IL GIUDICE DI PACE DI NAPOLI sez. VII civile dott. Antonio Cappiello, a scioglimento definitivo della riserva del 16 novembre 2022 ed a seguito della successiva udienza del 30 gennaio 2023, nel procedimento iscritto al n. 12287/2021 R.G. promossa da: sig. V. G. nato a ..., in data ..., rapp.to e difeso dall'avv. Francesco Battaglia, del Foro di Napoli, con studio in Napoli alla Via Vittoria Colonna n. 14; Contro: Agenzia delle entrate Riscossione, c.f. 13756881002, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandra Pinto, del Foro di Napoli, con studio in Napoli alla Via Michelangelo n. 71; Nonche': Prefettura di Salerno, rappresentata e difesa dall'avv. De Asmundis R. dell'Area III bis UTG Salerno. 1. Ricostruzione dei fatti. L'opponente in epigrafe indicato in data 15 dicembre 2020 notificava, previa istanza di sgravio in autotutela, atto di citazione in opposizione ex art. 615 c.p.c. assumendo che il giorno ... avrebbe appreso dall'Agenzia delle entrate - Riscossione, agente della riscossione per la Provincia di Napoli, in fase di controllo relativo alla propria situazione tributaria, consultando l'estratto di ruolo, l'esistenza di cartelle esattoriali non pagate a proprio carico mai giunte alla sua conoscenza o comunque affette da vizi insanabili. Nella specifico risultava la ingiunzione fiscale n. ..., asseverata dall'estratto n...., avente ad oggetto sanzioni per violazione Codice della strada, per un importo complessivo pari ad euro ... In data 31 maggio 2021 si costituiva, a mezza avvocatura l'ente impositore, la Prefettura di Salerno, contestando la fondatezza degli assunti attorei ed insistendo per il rigetto della spiegata opposizione. In data 3 gennaio 2022, altresi', si costituiva l'Agenzia entrate - Riscossione che impugnava la domanda attrice in quanto inammissibile ed infondata, assumendo altresi' di aver regolarmente notificato la prefata cartella esattoriale. All'udienza del 16 novembre 2022, la difesa dell'Agente per la riscossione nel riportarsi agli scritti difensivi invocava l'applicazione dell'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2011, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (cd. decreto fiscale), che ha modificato l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 con l'introduzione del comma 4-bis, richiedendone l'adozione alla luce della pronuncia della suprema Corte di cassazione a SS.UU. n. 26283/2022. A fronte delle richieste dell'Agenzia delle entrate - Riscossione, la difesa dell'opponente sollevava incidentalmente questione di incostituzionalita' del summenzionato art. 3-bis, decreto-legge n. 146/2021. L'opponente assumeva che la questione fosse rilevante in quanto, in virtu' della citata sentenza della Cassazione a SS.UU. n. 26283/2022, l'art. 3-bis del decreto-legge n. 146/2021- seppur postuma rispetto alla proposizione del giudizio - troverebbe applicazione retroattiva con conseguente declaratoria di inammissibilita' della domanda attrice iscritta a ruolo in data 22 marzo 2021. L'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (c.d. decreto fiscale) modificando l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 ha introdotto il comma 4-bis a norma del quale: «L'estratto di ruolo non e' impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo 80, comma 4, del codice del contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione». A parere, sempre di parte attrice, il nuovo dettato normativo - ius superveniens - violerebbe concretamente ed apertamente la Carta costituzionale e necessiterebbe di vaglio e disamina proprio a seguito della citata pronuncia a SS.UU. della suprema Corte n. 26283/2022 del 6 settembre 2022 che ha esteso l'ambito di applicazione della norma in discussione riconoscendole efficacia retroattiva e applicabilita' ai processi pendenti «... perche' incide sulla pronuncia della sentenza (o dell'ordinanza), che e' ancora da compiere, e non gia' su uno degli effetti dell'impugnazione» e che di conseguenza comporterebbe necessariamente il rigetto della domanda in quanto inammissibile. 2. Profili di incostituzionalita' sollevati. Nel ricorso incidentale allegato al verbale di udienza tenutasi in data 16 novembre 2022 e di cui forma parte integrante il contribuente-opponente evidenziava quattro incidenti di costituzionalita': a) Violazione art. 3 e art. 24 della Costituzione La norma contenuta nell'art. 3-bis sarebbe incostituzionale in quanto viola il diritto di difesa del contribuente (sancito dall'art. 24 della Costituzione) e tipicizza una diversita' di trattamento riservata ai contribuenti, con conseguente violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale. L'entrata in vigore della nuova disciplina precluderebbe difatti al contribuente la possibilita' di regolarizzare le proprie pendenze fiscali, soprattutto quelle derivanti da errori perpetrati da parte dell'Amministrazione finanziaria, con conseguente grave lesione dei propri diritti ed, inoltre, negherebbe ciascun cittadino il diritto «ad un equo processo» riservandolo solo a coloro che intrattengo rapporti con la pubblica amministrazione. La norma in discussione muterebbe radicalmente l'esito del processo e violerebbe apertamente i principi di ragionevolezza, di legittimo affidamento e certezza dell'ordinamento. Concludeva sostenendo che il comma 4-bis, introdotto, sarebbe viziato di incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost. nella parte, in cui non permetterebbe il ricorso avverso la cartella a cittadini che non hanno un rapporto con la pubblica amministrazione, e porrebbe limitazioni immotivate all'acceso alla giustizia, non connesse con le presunte ragioni di urgenza del decreto convertito. b) Violazione art. 77 della Costituzione, commi 1 e 2. Sarebbe costituzionalmente illegittima la norma di cui all'art. 3-bis della legge n. 215/2021 per diretta violazione dell'art. 77 Cost. comma 1 per assenza del requisito di specifica necessita' e urgenza, in quanto «Il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria», e ai sensi del comma 2 se non «in casi straordinari di necessita' e d'urgenza» il Governo puo' adottare «provvedimenti provvisori con forza di legge». Nel caso di specie, in assenza di una legge delega, che riguarda soltanto la delega al Governo per la riforma fiscale e non della giustizia tributaria, si ricadrebbe nell'ambito del comma 2 dell'art. 77 Cost. anche perche' il preambolo di cui al decreto-legge n. 146/2021 non conterrebbe alcuna specificazione in che cosa consisterebbe la straordinarieta' e l'urgenza delle esigenze in materia fiscale e pertanto non sarebbero indicati e precisati i motivi di straordinaria necessita' ed urgenza per un intervento normativo come quello adottato. Risulterebbero pertanto lesi - a parere della difesa ricorrente - i diritti costituzionali di eguaglianza delle misure e dell'accesso alla giustizia e di parita' sociale, non potendo il Governo, con un decreto-legge, emendato in sede di commissione, limitare il ricorso ai ruoli dell'amministrazione e alle cartelle ai soli soggetti per i quali la mancata impugnativa potrebbe determinare limitazioni (in senso generico) nei rapporti con la pubblica amministrazione; poiche' nella rubrica dell'art. 1 del decreto-legge in ordine alle «misure urgenti in tema fiscale» manca la specificazione di qualsiasi urgenza, vi sarebbe altresi' violazione in via immediata dell'art. 77 ed in via mediata degli articoli 24 e 111 Cost. Difesa ricorrente conclude sostenendo che: l'art. 3-bis della legge n. 215/2021 e' manifestamente illegittimo per contrasto con l'art. 77 Cost., comma 1, non essendo soddisfatti i requisiti della straordinaria necessita' e della straordinaria urgenza; in ogni caso, l'art. 3-bis e' manifestamente illegittimo per contrasto con l'art. 77 Cost., comma 2, in via mediata in quanto in assenza dei suddetti requisiti disciplina una materia, quale quella della giustizia e dell'accesso alla stessa, che e' riservata al potere normativo del Parlamento e configurando un caso manifesto di eccesso nell'esercizio del potere di decretazione d'urgenza e quindi anche un possibile caso di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. c) Violazione articoli 111 e 113 della Costituzione. L'art. 3-bis della legge n. 215/2021 sarebbe manifestamente illegittimo per contrasto con l'art. 113 Cost. precludendo la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione, comprimendo il diritto di difesa subordinandolo a discriminazione e imponendo al contribuente la permanenza di una situazione debitoria nonostante la medesima sia illegittima, errata e prescritta. La medesima norma si porrebbe in contrasto con il precetto del giusto processo di cui all'art. 111 in quanto determinerebbe una utilita' solo ed esclusivamente a favore di una parte, pregiudicando irreparabilmente l'altra parte in disprezzo dei principi di legittimo affidamento e certezza dell'ordinamento. d) Violazione articolo 117 Carta costituzionale. Il ricorso alla decretazione d'urgenza per la riforma della giustizia tributaria con la introduzione del comma 4-bis all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, avrebbe violato il principio sancito dall'art. 117 ove e' imposto che: «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Da cio' consegue che il comma 4-bis al citato decreto del Presidente della Repubblica sarebbe illegittimo per essere stato introdotto incostituzionalmente a mezzo decretazione d'urgenza. A scioglimento della riserva assunta, si ritiene che la domanda dell'attore non possa essere decisa senza lo scrutinio di costituzionalita' e si formulano le dovute 3. Osservazioni e profili di rilevanza Giova preliminarmente evidenziare come la questione assuma grande rilievo sia per il cospicuo contenzioso pendente cui interessa sia per la soluzione poco condivisibile suggerita dalla S.C. a SS.UU. in ordine alla efficacia retroattiva di una norma emanata a mezzo decretazione d'urgenza. L'orientamento giurisprudenziale - nonostante gli arresti ed i contrasti - prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 146/2021, che ha introdotto il comma 4-bis all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, consentiva al contribuente di impugnare, in funzione recuperatoria, la cartella esattoriale a mezzo dell'estratto ruolo rilasciato dall'Agenzia delle entrate - Riscossione e la medesima Corte di cassazione a Sezioni unite con precedente pronuncia n. 19704/2015 ha chiaramente ritenuto «ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario». Le Sezioni unite avevano senza incertezze respinto la tesi che inibire l'impugnazione su questi presupposti potesse avere l'effetto di limitare il numero delle controversie portate davanti al giudice, in base alla considerazione, che «l'impugnazione della cartella, ancorche' "ritardata", interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell'atto successivo, mentre la proposizione "anticipata" di essa potrebbe evitare l'emissione e la notifica (quindi l'impugnazione) dell'atto successivo e percio' indurre un possibile effetto deflativo». Orbene, con l'introduzione del predetto comma 4-bis ed in particolare a seguito della pronuncia a SS.UU., il diritto difesa appare quantomeno compresso e tutte le procedure pendenti verrebbero liquidate con pronuncia di inammissibilita' senza tener conto della loro eventuale fondatezza del merito, dei costi sostenuti dal contribuente per accedere alla giustizia, dei costi conseguenti alla registrazione delle pronunce di inammissibilita' che ricadrebbero sui medesimi e del lasso di tempo intercorso tra la iscrizione a ruolo dei procedimenti e la data di pubblicazione del decreto-legge. Tale norma, volta innegabilmente a deflazionare il contenzioso e fortemente voluta dal direttore dell'Agenzia delle entrate in considerazione che circa il 40% dei ricorsi pendenti contro l'Agenzia della riscossione riguardano impugnazioni di estratti di ruoli afferenti a cartelle di pagamento invalidamente notificate (o prescritte), va si' a ridurre notevolmente il contenzioso contro l'ADER, ma a assieme a tale effetto comprimerebbe eccessivamente ed enormemente il diritto di difesa di tutti i cittadini, in palese violazione sia dell'art. 24 della Costituzione (che garantisce a tutti i cittadini il diritto di difesa), sia dell'art. 3 (principio di uguaglianza) che dell'art. 113, commi 1 e 2 (secondo i quali «Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. La tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti»). Va inoltre considerato che i tre casi eccezionali in cui e' possibile impugnare l'estratto di ruolo sono davvero insufficienti rispetto alle molte altre ragioni per cui i contribuenti potrebbero avere un concreto interesse e far annullare cartelle di pagamento afferenti a debiti tributari o previdenziali non dovuti (o a sanzioni di altro tipo non dovute): si pensi, ad esempio, ai casi in cui il cittadino abbia necessita' di costituire una societa', o di accedere al credito, o di accettare un'eredita' con il rischio di subire un pignoramento, o di acquistare un autoveicolo con il rischio di subire un fermo amministrativo, o di acquistare un'abitazione con il rischio di subire un'iscrizione di ipoteca, e via cosi'. La casistica delle ipotesi in cui il contribuente avrebbe interesse ad impugnare la cartella a mezzo estratto di ruolo e' alquanto ampia. Ad esempio basti considerare all'ipotesi in cui l'AdER voglia procedere al fermo dei beni mobili registrati (ex art. 86, decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973) e all'iscrizione ipotecaria (ex art. 77, decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973), l'Agenzia della riscossione deve preventivamente notificare al debitore o ai coobbligati una comunicazione contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sara' eseguito il fermo o sara' iscritta l'ipoteca, senza che sia necessaria alcuna ulteriore comunicazione. Nei suddetti casi, in base alla nuova legge il cittadino contribuente potra' impugnare il cennato preavviso di iscrizione di ipoteca o di fermo amministrativo potendo solo in tal sede far valere l'invalidita' della notifica della prodromica cartella di pagamento (o la sua inesistenza, o la prescrizione del credito), purtroppo con la triste consapevolezza che il giudice adito (che sia Commissione tributaria, Giudice del lavoro o Giudice di pace, a seconda della natura del credito contestato) non riuscira' mai - per ovvi motivi di sovraccarico di lavoro - a pronunciarsi su di una richiesta di sospensiva entro i trenta giorni; intanto, il cittadino dovra' certamente subire gli effetti del fermo amministrativo del veicolo o dell'iscrizione dell'ipoteca sull'abitazione, con chiaro ed evidente danno patrimoniale. La situazione potrebbe essere anche peggiore nel caso in cui l'Agente della riscossione proceda con un pignoramento presso terzi (ad esempio, presso il datore di lavoro del contribuente, o presso l'istituto bancario ove sussiste il conto corrente): la difesa «forzatamente posticipata», come delineata dalla nuova norma sopra citata, creerebbe al contribuente, con tutta probabilita', un danno grave, non sempre riparabile anche dopo la pubblicazione (di sicuro non tempestiva) di una sentenza a lui favorevole. Va sul punto evidenziato che successivamente la medesima Corte di cassazione, ponendosi nel solco tracciato dall'art. 3-bis ed attenendosi rigorosamente al suo dettato normativo, con sentenza n. 31561 del 25 ottobre 2022 ha escluso l'interesse ad agire nel caso di dinieghi di finanziamenti bancari, ritenendo inammissibile il ricorso del contribuente laddove lo stesso lamenti l'impossibilita di accedere a finanziamenti bancari in ragione di una iscrizione ipotecaria adottata dall'Agente della riscossione. I rischi conseguenti all'applicazione dell'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (c.d. decreto fiscale), che ha modificato l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 con l'introduzione del comma 4-bis, appaiono innumerevoli. Non puo' inoltre negarsi che in seguito della summenzionata pronuncia delle SS.UU. si possa essere in presenza di una evidente lesione del principio di buona fede ed affidamento del contribuente, sul quale la medesima Corte costituzionale ha piu' volte statuito e confermato che: «al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattivita' della legge e' stato elevato a dignita' costituzionale dall'art. 25 Cost.) l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra dei limiti che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (Corte cost., 2 febbraio 2014, n. 69; 17 dicembre 2013, n. 308; 30 settembre 2011, n. 257; 28 marzo 2008, n. 74 e molte altre ancora). Lo stesso statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212/2000), che tuttavia non e' norma a rango costituzionale, ha pero' introdotto il principio di buona fede e affidamento nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, stabilendo con l'art. 10, n.1, una regola di condotta generale che disciplina il rapporto tributario: i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Il menzionato l'art. 10 della legge n. 212 del 2000 rappresenta, in sostanza, l'attuazione dell'art. 97 della Carta costituzionale, sicche' l'Amministrazione sarebbe tenuta a non abusare delle proprie attribuzioni per cagionare un danno al contribuente, dovendo perseguire l'interesse pubblico con il minor aggravio possibile per i privati. A tal riguardo, la Corte di cassazione, con sentenza n. 14587 del 2018 ha affermato che: «il principio di legale collaborazione e buona fede, tutelato dall'art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente) attiene ai rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria e non e' riferibile alla potesta' legislativa che, ove esercitata in violazione del legittimo affidamento dei cittadini, puo' assumere rilevanza sotto il profilo dell'illegittimita' costituzionale». Nella fattispecie de qua i principi cardine dell'ordinamento tributario sembrerebbe che siano stati violati dalla potesta' legislativa ragion per cui appare legittima la richiesta di un intervento della Corte costituzionale. Intervento che appare allo stato necessario, nonostante le contrarie motivazioni articolate dalla suprema Corte nella stessa pronuncia a SS.UU., e che probabilmente la medesima pronuncia ha difatti accelerato. D'altro canto la stesura dell'art. 3-bis e sua lettura combinata con la sentenza a SS.UU. n. 26283/2022 non mettono il presente giudicante nelle condizioni di fornire una possibile interpretazione adeguatrice del testo della norma. Ed e' innegabile che una interpretazione della norma in questione genererebbe un caos maggiore come verificatosi con la recente pronuncia della S.C. n. 33838 del 16 novembre 2023 che, superando la pronuncia a SS.UU., ha ritenuto ammissibile l'impugnazione dell'estratto di ruolo, nonostante sia precluso dalla norma impugnata, laddove si rischi il pignoramento della pensione, assegnando di fatto un valore privilegiato al credito pensionistico rispetto a tutti gli altri crediti. In ordine all'iter che ha condotto alla adozione della norma, in via di principio la nostra Costituzione non vieta l'emanazione di norme tributarie retroattive a condizione che ci sia un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati, valori che alla luce delle motivazioni addotte dal ricorrente parrebbero violati. Partendo dal corollario (art. 11 preleggi) che: la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo; in ambito tributario le leggi retroattive emanabili possono essere leggi di interpretazione autentica, o leggi innovative con efficacia retroattiva in virtu' di una specifica regolazione dello stesso legislatore. Il comma 4-bis introdotto e' una norma innovativa ragion per cui la sua portata retroattiva sarebbe dovuta quantomeno risultare da una inequivocabile volonta' del legislatore in tal senso e non discendere da una pronuncia a SS.UU. della suprema Corte. La modifica legislativa apportata non puo' essere considerata norma di interpretazione autentica e pertanto non appare anche prima del 21 dicembre 2021 poiche' in contrasto con art. 1, comma 2, dello Statuto del contribuente che prevede testualmente: L'adozione di norme interpretative in materia tributaria puo' essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. E' innegabile, come gia' precisato, che la questione investa un considerevole numero di procedimenti pendenti ed e' del pari innegabile il danno ingiusto che si rischierebbe di arrecare e procurare ai contribuenti applicando una norma in disarmonia con i dettami costituzionali. 4. Non manifesta infondatezza La questione sollevata appare rilevante e non manifestamente infondata in ordine ai seguenti punti: 4.1. Possibile violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione Un primo dubbio che riguarda la disposizione impugnata (art. 3-bis, decreto-legge n. 146/2021 che ha introdotto il comma 4, all'art. 12, decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973) e' quello relativo alla compatibilita' della stessa con i principi desumibili dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, tenuto conto che l'impianto della norma tipicizza le ipotesi in cui e' ammessa l'impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento soltanto dimostrando in giudizio che l'iscrizione a ruolo puo' procurare un pregiudizio: a) per la partecipazione ad una procedura di appalto, per effetto di quanto e' previsto, in materia di contratti pubblici, dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; b) per la riscossione di somme dovute a suo favore dai soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche indicate all'art. 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; c) per la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione. Orbene l'ambito delle previsioni e' alquanto riduttivo e discriminerebbe tutti i contribuenti che non operano con la pubblica amministrazione ma che dalla iscrizione a ruolo del debito erariale subiscono un pregiudizio. Cosi' come formulato l'art. 3-bis, nell'introdurre il comma 4 all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, si porrebbe in contrasto sia con il diritto di difesa del contribuente sancito dall'art. 24 della Costituzione sia il principio di eguaglianza affermato dall'art. 3 della Carta fondamentale. La nuova disciplina, attenendosi al dettato normativo, precluderebbe al contribuente la possibilita' di poter liberamente adire la giustizia in presenza di errori da parte dell'Amministrazione finanziaria e nel contempo nega il diritto di tutti «ad un equo processo» riservandolo solo a coloro che intrattengo rapporti con la pubblica amministrazione. Il comma 4-bis, in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, precluderebbe il ricorso avverso le cartelle esattoriali costringendo una ampia frangia di contribuenti ad essere inseriti all'interno di ruoli illegittimamente formatisi ed essere annoverati nel tempo quale debitori della pubblica amministrazione per debiti inesigibili ponendo d'altronde limitazioni immotivate all'acceso alla giustizia, non connesse con le presunte ragioni di urgenza del decreto convertito. La nuova disposizione normativa potrebbe introdurre disparita' di trattamento tra un'impresa ammessa alla tutela «preventiva» per partecipare a una gara d'appalto e una persona fisica, potenziale destinataria di un pignoramento del conto corrente e/o di un preavviso di ipoteca, alla quale e' preclusa l'azione giudiziaria anticipata gia' ampiamente garantita prima della novella. Il diritto alla difesa costituzionalmente garantito non puo' essere compromesso per far fronte a un incremento del contenzioso ed al pari non puo' giustificarsi una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale posticipando la possibilita' di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell'interesse ad agire e percio' ad un momento in cui e' possibile che alcuni effetti lesivi dell'atto si siano gia' prodotti. 4.2 Possibile violazione dell'art. 77, comma 1 e 2, della Costituzione Altro dubbio sorge in ordine alla compatibilita' dell'art. 3-bis con i principi sanciti dall'art. 77 della Costituzione. Effettivamente la norma tributaria di cui all'art. 3-bis del decreto-legge n. 146/2021 e' stata promulgata in assenza del requisito di specifica necessita' e urgenza. Nella fattispecie de qua il Governo, senza delegazione delle Camere, ha emanato il decreto-legge n. 146/2021 senza alcuna legge delega. La delega conferita al Governo era limitata all'ambito della riforma fiscale e non della giustizia tributaria. L'iter che ha condotto alla pubblicazione dell'art. 3-bis pare contrastare con le citate norme costituzionali e lo stesso preambolo di cui al decreto-legge n. 146/2021 non contiene alcuna specificazione in che cosa consisterebbe la straordinarieta' e l'urgenza delle esigenze in materia fiscale e pertanto non sono indicati e precisati i motivi di straordinaria necessita' ed urgenza per un intervento normativo come quello adottato. Benvero, la questione sollevata apparirebbe fondata ove contesta: l'art. 3-bis della legge n. 215/2021 e' manifestamente illegittimo per contrasto con l'art. 77 della Costituzione, comma 1, non essendo soddisfatti i requisiti della straordinaria necessita' e della straordinaria urgenza; in ogni caso, l'art. 3-bis e' manifestamente illegittimo per contrasto con l'art. 77 della Costituzione, comma 2, in via mediata in quanto in assenza dei suddetti requisiti disciplina una materia, quale quella della giustizia e dell'accesso alla stessa, che e' riservata al potere normativo del Parlamento e configurando un caso manifesto di eccesso nell'esercizio del potere di decretazione d'urgenza e quindi anche un possibile caso di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 4.3 Possibile violazione degli articoli 111 e 113 della Costituzione Suscita interesse la sollevata violazione degli articoli 111 e 113 della Costituzione della norma in questione ove il principio del giusto processo verrebbe minato ed il diritto di difesa del contribuente compresso. L'art. 111 della Costituzione nel postulare il principio del giusto processo sancisce che il giudizio deve svolgersi in condizioni di parita' mentre l'art. 113 della Costituzione espressamente recita: «Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa». Ebbene la norma impugnata ha pertanto introdotto nell'ordinamento una utilita' solo ed esclusivamente a favore della pubblica amministrazione ed ha precluso il diritto di difesa del contribuente, restringendolo a soli tre casi tassativi sempre ad esclusivo appannaggio della pubblica amministrazione. E' pleonastico evidenziare che il divieto di impugnazione dell'estratto di ruolo, introdotto con l'art. 3-bis, nel comprimerebbe il diritto di difesa costringe il contribuente a trascinarsi una situazione debitoria nonostante la stessa sia illegittima, errata e/o prescritta. 4.4 Possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione Il ricorso alla decretazione d'urgenza per la riforma della giustizia tributaria con la introduzione del comma 4-bis all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, appare aver violato anche il principio sancito dall'art. 117 ove e' imposto che: «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Come gia' articolato al punto 5.2, sorgono dubbi in ordine alla adozione di misure urgenti in materia di giustizia tributaria in assenza di legge delega a mezzo di decreto-legge. L'art. 3-bis, adottato probabilmente con eccessiva fretta e senza l'iter costituzionalmente previsto, ha compresso eccessivamente la posizione dei contribuenti anche in considerazione della crisi pandemica che li ha coinvolti e della ripresa della attivita' di riscossione. Da tutto cio' consegue che il comma 4-bis aggiunto all'art. 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 appare illegittimo per essere stato introdotto incostituzionalmente a mezzo decretazione d'urgenza. 5. Precedenti della Consulta E' opportuno infine rinviare ad alcune massime e recenti pronunce della invocata Corte costituzionale in ordine alla violazione combinata degli articoli 3 e 24 della Carta costituzionale in questioni assimilabili. In primis occorre richiamare la sentenza n. 552 del 2002, cui numerose pronunce hanno fatto nel tempo riferimento, la quale per ragioni non dissimili da quelle poste a base della presente ordinanza ha sancito la illegittimita' costituzionale della norma che determina un'irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio. La Corte costituzionale, successivamente, con recente sentenza n. 140 del 2022, partendo dal presupposto che il diritto alla tutela giurisdizionale non possa in alcun modo essere sacrificato, ha ritenuto fondata la questione con riferimento alla violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione laddove ha riconosciuto che la compressione del diritto alla tutela giurisdizionale possa avvenire solo nel rispetto del principio di proporzionalita' e in particolare della stretta necessita', risultando costituzionalmente legittimo quando l'adempimento di tale dovere non possa essere adeguatamente tutelato in altro modo. L'art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 21 ottobre 2021, in discussione, ha del tutto omesso la previsione di una adeguata tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente lesi dall'errata attivita' di esazione da parte dell'Agenzia delle entrate Riscossione. Una interpretazione adeguatrice della norma sospettata si scontrerebbe con il dato testuale traducendosi in un'interpretazione analogica assolutamente non consentita. Molto simile alla presente questione e' quella risolta con sentenza n. 228 del 2022, con declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 117, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2021, convertito in legge n. 77 del 2021 - da intendersi tuttavia riferite all'art. 16-septies, comma 2, lettera g), del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 - per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. Con la sentenza richiamata - n. 228 del 2022 - la Corte costituzionale ha censurato la discrezionalita' del legislatore nell'adottare una misura che ha eccessivamente compromesso il diritto di azione dei creditori e contemporaneamente alterato in maniera ingiustificata la parita' delle parti. La Corte chiarendo il valore fondamentale dell'art. 24 della Costituzione, ha ritenuto che la norma in discussione vulnera l'effettivita' della tutela garantita in quanto determina uno sbilanciamento tra esecutante privato ed esecutato pubblico in violazione del principio di parita' delle parti ex art. 111 della Costituzione (vedasi anche sentenze nn. 236 del 2021 e 186 del 2013). La incostituzionalita' della norma e' stata altresi' ravvisata in mancanza di una previsione alternativa di tutela e di un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco. Nella fattispecie che ci occupa, a seguito della introduzione comma 4-bis dell'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 a seguito dell'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (c.d. decreto fiscale), effettivamente la parita' delle parti processuali e' venuta meno in particolare per l'applicazione retroattiva riconosciuta alla sentenza n. 26283/2022 a SS.UU. E' doveroso altresi' soffermarsi sull'utilizzo improprio della decretazione d'urgenza ed alla violazione dell'art. 77 della Costituzione, comma 1 e 2. Ebbene la Corte costituzionale con pronunce n. 288 del 2019 e n. 186 del 2020 ha ribadito che la persistenza (oggettiva) di un problema puo' concretare le ragioni di urgenza e che ricorrendone i presupposti il Governo puo' ricorrere alla decretazione d'urgenza. Nella questione sottoposta allo scrivente magistrato le regioni d'urgenza purtroppo non vengono in alcun modo esplicate ed anzi, come gia' sopra dedotto, nella rubrica dell'art. 1 del decreto-legge in ordine alle «misure urgenti in tema fiscale» manca la specificazione di qualsivoglia urgenza di converso la ratio dell'introduzione della norma viene espressamente individuato nella mera necessita' di arginare l'eccessivo numero di ricorsi promossi nei confronti della Agenzia delle entrate Riscossione. E' evidente che l'esigenza della introduzione della norma abbia carattere squisitamente soggettivo e che vada a penalizzare la posizione del contribuente a tutto appannaggio dell'ente della riscossione. Un ultimo cenno va infine svolto in ordine alla efficacia retroattiva della norma introdotta, efficacia non postulata dal legislatore ma affibbiatagli dalla suprema Corte con la - oramai storica - pronuncia n. 26283/2022. Orbene la Corte costituzionale ha piu' volte confermato la intoccabilita' dell'art. 11 Preleggi ragion per cui: la legge non dispone che per l'avvenire, essa non tra effetto retroattivo. In ambito tributario le leggi retroattive emanabili possono essere leggi di interpretazione autentica, o leggi innovative con efficacia retroattiva in virtu' di una specifica regolazione dello stesso legislatore. Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 66 del 2022, con riferimento alle disposizioni in materia fiscale e finanziaria, ha ribadito che: Una volta precisata la natura innovativa della suddetta disposizione, va accertato se la prevista «retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza [...] e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 39 del 2021). Sommesso parere dello scrivente e' che nella questione oggetto di vaglio di costituzionalita' da un lato la retroattivita' non trovi giustificazione alcuna, se non quella di penalizzare i contribuenti nei giudizi gia' pendenti e promossi anni prima e procrastinati a causa della pandemia, e nel contempo la medesima retroattivita', assolutamente non prevista dal legislatore, si ponga in netto ed aperto contrasto con valori ed interessi costituzionalmente protetti. La norma innovativa censurata, lede la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico (tra le tante, sentenze n. 73 del 2017, n. 170 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010) e tale lesione si traduce in una violazione del principio di ragionevolezza (sentenze n. 86 del 2017, n. 87 del 2012 e n. 335 del 2003), ragion per cui l'incidente costituzionale e' piu' che plausibile. 6. Osservazioni conclusive La tutela anticipatoria, concessa e confermata dalle SS.UU. con la pronuncia n. 19704 del 2015, a seguito intervento art. 3-bis, decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 e' stato del tutto preclusa per ovviare alle esigenze dell'agente per la riscossione in recepimento della proposta «Ruffini» contenuta nel documento conclusivo della Commissione interministeriale di riforma del processo tributario. La tutela «anticipata», soluzione adottata dalle SS.UU. del 2015, soddisfava interessi meritevoli ed anzi costituzionalmente necessitati; lo scopo dell'azione era vedersi accertata l'invalidita' della notifica dell'atto di riscossione (del ruolo e della cartella), sia per i vizi di notifica sia per lamentare l'intervenuta decadenza/prescrizione della pretesa erariale. L'intervento del 2021, invece, ha riconosciuto la meritevolezza di questa tutela «anticipata» solo in taluni casi, riservando agli altri casi la strada dell'impugnazione «indiretta» al fine di censurare l'atto esecutivo successivo viziato dalla mancata notifica dell'atto presupposto, generando cosi' un vuoto di tutela. Ebbene il legislatore della novella ha discrezionalmente riconosciuto che, a certe condizioni, vi sia un interesse attuale e concreto del contribuente tale da «anticipare» la tutela dinanzi ad atti non notificati, ma lo limita a quei soli debitori che operino con la pubblica amministrazione, vuoi perche' debbano partecipare ad una gara di appalto dalla quale potrebbero risultare esclusi per effetto di pendenze fiscali, vuoi perche' debbano ricevere un pagamento incorrendo nelle «verifiche» di cui all'art. 48-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, vuoi infine perche' possano perdere un non meglio precisato «beneficio» nei rapporti con una pubblica amministrazione. Sennonche', situazioni «omogenee» ben possono verificarsi per quei debitori che operino con controparti che non siano la pubblica amministrazione. Quanto alla possibile esclusione da un appalto pubblico, una grave situazione di pendenze fiscali puo' determinare l'esclusione anche da un qualsiasi contratto, anche di appalto, in regime privatistico. L'avvenuta inclusione dei reati tributari tra i reati-presupposto del decreto legislativo n. 231/2001 spinge, infatti, anche i contraenti privati - spesso, le grandi societa' multinazionali - ad una attenta verifica circa le pendenze fiscali delle potenziali controparti, che potrebbero pertanto essere escluse da qualsiasi contrattualizzazione. Quanto alle possibili falcidie dei pagamenti da ricevere, non si vede anche qui per quale motivo il contribuente che abbia rapporti solo con controparti «private», debba necessariamente subire il pignoramento presso terzi, senza possibilita' di attivarsi in tempo utile per prevenirlo. L'interesse alla preservazione dell'integrita' patrimoniale non puo' dipendere dalla natura del debitore, pubblico o privato che sia. Quanto infine alla possibile perdita di benefici, anche qui le ipotesi non mancano: si pensi, ad esempio, alla possibile mancata concessione, alla riduzione e/o alla revoca di finanziamenti bancari; oppure agli effetti ostativi dei debiti fiscali sulla circolazione delle aziende, le cui vicende risulterebbero negativamente influenzate, in termini di prezzo e/o di garanzie, dalle pendenze risultanti dall'estratto di ruolo o da altro documento quale la certificazione di cui all'art. 14, decreto legislativo n. 472/1997. Ma anche sul fronte penale potrebbe sussistere un interesse all'immediata rimozione delle pendenze fiscali, ove si consideri che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento del tributo richiede un mero credito dell'Amministrazione finanziaria suscettibile di essere azionato coattivamente. Il vuoto di tutela appare largamente piu' ampio in sede di ipotesi «fallimentare». La questione sollevata incidentalmente e' meritevole di disamina da parte della Corte costituzionale non potendosi sostituire alla stessa le SS.UU. della S.C. Non puo' infine sottacersi che proprio la soluzione adottata dalle SS.UU. con la sentenza n. 26283/2022 abbia generato l'incidente costituzionale. Appare irragionevole, illogica, illegittima, ingiusta ed altamente lesiva la soluzione adottata dalle SS.UU. per porre rimedio all'eccessivo numero dei procedimenti pendenti. L'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (c.d. decreto fiscale), che ha modificato l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 introducendo il comma 4-bis, a parere di codesto giudicante non puo' trovare ambito di applicazione retroattiva. Il proliferare dei contenziosi con la emanazione della norma innovativa, seppur ingiusta, era stato arginato. Il voler attribuire alla norma incriminata efficacia retroattiva a tutti i procedimenti pendenti disinteressandosi, a prescindere dalla decisione nel merito, della loro proposizione prima della fase pandemica, dell'attivita' processuale svolta, dei costi di giustizia sostenuti e dei successivi costi di registrazione delle pronunce si estrinseca quale atto di forte violazione e prevaricazione. In definitiva l'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 (c.d. decreto fiscale), che ha modificato l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 introducendo il comma 4-bis, si traduce in un vulnus per la tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita.