  i  quali  la  debitrice
esecutata  ha  contestato  il  diritto  della  creditrice  di   agire
esecutivamente sui beni costituenti il proprio patrimonio in  ragione
della loro confisca ex articoli 20,  comma  1^  e  24  comma  1^-bis,
decreto legislativo n. 159/2011  e  del  disposto  dell'art.  55  del
decreto legislativo n. 159/2011. 
    Orbene - posto che e' documentale  (oltre  che  pacifica  tra  le
parti) la circostanza che il procedimento esecutivo e' stato  avviato
dopo che il capitale sociale  e  i  beni  costituenti  il  patrimonio
aziendale della S. S.r.l. in liquidazione erano stati sottoposti  non
solo a sequestro, ma pure a confisca definitiva,  in  conformita'  al
disposto dell'art. 24, comma 1^-bis del codice antimafia, secondo  il
quale «Il Tribunale, quando dispone  la  confisca  di  partecipazioni
sociali totalitarie, ordina  la  confisca  anche  dei  relativi  beni
costituiti in azienda ai sensi degli articoli  2555  e  ss.  c.c.»  -
poiche' l'azienda «puo'  essere  definita  come  quella  "universitas
rerum",  comprendente  cose  corporali  (mobili  ed  immobili),  cose
immateriali, compreso l'avviamento, rapporti giuridici di lavoro  con
il personale, debiti e crediti  con  la  clientela,  elementi  questi
unificati tutti dalla volonta' del  titolare  in  vista  dello  scopo
perseguito, unificati cioe' in senso funzionale della destinazione ad
un fine comune» (cfr. Cassazione  sez.  1^  civ.  n.  2391/63);  deve
innanzitutto ritenersi incontrovertibile che tra i beni sottoposti  a
(sequestro prima e poi a) confisca vi sia pure il credito oggetto del
procedimento di espropriazione ex art. 543 cpc nel quale  si  innesta
la fase cautelare dell'opposizione,  sulla  quale  il  questo  GE  e'
chiamato a decidere. 
    Va  altresi'  chiarito  che  -  essendo  i  beni  definitivamente
confiscati (dunque anche il credito per cui  e'  causa)  acquisiti  a
titolo originario al patrimonio dello Stato (cfr. Cassazione sez. 6-1
civ. ordinanza n. 6068/21  sulla  natura  della  confisca  penale)  -
l'art. 55  del  codice  antimafia,  rubricato  Azioni  esecutive,  (a
differenza di quanto dedotto dall'opponente) non  prevede  un'ipotesi
di impignorabilita' di tali beni - i quali, a ben vedere, proprio  in
ragione   dell'intervenuta   confisca,    non    appartengono    piu'
all'originario  proprietario,  nella  specie  la  societa'  -  bensi'
un'ipotesi  di  improcedibilita'  e  improseguibilita'  delle  azioni
esecutive (che scatta fin dal momento del  sequestro  di  prevenzione
potenzialmente destinato a sfociare in una confisca e cessa  in  caso
di dissequestro). 
    La norma infatti, prevede testualmente che: 
        «1. A seguito del sequestro non  possono  essere  iniziate  o
proseguite azioni esecutive. I beni gia' oggetto di  esecuzione  sono
presi in consegna dall'amministratore giudiziario. 
        2. Le procedure esecutive gia'  pendenti  sono  sospese  sino
alla  conclusione  del  procedimento  di  prevenzione.  Le  procedure
esecutive si estinguono in relazione ai beni per i  quali  interviene
un provvedimento definitivo di confisca». 
    In forza di tale norma, nel presente  procedimento  si  dovrebbe,
dunque,   addivenire   a   una   declaratoria   di   improcedibilita'
dell'esecuzione - vale a dire alla pronuncia di un «provvedimento con
cui il processo  esecutivo  viene  chiuso  in  quanto  definito,  per
l'avvenuta completa realizzazione del suo scopo o per la riconosciuta
impossibilita' di realizzare tale scopo e quindi per l'impossibilita'
della sua prosecuzione» (cfr. Cassazione sez. 6-3 civ.  ordinanza  n.
15605/17 in ordine alla possibilita' che il giudice  dell'esecuzione,
nell'esercizio  dei  propri  poteri  officiosi,  giunga  a  una  tale
conclusione  pure  all'esito  della  fase  cautelare  della  proposta
opposizione  e  contestuale  richiesta  di  sospensione)  -  trovando
applicazione l'art. 60 del codice antimafia  (rubricato  Liquidazione
dei beni) e l'art. 61 (rubricato Progetto e piano  di  pagamento  dei
crediti),  che  disciplinano  il   pagamento   dei   creditori   dopo
l'irrevocabilita'  della  confisca  individuando  l'organo   preposto
nell'Agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati, alla  quale
-  dopo   la   confisca   in   grado   di   appello -   spetta   pure
l'amministrazione dei beni fino all'emissione  del  provvedimento  di
destinazione (art. 38, comma 3). 
    Reputa tuttavia questo Tribunale di non potere addivenire a  tale
conclusione  senza   prima   sottoporre   al   vaglio   della   Corte
costituzionale la disciplina dettata  dal  combinato  disposto  degli
articoli 55, 60 de 61 del codice antimafia,  il  cui  contenuto  pone
seri dubbi di costituzionalita' in relazione all'art. 24 della  Carta
- che, al comma 1^, prevede che «Tutti possono agire in giudizio  per
la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» - e all'art. 102,
secondo il  quale  «La  funzione  giurisdizionale  e'  esercitata  da
magistrati   ordinari   istituiti   e    regolati    dall'ordinamento
giudiziario». 
    Anche di recente la Corte costituzionale (sent. n.  140/2022)  ha
ribadito  «il  principio  secondo  cui  la  garanzia   della   tutela
giurisdizionale  posta   dall'articolo   24,   primo   comma,   della
Costituzione comprende anche la fase dell'esecuzione forzata», che e'
decisiva per raggiungere la tutela effettiva dei diritti. 
    Quello dell'effettivita' della tutela giurisdizionale e'  inoltre
un  principio  generale  di  diritto  comunitario  che  deriva  dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, e' stato  sancito
dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
ed e' stato ribadito  anche  all'art.  47  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea. 
    Con la sentenza n. 341/2006, la Corte costituzionale ha  altresi'
spiegato che «la Costituzione non impone  un  modello  vincolante  di
processo», lasciando al  legislatore  «ampia  discrezionalita'  nella
conformazione degli istituti processuali», chiarendo al contempo  che
il nucleo minino di presidi fissati dagli articoli  24  e  111  della
Costituzione non puo' essere disatteso. 
    La  disciplina  dettata  dagli  articoli  60  e  61  del   codice
antimafia, a parere di questo GE, disattende invece  tali  presidi  e
vanifica   per   diverse   ragioni   l'effettivita'   della    tutela
giurisdizionale  dei  crediti  e,   ancora   di   piu',   di   quelli
prededucibili. 
    Le norme in questione prevedono che, dopo l'irrevocabilita' della
confisca, l'agenzia - gia' preposta all'amministrazione dei beni dopo
la confisca di secondo grado - proceda  al  pagamento  dei  creditori
ammessi al  passivo;  che  a  tal  fine  (ove  ricorrano  determinati
presupposti) l'agenzia proceda altresi' alla liquidazione  di  alcuni
dei beni confiscati; che rediga il progetto di pagamento dei  crediti
contenente quelli utilmente ammessi al passivo; che i crediti vengano
soddisfatti nei  limiti  dettati  dall'art.  53  e  secondo  l'ordine
indicato dall'art. 61 che, a sua volta,  colloca  al  primo  posto  i
crediti prededucibili (che invece sono esclusi dal passivo  in  forza
delle norme sopra richiamate). 
    L'art. 61 stabilisce altresi' (commi da 4 a 7) che: 
        «L'agenzia, predisposto il progetto di pagamento,  ne  ordina
il deposito disponendo che dello  stesso  sia  data  comunicazione  a
tutti i creditori. 
        Entro dieci giorni dalla comunicazione di cui al  comma  4  i
creditori possono presentare osservazioni sulla graduazione  e  sulla
collocazione dei crediti, nonche' sul valore dei beni o delle aziende
confiscati. 
        L'agenzia, decorso il termine di cui al comma 5, tenuto conto
delle osservazioni ove pervenute, determina il piano di pagamento. 
        Entro  dieci  giorni  dalla  comunicazione   del   piano   di
pagamento, i creditori  possono  proporre  opposizione  dinanzi  alla
sezione civile della corte di appello  del  distretto  della  sezione
specializzata  o  del  giudice  penale  competente  ad  adottare   il
provvedimento di confisca. Si procede in Camera  di  consiglio  e  si
applicano gli articoli 702-bis e seguenti  del  codice  di  procedura
civile». 
    I commi da 8 a 10 regolano la fase del pagamento che  segue  alla
definitivita' del piano, affidandola sempre all'agenzia  e  prevedono
che i  pagamenti  effettuati  non  sono  ripetibili,  salvo  il  caso
dell'accoglimento di domande  di  revocazione  del  provvedimento  di
ammissione   del   credito   allo   stato   passivo   (che   il   PM,
l'amministratore  giudiziario  o  l'agenzia   possono   proporre   al
Tribunale della prevenzione a determinate condizioni). 
    Sempre   l'agenzia   provvede,   infine,   all'approvazione   del
rendiconto della gestione predisposto dal coadiutore per  l'attivita'
di amministrazione condotta sotto la  direzione  dell'agenzia  stessa
(art. 38, comma 4). 
    Orbene, le sezioni unite civili della S.C., con  la  sentenza  n.
12871/2022 - escludendo la giurisdizione  del  GA  nelle  ipotesi  di
inerzia  dell'agenza  nella  fase  del  pagamento  dei  creditori  e,
segnatamente, in quella di predisposizione del progetto di  pagamento
-  hanno  chiarito  che  la  natura   degli   adempimenti   demandati
all'agenzia  dopo  la  confisca   definitiva   e'   tecnica   e   non
amministrativa e che, in relazione alle attivita' da compiere in tale
fase, «l'agenzia non  puo'  che  qualificarsi  come  ente  ausiliario
rispetto all'organo giurisdizionale, anziche' titolare di  un  potere
amministrativo in senso proprio». 
    Sebbene la pronuncia della S.C. si riferisca a un caso nel  quale
trovava applicazione la disciplina transitoria,  non  pare  si  possa
giungere  a  conclusioni  differenti  in  relazione  alla  disciplina
definitiva. In ogni caso, ove anche (in via di mera  ipotesi)  ci  si
discostasse da tale  conclusione  classificando  come  amministrativa
l'attivita' dell'agenzia, a parere di questo Tribunale,  resterebbero
immutati i profili di incostituzionalita' della disciplina. 
    Mentre infatti la verifica dei  crediti  e  la  formazione  dello
stato  passivo  con  le  relative  opposizioni  avvengono  sotto   il
controllo del giudice delegato e del Tribunale della prevenzione,  al
pari della verifica e  approvazione  del  rendiconto  della  gestione
dell'amministratore giudiziario (art. 38, comma 4^), dopo la confisca
di secondo grado, non solo e' sottratta al  controllo  dell'autorita'
giudiziaria l'approvazione del rendiconto della gestione (aspetto che
tuttavia nel presente giudizio non assume rilevanza), ma  e'  escluso
qualunque tipo di intervento dell'autorita' giudiziaria  tanto  nella
fase anteriore alla predisposizione del progetto di pagamento, quanto
nella fase successiva alla sua trasformazione in piano di  pagamento,
vale a dire quella della sua materiale esecuzione. 
    L'unica  forma  di  intervento  dell'autorita'   giudiziaria   e'
prevista dopo la formazione del progetto di pagamento, allorquando  i
creditori che abbiano invano proposto osservazioni all'agenzia  sulla
graduazione e collocazione dei crediti, oppure sul valore dei beni  e
delle aziende confiscate, possono proporre osservazioni al  piano  di
pagamento predisposto dall'agenzia rivolgendosi alla «sezione  civile
della corte di appello del distretto della  sezione  specializzata  o
del  giudice  penale  competente  ad  adottare  il  provvedimento  di
confisca», che decide in Camera  di  consiglio  con  le  forme  degli
articoli 702-bis e ss. del codice di procedura civile. 
    Trattasi, tuttavia, di una forma di tutela estremamente  limitata
e  incompleta  che,  come  gia'  evidenziato,  lascia   completamente
sguarnite  tanto  la  fase  della  predisposizione  del  progetto   -
destinato a diventare piano opponibile dinanzi  all'AG  -  quanto  la
fase della sua esecuzione materiale e che e'  ancor  piu'  inefficace
per i  titolari  di  crediti  prededucibili  il  cui  accertamento  -
inevitabilmente compiuto al di fuori della procedura concorsuale - e'
destinato a non avere seguito sul piano dell'esecuzione, restando  il
credito accertato in sede di  cognizione  ordinaria  non  solo  fuori
dallo stato passivo, ma (il piu' delle volte) pure fuori dal progetto
di pagamento. 
    Il vulnus nella disciplina che  viene  in  rilievo  nel  caso  di
specie appare ancora  piu'  evidente  ove  si  consideri  quello  che
avviene nella procedura fallimentare, evocata dall'opponente e  dalla
quale il legislatore ha mutuato parte della disciplina contenuta  nel
codice antimafia, come accennato pure dalla S.C. (sez. II pen.) nella
motivazione della sentenza n. 29013/2020. 
    La legge fallimentare infatti, oltre  ad  affidare  all'AG  della
procedura  l'accertamento  di  tutti  i  crediti,   compresi   quelli
prededucibili,  prevede  un  controllo  costante   sull'operato   del
curatore da parte del giudice delegato e del  Tribunale  -  controllo
che si estende  alla  ripartizione  dell'attivo,  al  rendiconto  del
curatore, fino al riparto finale e alla chiusura della liquidazione -
assicurando la tutela giurisdizionale effettiva  dei  creditori,  sia
pure al di fuori degli ordinari giudizi di cognizione ed esecuzione. 
    Nel caso in esame invece, considerato il tenore della  disciplina
dettata dagli articoli 60  e  61  del  codice  antimafia,  dichiarare
l'improcedibilita' dell'esecuzione  come  imposto  dall'art.  55  del
medesimo  codice,   senza   -sottoporre   al   vaglio   della   Corte
costituzionale la predetta disciplina - significherebbe  lasciare  il
creditore privo di tutela. 
    Ne' quanto fino a ora  osservato  cozza  in  alcun  modo  con  il
principio della prevalenza della confisca sul pignoramento - ribadito
anche dalle sezioni unite  civili  della  S.C.  con  la  sentenza  n.
10532/2013   -   che   sancisce   la   «prevalenza   delle   esigenze
pubblicistiche  penali  sulle  ragioni  del  creditore  del  soggetto
colpito dalle misure di sicurezza patrimoniale, anche se il primo sia
assistito da garanzia reale sul bene». 
    I rilievi svolti attengono infatti - oltre che (in generale) alla
effettivita' della tutela dei creditori ammessi al passivo, cioe'  di
quelli per i quali lo stesso legislatore ha ritenuto di  derogare  al
suddetto principio, sia pure nei limiti dell'art. 53 e  a  condizione
che abbiano avuto esito positivo le verifiche di  cui  agli  articoli
57, 58 e 59 - in particolare alla  tutela  dei  titolari  di  crediti
prededucibili (quale quello per cui e' processo), cioe'  alla  tutela
dei titolari di crediti sorti nel corso  della  procedura  che  nulla
hanno a che vedere con il soggetto colpito dalla misura di  sicurezza
patrimoniale. 
    Un'interpretazione costituzionalmente orientata degli articoli 60
e  61  del  codice  antimafia   e'   impossibile   per   il   giudice
dell'esecuzione che, essendo tenuto a  dichiarare  l'improcedibilita'
dell'azione esecutiva in forza dell'art. 55, non  puo',  dunque,  che
suscitare l'intervento della consulta sulle  norme  che  regolano  il
procedimento applicabile in luogo di quello ordinario di  esecuzione,
avviato con la suddetta azione. 
    Questo Tribunale e' ben  consapevole  del  fatto  che  la  scelta
relativa  al  tipo  di  procedimento  giurisdizionale  da  applicare,
compresa quella (auspicabile) di delineare una procedura  concorsuale
analoga a quella fallimentare,  non  puo'  che  essere  rimessa  alla
discrezionalita' del legislatore. 
    Reputa al contempo, tuttavia, che - nell'attesa di un  intervento
normativo (allo stato meramente ipotetico) - vi sia  margine  per  un
intervento additivo della Corte costituzionale atteso che, lo  stesso
art.  61  del  codice   antimafia,   nel   prevedere   il   controllo
giurisdizionale limitato e incompleto di cui si e'  detto,  individua
sia il giudice competente (sezione civile della Corte  d'appello  del
distretto della sezione specializzata o  del  giudice  competente  ad
adottare il provvedimento), sia il tipo di procedimento da  applicare
(quello disciplinato dagli articoli 702-bis e seguenti del codice  di
procedura civile). 
    Alla  luce  del  quadro  attuale  dunque  -  poiche',  come  gia'
chiarito,   non   v'e'   margine   per   l'individuazione   in    via
interpretativa,  da  parte   della   giurisprudenza,   di   possibili
meccanismi di salvaguardia dei creditori - la  «soluzione  obbligata»
(Corte  costituzionale  n.  190/1994)  puo'  essere  individuata   in
un'estensione del controllo giurisdizionale gia' previsto dalla norma
stessa.