TRIBUNALE DI PALERMO sezione VI civile - esecuzioni mobiliari Il giudice dott.ssa Rachele Monfredi Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 23 novembre 2022; Esaminati gli atti del procedimento; Rilevato: che lo stesso ha a oggetto la fase cautelare dell'opposizione ex articoli 615 e 617 del codice di procedura civile proposta da S. S.r.l. in liquidazione in confisca definitiva - debitrice esecutata nel giudizio RGE 2020/22 - avverso l'esecuzione intrapresa da R. L. S.r.l., con il pignoramento ex art. 543 del codice di procedura civile dei crediti vantati dalla predetta debitrice nei confronti del terzo Banca Popolare Sant'Angelo s.c.p.a.; che il contraddittorio e' stato ritualmente instaurato anche nei confronti del terzo pignorato - litisconsorte necessario nelle opposizioni esecutive secondo la giurisprudenza della S.C. (cfr. Cassazione sez. III civ. n. 13533/21) - il quale, tuttavia, non si e' costituito nel presente subprocedimento; che i titoli esecutivi azionati sono il decreto ingiuntivo n. 10131/17 reso dal Tribunale di Napoli e la sentenza n. 2458/21 resa dal Tribunale di Palermo e che il credito complessivo, come da precetto, ammonta ad euro 25.893,84 (oltre accessori e spese); che il terzo pignorato (in data 13 aprile 2022) ha reso la dichiarazione di quantita' inviandola al creditore ex art. 547 del codice di procedura civile, riferendo con tale dichiarazione che la societa' debitrice e' intestataria di un rapporto di conto con saldo contabile positivo e accantonando l'importo di euro 38.840,76; Osserva Con il primo motivo, la debitrice opponente ha dedotto la nullita' e l'inefficacia dell'atto di pignoramento in ragione della sua notifica a mezzo PEC da parte del creditore invece che a mezzo dell'ufficiale giudiziario, evidenziando «per completezza» il decorso del termine di efficacia del precetto. Orbene - posto che il pignoramento costituisce una fattispecie complessa a formazione progressiva che nel caso dell'espropriazione presso terzi si perfeziona con la dichiarazione del terzo o con l'accertamento del relativo obbligo e che, tuttavia, gli effetti per il debitore e per il terzo decorrono dal momento del perfezionamento delle rispettive notifiche (cfr. ex multis Cassazione n. 6666/11) - rileva il Tribunale che, nel caso in esame, l'atto di pignoramento, completo dell'ingiunzione e degli avvertimenti dell'ufficiale giudiziario, e' stato da quest'ultimo tempestivamente e validamente notificato al terzo, mentre non risulta perfezionata la notifica al debitore il quale, pero' - avendo ricevuto via PEC dal creditore copia dell'atto stesso e del decreto di differimento dell'udienza reso dal giudice d'ufficio dopo l'iscrizione a ruolo - ha proposto l'opposizione (senza attendere che all'udienza, rilevato il vizio della notifica ne venisse disposta la rinnovazione). Alla luce di tali circostanze non ricorre alcuna nullita' e/o inefficacia dell'atto di pignoramento, bensi' un mero vizio di notifica dello stesso che risulta sanato, come dedotto dalla difesa della creditrice. Come infatti chiarito dalla S. C. , diversamente dal vizio di notifica dell'atto di precetto, «il vizio di notificazione dell'atto di pignoramento e', di regola, sanato dalla mera proposizione dell'opposizione, a meno che l'opponente non deduca contestualmente un concreto pregiudizio al diritto di difesa verificatosi prima che egli abbia avuto conoscenza dell'espropriazione forzata, oppure che la notificazione sia radicalmente inesistente, in quanto del tutto mancante o priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione» (cfr. Cassazione sezione III civile n. 11290/20). Tale motivo di opposizione, sussumibile nell'alveo dell'art. 617 del codice di procedura civile (dunque nell'ambito delle opposizioni agli atti esecutivi) non e' dunque supportato dal fumus necessario a fondare l'invocata sospensione (ex art. 618 del codice di procedura civile). Con il secondo motivo, l'opponente ha dedotto «l'impignorabilita' dei beni ai sensi dell'art. 55 decreto legislativo 159/11 (codice antimafia)», alla luce delle circostanze e delle considerazioni di seguito riepilogate. L'art. 55 del codice antimafia, fin dal momento del sequestro, vieta l'avvio di azioni esecutive sui beni sequestrati e prevede l'estinzione di quelle gia' in corso sui medesimi beni. L'intero patrimonio aziendale della S. e' stato sottoposto a sequestro di prevenzione con decreto del 24 maggio 2013 e a confisca definitiva in data 24 marzo 2021, con conseguente acquisizione al patrimonio dello Stato di tutti i beni che lo compongono «liberi da pesi e oneri» e garanzia della tutela dei terzi nei limiti e nelle forme del titolo IV (art. 45). Secondo la disciplina contenuta nel titolo IV (articoli 52 e ss.) del medesimo codice, i creditori devono proporre domanda di accertamento delle proprie pretese solo dinanzi al giudice della prevenzione all'uopo delegato (art. 57) e possono trovare soddisfazione nei limiti preisti dall'art. 53 e secondo l'ordine regolato dall'art. 61. Tale procedimento trova applicazione anche per i crediti sorti in costanza di procedura, dunque prededucibili, al pari di quanto avviene in sede fallimentare per i debiti contratti dal curatore fallimentare. Ha concluso che «R. L. S.r.l., dunque, deve chiedere il riconoscimento dei propri crediti al Tribunale penale, sezione misure di prevenzione e potra' essere soddisfatta nelle forme e nei limiti previsti dall'art. 61 del codice antimafia, che disciplina, l'ordine e il grado di soddisfazione dei creditori da inserire nel progetto di pagamento all'esito della procedura di liquidazione (che e' regolata sulla falsariga della liquidazione del passivo fallimentare)». La difesa della creditrice procedente ha contestato invece l'applicabilita', ai crediti prededucibili, delle norme richiamate dall'opponente, evidenziando in punto di fatto: che i crediti azionati hanno a oggetto le anticipazioni sostenute per operazioni di sdoganamento richieste dalla S. S.r.l. nel 2017, quando gia' si trovava in amministrazione giudiziaria; che quest'ultima, a mezzo dei legali rappresentanti della societa', non ha mai contestato la fondatezza della pretesa, tanto da non proporre opposizione al decreto ingiuntivo e da dichiarare la propria intenzione di pagare all'esito del contenzioso con il trasportatore; che, pur avendo incassato le somme dovute dal trasportatore (soccombente nel medesimo giudizio concluso con uno dei due titoli azionati), ha continuato e continua a non adempiere la propria obbligazione. Cosi' riassunte le argomentazioni svolte dalle parti - posto che «in tema di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, non possono essere dedotti fatti estintivi, impeditivi o modificativi verificatisi prima della maturazione delle preclusioni processuali, ad essi relative, nel giudizio di cognizione che ha portato alla formazione di tale titolo» (cfr. Cassazione sez. 6-3 civ. n. 3716/20) e che il principio vale anche nell'ipotesi in cui il titolo sia costituito da un decreto ingiuntivo non opposto (cfr. Cassazione sez. 1^ civ. n. 18725/07) - vanno disattesi i motivi di opposizione volti a contestare la titolarita', in capo al giudice della cognizione, del potere di accertamento dei crediti, in tesi spettante esclusivamente al giudice delegato della misura di prevenzione ai sensi degli articoli 57 e ss. del codice antimafia. In proposito, non e' comunque superfluo evidenziare che la dedotta incompetenza del giudice civile ad accertare, in sede di cognizione, i crediti prededucibili contestati (sempre che si possano considerare tali quelli semplicemente non adempiuti spontaneamente, quale quello per cui e' processo) e' tutt'altro che pacifica in giurisprudenza, proprio alla luce del tenore delle norme del codice antimafia. E infatti, l'art. 54 - rubricato Pagamento dei crediti prededucibili - dispone che «i crediti prededucibili sorti nel corso del procedimento di prevenzione che sono liquidi, esigibili e non contestati non debbono essere accertati secondo le modalita' previste dagli articoli 57, 58 e 59 e possono essere soddisfatti in tutto o in parte, al di fuori dal piano di riparto, previa autorizzazione del giudice delegato» (mediante il prelievo di somme disponibili o con anticipazione degli oneri da parte dello Stato), mentre nulla dice sui crediti prededucibili illiquidi e/o inesigibili e/o contestati. A sua volta, l'art. 57 (collocato all'inizio della sezione sull'accertamento dei diritti dei terzi) fa espresso riferimento ai «creditori anteriori al sequestro, ivi compresi quelli di cui all'art. 54-bis» (e cioe' quelli le cui prestazioni «siano collegate a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell'attivita'»), senza richiamare quelli di cui all'art. 54 che, come gia' evidenziato, nella rubrica fa riferimento ai crediti prededucibili toutcourt, salvo poi disciplinare solo quelli liquidi, esigibili e non contestati. E' inoltre tutt'altro che eccezionale l'ipotesi che l'esigenza di accertamento del credito sorga per effetto del mancato pagamento (come nel caso di specie) dopo la confisca definitiva, allorquando, secondo l'art. 60, si apre la fase della liquidazione dei beni gestita dall'agenzia e, dunque, non e' piu' possibile l'inserimento nello stato passivo attraverso il procedimento di verifica previsto dagli articoli 57 e ss. (a meno di ipotizzare una prorogatio dei poteri di accertamento e verifica del Tribunale, prevista invero dall'art. 62 solo per l'ipotesi della revocazione proposta dal pubblico ministero, dall'agenzia o dall'amministratore giudiziario). Anche sotto questo profilo, dunque, non sussiste il fumus della proposta opposizione. Ben piu' articolate e complesse sono le questioni che si pongono alla luce dei motivi di opposizione con i quali la debitrice esecutata ha contestato il diritto della creditrice di agire esecutivamente sui beni costituenti il proprio patrimonio in ragione della loro confisca ex articoli 20, comma 1^ e 24 comma 1^-bis, decreto legislativo n. 159/2011 e del disposto dell'art. 55 del decreto legislativo n. 159/2011. Orbene - posto che e' documentale (oltre che pacifica tra le parti) la circostanza che il procedimento esecutivo e' stato avviato dopo che il capitale sociale e i beni costituenti il patrimonio aziendale della S. S.r.l. in liquidazione erano stati sottoposti non solo a sequestro, ma pure a confisca definitiva, in conformita' al disposto dell'art. 24, comma 1^-bis del codice antimafia, secondo il quale «Il Tribunale, quando dispone la confisca di partecipazioni sociali totalitarie, ordina la confisca anche dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e ss. c.c.» - poiche' l'azienda «puo' essere definita come quella "universitas rerum", comprendente cose corporali (mobili ed immobili), cose immateriali, compreso l'avviamento, rapporti giuridici di lavoro con il personale, debiti e crediti con la clientela, elementi questi unificati tutti dalla volonta' del titolare in vista dello scopo perseguito, unificati cioe' in senso funzionale della destinazione ad un fine comune» (cfr. Cassazione sez. 1^ civ. n. 2391/63); deve innanzitutto ritenersi incontrovertibile che tra i beni sottoposti a (sequestro prima e poi a) confisca vi sia pure il credito oggetto del procedimento di espropriazione ex art. 543 cpc nel quale si innesta la fase cautelare dell'opposizione, sulla quale il questo GE e' chiamato a decidere. Va altresi' chiarito che - essendo i beni definitivamente confiscati (dunque anche il credito per cui e' causa) acquisiti a titolo originario al patrimonio dello Stato (cfr. Cassazione sez. 6-1 civ. ordinanza n. 6068/21 sulla natura della confisca penale) - l'art. 55 del codice antimafia, rubricato Azioni esecutive, (a differenza di quanto dedotto dall'opponente) non prevede un'ipotesi di impignorabilita' di tali beni - i quali, a ben vedere, proprio in ragione dell'intervenuta confisca, non appartengono piu' all'originario proprietario, nella specie la societa' - bensi' un'ipotesi di improcedibilita' e improseguibilita' delle azioni esecutive (che scatta fin dal momento del sequestro di prevenzione potenzialmente destinato a sfociare in una confisca e cessa in caso di dissequestro). La norma infatti, prevede testualmente che: «1. A seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive. I beni gia' oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall'amministratore giudiziario. 2. Le procedure esecutive gia' pendenti sono sospese sino alla conclusione del procedimento di prevenzione. Le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca». In forza di tale norma, nel presente procedimento si dovrebbe, dunque, addivenire a una declaratoria di improcedibilita' dell'esecuzione - vale a dire alla pronuncia di un «provvedimento con cui il processo esecutivo viene chiuso in quanto definito, per l'avvenuta completa realizzazione del suo scopo o per la riconosciuta impossibilita' di realizzare tale scopo e quindi per l'impossibilita' della sua prosecuzione» (cfr. Cassazione sez. 6-3 civ. ordinanza n. 15605/17 in ordine alla possibilita' che il giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei propri poteri officiosi, giunga a una tale conclusione pure all'esito della fase cautelare della proposta opposizione e contestuale richiesta di sospensione) - trovando applicazione l'art. 60 del codice antimafia (rubricato Liquidazione dei beni) e l'art. 61 (rubricato Progetto e piano di pagamento dei crediti), che disciplinano il pagamento dei creditori dopo l'irrevocabilita' della confisca individuando l'organo preposto nell'Agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati, alla quale - dopo la confisca in grado di appello - spetta pure l'amministrazione dei beni fino all'emissione del provvedimento di destinazione (art. 38, comma 3). Reputa tuttavia questo Tribunale di non potere addivenire a tale conclusione senza prima sottoporre al vaglio della Corte costituzionale la disciplina dettata dal combinato disposto degli articoli 55, 60 de 61 del codice antimafia, il cui contenuto pone seri dubbi di costituzionalita' in relazione all'art. 24 della Carta - che, al comma 1^, prevede che «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» - e all'art. 102, secondo il quale «La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dall'ordinamento giudiziario». Anche di recente la Corte costituzionale (sent. n. 140/2022) ha ribadito «il principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall'articolo 24, primo comma, della Costituzione comprende anche la fase dell'esecuzione forzata», che e' decisiva per raggiungere la tutela effettiva dei diritti. Quello dell'effettivita' della tutela giurisdizionale e' inoltre un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, e' stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed e' stato ribadito anche all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Con la sentenza n. 341/2006, la Corte costituzionale ha altresi' spiegato che «la Costituzione non impone un modello vincolante di processo», lasciando al legislatore «ampia discrezionalita' nella conformazione degli istituti processuali», chiarendo al contempo che il nucleo minino di presidi fissati dagli articoli 24 e 111 della Costituzione non puo' essere disatteso. La disciplina dettata dagli articoli 60 e 61 del codice antimafia, a parere di questo GE, disattende invece tali presidi e vanifica per diverse ragioni l'effettivita' della tutela giurisdizionale dei crediti e, ancora di piu', di quelli prededucibili. Le norme in questione prevedono che, dopo l'irrevocabilita' della confisca, l'agenzia - gia' preposta all'amministrazione dei beni dopo la confisca di secondo grado - proceda al pagamento dei creditori ammessi al passivo; che a tal fine (ove ricorrano determinati presupposti) l'agenzia proceda altresi' alla liquidazione di alcuni dei beni confiscati; che rediga il progetto di pagamento dei crediti contenente quelli utilmente ammessi al passivo; che i crediti vengano soddisfatti nei limiti dettati dall'art. 53 e secondo l'ordine indicato dall'art. 61 che, a sua volta, colloca al primo posto i crediti prededucibili (che invece sono esclusi dal passivo in forza delle norme sopra richiamate). L'art. 61 stabilisce altresi' (commi da 4 a 7) che: «L'agenzia, predisposto il progetto di pagamento, ne ordina il deposito disponendo che dello stesso sia data comunicazione a tutti i creditori. Entro dieci giorni dalla comunicazione di cui al comma 4 i creditori possono presentare osservazioni sulla graduazione e sulla collocazione dei crediti, nonche' sul valore dei beni o delle aziende confiscati. L'agenzia, decorso il termine di cui al comma 5, tenuto conto delle osservazioni ove pervenute, determina il piano di pagamento. Entro dieci giorni dalla comunicazione del piano di pagamento, i creditori possono proporre opposizione dinanzi alla sezione civile della corte di appello del distretto della sezione specializzata o del giudice penale competente ad adottare il provvedimento di confisca. Si procede in Camera di consiglio e si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile». I commi da 8 a 10 regolano la fase del pagamento che segue alla definitivita' del piano, affidandola sempre all'agenzia e prevedono che i pagamenti effettuati non sono ripetibili, salvo il caso dell'accoglimento di domande di revocazione del provvedimento di ammissione del credito allo stato passivo (che il PM, l'amministratore giudiziario o l'agenzia possono proporre al Tribunale della prevenzione a determinate condizioni). Sempre l'agenzia provvede, infine, all'approvazione del rendiconto della gestione predisposto dal coadiutore per l'attivita' di amministrazione condotta sotto la direzione dell'agenzia stessa (art. 38, comma 4). Orbene, le sezioni unite civili della S.C., con la sentenza n. 12871/2022 - escludendo la giurisdizione del GA nelle ipotesi di inerzia dell'agenza nella fase del pagamento dei creditori e, segnatamente, in quella di predisposizione del progetto di pagamento - hanno chiarito che la natura degli adempimenti demandati all'agenzia dopo la confisca definitiva e' tecnica e non amministrativa e che, in relazione alle attivita' da compiere in tale fase, «l'agenzia non puo' che qualificarsi come ente ausiliario rispetto all'organo giurisdizionale, anziche' titolare di un potere amministrativo in senso proprio». Sebbene la pronuncia della S.C. si riferisca a un caso nel quale trovava applicazione la disciplina transitoria, non pare si possa giungere a conclusioni differenti in relazione alla disciplina definitiva. In ogni caso, ove anche (in via di mera ipotesi) ci si discostasse da tale conclusione classificando come amministrativa l'attivita' dell'agenzia, a parere di questo Tribunale, resterebbero immutati i profili di incostituzionalita' della disciplina. Mentre infatti la verifica dei crediti e la formazione dello stato passivo con le relative opposizioni avvengono sotto il controllo del giudice delegato e del Tribunale della prevenzione, al pari della verifica e approvazione del rendiconto della gestione dell'amministratore giudiziario (art. 38, comma 4^), dopo la confisca di secondo grado, non solo e' sottratta al controllo dell'autorita' giudiziaria l'approvazione del rendiconto della gestione (aspetto che tuttavia nel presente giudizio non assume rilevanza), ma e' escluso qualunque tipo di intervento dell'autorita' giudiziaria tanto nella fase anteriore alla predisposizione del progetto di pagamento, quanto nella fase successiva alla sua trasformazione in piano di pagamento, vale a dire quella della sua materiale esecuzione. L'unica forma di intervento dell'autorita' giudiziaria e' prevista dopo la formazione del progetto di pagamento, allorquando i creditori che abbiano invano proposto osservazioni all'agenzia sulla graduazione e collocazione dei crediti, oppure sul valore dei beni e delle aziende confiscate, possono proporre osservazioni al piano di pagamento predisposto dall'agenzia rivolgendosi alla «sezione civile della corte di appello del distretto della sezione specializzata o del giudice penale competente ad adottare il provvedimento di confisca», che decide in Camera di consiglio con le forme degli articoli 702-bis e ss. del codice di procedura civile. Trattasi, tuttavia, di una forma di tutela estremamente limitata e incompleta che, come gia' evidenziato, lascia completamente sguarnite tanto la fase della predisposizione del progetto - destinato a diventare piano opponibile dinanzi all'AG - quanto la fase della sua esecuzione materiale e che e' ancor piu' inefficace per i titolari di crediti prededucibili il cui accertamento - inevitabilmente compiuto al di fuori della procedura concorsuale - e' destinato a non avere seguito sul piano dell'esecuzione, restando il credito accertato in sede di cognizione ordinaria non solo fuori dallo stato passivo, ma (il piu' delle volte) pure fuori dal progetto di pagamento. Il vulnus nella disciplina che viene in rilievo nel caso di specie appare ancora piu' evidente ove si consideri quello che avviene nella procedura fallimentare, evocata dall'opponente e dalla quale il legislatore ha mutuato parte della disciplina contenuta nel codice antimafia, come accennato pure dalla S.C. (sez. II pen.) nella motivazione della sentenza n. 29013/2020. La legge fallimentare infatti, oltre ad affidare all'AG della procedura l'accertamento di tutti i crediti, compresi quelli prededucibili, prevede un controllo costante sull'operato del curatore da parte del giudice delegato e del Tribunale - controllo che si estende alla ripartizione dell'attivo, al rendiconto del curatore, fino al riparto finale e alla chiusura della liquidazione - assicurando la tutela giurisdizionale effettiva dei creditori, sia pure al di fuori degli ordinari giudizi di cognizione ed esecuzione. Nel caso in esame invece, considerato il tenore della disciplina dettata dagli articoli 60 e 61 del codice antimafia, dichiarare l'improcedibilita' dell'esecuzione come imposto dall'art. 55 del medesimo codice, senza -sottoporre al vaglio della Corte costituzionale la predetta disciplina - significherebbe lasciare il creditore privo di tutela. Ne' quanto fino a ora osservato cozza in alcun modo con il principio della prevalenza della confisca sul pignoramento - ribadito anche dalle sezioni unite civili della S.C. con la sentenza n. 10532/2013 - che sancisce la «prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito dalle misure di sicurezza patrimoniale, anche se il primo sia assistito da garanzia reale sul bene». I rilievi svolti attengono infatti - oltre che (in generale) alla effettivita' della tutela dei creditori ammessi al passivo, cioe' di quelli per i quali lo stesso legislatore ha ritenuto di derogare al suddetto principio, sia pure nei limiti dell'art. 53 e a condizione che abbiano avuto esito positivo le verifiche di cui agli articoli 57, 58 e 59 - in particolare alla tutela dei titolari di crediti prededucibili (quale quello per cui e' processo), cioe' alla tutela dei titolari di crediti sorti nel corso della procedura che nulla hanno a che vedere con il soggetto colpito dalla misura di sicurezza patrimoniale. Un'interpretazione costituzionalmente orientata degli articoli 60 e 61 del codice antimafia e' impossibile per il giudice dell'esecuzione che, essendo tenuto a dichiarare l'improcedibilita' dell'azione esecutiva in forza dell'art. 55, non puo', dunque, che suscitare l'intervento della consulta sulle norme che regolano il procedimento applicabile in luogo di quello ordinario di esecuzione, avviato con la suddetta azione. Questo Tribunale e' ben consapevole del fatto che la scelta relativa al tipo di procedimento giurisdizionale da applicare, compresa quella (auspicabile) di delineare una procedura concorsuale analoga a quella fallimentare, non puo' che essere rimessa alla discrezionalita' del legislatore. Reputa al contempo, tuttavia, che - nell'attesa di un intervento normativo (allo stato meramente ipotetico) - vi sia margine per un intervento additivo della Corte costituzionale atteso che, lo stesso art. 61 del codice antimafia, nel prevedere il controllo giurisdizionale limitato e incompleto di cui si e' detto, individua sia il giudice competente (sezione civile della Corte d'appello del distretto della sezione specializzata o del giudice competente ad adottare il provvedimento), sia il tipo di procedimento da applicare (quello disciplinato dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile). Alla luce del quadro attuale dunque - poiche', come gia' chiarito, non v'e' margine per l'individuazione in via interpretativa, da parte della giurisprudenza, di possibili meccanismi di salvaguardia dei creditori - la «soluzione obbligata» (Corte costituzionale n. 190/1994) puo' essere individuata in un'estensione del controllo giurisdizionale gia' previsto dalla norma stessa.