IL GIUDICE DI PACE DI NAPOLI 
                           sez. VII civile 
 
    dott. Antonio Cappiello, a scioglimento definitivo della  riserva
del 16 novembre 2022 ed a seguito della  successiva  udienza  del  30
gennaio  2023,  nel  procedimento  iscritto  al  n.  12287/2021  R.G.
promossa da: sig. V. G. nato a ..., in data  ...,  rapp.to  e  difeso
dall'avv. Francesco Battaglia, del Foro  di  Napoli,  con  studio  in
Napoli alla Via Vittoria Colonna n. 14; 
    Contro: Agenzia  delle  entrate  Riscossione,  c.f.  13756881002,
rappresentata e  difesa  dall'avv.  Alessandra  Pinto,  del  Foro  di
Napoli, con studio in Napoli alla Via Michelangelo n. 71; 
    Nonche': Prefettura di Salerno, rappresentata e difesa  dall'avv.
De Asmundis R. dell'Area III bis UTG Salerno. 
1. Ricostruzione dei fatti. 
    L'opponente  in  epigrafe  indicato  in  data  15  dicembre  2020
notificava,  previa  istanza  di  sgravio  in  autotutela,  atto   di
citazione in opposizione ex art. 615 c.p.c. assumendo che  il  giorno
... avrebbe appreso dall'Agenzia delle entrate - Riscossione,  agente
della riscossione per la Provincia di Napoli, in  fase  di  controllo
relativo alla propria situazione tributaria,  consultando  l'estratto
di ruolo, l'esistenza di cartelle esattoriali non  pagate  a  proprio
carico mai giunte alla sua conoscenza  o  comunque  affette  da  vizi
insanabili. 
    Nella  specifico  risultava  la  ingiunzione  fiscale   n.   ...,
asseverata  dall'estratto  n....,  avente  ad  oggetto  sanzioni  per
violazione Codice della strada, per un importo  complessivo  pari  ad
euro ... 
    In data 31 maggio 2021 si costituiva, a mezza  avvocatura  l'ente
impositore, la Prefettura di Salerno, contestando la fondatezza degli
assunti  attorei  ed  insistendo  per  il  rigetto   della   spiegata
opposizione. 
    In data 3 gennaio 2022, altresi', si costituiva l'Agenzia entrate
-  Riscossione  che  impugnava   la   domanda   attrice   in   quanto
inammissibile ed infondata, assumendo altresi' di  aver  regolarmente
notificato la prefata cartella esattoriale. 
    All'udienza del 16 novembre 2022, la difesa  dell'Agente  per  la
riscossione  nel   riportarsi   agli   scritti   difensivi   invocava
l'applicazione dell'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2011,  n.
146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021,  n.  215  (cd.  decreto
fiscale), che ha modificato l'art.  12  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 602/1973  con  l'introduzione  del  comma  4-bis,
richiedendone l'adozione alla  luce  della  pronuncia  della  suprema
Corte di cassazione a SS.UU. n. 26283/2022. 
    A  fronte  delle   richieste   dell'Agenzia   delle   entrate   -
Riscossione,  la  difesa  dell'opponente  sollevava   incidentalmente
questione  di  incostituzionalita'  del  summenzionato  art.   3-bis,
decreto-legge n. 146/2021. 
    L'opponente assumeva che la questione fosse rilevante in  quanto,
in  virtu'  della  citata  sentenza  della  Cassazione  a  SS.UU.  n.
26283/2022,  l'art.  3-bis  del  decreto-legge  n.  146/2021-  seppur
postuma  rispetto  alla  proposizione  del  giudizio   -   troverebbe
applicazione   retroattiva   con    conseguente    declaratoria    di
inammissibilita' della domanda attrice iscritta a ruolo  in  data  22
marzo 2021. 
    L'art.  3-bis  del  decreto-legge  21  ottobre  2021,   n.   146,
convertito dalla  legge  17  dicembre  2021,  n.  215  (c.d.  decreto
fiscale) modificando l'art.  12  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 602/1973 ha introdotto  il  comma  4-bis  a  norma  del
quale: «L'estratto di  ruolo  non  e'  impugnabile.  Il  ruolo  e  la
cartella di pagamento che si  assume  invalidamente  notificata  sono
suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore
che agisce in giudizio dimostri che  dall'iscrizione  a  ruolo  possa
derivargli un pregiudizio per la partecipazione a  una  procedura  di
appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo  80,  comma  4,
del codice del contratti pubblici, di cui al decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di  somme  allo  stesso
dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1,  lettera
a) del regolamento di cui al decreto  del  Ministro  dell'economia  e
delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche  di
cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la  perdita
di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione». 
    A parere, sempre di parte attrice, il nuovo dettato  normativo  -
ius superveniens - violerebbe concretamente ed apertamente  la  Carta
costituzionale e  necessiterebbe  di  vaglio  e  disamina  proprio  a
seguito della citata  pronuncia  a  SS.UU.  della  suprema  Corte  n.
26283/2022  del  6  settembre  2022  che  ha   esteso   l'ambito   di
applicazione della  norma  in  discussione  riconoscendole  efficacia
retroattiva e applicabilita' ai processi pendenti «... perche' incide
sulla pronuncia della sentenza (o dell'ordinanza), che e'  ancora  da
compiere, e non gia' su uno degli effetti dell'impugnazione» e che di
conseguenza comporterebbe necessariamente il rigetto della domanda in
quanto inammissibile. 
2. Profili di incostituzionalita' sollevati. 
    Nel ricorso incidentale allegato al verbale di  udienza  tenutasi
in data  16  novembre  2022  e  di  cui  forma  parte  integrante  il
contribuente-opponente    evidenziava    quattro     incidenti     di
costituzionalita': 
        a) Violazione art. 3 e art. 24 della Costituzione 
    La norma contenuta nell'art. 3-bis  sarebbe  incostituzionale  in
quanto viola il diritto di difesa del contribuente (sancito dall'art.
24 della Costituzione) e  tipicizza  una  diversita'  di  trattamento
riservata ai contribuenti, con  conseguente  violazione  dell'art.  3
della Carta fondamentale. 
    L'entrata in vigore della nuova disciplina precluderebbe  difatti
al contribuente la possibilita' di regolarizzare le proprie  pendenze
fiscali, soprattutto quelle derivanti da errori perpetrati  da  parte
dell'Amministrazione finanziaria, con conseguente grave  lesione  dei
propri diritti ed, inoltre, negherebbe ciascun cittadino  il  diritto
«ad un equo processo» riservandolo  solo  a  coloro  che  intrattengo
rapporti con la pubblica amministrazione. 
    La  norma  in  discussione  muterebbe  radicalmente  l'esito  del
processo e violerebbe apertamente i principi  di  ragionevolezza,  di
legittimo affidamento e certezza dell'ordinamento. 
    Concludeva sostenendo che il  comma  4-bis,  introdotto,  sarebbe
viziato di incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 3 e  24
Cost. nella parte, in cui non permetterebbe  il  ricorso  avverso  la
cartella a cittadini che  non  hanno  un  rapporto  con  la  pubblica
amministrazione, e porrebbe limitazioni  immotivate  all'acceso  alla
giustizia, non connesse  con  le  presunte  ragioni  di  urgenza  del
decreto convertito. 
        b) Violazione art. 77 della Costituzione, commi 1 e 2. 
    Sarebbe costituzionalmente illegittima la norma di  cui  all'art.
3-bis della legge n. 215/2021 per  diretta  violazione  dell'art.  77
Cost. comma 1 per assenza del requisito  di  specifica  necessita'  e
urgenza, in quanto «Il Governo  non  puo',  senza  delegazione  delle
Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria», e  ai
sensi del comma 2 se  non  «in  casi  straordinari  di  necessita'  e
d'urgenza» il Governo puo'  adottare  «provvedimenti  provvisori  con
forza di legge». 
    Nel caso di specie, in assenza di una legge delega, che  riguarda
soltanto la delega al Governo per la  riforma  fiscale  e  non  della
giustizia tributaria, si ricadrebbe nell'ambito del comma 2 dell'art.
77 Cost. anche perche'  il  preambolo  di  cui  al  decreto-legge  n.
146/2021  non  conterrebbe  alcuna   specificazione   in   che   cosa
consisterebbe la  straordinarieta'  e  l'urgenza  delle  esigenze  in
materia fiscale e pertanto  non  sarebbero  indicati  e  precisati  i
motivi di straordinaria  necessita'  ed  urgenza  per  un  intervento
normativo come quello adottato. 
    Risulterebbero pertanto lesi - a parere della difesa ricorrente -
i diritti costituzionali di eguaglianza delle misure  e  dell'accesso
alla giustizia e di parita' sociale, non potendo il Governo,  con  un
decreto-legge, emendato in sede di commissione, limitare  il  ricorso
ai ruoli dell'amministrazione e alle cartelle ai soli soggetti per  i
quali la mancata impugnativa  potrebbe  determinare  limitazioni  (in
senso generico) nei rapporti con la pubblica amministrazione; poiche'
nella rubrica dell'art. 1 del decreto-legge in  ordine  alle  «misure
urgenti  in  tema  fiscale»  manca  la  specificazione  di  qualsiasi
urgenza, vi sarebbe altresi' violazione in via immediata dell'art. 77
ed in via mediata degli articoli 24 e 111 Cost. 
    Difesa ricorrente conclude sostenendo che: 
        l'art.  3-bis  della  legge  n.  215/2021  e'  manifestamente
illegittimo per contrasto con l'art. 77 Cost., comma 1,  non  essendo
soddisfatti  i  requisiti  della  straordinaria  necessita'  e  della
straordinaria urgenza; 
        in ogni caso, l'art. 3-bis e' manifestamente illegittimo  per
contrasto con l'art. 77 Cost., comma 2, in via mediata in  quanto  in
assenza dei suddetti requisiti disciplina una materia,  quale  quella
della giustizia e dell'accesso  alla  stessa,  che  e'  riservata  al
potere normativo del Parlamento e configurando un caso  manifesto  di
eccesso nell'esercizio del potere di decretazione d'urgenza e  quindi
anche un possibile caso di conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato. 
        c) Violazione articoli 111 e 113 della Costituzione. 
    L'art. 3-bis  della  legge  n.  215/2021  sarebbe  manifestamente
illegittimo per contrasto con l'art. 113 Cost. precludendo la  tutela
giurisdizionale avverso  gli  atti  della  pubblica  amministrazione,
comprimendo il diritto di difesa subordinandolo a  discriminazione  e
imponendo al contribuente la permanenza di una  situazione  debitoria
nonostante la medesima sia illegittima, errata e prescritta. 
    La medesima norma si porrebbe in contrasto con  il  precetto  del
giusto processo di cui all'art.  111  in  quanto  determinerebbe  una
utilita' solo ed esclusivamente a favore di una parte,  pregiudicando
irreparabilmente l'altra parte in disprezzo dei principi di legittimo
affidamento e certezza dell'ordinamento. 
        d) Violazione articolo 117 Carta costituzionale. 
    Il ricorso alla  decretazione  d'urgenza  per  la  riforma  della
giustizia tributaria con la introduzione del comma 4-bis all'art.  12
del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  602/1973,  avrebbe
violato il principio sancito dall'art. 117 ove e'  imposto  che:  «La
potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e  dalle  regioni  nel
rispetto  della   Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 
    Da cio' consegue  che  il  comma  4-bis  al  citato  decreto  del
Presidente della Repubblica  sarebbe  illegittimo  per  essere  stato
introdotto incostituzionalmente a mezzo decretazione d'urgenza. 
    A scioglimento della riserva assunta, si ritiene che  la  domanda
dell'attore  non  possa  essere  decisa   senza   lo   scrutinio   di
costituzionalita' e si formulano le dovute 
3. Osservazioni e profili di rilevanza 
    Giova preliminarmente evidenziare come la questione assuma grande
rilievo sia per il cospicuo contenzioso pendente  cui  interessa  sia
per la soluzione poco condivisibile suggerita dalla S.C. a SS.UU.  in
ordine alla efficacia  retroattiva  di  una  norma  emanata  a  mezzo
decretazione d'urgenza. 
    L'orientamento giurisprudenziale - nonostante gli  arresti  ed  i
contrasti - prima  della  entrata  in  vigore  del  decreto-legge  n.
146/2021, che ha introdotto il comma 4-bis all'art.  12  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica   n.   602/1973,   consentiva   al
contribuente di impugnare, in  funzione  recuperatoria,  la  cartella
esattoriale a mezzo dell'estratto ruolo rilasciato dall'Agenzia delle
entrate - Riscossione e la medesima Corte  di  cassazione  a  Sezioni
unite con precedente pronuncia n. 19704/2015 ha chiaramente  ritenuto
«ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del  ruolo)  che  non
sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente  sia
venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su  sua
richiesta dal concessionario». 
    Le Sezioni unite avevano senza incertezze respinto  la  tesi  che
inibire l'impugnazione su questi presupposti potesse avere  l'effetto
di limitare il numero delle controversie portate davanti al  giudice,
in base alla  considerazione,  che  «l'impugnazione  della  cartella,
ancorche' "ritardata", interverrebbe in ogni caso  al  momento  della
notifica dell'atto successivo, mentre la proposizione "anticipata" di
essa   potrebbe   evitare   l'emissione   e   la   notifica   (quindi
l'impugnazione) dell'atto successivo e percio' indurre  un  possibile
effetto deflativo». 
    Orbene,  con  l'introduzione  del  predetto  comma  4-bis  ed  in
particolare a seguito della pronuncia a  SS.UU.,  il  diritto  difesa
appare quantomeno compresso e tutte le procedure pendenti  verrebbero
liquidate con pronuncia di inammissibilita' senza tener  conto  della
loro  eventuale  fondatezza  del  merito,  dei  costi  sostenuti  dal
contribuente per accedere alla giustizia, dei costi conseguenti  alla
registrazione delle pronunce di inammissibilita' che ricadrebbero sui
medesimi e del lasso di tempo intercorso tra la  iscrizione  a  ruolo
dei procedimenti e la data di pubblicazione del decreto-legge. 
    Tale norma, volta innegabilmente a deflazionare il contenzioso  e
fortemente  voluta  dal  direttore  dell'Agenzia  delle  entrate   in
considerazione che circa il 40% dei ricorsi pendenti contro l'Agenzia
della  riscossione  riguardano  impugnazioni  di  estratti  di  ruoli
afferenti  a  cartelle  di  pagamento  invalidamente  notificate   (o
prescritte), va si' a  ridurre  notevolmente  il  contenzioso  contro
l'ADER, ma a assieme a tale effetto comprimerebbe  eccessivamente  ed
enormemente il diritto di difesa di  tutti  i  cittadini,  in  palese
violazione sia dell'art. 24  della  Costituzione  (che  garantisce  a
tutti i cittadini il diritto di difesa), sia dell'art.  3  (principio
di uguaglianza) che dell'art. 113, commi  1  e  2  (secondo  i  quali
«Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa  la
tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi
dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o  amministrativa.  La
tutela  giurisdizionale  non  puo'  essere  esclusa  o   limitata   a
particolari mezzi di impugnazione  o  per  determinate  categorie  di
atti»). 
    Va inoltre considerato che i  tre  casi  eccezionali  in  cui  e'
possibile impugnare l'estratto di ruolo  sono  davvero  insufficienti
rispetto alle molte altre ragioni per cui i  contribuenti  potrebbero
avere un concreto interesse e far  annullare  cartelle  di  pagamento
afferenti a debiti tributari o previdenziali non dovuti (o a sanzioni
di altro tipo non dovute): si pensi, ad esempio, ai casi  in  cui  il
cittadino abbia necessita' di costituire una societa', o di  accedere
al credito, o di accettare un'eredita' con il rischio  di  subire  un
pignoramento, o di acquistare un autoveicolo con il rischio di subire
un fermo amministrativo, o di acquistare un'abitazione con il rischio
di subire un'iscrizione di ipoteca, e via cosi'. 
    La  casistica  delle  ipotesi  in  cui  il  contribuente  avrebbe
interesse ad impugnare la cartella  a  mezzo  estratto  di  ruolo  e'
alquanto ampia. 
    Ad esempio basti considerare all'ipotesi  in  cui  l'AdER  voglia
procedere al fermo dei beni mobili registrati (ex  art.  86,  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  602/1973)  e   all'iscrizione
ipotecaria (ex art. 77, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
602/1973),   l'Agenzia   della   riscossione   deve   preventivamente
notificare al debitore o ai coobbligati una comunicazione  contenente
l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute  entro  il
termine di trenta giorni, sara' eseguito il fermo  o  sara'  iscritta
l'ipoteca, senza che sia necessaria alcuna ulteriore comunicazione. 
    Nei  suddetti  casi,  in  base  alla  nuova  legge  il  cittadino
contribuente potra' impugnare il cennato preavviso di  iscrizione  di
ipoteca o di fermo amministrativo potendo solo in tal sede far valere
l'invalidita' della notifica della prodromica cartella  di  pagamento
(o la sua inesistenza, o la prescrizione del credito), purtroppo  con
la triste consapevolezza che il giudice adito  (che  sia  Commissione
tributaria, Giudice del lavoro o Giudice di  pace,  a  seconda  della
natura del credito contestato) non riuscira' mai - per ovvi motivi di
sovraccarico di lavoro -  a  pronunciarsi  su  di  una  richiesta  di
sospensiva entro  i  trenta  giorni;  intanto,  il  cittadino  dovra'
certamente subire gli effetti del fermo amministrativo del veicolo  o
dell'iscrizione dell'ipoteca sull'abitazione, con chiaro ed  evidente
danno patrimoniale. 
    La situazione potrebbe essere anche  peggiore  nel  caso  in  cui
l'Agente della riscossione proceda con un pignoramento  presso  terzi
(ad esempio, presso il datore di lavoro del  contribuente,  o  presso
l'istituto bancario  ove  sussiste  il  conto  corrente):  la  difesa
«forzatamente posticipata», come delineata dalla  nuova  norma  sopra
citata, creerebbe al contribuente, con tutta probabilita',  un  danno
grave, non sempre riparabile anche dopo la pubblicazione  (di  sicuro
non tempestiva) di una sentenza a lui favorevole. 
    Va sul punto evidenziato che successivamente la medesima Corte di
cassazione,  ponendosi  nel  solco  tracciato  dall'art.   3-bis   ed
attenendosi rigorosamente al suo dettato normativo, con  sentenza  n.
31561 del 25 ottobre 2022 ha escluso l'interesse ad agire nel caso di
dinieghi di finanziamenti bancari, ritenendo inammissibile il ricorso
del  contribuente  laddove  lo  stesso  lamenti  l'impossibilita   di
accedere  a  finanziamenti  bancari  in  ragione  di  una  iscrizione
ipotecaria adottata dall'Agente della riscossione. 
    I  rischi  conseguenti  all'applicazione  dell'art.   3-bis   del
decreto-legge 21 ottobre 2021, n.  146,  convertito  dalla  legge  17
dicembre 2021, n. 215  (c.d.  decreto  fiscale),  che  ha  modificato
l'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 con
l'introduzione del comma 4-bis, appaiono innumerevoli. 
    Non puo' inoltre  negarsi  che  in  seguito  della  summenzionata
pronuncia delle SS.UU. si possa essere in presenza  di  una  evidente
lesione del principio di buona fede ed affidamento del  contribuente,
sul quale la medesima Corte costituzionale ha piu' volte  statuito  e
confermato che: «al di fuori della materia penale (dove il divieto di
retroattivita' della legge e' stato elevato a dignita' costituzionale
dall'art. 25 Cost.) l'emanazione di leggi con  efficacia  retroattiva
da parte del legislatore incontra dei limiti che questa Corte  ha  da
tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica  posti  a  tutela   dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e  di
eguaglianza, la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale principio connaturato  allo  Stato  di  diritto  e  il
rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al   potere
giudiziario» (Corte cost., 2 febbraio 2014, n. 69; 17 dicembre  2013,
n. 308; 30 settembre 2011, n. 257; 28 marzo 2008, n. 74 e molte altre
ancora). 
    Lo  stesso  statuto  dei  diritti  del  contribuente  (legge   n.
212/2000), che tuttavia non e' norma a rango costituzionale, ha pero'
introdotto il principio di buona fede e affidamento nei rapporti  tra
Amministrazione finanziaria e contribuente, stabilendo con l'art. 10,
n.1, una regola di  condotta  generale  che  disciplina  il  rapporto
tributario: i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria
sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. 
    Il menzionato l'art. 10 della legge n. 212 del 2000  rappresenta,
in sostanza, l'attuazione dell'art. 97  della  Carta  costituzionale,
sicche' l'Amministrazione sarebbe tenuta a non abusare delle  proprie
attribuzioni  per  cagionare  un  danno  al   contribuente,   dovendo
perseguire l'interesse pubblico con il minor aggravio possibile per i
privati. 
    A tal riguardo, la Corte di cassazione, con sentenza n. 14587 del
2018 ha affermato che: «il principio di legale collaborazione e buona
fede, tutelato dall'art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto
del  contribuente)   attiene   ai   rapporti   tra   contribuente   e
Amministrazione  finanziaria  e  non  e'  riferibile  alla   potesta'
legislativa  che,  ove  esercitata  in   violazione   del   legittimo
affidamento dei cittadini, puo' assumere rilevanza sotto  il  profilo
dell'illegittimita' costituzionale». 
    Nella fattispecie de  qua  i  principi  cardine  dell'ordinamento
tributario  sembrerebbe  che  siano  stati  violati  dalla   potesta'
legislativa ragion per  cui  appare  legittima  la  richiesta  di  un
intervento della Corte costituzionale. 
    Intervento  che  appare  allo  stato  necessario,  nonostante  le
contrarie motivazioni articolate dalla  suprema  Corte  nella  stessa
pronuncia a SS.UU., e che  probabilmente  la  medesima  pronuncia  ha
difatti accelerato. 
    D'altro canto la stesura dell'art. 3-bis e sua lettura  combinata
con la sentenza a  SS.UU.  n.  26283/2022  non  mettono  il  presente
giudicante nelle condizioni di fornire una possibile  interpretazione
adeguatrice del testo della norma. 
    Ed e' innegabile che una interpretazione della norma in questione
genererebbe  un  caos  maggiore  come  verificatosi  con  la  recente
pronuncia della S.C. n. 33838 del 16 novembre 2023 che, superando  la
pronuncia  a   SS.UU.,   ha   ritenuto   ammissibile   l'impugnazione
dell'estratto  di  ruolo,  nonostante  sia   precluso   dalla   norma
impugnata,  laddove  si  rischi  il  pignoramento   della   pensione,
assegnando di fatto un valore privilegiato al  credito  pensionistico
rispetto a tutti gli altri crediti. 
    In ordine all'iter che ha condotto alla adozione della norma,  in
via di principio la nostra Costituzione  non  vieta  l'emanazione  di
norme tributarie retroattive a  condizione  che  ci  sia  un'adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non  si  pongano  in
contrasto con altri valori costituzionalmente  tutelati,  valori  che
alla  luce  delle  motivazioni  addotte  dal  ricorrente   parrebbero
violati. 
    Partendo dal corollario (art. 11  preleggi)  che:  la  legge  non
dispone che per l'avvenire:  essa  non  ha  effetto  retroattivo;  in
ambito tributario le leggi retroattive emanabili possono essere leggi
di  interpretazione  autentica,  o  leggi  innovative  con  efficacia
retroattiva in virtu'  di  una  specifica  regolazione  dello  stesso
legislatore. 
    Il comma 4-bis introdotto e' una norma innovativa ragion per  cui
la sua portata retroattiva sarebbe dovuta quantomeno risultare da una
inequivocabile volonta' del legislatore in tal senso e non discendere
da una pronuncia a SS.UU. della suprema Corte. 
    La modifica legislativa apportata  non  puo'  essere  considerata
norma di interpretazione autentica e pertanto non appare anche  prima
del 21 dicembre 2021 poiche' in contrasto con art. 1, comma 2,  dello
Statuto del contribuente  che  prevede  testualmente:  L'adozione  di
norme interpretative  in  materia  tributaria  puo'  essere  disposta
soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come
tali le disposizioni di interpretazione autentica. 
    E' innegabile, come gia' precisato, che la questione  investa  un
considerevole  numero  di  procedimenti  pendenti  ed  e'  del   pari
innegabile il danno  ingiusto  che  si  rischierebbe  di  arrecare  e
procurare ai contribuenti applicando una norma in  disarmonia  con  i
dettami costituzionali. 
4. Non manifesta infondatezza 
    La questione sollevata  appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata in ordine ai seguenti punti: 
4.1. Possibile violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione 
    Un primo dubbio che  riguarda  la  disposizione  impugnata  (art.
3-bis, decreto-legge n.  146/2021  che  ha  introdotto  il  comma  4,
all'art. 12, decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973)  e'
quello relativo alla  compatibilita'  della  stessa  con  i  principi
desumibili dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, tenuto conto che
l'impianto della  norma  tipicizza  le  ipotesi  in  cui  e'  ammessa
l'impugnazione del ruolo  e  della  cartella  di  pagamento  soltanto
dimostrando in giudizio che l'iscrizione a ruolo  puo'  procurare  un
pregiudizio: 
        a) per la partecipazione ad una  procedura  di  appalto,  per
effetto di quanto e' previsto,  in  materia  di  contratti  pubblici,
dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; 
        b) per la riscossione  di  somme  dovute  a  suo  favore  dai
soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto
ministeriale 18 gennaio 2008, n.  40,  per  effetto  delle  verifiche
indicate all'art. 48-bis del decreto del Presidente della  Repubblica
29 settembre 1973, n. 602; 
        c) per la  perdita  di  un  beneficio  nei  rapporti  con  la
pubblica amministrazione. 
    Orbene  l'ambito  delle  previsioni  e'  alquanto   riduttivo   e
discriminerebbe tutti i contribuenti che non operano con la  pubblica
amministrazione ma che dalla iscrizione a ruolo del  debito  erariale
subiscono un pregiudizio. 
    Cosi' come formulato l'art. 3-bis,  nell'introdurre  il  comma  4
all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n.  602/1973,
si  porrebbe  in  contrasto  sia  con  il  diritto  di   difesa   del
contribuente sancito dall'art. 24 della Costituzione sia il principio
di eguaglianza affermato dall'art. 3 della Carta fondamentale. 
    La  nuova   disciplina,   attenendosi   al   dettato   normativo,
precluderebbe al contribuente la possibilita'  di  poter  liberamente
adire   la   giustizia   in   presenza    di    errori    da    parte
dell'Amministrazione finanziaria e nel contempo nega  il  diritto  di
tutti  «ad  un  equo  processo»  riservandolo  solo  a   coloro   che
intrattengo rapporti con la pubblica amministrazione. 
    Il comma 4-bis, in contrasto  con  gli  articoli  3  e  24  della
Costituzione,  precluderebbe   il   ricorso   avverso   le   cartelle
esattoriali costringendo una ampia frangia di contribuenti ad  essere
inseriti all'interno di ruoli illegittimamente  formatisi  ed  essere
annoverati nel tempo quale debitori  della  pubblica  amministrazione
per debiti  inesigibili  ponendo  d'altronde  limitazioni  immotivate
all'acceso alla giustizia, non connesse con le  presunte  ragioni  di
urgenza del decreto convertito. 
    La nuova disposizione normativa potrebbe introdurre disparita' di
trattamento tra  un'impresa  ammessa  alla  tutela  «preventiva»  per
partecipare a una gara d'appalto e  una  persona  fisica,  potenziale
destinataria  di  un  pignoramento  del  conto  corrente  e/o  di  un
preavviso di ipoteca, alla quale  e'  preclusa  l'azione  giudiziaria
anticipata gia' ampiamente garantita prima della novella. 
    Il diritto alla  difesa  costituzionalmente  garantito  non  puo'
essere compromesso per far fronte a un incremento del contenzioso  ed
al pari non puo' giustificarsi  una  compressione  del  diritto  alla
tutela giurisdizionale posticipando la  possibilita'  di  accesso  ad
essa ad un momento successivo al sorgere dell'interesse  ad  agire  e
percio' ad un momento in cui e' possibile che alcuni  effetti  lesivi
dell'atto si siano gia' prodotti. 
4.2  Possibile  violazione  dell'art.  77,  comma  1   e   2,   della
Costituzione 
    Altro dubbio sorge in ordine alla compatibilita' dell'art.  3-bis
con i principi sanciti dall'art. 77 della Costituzione. 
    Effettivamente la norma tributaria  di  cui  all'art.  3-bis  del
decreto-legge  n.  146/2021  e'  stata  promulgata  in  assenza   del
requisito di specifica necessita' e urgenza. 
    Nella fattispecie de qua  il  Governo,  senza  delegazione  delle
Camere, ha emanato il decreto-legge n. 146/2021  senza  alcuna  legge
delega. 
    La delega conferita al  Governo  era  limitata  all'ambito  della
riforma fiscale e non della giustizia tributaria. 
    L'iter che ha condotto alla pubblicazione  dell'art.  3-bis  pare
contrastare con le citate norme costituzionali e lo stesso  preambolo
di  cui  al   decreto-legge   n.   146/2021   non   contiene   alcuna
specificazione  in  che  cosa  consisterebbe  la  straordinarieta'  e
l'urgenza delle esigenze in  materia  fiscale  e  pertanto  non  sono
indicati e precisati i motivi di straordinaria necessita' ed  urgenza
per un intervento normativo come quello adottato. 
    Benvero, la questione sollevata apparirebbe fondata ove contesta: 
        l'art.  3-bis  della  legge  n.  215/2021  e'  manifestamente
illegittimo per contrasto con l'art. 77 della Costituzione, comma  1,
non essendo soddisfatti i requisiti della straordinaria necessita'  e
della straordinaria urgenza; 
        in ogni caso, l'art. 3-bis e' manifestamente illegittimo  per
contrasto con l'art. 77 della Costituzione, comma 2, in  via  mediata
in quanto in assenza dei suddetti requisiti disciplina  una  materia,
quale quella della giustizia  e  dell'accesso  alla  stessa,  che  e'
riservata al potere normativo del Parlamento e configurando  un  caso
manifesto  di  eccesso  nell'esercizio  del  potere  di  decretazione
d'urgenza  e  quindi  anche  un  possibile  caso  di   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato. 
4.3 Possibile violazione degli articoli 111 e 113 della Costituzione 
    Suscita interesse la sollevata violazione degli  articoli  111  e
113 della Costituzione della norma in questione ove il principio  del
giusto  processo  verrebbe  minato  ed  il  diritto  di  difesa   del
contribuente compresso. 
    L'art. 111 della Costituzione  nel  postulare  il  principio  del
giusto processo sancisce che il giudizio deve svolgersi in condizioni
di parita' mentre l'art. 113 della Costituzione espressamente recita:
«Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa  la
tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi
dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa». 
    Ebbene la norma impugnata ha pertanto introdotto nell'ordinamento
una  utilita'  solo  ed  esclusivamente  a  favore   della   pubblica
amministrazione ed ha precluso il diritto di difesa del contribuente,
restringendolo  a  soli  tre  casi  tassativi  sempre  ad   esclusivo
appannaggio della pubblica amministrazione. 
    E'  pleonastico  evidenziare  che  il  divieto  di   impugnazione
dell'estratto  di   ruolo,   introdotto   con   l'art.   3-bis,   nel
comprimerebbe il  diritto  di  difesa  costringe  il  contribuente  a
trascinarsi  una  situazione  debitoria  nonostante  la  stessa   sia
illegittima, errata e/o prescritta. 
4.4 Possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione 
    Il ricorso alla  decretazione  d'urgenza  per  la  riforma  della
giustizia tributaria con la introduzione del comma 4-bis all'art.  12
del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, appare  aver
violato anche il principio sancito dall'art. 117 ove e' imposto  che:
«La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato  e  dalle  regioni
nel  rispetto  della  Costituzione,  nonche'  dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 
    Come gia' articolato al punto 5.2, sorgono dubbi in  ordine  alla
adozione di misure urgenti in  materia  di  giustizia  tributaria  in
assenza di legge delega a mezzo di decreto-legge. 
    L'art. 3-bis, adottato probabilmente con eccessiva fretta e senza
l'iter costituzionalmente previsto, ha  compresso  eccessivamente  la
posizione  dei  contribuenti  anche  in  considerazione  della  crisi
pandemica che li ha coinvolti e  della  ripresa  della  attivita'  di
riscossione. 
    Da tutto cio' consegue che il comma 4-bis  aggiunto  all'art.  12
del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 appare
illegittimo per essere stato introdotto incostituzionalmente a  mezzo
decretazione d'urgenza. 
5. Precedenti della Consulta 
    E' opportuno infine rinviare ad alcune massime e recenti pronunce
della  invocata  Corte  costituzionale  in  ordine  alla   violazione
combinata degli  articoli  3  e  24  della  Carta  costituzionale  in
questioni assimilabili. 
    In primis occorre richiamare la sentenza n.  552  del  2002,  cui
numerose pronunce hanno fatto nel tempo  riferimento,  la  quale  per
ragioni non dissimili da quelle poste a base della presente ordinanza
ha sancito la illegittimita' costituzionale della norma che determina
un'irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio. 
    La Corte costituzionale, successivamente, con recente sentenza n.
140 del 2022, partendo dal presupposto che  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale non  possa  in  alcun  modo  essere  sacrificato,  ha
ritenuto fondata la questione con riferimento alla  violazione  degli
articoli 3 e 24 della Costituzione laddove  ha  riconosciuto  che  la
compressione del diritto alla tutela giurisdizionale  possa  avvenire
solo nel rispetto del principio di proporzionalita' e in  particolare
della stretta  necessita',  risultando  costituzionalmente  legittimo
quando l'adempimento di tale dovere non  possa  essere  adeguatamente
tutelato in altro modo. 
    L'art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del  21  ottobre  2021,  in
discussione, ha del tutto omesso la previsione di una adeguata tutela
giurisdizionale  dei  diritti  del  contribuente   lesi   dall'errata
attivita'  di  esazione   da   parte   dell'Agenzia   delle   entrate
Riscossione. 
    Una  interpretazione  adeguatrice  della  norma   sospettata   si
scontrerebbe con il dato testuale traducendosi in  un'interpretazione
analogica assolutamente non consentita. 
    Molto simile  alla  presente  questione  e'  quella  risolta  con
sentenza  n.  228  del  2022,  con  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 117, comma 4, del decreto-legge  n.  34  del
2021, convertito in legge n. 77 del 2021  -  da  intendersi  tuttavia
riferite all'art. 16-septies, comma 2, lettera g), del  decreto-legge
21 ottobre 2021, n.  146  (Misure  urgenti  in  materia  economica  e
fiscale,  a  tutela  del  lavoro  e  per   esigenze   indifferibili),
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 -
per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. 
    Con la  sentenza  richiamata  -  n.  228  del  2022  -  la  Corte
costituzionale  ha  censurato  la  discrezionalita'  del  legislatore
nell'adottare una misura che ha eccessivamente compromesso il diritto
di azione dei creditori  e  contemporaneamente  alterato  in  maniera
ingiustificata la parita' delle parti. 
    La Corte chiarendo il  valore  fondamentale  dell'art.  24  della
Costituzione,  ha  ritenuto  che  la  norma  in  discussione  vulnera
l'effettivita'  della  tutela  garantita  in  quanto  determina   uno
sbilanciamento  tra  esecutante  privato  ed  esecutato  pubblico  in
violazione del principio di parita' delle parti  ex  art.  111  della
Costituzione (vedasi anche sentenze nn. 236 del 2021 e 186 del 2013). 
    La incostituzionalita' della norma e' stata altresi' ravvisata in
mancanza di una previsione alternativa di tutela e di un  equilibrato
contemperamento degli interessi in gioco. 
    Nella fattispecie che ci occupa,  a  seguito  della  introduzione
comma 4-bis dell'art. 12 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 602/1973 a seguito dell'art. 3-bis del  decreto-legge  21  ottobre
2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n.  215  (c.d.
decreto fiscale), effettivamente la parita' delle  parti  processuali
e'  venuta  meno  in  particolare  per   l'applicazione   retroattiva
riconosciuta alla sentenza n. 26283/2022 a SS.UU. 
    E' doveroso altresi' soffermarsi  sull'utilizzo  improprio  della
decretazione  d'urgenza  ed  alla  violazione  dell'art.   77   della
Costituzione, comma 1 e 2. 
    Ebbene la Corte costituzionale con pronunce n. 288 del 2019 e  n.
186 del 2020  ha  ribadito  che  la  persistenza  (oggettiva)  di  un
problema puo' concretare le ragioni di urgenza e che  ricorrendone  i
presupposti il Governo puo' ricorrere alla decretazione d'urgenza. 
    Nella questione sottoposta allo scrivente magistrato  le  regioni
d'urgenza purtroppo non vengono in alcun modo esplicate ed anzi, come
gia' sopra dedotto, nella rubrica dell'art. 1  del  decreto-legge  in
ordine alle «misure urgenti in tema fiscale» manca la  specificazione
di qualsivoglia urgenza di converso la ratio dell'introduzione  della
norma  viene  espressamente  individuato  nella  mera  necessita'  di
arginare l'eccessivo numero di ricorsi promossi nei  confronti  della
Agenzia delle entrate Riscossione. 
    E' evidente che l'esigenza della introduzione della  norma  abbia
carattere squisitamente  soggettivo  e  che  vada  a  penalizzare  la
posizione  del  contribuente  a  tutto  appannaggio  dell'ente  della
riscossione. 
    Un ultimo  cenno  va  infine  svolto  in  ordine  alla  efficacia
retroattiva della  norma  introdotta,  efficacia  non  postulata  dal
legislatore ma affibbiatagli dalla suprema  Corte  con  la  -  oramai
storica - pronuncia n. 26283/2022. 
    Orbene la  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  confermato  la
intoccabilita' dell'art. 11 Preleggi ragion per  cui:  la  legge  non
dispone che per l'avvenire, essa non tra effetto retroattivo. 
    In ambito  tributario  le  leggi  retroattive  emanabili  possono
essere leggi di interpretazione autentica,  o  leggi  innovative  con
efficacia retroattiva in virtu' di una  specifica  regolazione  dello
stesso legislatore. 
    Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 66 del  2022,
con riferimento alle disposizioni in materia fiscale  e  finanziaria,
ha ribadito che: Una  volta  precisata  la  natura  innovativa  della
suddetta disposizione, va accertato se  la  prevista  «retroattivita'
trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza [...] e
non  contrasti  con  altri  valori  e  interessi   costituzionalmente
protetti» (sentenza n. 39 del 2021). 
    Sommesso parere dello scrivente e' che nella questione oggetto di
vaglio di costituzionalita' da un lato la  retroattivita'  non  trovi
giustificazione alcuna, se non quella di penalizzare  i  contribuenti
nei giudizi gia' pendenti e promossi anni  prima  e  procrastinati  a
causa della pandemia, e  nel  contempo  la  medesima  retroattivita',
assolutamente non prevista dal legislatore,  si  ponga  in  netto  ed
aperto contrasto con valori ed interessi costituzionalmente protetti. 
    La norma innovativa censurata, lede la  coerenza  e  la  certezza
dell'ordinamento giuridico (tra le tante, sentenze n. 73 del 2017, n.
170 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010)  e  tale  lesione  si
traduce in una violazione del principio di  ragionevolezza  (sentenze
n. 86 del 2017, n. 87 del 2012 e n. 335 del  2003),  ragion  per  cui
l'incidente costituzionale e' piu' che plausibile. 
6. Osservazioni conclusive 
    La tutela anticipatoria, concessa e confermata dalle  SS.UU.  con
la pronuncia n. 19704 del 2015,  a  seguito  intervento  art.  3-bis,
decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 e' stato del tutto preclusa per
ovviare alle esigenze dell'agente per la riscossione  in  recepimento
della proposta «Ruffini» contenuta  nel  documento  conclusivo  della
Commissione interministeriale di riforma del processo tributario. 
    La tutela «anticipata», soluzione adottata dalle SS.UU. del 2015,
soddisfava   interessi   meritevoli   ed   anzi    costituzionalmente
necessitati; lo scopo dell'azione era vedersi accertata l'invalidita'
della notifica dell'atto di riscossione (del ruolo e della cartella),
sia  per  i  vizi  di  notifica  sia  per   lamentare   l'intervenuta
decadenza/prescrizione della pretesa erariale. 
    L'intervento del 2021, invece, ha riconosciuto  la  meritevolezza
di questa tutela «anticipata» solo in taluni  casi,  riservando  agli
altri  casi  la  strada  dell'impugnazione  «indiretta»  al  fine  di
censurare l'atto esecutivo successivo viziato dalla mancata  notifica
dell'atto presupposto, generando cosi' un vuoto di tutela. 
    Ebbene  il  legislatore  della   novella   ha   discrezionalmente
riconosciuto che, a certe condizioni, vi sia un interesse  attuale  e
concreto del contribuente tale da «anticipare» la tutela  dinanzi  ad
atti non notificati, ma lo limita a quei soli  debitori  che  operino
con la pubblica amministrazione, vuoi perche' debbano partecipare  ad
una gara di appalto dalla  quale  potrebbero  risultare  esclusi  per
effetto  di  pendenze  fiscali,  vuoi  perche'  debbano  ricevere  un
pagamento  incorrendo  nelle  «verifiche»  di  cui  all'art.  48-bis,
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  602/1973,  vuoi  infine
perche' possano perdere  un  non  meglio  precisato  «beneficio»  nei
rapporti con una pubblica amministrazione. 
    Sennonche', situazioni «omogenee»  ben  possono  verificarsi  per
quei debitori che operino con controparti che non siano  la  pubblica
amministrazione. 
    Quanto alla possibile esclusione  da  un  appalto  pubblico,  una
grave situazione di pendenze fiscali  puo'  determinare  l'esclusione
anche  da  un  qualsiasi  contratto,  anche  di  appalto,  in  regime
privatistico.  L'avvenuta  inclusione  dei  reati  tributari  tra   i
reati-presupposto  del  decreto  legislativo  n.   231/2001   spinge,
infatti, anche i contraenti privati  -  spesso,  le  grandi  societa'
multinazionali - ad una attenta verifica circa  le  pendenze  fiscali
delle potenziali controparti, che potrebbero pertanto essere  escluse
da qualsiasi contrattualizzazione. 
    Quanto alle possibili falcidie dei pagamenti da ricevere, non  si
vede anche qui per quale motivo il contribuente  che  abbia  rapporti
solo con  controparti  «private»,  debba  necessariamente  subire  il
pignoramento presso terzi, senza possibilita' di attivarsi  in  tempo
utile per prevenirlo. 
    L'interesse alla preservazione dell'integrita'  patrimoniale  non
puo' dipendere dalla natura del debitore, pubblico o privato che sia. 
    Quanto infine alla possibile perdita di benefici,  anche  qui  le
ipotesi non mancano: si pensi, ad  esempio,  alla  possibile  mancata
concessione, alla riduzione e/o alla revoca di finanziamenti bancari;
oppure agli effetti ostativi dei debiti  fiscali  sulla  circolazione
delle  aziende,   le   cui   vicende   risulterebbero   negativamente
influenzate, in termini di prezzo e/o  di  garanzie,  dalle  pendenze
risultanti dall'estratto di ruolo  o  da  altro  documento  quale  la
certificazione di cui all'art. 14, decreto legislativo n. 472/1997. 
    Ma anche sul  fronte  penale  potrebbe  sussistere  un  interesse
all'immediata rimozione delle pendenze fiscali, ove si consideri  che
il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento del tributo richiede
un mero  credito  dell'Amministrazione  finanziaria  suscettibile  di
essere azionato coattivamente. 
    Il vuoto di tutela  appare  largamente  piu'  ampio  in  sede  di
ipotesi «fallimentare». 
    La questione sollevata incidentalmente e' meritevole di  disamina
da parte della Corte costituzionale  non  potendosi  sostituire  alla
stessa le SS.UU. della S.C. 
    Non puo' infine sottacersi  che  proprio  la  soluzione  adottata
dalle SS.UU. con la sentenza n. 26283/2022 abbia generato l'incidente
costituzionale. 
    Appare  irragionevole,   illogica,   illegittima,   ingiusta   ed
altamente lesiva la soluzione adottata dalle SS.UU. per porre rimedio
all'eccessivo numero dei procedimenti pendenti. 
    L'art.  3-bis  del  decreto-legge  21  ottobre  2021,   n.   146,
convertito dalla  legge  17  dicembre  2021,  n.  215  (c.d.  decreto
fiscale), che ha modificato l'art.  12  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 602/1973 introducendo il comma 4-bis, a parere di
codesto  giudicante  non  puo'   trovare   ambito   di   applicazione
retroattiva. 
    Il proliferare dei contenziosi  con  la  emanazione  della  norma
innovativa, seppur ingiusta, era stato arginato. 
    Il voler attribuire alla norma incriminata efficacia  retroattiva
a tutti i  procedimenti  pendenti  disinteressandosi,  a  prescindere
dalla decisione nel merito, della loro proposizione prima della  fase
pandemica, dell'attivita' processuale svolta, dei costi di  giustizia
sostenuti e dei successivi costi di registrazione delle  pronunce  si
estrinseca quale atto di forte violazione e prevaricazione. 
    In definitiva l'art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021,  n.
146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n.  215  (c.d.  decreto
fiscale), che ha modificato l'art.  12  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 602/1973 introducendo il comma 4-bis, si  traduce
in  un  vulnus  per  la  tutela  giurisdizionale   costituzionalmente
garantita.