IL TRIBUNALE DI MONZA Sezione penale Il Giudice, Visti gli atti del procedimento n. 11887/19 R.G.N.R. e n. 3500/21 R.G. DIB. a carico di: D. G. D., nato a ... il ... , con domicilio eletto presso lo studio del difensore (cfr. verbale di udienza del 27 gennaio 2023); difeso d'ufficio dall'avv. Raffaella Vercesi del foro di Monza, imputato del reato p. e p. all'art. 81 cpv, 590-bis comma 1 e 590-ter codice penale in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1 del c.p., perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, alla guida del veicolo VW Polo targata ..., in ..., giunto in prossimita' dell'incrocio tra via ... e via ..., in corrispondenza dell'attraversamento pedonale rialzato, investiva il pedone M. A. impegnata nell'attraversamento del predetto incrocio, dandosi successivamente alla fuga senza prestare l'assistenza occorrente alla p.o., alla quale aveva cagionato lesioni personali gravi quali «frattura malleoloperoneale ds + contusioni multiple» dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in un tempo superiore ai quaranta giorni. Con l'aggravante di aver cagionato delle lesioni da cui e' derivata un'incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni. Con l'aggravante, in qualita' di conducente, di essersi dato alla fuga. In ... il ... Parte civile M. A. , nata a ... il ... , domiciliata ex lege presso lo studio dell'avv. Davide Minasoli del Foro di Monza, che la rappresenta e difende. Letta la memoria ex art. 121 codice di procedura penale depositata della difesa all'esito della discussione finale svolta all'udienza del 24 febbraio 2023, con la quale e' stata sollevata l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 590-ter c.p., in relazione all'art. 590-bis c.p., ove sono riportate le argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale pronunciata dal Tribunale di Milano, sezione XI penale, Giudice dott.ssa Lorella Trovato, in data 22 settembre 2022 in relazione agli articoli 590-bis e 590-ter c.p.; Considerato che l'art. 590-bis codice penale prevede che «chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale» e' punito «con la reclusione da tre mesi a un anno» per le lesioni gravi e che l'art. 590-ter codice penale dispone che «[n]el caso di cui all'art. 590-bis, se il conducente si da' alla fuga, la pena e' aumentata da un terzo a due terzi e comunque non puo' essere inferiore a tre anni»; Osservato ancora che l'art. 590-quater codice penale impedisce, nella sua attuale formulazione, il bilanciamento delle circostanze aggravanti (segnatamente - e per quanto qui di interesse - quella prevista dall'art. 590-ter c.p.) con circostanze attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 114 c.p., atteso che le stesse «non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti [...] e le diminuzioni si operano sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti»; Ritenuto pertanto che, in considerazione del combinato disposto delle norme sopra citate, la sanzione astrattamente irrogabile all'imputato, nel caso di condanna, e' determinata dal legislatore nella misura fissa di anni tre di reclusione, senza alcuna possibilita' di dosimetria giudiziale; Considerato che l'eccezione non appare manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 27, comma I-III Cost. e che appare rilevante per la decisione del presente processo; Osserva 1. La non manifesta infondatezza della questione. Il reato di cui all'art. 590-bis, comma 1, codice penale (che, come anzidetto, prevede per le lesioni gravi la pena della reclusione da un minimo di tre mesi a un massimo di un anno) e' qui contestato nella sua forma aggravata ex art. 590-ter c.p., norma che prevede l'aumento della pena dell'art. 590-bis, comma 1, codice penale da un terzo a due terzi. Pertanto, l'applicazione della suddetta circostanza comporterebbe, sul piano astratto, l'individuazione di una cornice edittale per la fattispecie aggravata compresa tra quattro mesi di reclusione nel minimo (aumento di un terzo) a un anno e otto mesi di reclusione nel massimo (aumento di due terzi). Senonche', l'inciso «e comunque non puo' essere inferiore a tre anni» previsto dall'art. 590-ter codice penale ha quale unico «sbocco sanzionatorio» la pena di tre anni di reclusione. La «pena fissa» di tre anni prevista dal legislatore e' dunque di molto superiore alla sanzione che dovrebbe irrogarsi in base agli aumenti stabiliti nella prima parte della medesima norma e, per quanto qui interessa, e' insuscettibile di modulazione. Orbene, ritiene il decidente che nel caso di specie l'impossibilita' di adeguare la pena tra un minimo e un massimo, in luogo della pena fissa derivante dal combinato disposto degli articoli 590-bis codice penale e 590-ter codice penale si pone in aperto contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e con il principio di ragionevolezza della pena, in funzione rieducativa, declinato dall'art. 27, comma I - III, Cost. In sintesi - e qui premettendo le censure del trattamento sanzionatorio che ci si accinge nel prosieguo a meglio articolare - vale anzitutto osservare che la pena prevista dal legislatore punisce in modo identico fatti di disvalore diverso. Ne e' la prova che il medesimo art. 590-bis codice penale prevede, per le lesioni stradali gravissime (giocoforza «piu' gravi di quelle gravi») la pena della reclusione da un minimo di un anno a un massimo di tre anni. Per effetto dell'aggravante della fuga del conducente, essa e' aumentata «da un terzo a due terzi» (vale a dire da un minimo di un anno e quattro mesi a un massimo di anni cinque di reclusione), ma la pena, comunque, «non puo' essere inferiore a tre anni». La pena minima per le lesioni stradali aggravate dalla fuga, siano esse gravi o gravissime, nell'attuale contesto normativo viene dunque sempre a coincidere con gli anni tre di reclusione. Inoltre, mentre per la fattispecie di maggiore disvalore il legislatore prevede comunque la cornice edittale tra un minimo (di tre anni) e un massimo (di cinque anni), cosi' consentendo al giudice di merito di differenziare la sanzione per fatti diversi, anche solo valorizzando il grado della colpa o la personalita' del reo, cio' non e' contemplato per la fattispecie, di minor disvalore, delle lesioni gravi. A tale rilievo - involgente in prima battuta il principio di uguaglianza - si somma l'evidente irrazionalita' del trattamento sanzionatorio - minimo e massimo sempre pari a tre anni di reclusione - in quanto la pena fissa prevista dalla legge impedisce al giudice di parametrare la sanzione al caso concreto. Non puo' infatti tacersi che, sul piano prettamente fenomenico, le lesioni personali sono una fattispecie dogmaticamente e naturalisticamente di «evento». A prescindere dalla durata della malattia che ne transustanzia la specie, esse possono essere causate dal reo con le modalita' piu' disparate: si pensi alla quantita', qualita' o tipologia delle regole cautelari violate o al grado della colpa (sicche', gia' solo per questo motivo, la pena fissa di tre anni non sarebbe dunque «proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato», cosi' Corte cost., 2 aprile 1980, n. 50). Ma anche le condizioni personali del reo, quali l'eta' o i suoi precedenti giudiziari, resterebbero - per le sole lesioni gravi (ma inspiegabilmente non per quelle gravissime) - insuscettibili di qualsivoglia considerazione. Non ignora questo giudice che, in linea generale, non e' sindacabile dalla Corte il trattamento sanzionatorio «astratto» di una data fattispecie, essendo la «scelta punitiva» espressione della sovranita' popolare esercitata dal Parlamento su mandato elettorale. Sindacato che, invece, diventa doveroso laddove esso miri a riconciliare la sanzione con le disposizioni della Carta fondamentale poste a presidio tanto del principio di uguaglianza (fatti diversi devono essere trattati in modo diverso; fatti uguali in modo uguale), tanto della funzione della pena (la quale deve tendere alla rieducazione del condannato, che e' appunto chiamato a sopportare un patimento correttivo purche' proporzionato alle sua responsabilita' e purche' egli ne abbia sempre a trarre un bene maggiore rispetto alla sofferenza patita - nunquam medicina subtrahit maius bonum ut promoveat minus bonum). In effetti, come anche affermato da codesta Corte con la pronuncia 13 luglio 2017, n. 179, «la traiettoria della giurisprudenza costituzionale in materia di pena si dispiega tra due poli, in costante tensione fra loro: da un lato, il dovuto riguardo alle scelte politiche, quale componente necessaria del principio di legalita'; dall'altro, la indefettibile tutela degli ulteriori principi e diritti costituzionali, a cui deve conformarsi anche il legislatore della punizione. Preservare l'armonia tra i due livelli di legalita' - ordinaria e costituzionale - e' compito del giudice delle leggi in ogni settore dell'ordinamento e nei confronti di qualsiasi illegittimo esercizio del potere legislativo», e tale e' quando esso «trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» o determini «un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti dalla responsabilita' penale» (cosi' anche Corte costituzionale, 5 novembre 2012, n. 251). E tornando al cuore della presente questione, ritiene il decidente che le forme di automatismo sanzionatorio - per la ragione che da una fattispecie-presupposto (la condanna per un determinato reato) il legislatore ne fa meccanicamente discendere una conseguenza giuridica insuscettibile di qualsivoglia modulazione (l'irrogazione, appunto, di una sanzione invariabile) - impediscano di parametrare la punizione all'evento concreto e al grado di colpevolezza dell'imputato. Affinche', dunque, la funzione rieducativa assegnata alla sanzione sia perseguita gia' nel costrutto generale e astratto (e non relegata alla sola fase esecutiva), lo strumento funzionale non puo' essere altro che la «mobilita'» della pena, vale a dire la (pre)determinazione fra una soglia minima e un tetto massimo. Inoltre, come e' stato osservato, il piu' ampio genus di individualizzazione della pena ricomprende la species di adeguamento della risposta punitiva ai casi concreti, e tale trattamento contribuisce a rendere quanto piu' possibile personale la responsabilita' penale nella prospettiva segnata dall'art. 27, comma I, Cost., e nello stesso tempo si pone quale strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile «finalizzata» agli scopi perseguiti dall'art. 27, comma III, Cost. Proprio in tema di «pene fisse», la Corte e' intervenuta anche recentemente con la sentenza additiva del 5 dicembre 2018, n. 222, ove ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 216 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (L.F.) nella parte in cui prevede le pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio dell'impresa commerciale e dell'incapacita' a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni anziche' «fino a dieci anni». Cio' proprio sul rilievo che la rigida applicazione di quella pena accessoria determina «risposte sanzionatorie sproporzionate per eccesso [...] e appaia comunque distonica rispetto al principio dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio». La sentenza appena menzionata esamina ampiamente la specificita' della valutazione di compatibilita' con il divieto di pene sproporzionate, allorche' essa abbia a oggetto pene fisse, ossia quelle che il giudice sia vincolato ad applicare in una misura predeterminata dal legislatore senza possibilita' di discostarsi da esse. Il fine, dunque, e' restituire discrezionalita' al giudice di merito, affinche' gli sia consentito di modulare la pena in relazione alla concreta gravita' del caso di specie. E proprio con riguardo alla proporzionalita' della pena in concreto (tralasciando il nuovo terreno solcato dalla Corte in merito al sindacato di «sproporzione in astratto», ove e' stato finanche abbandonato il requisito del c.d. tertium comparationis - cfr. Corte cost., 10 novembre 2016, n. 236), la Corte costituzionale ha sempre censurato i trattamenti sanzionatori «rigidi», dichiarandone l'incompatibilita' con la Carta fondamentale: per tutti, valga l'esempio del tormentato art. 69 codice penale circa il divieto di prevalenza di una serie di circostanze attenuanti rispetto alla recidiva qualificata ex art. 99, comma 4, c.p.; cio' proprio perche' tale divieto impedisce l'adeguamento della risposta sanzionatoria al disvalore concreto dei fatti e, appare, in ultima analisi, irragionevole (cfr. tra le tante, sentenza n. 251 del 5 novembre 2012, con riferimento all'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 nella formulazione previgente; sentenza n. 105 del 18 aprile 2014, in relazione all'attenuante di cui all'art. 648, comma 2, c.p.; sentenza n. 106 del 18 aprile 2014, con riferimento all'attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, c.p.; sentenza n. 205 del 17 luglio 2017, in relazione all'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, L.F.). Orbene, sulla scorta di tali coordinate interpretative, ritiene il rimettente che, nel caso di specie, non possa ritenersi conforme ai parametri costituzionali sopra invocati la sanzione fissa di tre anni di reclusione prevista per le lesioni stradali gravi con l'aggravante della fuga, senza alcuna possibilita' di modulazione. E' agevole infatti osservare che a fronte di una fattispecie omogeneamente aggravata dall'elemento della fuga (dovendosi considerare che si tratta pur sempre di una pena detentiva base, non altrimenti modulabile, che ricomprende tanto le lesioni personali colpose, quanto la condotta di fuga), residua pur sempre un elemento di disomogeneita', dal momento che il limite minimo e massimo e' comunque pari a tre anni, a prescindere dalle piu' disparate modalita' di manifestazione concreta del reato. La discrezionalita' giurisdizionale nella dosimetria della pena, come si vedra' a breve, e' poi pregiudicata nel caso di specie anche in sede di computo delle circostanze, in considerazione che la fattispecie di cui all'art. 590-ter codice penale e' richiamata dall'art. 590 quater codice penale a mente del quale non e' consentito il giudizio di equivalenza o di prevalenza tra le circostanze attenuanti (diverse dagli articoli 98 e 114 c.p.), impedendo cosi' al decidente di paralizzarne l'effetto mediante il riconoscimento di circostanze attenuanti diverse da quelle nominativamente indicate dall'art. 590-quater c.p. Sicche', solo l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 590-ter codice penale nella parte in cui prevede che, anche per le lesioni stradali colpose gravi, la pena «non puo' essere inferiore a tre anni», consentirebbe il superamento della staticita' della risposta sanzionatoria; dall'altro consentirebbe la modulazione della pena in relazione alla concreta gravita' del fatto, secondo i parametri discrezionali previsti dall'art. 133 c.p. 2. La rilevanza della questione nel giudizio di merito. Oltre a non apparire manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale cosi' prospettata risulta anche indubbiamente rilevante nella decisione del giudizio di merito demandato alla cognizione di questo Tribunale. Il procedimento incardinato innanzi al rimettente vede infatti imputato un soggetto accusato di avere cagionato, per colpa, lesioni personali gravi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. All'imputato e' stato anche contestato di essersi dato immediatamente alla fuga, senza prestare alcuna assistenza alla persona rimasta a terra ferita. Dall'istruttoria dibattimentale, ormai giunta alla conclusione, sono emersi gravi indizi di colpevolezza in merito alla sussistenza del fatto di reato - ossia l'evento di lesioni gravi ai danni della persona offesa che si accingeva a percorrere la carreggiata sull'apposito attraversamento pedonale e la conseguente fuga dell'automobilista - vertendo unicamente l'accertamento giudiziale sulla corretta identificazione del conducente del veicolo che, per certo, si diede alla fuga, segmento dell'imputazione sul quale sussistono parimenti gravi indizi di reita'. Pacifica e' pertanto la coincidenza del fatto accertato in dibattimento con la fattispecie astratta punita dal combinato disposto degli articoli 590-bis codice penale e 590-ter c.p. Nel corso del processo non sono poi emerse ipotesi rilevanti ai sensi degli articoli 98 e 114 c.p., sicche', stante il disposto di cui all'art. 590-quater c.p., l'eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti diverse da quelle sopra indicate non consentirebbe comunque di sterilizzare gli effetti del trattamento sanzionatorio previsto dalla norma che qui si censura, dovendosi infatti le eventuali diminuzioni di pena calcolarsi pur sempre sulla «pena base» di anni tre di reclusione, sanzione che si predica ipotecata di incostituzionalita'. Non vi sono poi ragioni per ritenere, quantomeno allo stato, che il processo non approdi alla fase decisionale: agli atti vi e' la querela con espressa richiesta di punizione formulata dalla persona offesa ed e' stato ormai superato il termine previsto dall'art. 555, comma 4, c.p.p., sicche' e' precluso l'accesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova, unico rito tale da scongiurare l'applicazione della sanzione. Il rischio, dunque, e' che l'imputato sia condannato ovvero in ogni caso subisca «effetti penali» in base a una norma incriminatrice affetta dai plurimi profili di illegittimita' costituzionale sopra delineati. 3. I precetti costituzionali violati. Le considerazioni sin qui svolte consentono, ad avviso del rimettente, di affermare conclusivamente che l'art. 590-ter codice penale - nella parte in cui prevede che la pena per le lesioni personali colpose gravi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale «non puo' essere inferiore a tre anni» - si pone irrimediabilmente in contrasto con gli articoli 3 e 27, comma I - III, Cost. L'invocata pronuncia della Corte costituzionale - perfettamente coerente con i poteri del giudice delle leggi nel quadro dei principi costituzionali, risolvendosi in intervento in bonam partem, di espunzione dal sistema di un frammento di norma incriminatrice parzialmente illegittima - si declina quale unico rimedio ai vizi di illegittimita' dinanzi esposti, con cio' ripristinando la legalita' costituzionale.