LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione lavoro 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
      dott. Umberto Berrino - presidente; 
      dott. Rossana Mancino - consigliere; 
      dott. Gabriella Marchese - consigliere; 
      dott. Luigi Cavallaro - rel. consigliere; 
      dott. Francesco Buffa - consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
34240-2018 proposto da: 
      I.N.P.S. - Istituto nazionale previdenza  sociale,  in  persona
del Presidente e legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente
domiciliato in Roma, via  Cesare  Beccaria  29,  presso  l'Avvocatura
centrale  dell'istituto,  rappresentato  e  difeso   dagli   avvocati
Patrizia Ciacci, Clementina Pulli, Manuela Massa - ricorrente; 
      Contro Mehmetaj Vito, domiciliato in Roma piazza Cavour  presso
la cancelleria della Corte suprema  di  cassazione,  rappresentato  e
difeso dall'avvocato Alberto Guariso - controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 516/2018 della Corte d'Appello di Firenze,
depositata il 22 maggio 2018 R.G.N. 1149/2017; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
18 gennaio 2023 dal Consigliere dott. Luigi Cavallaro; 
    Udito il pubblico ministero in persona del sostituto  procuratore
generale dott. Stefano Visona' che ha concluso per la rimessione alla
Corte di giustizia; 
    Udito l'avvocato Manuela Massa; 
    Udito l'avvocato Antonello Ciervo  per  delega  verbale  avvocato
Alberto Guariso; 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    Che,  con  sentenza  depositata  il  22  maggio  2018,  la  Corte
d'appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo  grado,  ha
accolto la domanda di Vito Mehmetaj, cittadina albanese,  volta  alla
corresponsione dell'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge
n. 335/1995; 
    Che i giudici territoriali, in particolare, hanno ritenuto che la
previsione di cui all'art. 20, comma 10,  decreto-legge  n.  112/2008
(conv. con legge n. 133/2008), secondo la quale l'assegno sociale  e'
corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano  soggiornato
per almeno dieci anni sul territorio nazionale, avesse implicitamente
abrogato la norma di cui all'art. 80, comma 19,  legge  n.  388/2000,
che  subordina  al  possesso  della  (ex)  carta  di   soggiorno   il
riconoscimento agli stranieri extracomunitari  della  provvidenza  in
esame; 
    Che  avverso  tale  pronuncia  l'INPS  ha  proposto  ricorso  per
cassazione, deducendo due motivi di censura; 
    Che Vito Mehmetaj ha resistito con controricorso, successivamente
illustrato con memoria, con cui, oltre  a  chiedere  il  rigetto  del
ricorso avversario, ha argomentato in via subordinata la  correttezza
della decisione impugnata in relazione all'art.  12  della  direttiva
2011/98/UE, avuto riguardo al suo  essere  titolare  di  permesso  di
soggiorno per motivi familiari che le consentirebbe di lavorare; 
    Che, a seguito di infruttuosa trattazione camerale, la  causa  e'
stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza  interlocutoria  n.
26142 del 2020 della Sesta sezione civile di questa Corte; 
    Che in  vista  dell'udienza  pubblica  entrambe  le  parti  hanno
depositato memoria; 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Che, con  il  primo  motivo  di  censura,  l'INPS  ha  denunciato
violazione e falsa applicazione dell'art.  3,  commi  6-7,  legge  n.
335/1995, per come integrato dall'art. 20, comma 10, decreto-legge n.
112/2008 (conv. con legge n. 133/2008),  in  relazione  all'art.  80,
comma  19,  legge  n.  388/2000,  nonche'   dell'art.   41,   decreto
legislativo n. 286/1998, per avere la Corte di  merito  ritenuto  che
l'art. 20, comma 10, decreto-legge n.  112/2008,  cit.,  secondo  cui
l'assegno sociale e' corrisposto agli aventi diritto a condizione che
abbiano soggiornato per almeno dieci anni sul  territorio  nazionale,
avesse implicitamente abrogato la norma di cui all'art. 80, comma 19,
legge n. 388/2000, parimenti cit., che  subordina  il  riconoscimento
agli stranieri extracomunitari della provvidenza in esame al possesso
della  carta  di  soggiorno  (ora  permesso  di  soggiorno   UE   per
soggiornanti di lungo periodo); 
    Che, con il secondo motivo,  l'INPS  ha  lamentato  violazione  e
falsa applicazione degli articoli 3, commi 6-7,  legge  n.  335/1995,
20,  comma  10,  decreto-legge  n.  112/2008  (conv.  con  legge   n.
133/2008), e 9, comma 1, e 12, decreto legislativo  n.  286/1998,  in
relazione agli articoli 43 e 2697 codice civile e 115 del  codice  di
procedura civile, per avere la Corte territoriale  omesso  l'indagine
circa   la   sussistenza   degli   altri   requisiti   necessari   al
riconoscimento della provvidenza in questione, sebbene tanto in primo
grado che in sede di  gravame  fosse  stato  eccepito  che  l'istante
risultava titolare di  pensione  concessale  dallo  stato  estero  di
appartenenza Data (Albania) e che non vi era prova della  continuita'
del soggiorno sul territorio nazionale; 
    Che, con riferimento a tale ultimo motivo, va subito rilevato che
i giudici territoriali, lungi dall'omettere  l'indagine  sugli  altri
requisiti necessari al riconoscimento della provvidenza in questione,
hanno piuttosto ritenuto  che  la  continuita'  della  residenza  sul
territorio  nazionale  fosse  stata  provata,  seppure  ricorrendo  a
presunzioni, e hanno precisato che dalla prestazione  «dovra'  essere
dedotto il reddito derivante dalla pensione albanese» (cfr. pagg. 2-3
della sentenza impugnata), per modo che  la  censura  dell'INPS  pare
prima facie eccentrica rispetto al decisum; 
    Che, con riguardo al primo motivo di  censura,  questa  Corte  di
legittimita' ha  gia'  avuto  modo  di  chiarire  che  la  permanenza
continuativa in Italia per  dieci  anni  con  permesso  di  soggiorno
rappresenta un requisito aggiuntivo e  non  sostitutivo  rispetto  al
requisito  della  titolarita'  del  permesso  di  soggiorno  UE   per
soggiornanti di lungo periodo (cfr. Cassazione numeri 16989 del  2019
e 16867 del 2020); 
    Che - come esattamente rilevato dall'ordinanza interlocutoria  n.
26142 del 2020 della Sesta sezione civile di  questa  Corte  -  resta
tuttavia  da  verificare  se  la  sentenza  impugnata  possa   essere
confermata in relazione all'argomentazione spesa nel controricorso  e
gia' introdotta nei  precedenti  gradi  di  merito,  secondo  cui  il
requisito  aggiuntivo  del  permesso  di  lungo  soggiorno  richiesto
dall'art. 80, comma 19, legge  n.  388/2000,  contrasterebbe  con  la
direttiva 2011/98/UE; 
    Che, al riguardo,  la  Corte  costituzionale,  nel  rigettare  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  80,  comma  19,
cit., ha espressamente affermato che «un  obbligo  costituzionale  di
attribuire l'assegno sociale allo straniero privo della (ex) carta di
soggiorno non deriva neppure dall'art. 12 della direttiva  2011/98/UE
[...] che,  ai  fini  della  equiparazione  dei  cittadini  stranieri
extracomunitari ai cittadini italiani, richiama il  regolamento  (CE)
n. 883/2004 [...] relativo al coordinamento dei sistemi di  sicurezza
sociale, che impone  la  parita'  di  trattamento  tra  i  lavoratori
stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li ospita per  quanto
riguarda il settore della  sicurezza  sociale,  non  venendo  qui  in
considerazione la posizione di lavoratori» (Corte  costituzionale  n.
50 del 2019); 
    Che, nondimeno, la Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  a
seguito di rinvio pregiudiziale promosso dalla  Corte  costituzionale
con ordinanza n. 182/2020, ha ritenuto che «l'art. 12,  paragrafo  1,
della direttiva 2011/98 si applica sia ai cittadini  di  paesi  terzi
che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a  norma
del diritto dell'Unione o nazionale, sia ai cittadini di paesi  terzi
che  sono  stati  ammessi  in  uno  Stato  membro  a   fini   diversi
dall'attivita'  lavorativa  a  norma  del   diritto   dell'Unione   o
nazionale, ai quali e' consentito lavorare e che sono in possesso  di
un permesso di soggiorno ai  sensi  del  regolamento  n.  1030/2002»,
all'uopo valorizzando il considerando 20  della  suddetta  direttiva,
che «non si limita a garantire la parita' di trattamento ai  titolari
di un permesso unico di lavoro, ma si applica anche ai titolari di un
permesso di soggiorno per fini diversi dall'attivita' lavorativa  che
sono autorizzati a lavorare nello Stato membro  ospitante»  (CGUE,  2
settembre 2021, C-350/20, §§ 48-49); 
    Che, nella stessa pronuncia, e' stato ribadito che l'ambito della
parita' di trattamento prevista dall'art. 12,  paragrafo  1,  lettera
e), della direttiva 2011/98/UE concerne le prestazioni che  rientrano
nei settori della sicurezza sociale definiti dal regolamento (CE)  n.
883/2004; 
    Che l'art. 3,  paragrafo  3,  di  tale  regolamento  prevede,  in
particolare, che esso «si applica anche alle prestazioni speciali  in
denaro di carattere non contributivo di cui all'articolo 70»,  ossia,
per quanto rileva in questa sede, a quelle che siano volte a  offrire
«copertura in via complementare, suppletiva o accessoria  dei  rischi
corrispondenti ai settori di sicurezza sociale  di  cui  all'art.  3,
paragrafo 1, e a garantire,  alle  persone  interessate,  un  reddito
minimo di sussistenza in relazione al contesto  economico  e  sociale
dello Stato membro  interessato»,  per  le  quali  «il  finanziamento
deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a  coprire
la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione  e  per
il calcolo della prestazione non dipendono  da  alcun  contributo  da
parte del beneficiario» e che  «sono  elencate  nell'allegato  X»  al
regolamento stesso; 
    Che l'allegato X, per cio' che riguarda l'Italia,  prevede,  alla
lettera g), l'assegno sociale di cui all'art. 3, comma  6,  legge  n.
335/1995, che nell'ottica del diritto dell'Unione si rivela  pertanto
«prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo», volta
a garantire  una  copertura  in  via  suppletiva  del  rischio  della
vecchiaia (art. 3, paragrafo 1,  lettera  d)  del  regolamento  cit.)
mediante l'erogazione di un reddito minimo di  sussistenza  a  carico
della spesa pubblica; 
    Che, conseguentemente, sebbene Corte  costituzionale  n.  50  del
2019 abbia ritenuto che dall'art. 12 della direttiva  2011/98/UE  non
deriverebbe alcun «obbligo  costituzionale  di  attribuire  l'assegno
sociale allo straniero privo della (ex) carta di  soggiorno»,  reputa
il Collegio che il dubbio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
80, comma 19, legge n. 388/2000, nella  parte  in  cui  subordina  il
riconoscimento dell'assegno sociale ai cittadini  extracomunitari  al
possesso della (ex)  carta  di  soggiorno,  abbia  ragione  di  porsi
nuovamente, essendosi chiarito dalla Corte di  giustizia  dell'Unione
europea che il principio di parita' di trattamento nell'accesso  alle
prestazioni di cui al regolamento (CE) n.  883/2004  non  concerne  -
come detto - solo i titolari di un permesso unico di  lavoro,  ma  si
applica anche ai titolari  di  un  permesso  di  soggiorno  per  fini
diversi dall'attivita' lavorativa che  sono  autorizzati  a  lavorare
nello Stato membro ospitante; 
    Che, a tutto concedere, un residuo dubbio interpretativo potrebbe
sussistere circa la portata del rinvio  operato  dall'art.  12  della
direttiva 2011/98/UE ai «settori della sicurezza sociale definiti nel
regolamento 883/04»,  potendosi  letteralmente  sostenere  che  detto
rinvio debba limitarsi ai soli settori di cui all'art.  3,  paragrafo
1, del regolamento cit. e non  anche  alle  prestazioni  speciali  in
denaro di carattere non contributivo di cui al  successivo  paragrafo
3, tra le quali, come anzidetto, figura certamente l'assegno sociale; 
      
    Che tuttavia, come ben  evidenziato  nella  memoria  dell'odierna
contro ricorrente, non solo tale limitazione  non  appare  del  tutto
coerente con la lettera del citato art. 3, stante che il paragrafo  3
si propone pur  sempre  di  dare  copertura  «in  via  complementare,
suppletiva o accessoria  dei  rischi  corrispondenti  ai  settori  di
sicurezza sociale di cui all'art. 3, paragrafo 1», ma soprattutto non
e' stata fatta propria dalla Corte di giustizia  dell'Unione  europea
ne' nella sentenza 21 giugno 2017, C-449-16, concernente l'assegno di
cui all'art. 65, legge n. 448/1998, ne' nella successiva 2  settembre
2021, C-350/20, gia' cit., concernente l'assegno di natalita'; 
    Che  questo  Collegio  ben  conosce  l'orientamento  della  Corte
costituzionale secondo cui, nella prospettiva del primato del diritto
dell'Unione, alle norme di diritto europeo  contenute  nell'art.  12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva  2011/98/UE  (cosi'  come  a
quelle  contenute  nell'art.  11,  paragrafo  1,  lettera  d),  della
direttiva 2003/109/CE) deve riconoscersi effetto diretto nella  parte
in cui  prescrivono  l'obbligo  di  parita'  di  trattamento  tra  le
categorie di cittadini di  paesi  terzi  individuate  dalle  medesime
direttive  e  i  cittadini  dello  Stato  membro   in   cui   costoro
soggiornano, trattandosi di obbligo cui corrisponde  il  diritto  del
cittadino di paese terzo - rispettivamente titolare  di  permesso  di
lungo soggiorno e titolare di un permesso unico  di  soggiorno  e  di
lavoro - a ricevere le prestazioni  sociali  alle  stesse  condizioni
previste per i cittadini dello Stato membro (Corte costituzionale  n.
67 del 2022, § 12 del Considerato in diritto); 
    Che, nondimeno, tale affermazione - che nel caso deciso da  Corte
costituzionale n. 67 del 2022, cit.,  ha  portato  alla  declaratoria
d'inammissibilita', per difetto  di  rilevanza,  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  6-bis,  decreto-legge
n. 69/1988  (conv.  con  legge  n.  153/1988),  nella  parte  in  cui
assoggetta ad un  regime  peculiare,  regolato  dal  principio  della
reciprocita' o della apposita convenzione, i beneficiari dell'assegno
per il nucleo familiare non cittadini italiani (o  europei)  che  non
risiedono nel territorio nazionale, per contrasto con gli articoli 11
e 117, comma 1°, Cost. in relazione alla direttiva  2003/109/CE,  che
all'art.  11,  paragrafo  1,  lettera  d),  prevede  il  diritto  dei
cittadini di paesi terzi titolari del permesso di lungo  soggiorno  e
dei loro familiari di beneficiare dello stesso trattamento  riservato
ai cittadini  dello  Stato  membro  in  cui  soggiornano  per  quanto
concerne i settori della sicurezza sociale definiti  nel  regolamento
(CE) n.  883/2004,  sollevata  da  questa  Corte  di  cassazione  con
ordinanze numeri 9378 e 9379 del 2021 - e' stata resa in un  giudizio
in cui non era stato evocato, quale parametro interposto  di  diritto
dell'Unione, l'art. 34 CDFUE (cfr. Corte  costituzionale  n.  67  del
2022, cit., § 1.2.1 del Considerato in diritto); 
    Che, d'altra parte, la  stessa  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea ha affermato che il diritto alla parita' di  trattamento  nel
settore  della  sicurezza  sociale,  definito  nei   suoi   contenuti
essenziali dalla direttiva 2011/98/UE, «da' espressione  concreta  al
diritto di accesso alle  prestazioni  di  sicurezza  sociale  di  cui
all'art. 34, paragrafi 1 e 2, della Carta» (CGUE, 2  settembre  2021,
C-350/20, § 46), secondo i quali, rispettivamente, l'Unione riconosce
e rispetta il  diritto  di  accesso  alle  prestazioni  di  sicurezza
sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi  quali
la maternita', la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o
la vecchiaia, oltre che in caso  di  perdita  del  posto  di  lavoro,
secondo le  modalita'  stabilite  dal  diritto  dell'Unione  e  dalle
legislazioni e dalle prassi nazionali e riconosce a ogni persona  che
risieda o si sposti legalmente  all'interno  dell'Unione  il  diritto
alle prestazioni di sicurezza  sociale  e  ai  benefici  sociali,  in
conformita' al diritto dell'Unione e alle legislazioni e alle  prassi
nazionali; 
    Che, dal canto suo, la Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di
chiarire che il principio di parita' di trattamento nel settore della
sicurezza sociale, nei termini delineati dall'art.  34  CDFUE  e  dal
diritto derivato e poi ribaditi dalla Corte di giustizia  dell'Unione
europea,  si  raccorda  ai  principi  consacrati  dall'art.  3  della
Costituzione, «e ne avvalora e  illumina  il  contenuto  assiologico,
allo scopo di promuovere una piu' ampia ed efficace integrazione  dei
cittadini dei Paesi terzi» (Corte costituzionale n. 54 del 2022, § 13
del Considerato in diritto); 
    Che, sebbene Corte costituzionale n. 50  del  2019,  cit.,  abbia
gia'  avuto  modo  di  scrutinare  la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  80,  comma  19,  legge  n.  388/2000,  per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dichiarandola non fondata,
reputa  il   Collegio   che   -   in   ragione   della   riconosciuta
interpenetrazione assiologica delle disposizioni  dell'art.  3  della
Costituzione e dell'art. 34  CDFUE  -  tale  questione  abbia  eguale
ragione di porsi nuovamente a seguito della  diversa  interpretazione
dell'art. 12  della  direttiva  2011/98/UE  offerta  dalla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, che - giusta le stesse parole di Corte
costituzionale n. 50 del 2019, piu' volte cit. - potrebbe  portare  a
riconoscere  «un  obbligo  costituzionale  di  attribuire   l'assegno
sociale allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno»; 
    Che egualmente pare al Collegio debba dirsi con riguardo all'art.
38, comma 1° della Costituzione, benche' anche in riferimento a  tale
parametro Corte  costituzionale  n.  50  del  2019  abbia  dichiarato
l'infondatezza della questione di  legittimita'  costituzionale,  non
potendo dubitarsi della stretta correlazione esistente tra di esso  e
l'art. 34 CDFUE, che, nel sancire il diritto all'assistenza sociale e
all'assistenza abitativa, mira a «garantire un'esistenza dignitosa  a
tutti coloro che non dispongono di  risorse  sufficienti»  (CGUE,  24
aprile 2012, C-571/10); 
    Che, pertanto, ravvisandosi in specie una ipotesi di c.d.  doppia
pregiudizialita', in ragione del fatto che la disposizione  contenuta
nell'art. 80, comma  19,  legge  n.  388/2000,  nella  parte  in  cui
condiziona  la  corresponsione  dell'assegno  sociale  ai   cittadini
extracomunitari al possesso della (ex)  carta  di  soggiorno,  appare
suscettibile di porre dubbi sia in relazione agli  articoli  3  e  38
della Costituzione che  all'art.  34  CDFUE  e  al  diritto  derivato
dell'Unione  costituito  dall'art.  12  della  direttiva  2011/98/UE,
reputa  il   Collegio,   nella   prospettiva   delineata   da   Corte
costituzionale  n.  269  del  2017  (e  successivamente  ribadita   e
precisata, tra le altre, da Corte costituzionale numeri 20, 63, 112 e
117  del  2019,  nonche',   sia   pure   implicitamente,   da   Corte
costituzionale  numeri  182  del  2020  e  54  del  2022),  di  dover
privilegiare,  in  prima  battuta,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale della norma piu' volte cit. anche con riferimento agli
articoli 11 e 117 della Costituzione, in relazione all'art. 34  CDFUE
e all'art. 12 della direttiva 2011/98/UE.