TRIBUNALE DI UDINE 
 
    Il giudice del  lavoro,  sciogliendo  la  riserva,  pronuncia  la
seguente ordinanza. 
    Nel procedimento ex art. 702-bis del codice di  procedura  civile
iscritto al n. 745/2022 R.G. e promosso  con  ricorso  depositato  in
data 8 novembre 2022 da 
        41) A. B. R., CF ... 
        42) A. E. CF... 
        43) A. M. G., 
        44) A. J. CF ... 
        45) A. S., CF ... 
        46) A. A. CF ... 
        47) A. A., CF ... 
        48) A. K. CF ... 
        49) A. C. O., CF ... 
        50) A. E. CF ... 
        51) A. J. CF ... 
        52) A. A. K. CF ... 
        53) A. R. K. CF ... 
        54) B. K. CF ... 
        55) B. F. K. CF ... 
        56) B. M. K. CF ... 
        57) B. P., CF ... 
        58) B. K. CF ... 
        59) D. J. K. CF ... 
        60) D. B. A. CF ... 
        61) D. M. CF ... 
        62) D. I. 88 CF ... 
        63) D. J. K. CF ... 
        64) F. F. CF ... 
        65) G. K. CF ... 
        66) I. Z. CF ... 
        67) M. I. CF ... 
        68) O. K. CF ... 
        69) O. H. CF ... 
        70) O. E. CF ... 
        71) O. F. A. CF ... 
        72) O. J. CF ... 
        73) O. S. B. CF ... 
        74) S. E. A. CF ... 
        75) S. J. Q. CF ... 
        76) T. C. CF ... 
        77) W. S. CF ... 
        78) Y. W., CF ... 
        79) Y. A. H. CF ... 
        80) Z. K. CF ... 
    tutti rappresentati e difesi per distinte procure in allegato  al
ricorso dagli avvocati/e  Martino  Benzoni,  Caterina  Bove,  Alberto
Guariso, Dora Zappia - ricorrenti; 
    con l'intervento di S. A. CF ... rappresentato e  difeso,  giusta
procura in allegato all'atto di intervento,  dagli  avvocati  Martino
Benzoni, Caterina Bove, Alberto Guariso, Dora Zappia 
    e di ASGI - Associazione degli studi giuridici  sull'immigrazione
APS (C.F. 97086880156) rappresentata e difesa, per procura  in  calce
all'atto di intervento, dagli avv.ti Alberto Guariso e Dora  Zappia -
intervenienti; 
    contro Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (C.F. 80014930327),
in  persona  del  Presidente  in  carica,  rappresentata   e   difesa
dall'avvocato  della  Regione  avv.   Daniela   Iuri   unitamente   e
disgiuntamente,  all'avv.  Beatrice  Croppo   dell'Avvocatura   della
Regione - resistente; 
    osserva quanto segue: i ricorrenti, cittadini non comunitari  che
da almeno ventiquattro mesi risultano residenti nel Comune di  Udine,
e che hanno la disponibilita' di un alloggio  in  locazione  in  tale
comune, titolari di permessi di soggiorno  di  lungo  periodo,  hanno
dedotto di avere presentato tempestiva domanda per la concessione del
contributo per l'abbattimento del canone di locazione corrisposto nel
2021, come previsto dal relativo bando approvato  con  determinazione
dirigenziale del Comune di Udine n. 356 del 10 marzo 2022. 
    Esponevano  i  ricorrenti  di  essere  in  possesso  di  tutti  i
requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla normativa  regionale
vigente per accedere a tale contributo, e che  tuttavia  veniva  loro
richiesto, ai sensi dell'art. 9, decreto Pres. reg.  n.  66/2020,  di
dimostrare il requisito dell'impossidenza  attraverso  documentazione
aggiuntiva attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non
sono proprietari di altri immobili ad  uso  abitativo  nel  paese  di
origine  e  nel  paese  di   provenienza   ovvero   di   giustificare
l'impossibilita' di poterla  produrre,  a  pena  di  inammissibilita'
della domanda. 
    Con ricorso ex art. 28, decreto legislativo n.  150/2011  «azione
civile  contro  la  discriminazione»,  i  ricorrenti  chiedevano  che
venisse dichiarata discriminatoria la condotta tenuta  dalla  Regione
Friuli-Venezia Giulia e dal Comune di Udine in quanto tale  normativa
regionale e il bando del comune introducevano oneri documentali per i
cittadini  extra  Ue  non  previsti  per  i  cittadini   italiani   e
comunitari. 
    Richiamavano i ricorrenti la  pronuncia  di  questo  giudice  del
lavoro  (ordinanza  del  4  marzo  2021  nel  procedimento  R.G.   n.
674/2020), con la quale cosi' si disponeva: 
        ...«accerta e dichiara  il  carattere  discriminatorio  della
condotta tenuta 
          dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, consistente  nell'aver
adottato il regolamento  15  aprile  2020,  n.  66  ("Regolamento  di
esecuzione  per  la  disciplina  degli  incentivi  a  sostegno   alle
locazioni e favore dei conduttori meno  abbienti  nel  pagamento  del
canone di locazione dovuto ai proprietari degli immobili destinati  a
prima casa di cui all'art. 19, legge regionale n. 1/16") nella  parte
in cui, ai fini dell'accesso alla prestazione  di  cui  all'art.  19,
legge regionale n. 1/16, il 38 regolamento prevede, all'art. 6, comma
2, lettera d) il requisito della assenza di proprieta' di immobili in
Italia e all'estero e, all'art. 9, comma  3  che  tutti  i  cittadini
extra UE debbano  fornire  "documentazione  attestante  che  tutti  i
componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi
nel paese di origine e nel paese  di  provenienza",  con  conseguente
esclusione di tutti i richiedenti di cittadinanza extra  UE  che  non
forniscano tale documentazione; 
          dal Comune di Udine nell'aver inserito, nel  bando  di  cui
alla determina 934/2020, le medesime clausole; 3) Ordina alla Regione
Friuli-Venezia Giulia  in  persona  del  Presidente  pro  tempore  di
modificare il regolamento 15 aprile 2020, n. 66 con riferimento  alle
parti oggetto dell'accertamento di cui al punto 2); ...» 
    I  ricorrenti  evidenziavano  che  il   regolamento   era   stato
successivamente modificato (DPR 18 luglio 2022, n. 089/Pres.)  e  che
il testo dell'art. 9 oggetto di contenzioso e' ora il seguente: 
        «Comma 3.  Ai  fini  della  verifica  del  requisito  di  cui
all'art. 6, comma 2, lettera e) (ovvero "non essere proprietari, nudi
proprietari  o  usufruttuari  di  altri  alloggi  anche  per   quote,
all'interno del territorio nazionale o all'estero")  i  cittadini  di
Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  con  esclusione   dei
rifugiati e dei titolari della protezione  sussidiaria  di  cui  all'
art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo n. 251/2007,
devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma
4,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000  e
dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  394/1999
la documentazione  attestante  che  tutti  i  componenti  del  nucleo
familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di  origine
e nel paese di provenienza. 
        Comma 3-bis. I cittadini di cui al comma  3  impossibilitati,
pur  avendo  agito  con  correttezza  e  diligenza,  a  produrre   la
documentazione in osservanza delle disposizioni richiamate dal  comma
medesimo presentano in sostituzione una dichiarazione resa  ai  sensi
dell'art.  47  del  decreto  del  Presidente  della   Repubblica   n.
445/2000.». 
    Precisavano i ricorrenti  che  il  Comune  di  Udine  aveva  loro
inviato una comunicazione nella quale si  richiamava  la  intervenuta
modifica del regolamento e pertanto si  chiedeva  all'interessato  di
produrre,  entro  il  termine  indicato  nella  missiva  a  pena   di
inammissibilita' della domanda, la documentazione recante  «data  non
anteriore al 2022», con riferimento a tutti i componenti del  nucleo;
in alternativa, «se impossibilitato  dovra'  dichiarare,  su  modello
allegato, i motivi per i quali non puo' produrre la certificazione  e
dimostrare quanto dichiarato con opportuna documentazione.  L'ufficio
Abitare  sociale  valutera'  le  dichiarazioni  rese  e  i  documenti
allegati ai fini dell'ammissione al contributo. Le dichiarazioni  non
supportate da sufficiente e idonea documentazione oppure  scritte  in
modo non comprensibile non  costituiranno  documentazione  utile  per
l'ammissione». 
    I ricorrenti deducevano  che,  anche  nella  nuova  versione,  la
previsione del regolamento regionale e' illegittima  nella  parte  in
cui mantiene  un  trattamento  differenziato  e  discriminatorio  tra
italiani e stranieri, che finisce per porre a carico di questi ultimi
degli oneri inutili e del tutto irragionevoli. 
    Si costituiva in  giudizio  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia evidenziando che il D.P.REG. n. 66/2020 non aveva  potuto  che
recepire nell'art 9, comma 3 il requisito di cui all'art.  29,  comma
1-bis della legge regionale n. 1/2016, come  introdotto  dalla  legge
regionale n. 24/2018, e che, a seguito di pronunce giudiziali,  aveva
provveduto alla modifica del regolamento, aggiungendo all'art.  9  il
comma 3-bis. 
    Deduceva la regione che  la  condotta  discriminatoria  non  puo'
essere posta in essere da una legge o da  un  regolamento  regionale;
precisava la resistente  che  il  potere  regolamentare  spetta  alla
giunta regionale, mentre al Presidente della Regione compete  emanare
con decreto  i  regolamenti  adottati  dalla  giunta;  pertanto,  non
rientrava tra le competenze del Presidente della Regione il potere di
modificare il regolamento, che nel caso di specie  deve  ottenere  il
parere  obbligatorio  e  vincolante  della  quarta  commissione   del
Consiglio regionale. 
    Negava in ogni modo la regione la  natura  discriminatoria  della
normativa regionale, deducendo che l'onere documentale  richiesto  e'
un adempimento di per se' neutro  e  non  irragionevole,  considerato
anche che la diversa regolamentazione tra cittadini  UE  e  cittadini
extra UE trova fonte nell'art. 3, comma 1 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000, il quale prevede  che  le  disposizioni
del  testo  unico  si  applichino  solo  ai  cittadini   italiani   e
dell'Unione europea. 
    Si costituiva in giudizio resistendo alle domande anche il Comune
di Udine ed intervenivano S. A., ex art. 105, comma 1 del  codice  di
procedura civile per  fare  valere  le  medesime  argomentazioni  dei
ricorrenti, deducendo di condividere la medesima posizione  giuridica
di questi  ultimi,  e  ASGI  -  Associazione  degli  studi  giuridici
dell'immigrazione APS, rilevando di avere  legittimazione  attiva  ai
sensi dell'art. 5,  decreto  legislativo  n.  215/2003  a  promuovere
l'azione  civile   contro   la   discriminazione   in   presenza   di
discriminazioni collettive. 
    Nel  presente  procedimento  e'  stata  pronunciata   contestuale
ordinanza che definisce il giudizio tra i ricorrenti, l'interveniente
O. A. e il Comune di Udine, mentre in relazione alle domante proposte
dai ricorrenti, O. A. e ASGI nei  confronti  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ritiene  questo  giudice  che  non  si  possa
prescindere da un giudizio di legittimita' costituzionale delle norme
regionali di cui all'art. 29, comma 1, lettera  d),  legge  regionale
del Friuli-Venezia Giulia 19 febbraio 2016, n. 1  e  art.  29,  comma
1-bis della medesima  legge,  introdotto  dalla  legge  regionale  n.
24/2018. 
    Uno scrutinio di legittimita' costituzionale pare necessario  con
particolare riguardo alla domanda, proposta dalle parti, di  ordinare
alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per essa al  Presidente
pro tempore, anche quale piano di rimozione destinato ad  evitare  il
reiterarsi della discriminazione, di  modificare  il  regolamento  n.
66/2020, abrogando i commi 3 e 3-bis dell'art. 9 e prevedendo  che  i
cittadini extra UE possano accedere all'incentivo  a  sostegno  delle
locazioni producendo, al fine del requisito della impossidenza di cui
all'art.  4  del  regolamento  stesso,  la  medesima   documentazione
richiesta al cittadino italiano. 
    Trattasi peraltro di provvedimento cui il giudice e' facoltizzato
dall'art. 2, decreto legislativo n. 150/2011. 
Sulla rilevanza 
    Con riguardo al  profilo  della  rilevanza  della  questione,  si
osserva quanto segue: 
    L'art. 29, comma 1, lettera d), legge regionale 19 febbraio 2016,
n. 1 prevede, tra i requisiti minimi necessari ai  fini  dell'accesso
alla misura di «sostegno dei conduttori meno abbienti  nel  pagamento
del canone di locazione» disciplinata dalla medesima legge  regionale
(art. 19), «il non essere proprietari neppure della  nuda  proprieta'
di altri alloggi, all'interno del territorio nazionale o  all'estero»
(requisito della impossidenza). 
    Il comma 1-bis dell'art. 29, introdotto con la  successiva  legge
regionale n. 24/2018, precisa poi che «ai  fini  della  verifica  del
requisito di cui al comma 1, lettera d), i  cittadini  di  Stati  non
appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati  e  dei
titolari della protezione sussidiaria  [...]  devono  presentare,  ai
sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4,  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  28  dicembre  2000,  n.  445  [...],  e
dell'art. 2 del decreto del Presidente  della  Repubblica  31  agosto
1999,  n.  394  [...],  la  documentazione  attestante  che  tutti  i
componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi
nel paese di origine e nel paese di provenienza». 
    Il regolamento regionale n. 66/2020  ha  inteso  dare  esecuzione
alla  previsione  di  cui  all'art.  29,  comma  1-bis,   della legge
regionale n. 1/2016, con la disposizione di cui all'art. 9, comma  3,
che prevede: 
        «Comma 3.  Ai  fini  della  verifica  del  requisito  di  cui
all'art. 6, comma 2, lettera e) (cioe' "non essere proprietari,  nudi
proprietari  o  usufruttuari  di  altri  alloggi  anche  per   quote,
all'interno del territorio nazionale o all'estero")  i  cittadini  di
Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  con  esclusione   dei
rifugiati e dei titolari della protezione  sussidiaria  di  cui  all'
art. 2, comma 1, lettera a bis), del decreto legislativo n. 251/2007,
devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma
4,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000  e
dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  394/1999
la documentazione  attestante  che  tutti  i  componenti  del  nucleo
familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di  origine
e nel paese di provenienza. 
    Con la citata ordinanza del 4 marzo 2021, nel  procedimento  R.G.
n. 674/2020, avente oggetto analogo, era stato accertato il carattere
discriminatorio della condotta tenuta  dalla  Regione  Friuli-Venezia
Giulia, consistente nell'aver adottato il regolamento 15 aprile 2020,
n. 66 nella parte in cui, ai fini dell'accesso  alla  prestazione  di
cui all'art. 19, legge regionale n. 1/16, questo prevede, all'art. 6,
comma 2, lettera d) il  requisito  della  assenza  di  proprieta'  di
immobili in Italia e all'estero e, all'art. 9, comma 3  che  tutti  i
cittadini extra UE debbano  fornire  «documentazione  attestante  che
tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri
alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza»;  era  stato
inoltre ordinato alla regione di modificare il regolamento 15  aprile
2020, n. 66. 
    Il regolamento e' stato successivamente modificato (DPR 18 luglio
2022, n. 089/Pres.) ed il testo dell'art. 9 oggetto di contenzioso e'
ora il seguente: 
        «Comma 3.  Ai  fini  della  verifica  del  requisito  di  cui
all'art. 6, comma 2, lettera e) (cioe' "non essere proprietari,  nudi
proprietari  o  usufruttuari  di  altri  alloggi  anche  per   quote,
all'interno del territorio nazionale o all'estero")  i  cittadini  di
Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  con  esclusione   dei
rifugiati e dei titolari della protezione  sussidiaria  di  cui  all'
art. 2, comma 1, lettera a bis), del decreto legislativo n. 251/2007,
devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma
4,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000  e
dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  394/1999
la documentazione  attestante  che  tutti  i  componenti  del  nucleo
familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di  origine
e nel paese di provenienza. 
        Comma 3-bis. I cittadini di cui al comma  3  impossibilitati,
pur  avendo  agito  con  correttezza  e  diligenza,  a  produrre   la
documentazione in osservanza delle disposizioni richiamate dal  comma
medesimo presentano in sostituzione una dichiarazione resa  ai  sensi
dell'art.  47  del  decreto  del  Presidente  della   Repubblica   n.
445/2000.». 
    I ricorrenti hanno allegato la  comunicazione  con  la  quale  il
Comune di Udine ha richiesto  loro  di  produrre,  entro  il  termine
indicato nella missiva a pena di inammissibilita' della  domanda,  la
documentazione prevista dal  regolamento  all'art.  9,  comma  3  con
riferimento a tutti i componenti del  nucleo  o  in  alternativa,  se
impossibilitati, la dichiarazione dei motivi per i quali non  possono
produrre  la  certificazione,  dimostrando  quanto   dichiarato   con
opportuna  documentazione,  con   la   precisazione   che   l'ufficio
competente avrebbe valutato  le  dichiarazioni  rese  e  i  documenti
allegati e che le  dichiarazioni  non  supportate  da  sufficiente  e
idonea documentazione  non  sarebbero  state  considerate  utili  per
l'ammissione. 
    Si ritiene che tale modifica  regolamentare  non  sia  idonea  ad
eliminare la accertata discriminazione, per i motivi gia' evidenziati
nella  contestuale  ordinanza  emessa  in  questo  procedimento   nei
confronti del Comune di Udine, e che si riportano: 
        «Si osserva anzitutto che il modulo predisposto dal comune ed
allegato alla richiesta di integrazione documentale  non  corrisponde
alle indicazioni fornite dalla regione con nota del 23  agosto  2002;
in essa infatti la regione precisa di aderire al  principio  espresso
dalla Corte costituzionale in base al quale va sempre riconosciuta ai
cittadini  di  uno  Stato  non   aderente   all'Unione   europea   la
possibilita'  di  presentare   una   dichiarazione   sostitutiva   di
certificazione da rendere ai  sensi  dell'art.  47  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 445/2020 qualora dimostri, provando di
aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza,
l'impossibilita' di produrre la richiesta documentazione. 
        Pertanto,  pare  che  alla  luce  di  tali  precisazioni   il
richiedente non debba autocertificare (come richiesto nel modulo  del
comune) la propria impossibilita' a produrre certificazione  ma  solo
depositare   la   documentazione   a   comprova   dello   stato    di
impossibilita', per poter accedere poi alla dichiarazione sostitutiva
di certificazione. 
        Certamente quindi non puo' richiedersi una  dichiarazione  ex
art. 47, decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 relativa
non a un fatto, ma  a  una  valutazione  ("sono  impossibilitato...")
addossando al dichiarante i rischi penali di una falsa dichiarazione. 
        Ma anche limitandone la portata alla richiesta di  produzione
di documentazione, la novella regolamentare finisce per conferire  al
singolo funzionario comunale incaricato dell'esame di "correttezza  e
diligenza" una inammissibile discrezionalita'; non  vi  sono  infatti
dei criteri oggettivi predeterminati per valutare l'impossibilita' da
un lato e lo sforzo pretendibile dal richiedente dall'altro. 
        Da  cio'  consegue  che  e'  impossibile  per  il   cittadino
straniero conoscere anticipatamente quale  sia  il  comportamento  di
correttezza e diligenza richiestogli, e che gli  potrebbe  consentire
di accedere alla autocertificazione e quindi alla  prestazione;  tali
valutazioni (di carattere giuridico) egli peraltro dovrebbe  compiere
entro un termine perentorio. 
        L'effetto complessivo della  nuova  previsione  appare  anche
irragionevole, posto  che  viene  introdotta  una  "dichiarazione  di
impossibilita'" di fatto difficilmente verificabile, essendo evidente
che il funzionario non ha concrete possibilita' di accertare  se,  ad
esempio, la richiesta di documenti e'  stata  inoltrata,  e'  rimasta
senza risposta o se l'autorita'  cui  e'  stata  rivolta  era  quella
competente, e cosi' via». 
    Ritiene questo  giudice  che  al  soddisfacimento  immediato  del
diritto  degli   odierni   ricorrenti   e   interveniente   ai   fini
dell'inclusione  nelle  graduatorie,  senza  che  agli  stessi  venga
richiesta documentazione ulteriore rispetto a quanto previsto  per  i
cittadini italiani e UE, possa  giungersi  gia'  con  disapplicazione
della  norma  regionale  di  cui  all'art.  29,  comma  1-bis,  legge
regionale n.  1/2016  per  contrasto  con  la  direttiva  2003/109/CE
relativa  allo  status  dei  cittadini  di  Paesi  terzi  che   siano
soggiornanti di lungo periodo, ed in particolare con l'art. 11  della
citata direttiva, che sancisce il principio di parita' di trattamento
dei soggiornanti di lungo periodo rispetto ai  cittadini  per  quanto
riguarda, tra gli altri, «d)  le  prestazioni  sociali,  l'assistenza
sociale  e  la  protezione  sociale  ai  sensi   della   legislazione
nazionale». 
    Deve infatti riconoscersi  alla  direttiva  2003/109/C  efficacia
diretta negli ordinamenti interni degli Stati membri. 
    Sul punto gia' l'ordinanza del 2 marzo 2021 affermava: 
        «Puo' infatti ritenersi che la direttiva in esame sia  dotata
di tutti i requisiti che la giurisprudenza della Corte  di  giustizia
ritiene necessari per ammettere la produzione di effetti  diretti  da
parte di tale fonte del diritto comunitario, ovvero  i  requisiti  di
sufficiente precisione ed incondizionatezza (cfr. ex  plurimis  CGUE,
sentenza Marshall, 26 febbraio 1986, C-152/84 e sentenza Van Duyn,  4
dicembre 1974, C-41/74). Come ha precisato la  Corte  di  cassazione,
pronunciandosi su fattispecie  analoghe,  l'efficacia  diretta  della
direttiva n. 109 del 2003 deve  necessariamente  essere  riconosciuta
poiche' "i beneficiari della posizione di vantaggio erano determinati
(i cittadini non comunitari dotati di permesso di soggiorno di  lungo
periodo), il contenuto della posizione di vantaggio  era  specificato
(trattandosi di "prestazione essenziale"  individuabile  dal  giudice
interno), il soggetto passivo tenuto ad assicurare il  vantaggio  era
un'autorita'  pubblica"  (cfr.  Cassazione  28745/2019  e  Cassazione
11165/2017); cosi' e' anche nel caso di specie. Ne' vale  a  ritenere
diversamente quanto affermato  al  paragrafo  4  dell'art.  11  della
direttiva 2003/109/CE, ove si legge che  "gli  Stati  membri  possono
limitare la parita' di trattamento in materia di assistenza sociale e
protezione sociale alle prestazioni essenziali".  Occorre  in  primis
rilevare che "dal momento che l'integrazione dei cittadini  di  paesi
terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri ed il  diritto
di tali cittadini al  beneficio  della  parita'  di  trattamento  nei
settori elencati all'art. 11, paragrafo 1, della  direttiva  2003/109
costituiscono la regola generale, la deroga prevista dal paragrafo  4
di tale articolo deve essere  interpretata  restrittivamente"  (CGUE,
sentenza  K.,  24  aprile  2012,  C571/10).  Nella  pronuncia  appena
menzionata  la  Corte  di  giustizia  ha   precisato   altresi'   che
"un'autorita' pubblica, sia essa di livello  nazionale,  regionale  o
locale, puo' invocare la deroga prevista all'art.  11,  paragrafo  4,
della direttiva 2003/109 unicamente  qualora  gli  organi  competenti
nello Stato membro interessato per  l'attuazione  di  tale  direttiva
abbiano chiaramente espresso l'intenzione di avvalersi  della  deroga
suddetta"; ha ribadito tale  principio,  piu'  di  recente,  CGUE  25
novembre 2020, C-303/19. Non risulta che l'Italia  abbia  manifestato
la propria intenzione di ricorrere alla  deroga  al  principio  della
parita' di trattamento prevista  dall'art.  11,  paragrafo  4,  della
direttiva 2003/109 al fine di evitare l'erogazione di una prestazione
quale quella in esame ai cittadini stranieri lungo-soggiornanti». 
    Si era anche indicato il possibile diverso riferimento normativo,
individuato (nella precedente ordinanza del 2 marzo 2021 e poi  dalla
Corte di appello di Trieste nella sentenza n.  159/2021  confermativa
della stessa), nell'art. 18, comma 3-bis della legge n. 241 del 1990,
oppure nella normativa vigente in materia di certificazione ISEE (che
vale anche per i cittadini extracomunitari e consente di riscostruire
la titolarita' o  meno  di  immobili  abitativi  sia  in  Italia  che
all'estero). 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia ha provveduto alla  integrazione
del regolamento come sopra gia' indicato e nel presente  giudizio  ha
sostenuto l'erroneita' degli «ordini»  (che  sono  stati  imposti  in
varie ordinanze) di modificare i regolamenti attuativi in materia  di
sostegno alle politiche abitative  che  riproducono  quanto  previsto
dall'art. 29 della legge regionale n. 1/2016. 
    Deduce la regione di avere in  ogni  modo  dato  esecuzione  alle
ordinanze anche nella parte in cui ordinavano le modifiche, e che  le
modifiche sarebbero frutto di una interpretazione  costituzionalmente
orientata di quanto previsto dal quadro normativo  esistente,  ed  in
particolare dall'art. 29, legge regionale n. 1/2016. 
    Evidenzia infatti la regione che l'art. 9, comma 3  del  D.P.Reg.
n. 66/2020 non poteva che essere  riproduttivo  dell'art.  29,  comma
1-bis, della legge regionale n. 1/2016, con la conseguenza che  anche
laddove  l'amministrazione  regionale  abrogasse  o  modificasse   il
regolamento in  parola  nel  senso  richiesto  dai  ricorrenti,  tale
regolamento sarebbe in contrasto  con  la  disposizione  di  legge  e
dunque non potrebbe essere applicato, prevalendo in  ogni  caso,  nel
contrasto tra fonti di rango diverso, la disposizione di legge. 
    L'amministrazione resistente ha poi ricordato che, nella  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, il potere regolamentare  spetta  alla
giunta regionale, ai sensi dell'art. 16, comma 1, lettera  b),  della
legge regionale «statutaria» 18 giugno 2007,  n.  17,  e  che  spetta
invece al Presidente della Regione emanare con decreto i  regolamenti
approvati dalla giunta (art. 42, comma 1, lettera b), statuto). 
    Secondo la difesa della regione, pertanto,  allo  stato,  da  una
parte l'art. 9, comma 3,  del  regolamento  n.  66/2020  e'  conforme
all'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016 e  non  puo'
essere modificato in senso  difforme  da  esso,  pena  la  violazione
dell'art. 4 delle Preleggi; dall'altra non rientra tra le  competenze
del Presidente della Regione modificare un  regolamento;  cio'  ancor
piu' nella procedura modificativa dei regolamenti di cui  si  discute
che devono ottenere il parere obbligatorio e vincolante della  quarta
commissione del Consiglio regionale. 
    A  fronte  della  interpretazione  costituzionalmente   orientata
adottata, con la modifica regolamentare, dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia in relazione alla normativa regionale de quo, non  pare  possa
essere   imposta   ai   fini   della   cessazione   della    condotta
discriminatoria,   una   diversa   (e   peraltro    gia'    proposta)
interpretazione costituzionalmente orientata; d'altro  canto,  reputa
questo  giudice   che   una   efficace   rimozione   della   condotta
discriminatoria  e  dei  suoi  effetti  non  possa  che  passare  per
l'adozione di  una  normativa,  anche  di  rango  regolamentare,  che
preveda uguale possibilita' di accesso  ai  cittadini  comunitari  ed
extracomunitari e cio' anche sotto il profilo documentale. 
    In cio' si rinviene la rilevanza della  questione,  ovvero  nella
possibilita' di adottare, come richiesto dai ricorrenti, un  efficace
piano  di  rimozione  della  discriminazione;  l'art.   28,   decreto
legislativo n. 150/2022 prevede infatti che il giudice possa ordinare
«la  cessazione  del  comportamento,  della  condotta   o   dell'atto
discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della
pubblica  amministrazione,  ogni   altro   provvedimento   idoneo   a
rimuoverne gli effetti. Al fine  di  impedire  la  ripetizione  della
discriminazione, il giudice  puo'  ordinare  di  adottare,  entro  il
termine fissato  nel  provvedimento,  un  piano  di  rimozione  delle
discriminazioni accertate». 
    Nella prospettazione della regione, in difetto di  una  pronuncia
di  illegittimita'  costituzionale  della  previsione   della   legge
regionale n.  1/2016  oggetto  di  causa,  la  regione  non  potrebbe
ottemperare ad un ordine giudiziale di modifica del  regolamento  che
equipari sotto il profilo documentale i cittadini italiani  e  UE  da
quelli extra UE. 
    La questione e'  quindi  rilevante  nel  senso  che,  qualora  la
normativa regionale venga ritenuta conforme a Costituzione, la stessa
giustifica l'adozione del regolamento censurato; nel caso  invece  la
legge regionale non rispetti i parametri  costituzionali  di  cui  si
dira'  infra,  potra'  essere  emesso  un  ordine  di  modifica   del
regolamento che eviti anche pro futuro un contenzioso  ormai  nutrito
in questo Distretto. 
    L'art. 29, comma 1-bis, legge regionale  n.  1/2016  presenta  un
ulteriore elemento di criticita', sotto il profilo della  parita'  di
trattamento, in quanto mentre al comma 1,  lettera  d)  prescrive  un
requisito valevole per tutti i beneficiari  (non  essere  proprietari
neppure della nuda  proprieta'  di  altri  alloggi,  all'interno  del
territorio  nazionale  o  all'estero...),  il  comma   1-bis,   senza
modificare il  requisito  generale,  prescrive  che  «ai  fini  della
verifica del requisito di cui al comma 1, lettera d), i cittadini  di
Stati non appartenenti all'Unione europea,  devono  presentare...  la
documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare
non sono proprietari di altri alloggi nel pase di origine e nel paese
di provenienza». 
    La   documentazione    aggiuntiva    richiesta    ai    cittadini
extracomunitari e' quindi relativa ai soli  paesi  di  origine  e  di
provenienza, mentre per il possesso del  requisito  relativamente  al
resto del mondo (Italia inclusa) ai richiedenti  cittadini  extra  UE
non viene richiesto alcun tipo di attestazione. 
    Si deve poi prospettare una ulteriore questione  di  legittimita'
costituzionale con riferimento al disposto  dell'art.  29,  comma  1,
lettera d), legge  regionale  n.  1/2016,  il  quale  prevede  tra  i
requisisti  minimi  per  l'accesso  alla  misura  di  sostegno   alle
locazioni: 
        «il non essere proprietari neppure della nuda  proprieta'  di
altri alloggi, all'interno del  territorio  nazionale  o  all'estero,
purche' non dichiarati  inagibili,  con  esclusione  delle  quote  di
proprieta' non riconducibili  all'unita',  ricevuti  per  successione
ereditaria, della nuda proprieta' di alloggi il cui usufrutto  e'  in
capo a parenti entro il secondo grado e degli alloggi, o quote  degli
stessi, assegnati in sede di  separazione  personale  o  divorzio  al
coniuge o convivente». 
    Qualora infatti  si  ritenesse  costituzionalmente  legittima  la
previsione dell'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016,
ed  in  particolare  necessario  per  i   cittadini   extracomunitari
attestare  ai  sensi  dell'art.  2,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 31 agosto 1999,  n.  394  il  mancato  possesso  di  altri
alloggi all'estero, e cio' in applicazione delle limitazioni  di  cui
all'art. 3, comma 4,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000, n.  445,  si  pone  la  questione  della  legittimita'
costituzionale del requisito della impossidenza planetaria in se'. 
    Qualora infatti il  requisito  per  l'accesso  al  beneficio  del
contributo per il canone locativo venga ritenuto,  in  termini  cosi'
estesi, non  conforme  alla  Costituzione,  e  quindi  espunto  dalla
normativa regionale, non sarebbe ipotizzabile alcuna  discriminazione
dei cittadini extracomunitari sotto il profilo documentale; tutti gli
altri requisiti  previsti  infatti  per  l'accesso  alla  prestazione
possono essere da  loro  autocertificati,  e  lo  sarebbe  anche  una
impossidenza limitata ad esempio al territorio nazionale. 
    Cio' che pone in posizione deteriore i cittadini  extracomunitari
e' la affermata  impossibilita'  di  autocertificare  il  non  essere
proprietari di immobili al di fuori del territorio nazionale,  mentre
la proprieta' di immobili in Italia  e'  un  fatto  certificabile  da
parte di soggetti pubblici italiani,  con  riguardo  alla  previsione
dell'art. 3, comma 4  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
445/2000. 
Sulla non manifesta infondatezza 
    Con riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni,  si
deve rilevare che la Corte costituzionale si e' gia'  pronunciata  su
analoga disposizione di legge regionale. 
    Infatti  la  Corte  con  sentenza  n.  9/2021  ha  scrutinato  la
normativa della legge della Regione Abruzzo 31 ottobre  2019,  n.  24
(Norme per l'assegnazione e la gestione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni  di
locazione). 
    La norma impugnata avanti alla Corte costituzionale prevedeva  un
onere  documentale  aggiuntivo  per  i   cittadini   di   Stati   non
appartenenti all'Unione europea, ed in particolare  la  presentazione
di documentazione che attesti  che  tutti  i  componenti  del  nucleo
familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o  di
provenienza  (comma  4.1),  ai  fini  della   verifica   della   «non
titolarita' di diritti di [proprieta', usufrutto, uso ed  abitazione]
su uno o piu' alloggi, ubicati all'interno del territorio nazionale o
all'estero» (art. 2,  comma  1,  lettera  d,  della  legge  regionale
Abruzzo n. 96 del 1996). 
    La Corte costituzionale ha osservato quanto segue: 
        «La norma impugnata, la quale obbliga "i cittadini  di  Stati
non appartenenti all'Unione europea" a presentare "la  documentazione
che  attesti  che  tutti  i  componenti  del  nucleo  familiare   non
possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di  provenienza",
si inserisce in una cornice normativa, quella della  legge  regionale
Abruzzo n. 96 del 1996, che gia' da prima prevedeva,  come  requisito
per la partecipazione al bando di concorso per  l'assegnazione  degli
alloggi, la "non titolarita' di diritti  di  [proprieta',  usufrutto,
uso ed abitazione] su uno o piu'  alloggi,  ubicati  all'interno  del
territorio nazionale o all'estero" (art. 2, comma 1, lettera d, della
legge regionale Abruzzo n.  96  del  1996),  da  asseverare  mediante
apposita dichiarazione (art. 5, commi 1, 2, 3  e  4,  della  medesima
legge regionale) resa nei modi previsti dall'art.  4  della  legge  4
gennaio 1968, n. 15  (Norme  sulla  documentazione  amministrativa  e
sulla  legalizzazione  e  autenticazione  di  firme),  nel  frattempo
abrogata e sostituita dall'art. 47 del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 445 del 2000. L'onere di rendere  questa  dichiarazione
circa la non titolarita' di diritti su alloggi di qualsiasi  tipo  in
Italia o all'estero grava su chi intende  partecipare  al  bando  per
l'assegnazione degli alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica  a
prescindere dallo status di  cittadino  italiano  o  di  altro  Paese
dell'Unione  europea  o  di  Paesi  extraeuropei.  La  norma  oggetto
dell'odierno giudizio si rivolge, invece, solo ai "cittadini di Stati
non appartenenti all'Unione europea" e solo  a  costoro  richiede  di
presentare, "[a]i fini della  verifica  del  requisito  di  cui  alla
lettera d) del primo  comma  dell'art.  2",  "la  documentazione  che
attesti che tutti i componenti del nucleo  familiare  non  possiedono
alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza». 
    L'onere procedimentale prescritto dalla disposizione in esame  e'
stato dalla Corte ritenuto in radice irragionevole «innanzitutto  per
la palese irrilevanza e per la pretestuosita' del requisito che  mira
a dimostrare. Se, infatti, lo scopo della normativa  nella  quale  la
disposizione  impugnata  si  colloca  e'  di  garantire  un  alloggio
adeguato nel luogo di residenza in  regione  a  chi  si  trovi  nelle
condizioni di bisogno individuate dalla legge, il possesso  da  parte
di uno dei componenti del nucleo  familiare  del  richiedente  di  un
alloggio adeguato nel Paese di origine o provenienza non appare sotto
alcun profilo rilevante. Non lo e' sotto il profilo  dell'indicazione
del bisogno, giacche', intesa l'espressione "alloggio adeguato"  come
alloggio idoneo a ospitare il richiedente e il suo nucleo  familiare,
e' evidente che la  circostanza  che  qualcuno  del  medesimo  nucleo
familiare possegga, nel Paese di provenienza,  un  alloggio  siffatto
non dimostra nulla  circa  l'effettivo  bisogno  di  un  alloggio  in
Italia.  E  non  lo  e'  nemmeno  come  indicatore  della  situazione
patrimoniale  del  richiedente,  per  la  quale   non   offre   alcun
significativo elemento aggiuntivo rispetto a quanto  gia'  si  desume
dalla generale attestazione di non titolarita' di diritti su  alloggi
all'interno del territorio nazionale o all'estero, prevista dall'art.
2, comma 1, lettera d), della legge regionale Abruzzo n. 96 del 1996.
Oltre che irragionevole per le ragioni appena esposte, la  previsione
risulta   altresi'   discriminatoria.   Tale   carattere   dell'onere
aggiuntivo  a  carico  dei  soli  cittadini  extracomunitari  -   sul
presupposto (indimostrato) che  a  essi  sarebbero  riservati  "oneri
probatori meno gravosi" di quelli imposti ad altri cittadini - appare
evidente, solo che si consideri il fatto che le asserite  difficolta'
di verifica del possesso di alloggi  in  Paesi  extraeuropei  possono
riguardare anche cittadini italiani  o  di  altri  Paesi  dell'Unione
europea, i quali invece  sono  esclusi  dall'ambito  di  applicazione
della  normativa  impugnata.  Si  tratta,  dunque,  di  un   aggravio
procedimentale che si risolve in uno di quegli  "ostacoli  di  ordine
pratico e burocratico" che questa Corte ha  ripetutamente  censurato,
ritenendo che in questo modo il  legislatore  (statale  o  regionale)
discrimini alcune categorie di individui (sentenze n. 186 del 2020  e
n. 254 del 2019»). 
    Si ritiene che nel caso di specie  il  parametro  di  riferimento
debba essere individuato anzitutto nell'art.  3  della  Costituzione,
per l'ingiustificata ed irragionevole disparita' di  trattamento  tra
cittadini italiani e UE  da  un  lato,  e  cittadini  extracomunitari
dall'altro. 
    Per  tutti  i  richiedenti  infatti  si  prescrive  il   possesso
dell'ampio requisito della impossidenza planetaria, ma ai fini  della
verifica di tale requisito, per i cittadini UE si reputa  sufficiente
una autocertificazione (la cui veridicita' non  e'  verificabile  con
riguardo a tutti i paesi del mondo), mentre per i cittadini extra  UE
da un lato si riduce l'ambito territoriale  di  prova  del  requisito
(limitato al paese di origine e al paese di provenienza) e dall'altro
si introduce un gravoso onere di attestazione e  documentazione,  non
richiesto per i primi. 
    Come gia' evidenziato, neppure la modifica  del  regolamento  con
l'introduzione del comma 3-bis pare idonea a  ridurre  la  denunciata
gravosita'. 
    La discriminazione fondata sulla nazionalita'  risulta  contraria
all'art. 3 della  Costituzione  e  viola  altresi'  l'art.  14  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, come evidenziato  dalla  Corte  costituzionale
laddove  ha  censurato  la  discriminazione   dello   straniero   con
riferimento alle prestazioni sociali (sentenza n. 187/2010). 
    Oltre all'art. 3 della Costituzione, pare venire in rilievo anche
la  violazione  dell'art.  117  Cost.,  che  subordina  la   potesta'
legislativa regionale (e quella  statale)  al  rispetto  dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    Infatti  come  gia'  esposto  deve  riconoscersi  alla  direttiva
2003/109/C efficacia diretta negli ordinamenti  interni  degli  Stati
membri, e nel caso di specie viene in rilievo l'art. 11 della  citata
direttiva, che sancisce il principio di parita'  di  trattamento  dei
soggiornanti di  lungo  periodo  rispetto  ai  cittadini  per  quanto
riguarda, tra gli altri, «d)  le  prestazioni  sociali,  l'assistenza
sociale  e  la  protezione  sociale  ai  sensi   della   legislazione
nazionale». 
    Si richiama  poi  il  principio  per  cui  «il  legislatore  puo'
legittimamente  circoscrivere  la  platea   dei   beneficiari   delle
prestazioni  sociali  in  ragione  della  limitatezza  delle  risorse
destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia,
la  scelta  legislativa  non  e'  esente   da   vincoli   di   ordine
costituzionale. La  legge  deve  anzitutto  rispettare  gli  obblighi
europei che,  anche  per  quanto  riguarda  le  prestazioni  sociali,
esigono la parita' di trattamento tra i cittadini italiani ed europei
e i soggiornanti di lungo periodo» (Corte costituzionale, sentenza n.
166/2018). 
    Quanto poi al requisito della impossidenza di  cui  all'art.  29,
comma 1, lettera d) della  legge  regionale  n.  1/2016,  oltre  alla
citata pronuncia di questa Corte in relazione  alla  normativa  della
Regione Abruzzo, si deve richiamare il  principio  costituzionale  di
cui all'art. 3 Cost., sotto il  profilo  della  ragionevolezza  della
normativa e della proporzionalita'. 
    Si verte in materia di tutela di un  diritto  fondamentale  della
persona:  «il  diritto  all'abitazione  "rientra  fra   i   requisiti
essenziali caratterizzanti la socialita' cui  si  conforma  lo  Stato
democratico voluto dalla Costituzione"  ed  e'  compito  dello  Stato
garantirlo, contribuendo  cosi'  "a  che  la  vita  di  ogni  persona
rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della
dignita' umana" (Corte costituzionale n. 44/2020). 
    La Corte costituzionale con sentenza n. 176 del 2000 ha affermato
che non e' irragionevole la preclusione all'accesso ai contributi  in
materia di edilizia residenziale pubblica nei confronti di chi aspira
all'assegnazione di un alloggio di  edilizia  popolare,  pur  essendo
titolare di un bene della medesima natura,  anche  se  situato  fuori
dell'ambito territoriale cui si riferisce il  bando  di  concorso,  e
cio' in quanto il titolare puo' comunque da  esso  ricavare  utilita'
comparabili a quelle di un alloggio  situato  in  luogo  adeguato  in
relazione alle proprie esigenze lavorative. 
    Nel caso di specie tuttavia  risulta  preclusiva  all'accesso  al
beneficio la titolarita' di diritti di proprieta' su immobili ubicati
in tutto il mondo, il che pare sproporzionato e contrastante  con  le
esigenze di tutela sociale della provvidenza. 
    Si osserva  infatti  che  la  regione  (all'art.  1  della  legge
regionale n.  1/2016)  «riconosce  il  valore  primario  del  diritto
all'abitazione quale fattore fondamentale di inclusione, di  coesione
sociale e di qualita' della vita, promuovendo ogni forma d'intervento
per l'esercizio effettivo di tale diritto», e che il  rilievo,  sotto
il profilo reddituale, di  altre  proprieta'  e'  comunque  garantito
all'interno della certificazione ISEE.