LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE Sezione lavoro composta dai magistrati: dott. Flavio Baraschi, Presidente; dott.ssa Elisabetta Tarquini, consigliera; dott.ssa Paola Mazzeo, consigliera relatrice; ha emesso la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 434/2021 del ruolo generale, promossa da J. M., rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberta Randellini e Alberto Guariso, appellante; nei confronti di: Regione Toscana, rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Gentini, appellata; Comune di Arezzo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Lucia Rulli e Stefano Pasquini, appellato. Letti gli atti ed i documenti di causa, osserva quanto segue. La sig. J. M., cittadina albanese, ha proposto azione civile contro la discriminazione dei disabili ex art. 3 legge n. 67/2006 dinanzi al Tribunale di Arezzo in funzione di giudice del lavoro, convenendo la Regione Toscana ed il Comune di Arezzo. Ha esposto di aver richiesto al suddetto comune il contributo economico previsto dall'art. 5 della legge regionale della Toscana n. 73/2018 in favore delle famiglie con figli minori disabili, dell'importo di euro 700 all'anno; contributo che e' a carico della regione, ma viene assegnato dal comune di residenza. Ha lamentato che, nonostante suo figlio minore sia gravemente disabile perche' affetto da ..., e nonostante che il nucleo familiare abbia un reddito Isee inferiore a 30.000 euro all'anno (come richiesto dal suddetto art. 5, al comma 4, lettera c), essa si e' vista rigettare la domanda di contributo per l'anno ..., presentata il ..., perche' mancante dell'ulteriore requisito previsto dall'art. 5, comma 4, lettera b): sia il genitore richiedente, sia il figlio, devono avere la residenza anagrafica in Toscana da almeno ventiquattro mesi continuativi antecedenti al 1° gennaio dell'anno in cui viene presentata la domanda. La ricorrente, invero, e' divenuta residente nel Comune di Arezzo solo il ..., quindi da meno di ventiquattro mesi. M. ha dedotto il carattere discriminatorio di tale requisito, in ragione della disabilita' ed in ragione della nazionalita'. Ha dedotto, inoltre l'incostituzionalita' del suddetto comma 4, lettera b) per contrasto con gli articoli 3 e 120 della Costituzione. Ha concluso chiedendo accertarsi il carattere discriminatorio della condotta della Regione Toscana e del Comune di Arezzo, consistente, per la prima, nel pretendere da M. il requisito della residenza in Toscana fin dal 1° gennaio 2018, e per il secondo nel negarle la prestazione richiesta; condannarsi entrambi gli enti a pagarle il contributo richiesto, o in subordine di risarcimento del danno, sempre dell'importo di euro 700; adottare un piano di rimozione volto ad evitare il ripetersi della discriminazione; ordinarsi la pubblicazione della decisione sui siti istituzionale della regione e del comune. Gli enti convenuti si sono costituiti chiedendo il rigetto del ricorso. Hanno argomentato variamente che il requisito de quo per la concessione del contributo non ha carattere discriminatorio, ma serve a selezionare i richiedenti per assicurare ai destinatari un importo di una qualche consistenza economica, tenuto conto della limitatezza delle risorse disponibili. Il comune ha anche eccepito, comunque, che M. non ha presentato una vera domanda di contributo, in sede amministrativa, ma si e' limitata a rivolgere una richiesta di informazioni, senza compilare ed inviare l'apposito modulo pubblicato sul sito web del Comune; e che M., in ogni caso, non poteva presentare tale domanda perche' dall'iscrizione all'anagrafe non risulta essere madre del minore A., ma semplicemente convivente con lo stesso. Con ordinanza del 21 aprile 2021 n. 965 resa ex art. 702-bis c.p.c., il Tribunale ha respinto le domande di M. Il giudice, accogliendo le difese degli enti, ha ritenuto che, da un lato, il requisito della residenza anagrafica in Toscana da almeno due anni non contrasti con il principio di uguaglianza e non sia irragionevole; dall'altro lato, che il comma 4, lettera b) dell'art. 5 legge regionale n. 73/2018 non puo' essere disapplicato per incompatibilita' con le norme sovranazionali segnalate dalla ricorrente, cioe' l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, l'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilita', trattandosi di disposizioni non sufficientemente precise e dettagliate. La ricorrente ha impugnato tale ordinanza dinanzi a questa Corte d'appello. Ha criticato in primo luogo la declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, lettera b), in quanto, anche in base alla consolidata giurisprudenza costituzionale, la limitazione dell'accesso al contributo non puo' ritenersi ragionevole, avulsa com'e' dal bisogno specifico che la norma intende tutelare. In secondo luogo ha lamentato che il Tribunale abbia considerato prive di efficacia diretta le fonti sovranazionali sopra indicate, che in realta', in quanto vietano le discriminazioni in danno dei disabili, devono ritenersi di per se' precise ed incondizionate. Gli enti convenuti si sono costituiti, ribadendo le difese gia' esposte in primo grado. All'udienza del 17 novembre 2022 questa Corte ha disposto lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell'art. 352 codice di procedura civile Le parti hanno depositato i rispettivi atti. Recita l'art. 5 legge regionale Toscana n. 73/2018, per quanto interessa in questa sede: «1. La Regione, al fine di sostenere le famiglie con figli disabili minori di diciotto anni, istituisce un contributo annuale per il triennio 2019-2021 pari a euro 700,00 a favore delle famiglie in possesso dei requisiti di cui al comma 4, per ogni minore disabile ed in presenza di un'accertata sussistenza nel disabile della condizione di handicap grave di cui all'art. 3 comma 3, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). 2. (...) 3. I contributi di cui al comma 1 sono concessi dal comune di residenza del richiedente a seguito di istanza presentata entro il 30 giugno di ciascun anno di riferimento del contributo. L'istanza di concessione del contributo e' presentata dalla madre o dal padre del minore disabile, o da chi esercita la responsabilita' genitoriale. I contributi concessi sono comunicati alla regione, che provvede ai relativi pagamenti. 3-bis. (...) 4. I requisiti per la concessione del contributo sono i seguenti: a) il genitore che presenta domanda deve far parte del medesimo nucleo familiare del figlio minore disabile per il quale e' richiesto il contributo; b) sia il genitore sia il figlio minore disabile devono essere residenti in Toscana, in modo continuativo, in strutture non occupate abusivamente, da almeno ventiquattro mesi antecedenti la data del 1° gennaio dell'anno di riferimento del contributo; c) il genitore che presenta domanda e il figlio minore disabile devono far parte di un nucleo familiare convivente con un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore ad euro 29.999,00; d) (abrogato). 5. Le istanze di concessione dei benefici sono redatte secondo uno schema-tipo approvato con decreto del responsabile della competente struttura regionale, e sono corredate da certificato comprovante l'handicap grave di cui all'art. 3, comma 3 della legge n. 104/1992 e dall'attestazione Isee aggiornata in corso di validita'. La modulistica e' pubblicata sul sito istituzionale della regione. 6. (...) 6-bis. (...). Ad avviso di questa Corte, la questione di costituzionalita' di tale norma, precisamente della lettera b) del comma 4, e' rilevante e non manifestamente infondata, con riguardo all'art. 3 Cost. Di seguito vengono esposte le ragioni della rilevanza della questione nel presente giudizio. 1. J. M. ha regolarmente presentato la domanda amministrativa di contributo, condizione per il riconoscimento del diritto. Risulta infatti dai documenti di causa che essa, dopo aver effettivamente richiesto tramite mail il .... mere informazioni al Comune di Arezzo circa la possibilita' di ottenere il beneficio, in data ... ha inviato una nuova mail che conteneva, in allegato, il modulo predisposto dal comune da lei compilato, oltre alla documentazione necessaria (Isee, codice fiscale del minore, verbale di accertamento della sua condizione di persona handicappata in situazione di gravita'). Non rileva il fatto che la mail sia stata inviata all'indirizzo di posta elettronica della funzionaria del servizio sociale dott.ssa ..., anziche' al diverso indirizzo indicato dal comune nel proprio sito istituzionale: la legge non prevede modalita' vincolanti per inoltro dell'istanza, che comunque ha avuto luogo. 2. Deve ritenersi provato che la ricorrente sia madre del minore A. M., risultando tale qualita' dal decreto del Tribunale di minori di Firenze n. ..., in atti, con cui e' stata autorizzata la permanenza in Italia per tre anni ai sensi dell'art. 31, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998 (ossia per «gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'eta' e delle condizioni di salute del minore ...)». Il rapporto di mera convivenza di cui riferisce il Comune di Arezzo e', in realta', di convivenza con l'intestatario della scheda anagrafica, diverso da J. M. Superate tali due eccezioni logicamente pregiudiziali, e nella pacifica ricorrenza degli altri requisiti previsti dall'art. 5, comma 4, deve poi darsi atto che non e' possibile la disapplicazione della lettera b) di tale comma per contrasto con fonti sovranazionali, quali l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o l'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; disapplicazione che, eliminando il requisito della residenza almeno biennale nel territorio regionale, condurrebbe di per se' alla decisione del giudizio con l'accoglimento della domanda di M , il cui petitum principale, come si e' detto, e' la condanna dei convenuti al pagamento del contributo. Tali norme sanciscono il divieto di discriminazione fondata, tra l'altro, sull'handicap o comunque su qualsiasi condizione personale. Ma M. non e' discriminata in quanto disabile o in quanto madre di un disabile. La sua esclusione dal contributo dipende invece, dal fatto che ha la residenza anagrafica in Toscana da meno di due anni prima della presentazione della domanda. Per questo motivo, la disapplicazione non e' possibile neppure per contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita', ratificata dall'Italia con legge n. 18/2009, trattato che impegna gli Stati contraenti a tutelare in vario modo le persone disabili dalle discriminazioni di cui possono essere vittime in ragione, appunto, della loro disabilita'. La ricorrente sostiene che, comunque, la sua esclusione dal contributo integra una discriminazione ai sensi dell'art. 2 della suddetta Convenzione ONU, perche' costituisce rifiuto di un «accomodamento ragionevole». Nella sua prospettazione, la stessa previsione legislativa di un contributo economico in favore delle famiglie con minori disabili costituirebbe un «accomodamento ragionevole», quindi l'ente pubblico non potrebbe negarlo sulla base di criteri che nulla hanno a che vedere con la disabilita', perche' cio' violerebbe l'art. 5 comma III della Convenzione («Al fine di promuovere l'uguaglianza ed eliminare la discriminazione, gli stati Parti adottano tutti i provvedimento appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli»). Senonche', ad avviso di questa Corte una misura legislativa di carattere generale come quella prevista dall'art. 5, legge regionale n. 73/2018 non rientra nella nozione di «accomodamento ragionevole», fornita dallo stesso art. 2 della Convenzione («per accomodamento ragionevole si intendono le misure e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati, ove ve ne sia necessita' in casi particolari, per garantire alle persone con disabilita' il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle liberta' fondamentali») e confermata dall'art. 23 della stessa, in materia di diritto dei disabili all'istruzione («Nell'attuazione di tale diritto, gli Stati Parti devono assicurare che: ... c) venga fornito un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno»). La disposizione in esame, finalizzata a sostenere il reddito delle famiglie con minori disabili in ragione delle maggiori spese di cura e di assistenza che devono sostenere, pare piuttosto rientrare nell'art. 4 della Convenzione, in base al quale «Con riferimento ai diritti economici, sociali e culturali, ogni Stato Parte si impegna a prendere misure, fino al massimo delle risorse di cui dispone e, ove necessario, nel quadro della cooperazione internazionale, al fine di conseguire progressivamente la piena realizzazione di tali diritti, senza pregiudizio per gli obblighi contenuti nella presente Convenzione che siano immediatamente applicabili in conformita' al diritto internazionale.». Tale disposto, tuttavia, nel prevedere l'obbligo degli Stati membri di adottare azioni positive in favore dei disabili, non ha effetto diretto nel diritto interno. Certamente la Convenzione fa parte del diritto dell'Unione europea, che vi ha aderito con la decisione del Consiglio del 26 novembre 2009 n. 2010/48/CE, come sottolinea la difesa appellante, ma il contenuto del citato art. 4 non e' sufficientemente preciso, e non e' incondizionato, perche' presuppone necessariamente una normativa di attuazione. La norma in questione non puo' essere neppure ritenuta discriminatoria per motivi di nazionalita', e quindi disapplicabile per questa via. Se e' vero che, secondo i dati statistici forniti dalla difesa appellante, e' piu' difficile per gli stranieri maturare un requisito di «lungoresidenza» avendo un tasso di mobilita' sul territorio nazionale piu' elevato di quello dei cittadini italiani, tale maggior difficolta' non sembra rilevare quando la durata della residenza richiesta e' di due anni, ma piuttosto quando - come nei casi richiamati dalla stessa difesa - la si esige per periodi piu' lunghi, tali da interferire effettivamente con le necessita' di spostamento sul territorio nazionale per motivi legati al lavoro. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, e tenuto conto delle conclusioni della ricorrente, risulta ineludibile ai fini della decisione l'applicazione dell'art. 5, legge regionale n. 73/2018, ed in particolare del suo comma 4, lettera b). Si sottolinea che tale norma introduce un requisito dirimente, per l'ottenimento della prestazione, e non un semplice criterio preferenziale. In mancanza del requisito della residenza anagrafica almeno biennale la ricorrente non puo' ottenere il contributo, indipendentemente dal fatto che suo figlio minore sia stato dichiarato handicappato in situazione di gravita' dalla competente commissione dell'Azienda sanitaria pubblica, e indipendentemente dal fatto che l'ISEE del nucleo familiare sia inferiore a 30.000 euro. Non e' possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione, anzi non e' possibile alcuna interpretazione che sia diversa da quella fatta palese dal significato proprio delle sue parole, semplici ed inequivocabili («I requisiti per la concessione sono i seguenti: ...»; «b) sia il genitore sia il figlio minore disabile devono essere residenti in Toscana, in modo continuativo ... da almeno ventiquattro mesi antecedenti la data del 1° gennaio dell'anno di riferimento del contributo». Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva quanto segue. Alla luce del principio di uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione, l'esclusione della ricorrente dal contributo appare un trattamento ingiustificatamente deteriore, rispetto a quello delle altre famiglie con minori disabili che risiedono in Toscana da almeno due anni prima del 1° gennaio dell'anno in cui chiedono il contributo. La mancanza di giustificazione si vede in due aspetti. Il primo e' che la residenza almeno biennale in Toscana non ha a che vedere con la condizione di svantaggio che la legge regionale vuole alleviare, cioe' quella della disabilita' unita ad un reddito medio- basso, sicche' non si vede perche', in relazione a tale condizione, dovrebbero essere preferite le famiglie residenti da almeno due anni nella Regione a quelle che invece, per vicende casuali di vita, di lavoro etc., non hanno ancora maturato questa stanzialita'. Il secondo aspetto e' che le famiglie residenti da almeno due anni - che costituiscono appunto il tertium comparationis - potrebbero avere al loro interno minori con un grado di disabilita' meno grave di quello di A. M., oppure potrebbero possedere un reddito piu' elevato - sia pur entro la soglia di 30.000 euro - e nonostante cio' fruirebbero del contributo. Non e' qui in discussione il potere discrezionale dell'ente di limitare l'erogazione del contributo economico, tenuto conto evidentemente delle risorse finanziarie disponibili. Ma il criterio di limitazione deve essere pur sempre ragionevole, e quindi correlato alla disabilita', eventualmente associata al bisogno economico. Sicche', come osserva la difesa della ricorrente, sarebbe ragionevole riservare il contributo alle famiglie con minori che presentano una disabilita' particolarmente accentuata, o che presentano determinati bisogni di inserimento, oppure alle famiglie che versano in stato di bisogno economico piu' stringente, ma non limitarlo in base al criterio della residenza almeno biennale. Ne' puo' ritenersi che il requisito della residenza almeno biennale serva a negare legittimamente il contributo a chi scelga di abitare in Toscana solo per approfittare di tale prestazione economica; e' improbabile, infatti, che una famiglia sposti la sua abitazione da una regione ad un'altra, con tutto cio' che comporta un trasferimento - soprattutto avendo al proprio interno un minore disabile - solo per fruire di un assegno di 700 euro all'anno. La giurisprudenza costituzionale si e' gia' pronunciata piu' volte sulla compatibilita' con l'art. 3 Cost. del requisito della residenza piu' o meno prolungata sul territorio di una regione, per l'accesso a prestazioni sociali. Ed ha ritenuto tale compatibilita' soltanto alla condizione che, appunto, sussista un ragionevole collegamento tra detto requisito e la funzione del servizio offerto, dichiarando invece illegittime le norme di legge - quasi sempre regionale - che lo prevedono senza alcuna coerenza con l'obiettivo dell'intervento sociale. Cosi' le sentenze n. 7/2021, n. 44/2020, n. 281/2020, n. 107/2018; nonche' la sentenza n. 222/2013, in cui, come nel caso in esame, la durata della residenza «legittimante» era di due anni. Si legge in particolare, in tale sentenza: «Questa Corte, relativamente alla analoga violazione del canone di ragionevolezza determinata dalla esclusione da un beneficio per tutti coloro (italiani e stranieri) che non siano residenti da un periodo protratto e continuativo nel territorio regionale, ha osservato che la legittimita' di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza, in quanto l'introduzione di regimi differenziati e' consentita solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioe' giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e' subordinata l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n. 172/2013). Bisogna ora aggiungere che, diversamente che nell'ipotesi di discriminazione introdotte tra cittadino e straniero, un elemento che qui caratterizza il giudizio di ragionevolezza e' costituito dalla rilevanza che assume la dimensione regionale nella concessione o nel diniego di una prestazione sociale. La regione, in quanto ente esponenziale della comunita' operante sul territorio, ben puo' infatti favorire, entro i limiti della non manifesta irragionevolezza, i propri residenti, anche in rapporto al contributo che essi hanno apportato al progresso della comunita' operandosi per un non indifferente lasso di tempo, purche' tale profilo non sia destinato a soccombere, a fronte di provvidenze intrinsecamente legate ai bisogni della persona, piuttosto che al sostegno dei membri della comunita'.... E' percio' manifestamente irragionevole, ed incongruo, negare l'erogazione della prestazione a chiunque abbia la (sola) residenza nella regione, posto che non vi e' alcuna correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni primari dell'essere umano insediatosi nel territorio regionale e la protrazione nel tempo di tale insediamento». Per quanto detto, va sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, lettera b) nella parte in cui subordina la concessione del contributo di cui al comma 1 alla residenza nella Regione Toscana da almeno ventiquattro mesi antecedenti la data del 1° gennaio dell'anno di riferimento del contributo, con riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.