TRIBUNALE DI UDINE Il giudice del lavoro, sciogliendo la riserva, pronuncia la seguente ordinanza. Nel procedimento ex art. 702-bis del codice di procedura civile iscritto al n. 745/2022 R.G. e promosso con ricorso depositato in data 8 novembre 2022 da 41) A. B. R., CF ... 42) A. E. CF... 43) A. M. G., 44) A. J. CF ... 45) A. S., CF ... 46) A. A. CF ... 47) A. A., CF ... 48) A. K. CF ... 49) A. C. O., CF ... 50) A. E. CF ... 51) A. J. CF ... 52) A. A. K. CF ... 53) A. R. K. CF ... 54) B. K. CF ... 55) B. F. K. CF ... 56) B. M. K. CF ... 57) B. P., CF ... 58) B. K. CF ... 59) D. J. K. CF ... 60) D. B. A. CF ... 61) D. M. CF ... 62) D. I. 88 CF ... 63) D. J. K. CF ... 64) F. F. CF ... 65) G. K. CF ... 66) I. Z. CF ... 67) M. I. CF ... 68) O. K. CF ... 69) O. H. CF ... 70) O. E. CF ... 71) O. F. A. CF ... 72) O. J. CF ... 73) O. S. B. CF ... 74) S. E. A. CF ... 75) S. J. Q. CF ... 76) T. C. CF ... 77) W. S. CF ... 78) Y. W., CF ... 79) Y. A. H. CF ... 80) Z. K. CF ... tutti rappresentati e difesi per distinte procure in allegato al ricorso dagli avvocati/e Martino Benzoni, Caterina Bove, Alberto Guariso, Dora Zappia - ricorrenti; con l'intervento di S. A. CF ... rappresentato e difeso, giusta procura in allegato all'atto di intervento, dagli avvocati Martino Benzoni, Caterina Bove, Alberto Guariso, Dora Zappia e di ASGI - Associazione degli studi giuridici sull'immigrazione APS (C.F. 97086880156) rappresentata e difesa, per procura in calce all'atto di intervento, dagli avv.ti Alberto Guariso e Dora Zappia - intervenienti; contro Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (C.F. 80014930327), in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato della Regione avv. Daniela Iuri unitamente e disgiuntamente, all'avv. Beatrice Croppo dell'Avvocatura della Regione - resistente; osserva quanto segue: i ricorrenti, cittadini non comunitari che da almeno ventiquattro mesi risultano residenti nel Comune di Udine, e che hanno la disponibilita' di un alloggio in locazione in tale comune, titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo, hanno dedotto di avere presentato tempestiva domanda per la concessione del contributo per l'abbattimento del canone di locazione corrisposto nel 2021, come previsto dal relativo bando approvato con determinazione dirigenziale del Comune di Udine n. 356 del 10 marzo 2022. Esponevano i ricorrenti di essere in possesso di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla normativa regionale vigente per accedere a tale contributo, e che tuttavia veniva loro richiesto, ai sensi dell'art. 9, decreto Pres. reg. n. 66/2020, di dimostrare il requisito dell'impossidenza attraverso documentazione aggiuntiva attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri immobili ad uso abitativo nel paese di origine e nel paese di provenienza ovvero di giustificare l'impossibilita' di poterla produrre, a pena di inammissibilita' della domanda. Con ricorso ex art. 28, decreto legislativo n. 150/2011 «azione civile contro la discriminazione», i ricorrenti chiedevano che venisse dichiarata discriminatoria la condotta tenuta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dal Comune di Udine in quanto tale normativa regionale e il bando del comune introducevano oneri documentali per i cittadini extra Ue non previsti per i cittadini italiani e comunitari. Richiamavano i ricorrenti la pronuncia di questo giudice del lavoro (ordinanza del 4 marzo 2021 nel procedimento R.G. n. 674/2020), con la quale cosi' si disponeva: ...«accerta e dichiara il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, consistente nell'aver adottato il regolamento 15 aprile 2020, n. 66 ("Regolamento di esecuzione per la disciplina degli incentivi a sostegno alle locazioni e favore dei conduttori meno abbienti nel pagamento del canone di locazione dovuto ai proprietari degli immobili destinati a prima casa di cui all'art. 19, legge regionale n. 1/16") nella parte in cui, ai fini dell'accesso alla prestazione di cui all'art. 19, legge regionale n. 1/16, il 38 regolamento prevede, all'art. 6, comma 2, lettera d) il requisito della assenza di proprieta' di immobili in Italia e all'estero e, all'art. 9, comma 3 che tutti i cittadini extra UE debbano fornire "documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza", con conseguente esclusione di tutti i richiedenti di cittadinanza extra UE che non forniscano tale documentazione; dal Comune di Udine nell'aver inserito, nel bando di cui alla determina 934/2020, le medesime clausole; 3) Ordina alla Regione Friuli-Venezia Giulia in persona del Presidente pro tempore di modificare il regolamento 15 aprile 2020, n. 66 con riferimento alle parti oggetto dell'accertamento di cui al punto 2); ...» I ricorrenti evidenziavano che il regolamento era stato successivamente modificato (DPR 18 luglio 2022, n. 089/Pres.) e che il testo dell'art. 9 oggetto di contenzioso e' ora il seguente: «Comma 3. Ai fini della verifica del requisito di cui all'art. 6, comma 2, lettera e) (ovvero "non essere proprietari, nudi proprietari o usufruttuari di altri alloggi anche per quote, all'interno del territorio nazionale o all'estero") i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all' art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo n. 251/2007, devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999 la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza. Comma 3-bis. I cittadini di cui al comma 3 impossibilitati, pur avendo agito con correttezza e diligenza, a produrre la documentazione in osservanza delle disposizioni richiamate dal comma medesimo presentano in sostituzione una dichiarazione resa ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000.». Precisavano i ricorrenti che il Comune di Udine aveva loro inviato una comunicazione nella quale si richiamava la intervenuta modifica del regolamento e pertanto si chiedeva all'interessato di produrre, entro il termine indicato nella missiva a pena di inammissibilita' della domanda, la documentazione recante «data non anteriore al 2022», con riferimento a tutti i componenti del nucleo; in alternativa, «se impossibilitato dovra' dichiarare, su modello allegato, i motivi per i quali non puo' produrre la certificazione e dimostrare quanto dichiarato con opportuna documentazione. L'ufficio Abitare sociale valutera' le dichiarazioni rese e i documenti allegati ai fini dell'ammissione al contributo. Le dichiarazioni non supportate da sufficiente e idonea documentazione oppure scritte in modo non comprensibile non costituiranno documentazione utile per l'ammissione». I ricorrenti deducevano che, anche nella nuova versione, la previsione del regolamento regionale e' illegittima nella parte in cui mantiene un trattamento differenziato e discriminatorio tra italiani e stranieri, che finisce per porre a carico di questi ultimi degli oneri inutili e del tutto irragionevoli. Si costituiva in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia evidenziando che il D.P.REG. n. 66/2020 non aveva potuto che recepire nell'art 9, comma 3 il requisito di cui all'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016, come introdotto dalla legge regionale n. 24/2018, e che, a seguito di pronunce giudiziali, aveva provveduto alla modifica del regolamento, aggiungendo all'art. 9 il comma 3-bis. Deduceva la regione che la condotta discriminatoria non puo' essere posta in essere da una legge o da un regolamento regionale; precisava la resistente che il potere regolamentare spetta alla giunta regionale, mentre al Presidente della Regione compete emanare con decreto i regolamenti adottati dalla giunta; pertanto, non rientrava tra le competenze del Presidente della Regione il potere di modificare il regolamento, che nel caso di specie deve ottenere il parere obbligatorio e vincolante della quarta commissione del Consiglio regionale. Negava in ogni modo la regione la natura discriminatoria della normativa regionale, deducendo che l'onere documentale richiesto e' un adempimento di per se' neutro e non irragionevole, considerato anche che la diversa regolamentazione tra cittadini UE e cittadini extra UE trova fonte nell'art. 3, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, il quale prevede che le disposizioni del testo unico si applichino solo ai cittadini italiani e dell'Unione europea. Si costituiva in giudizio resistendo alle domande anche il Comune di Udine ed intervenivano S. A., ex art. 105, comma 1 del codice di procedura civile per fare valere le medesime argomentazioni dei ricorrenti, deducendo di condividere la medesima posizione giuridica di questi ultimi, e ASGI - Associazione degli studi giuridici dell'immigrazione APS, rilevando di avere legittimazione attiva ai sensi dell'art. 5, decreto legislativo n. 215/2003 a promuovere l'azione civile contro la discriminazione in presenza di discriminazioni collettive. Nel presente procedimento e' stata pronunciata contestuale ordinanza che definisce il giudizio tra i ricorrenti, l'interveniente O. A. e il Comune di Udine, mentre in relazione alle domante proposte dai ricorrenti, O. A. e ASGI nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ritiene questo giudice che non si possa prescindere da un giudizio di legittimita' costituzionale delle norme regionali di cui all'art. 29, comma 1, lettera d), legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 19 febbraio 2016, n. 1 e art. 29, comma 1-bis della medesima legge, introdotto dalla legge regionale n. 24/2018. Uno scrutinio di legittimita' costituzionale pare necessario con particolare riguardo alla domanda, proposta dalle parti, di ordinare alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per essa al Presidente pro tempore, anche quale piano di rimozione destinato ad evitare il reiterarsi della discriminazione, di modificare il regolamento n. 66/2020, abrogando i commi 3 e 3-bis dell'art. 9 e prevedendo che i cittadini extra UE possano accedere all'incentivo a sostegno delle locazioni producendo, al fine del requisito della impossidenza di cui all'art. 4 del regolamento stesso, la medesima documentazione richiesta al cittadino italiano. Trattasi peraltro di provvedimento cui il giudice e' facoltizzato dall'art. 2, decreto legislativo n. 150/2011. Sulla rilevanza Con riguardo al profilo della rilevanza della questione, si osserva quanto segue: L'art. 29, comma 1, lettera d), legge regionale 19 febbraio 2016, n. 1 prevede, tra i requisiti minimi necessari ai fini dell'accesso alla misura di «sostegno dei conduttori meno abbienti nel pagamento del canone di locazione» disciplinata dalla medesima legge regionale (art. 19), «il non essere proprietari neppure della nuda proprieta' di altri alloggi, all'interno del territorio nazionale o all'estero» (requisito della impossidenza). Il comma 1-bis dell'art. 29, introdotto con la successiva legge regionale n. 24/2018, precisa poi che «ai fini della verifica del requisito di cui al comma 1, lettera d), i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria [...] devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 [...], e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 [...], la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza». Il regolamento regionale n. 66/2020 ha inteso dare esecuzione alla previsione di cui all'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1/2016, con la disposizione di cui all'art. 9, comma 3, che prevede: «Comma 3. Ai fini della verifica del requisito di cui all'art. 6, comma 2, lettera e) (cioe' "non essere proprietari, nudi proprietari o usufruttuari di altri alloggi anche per quote, all'interno del territorio nazionale o all'estero") i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all' art. 2, comma 1, lettera a bis), del decreto legislativo n. 251/2007, devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999 la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza. Con la citata ordinanza del 4 marzo 2021, nel procedimento R.G. n. 674/2020, avente oggetto analogo, era stato accertato il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, consistente nell'aver adottato il regolamento 15 aprile 2020, n. 66 nella parte in cui, ai fini dell'accesso alla prestazione di cui all'art. 19, legge regionale n. 1/16, questo prevede, all'art. 6, comma 2, lettera d) il requisito della assenza di proprieta' di immobili in Italia e all'estero e, all'art. 9, comma 3 che tutti i cittadini extra UE debbano fornire «documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza»; era stato inoltre ordinato alla regione di modificare il regolamento 15 aprile 2020, n. 66. Il regolamento e' stato successivamente modificato (DPR 18 luglio 2022, n. 089/Pres.) ed il testo dell'art. 9 oggetto di contenzioso e' ora il seguente: «Comma 3. Ai fini della verifica del requisito di cui all'art. 6, comma 2, lettera e) (cioe' "non essere proprietari, nudi proprietari o usufruttuari di altri alloggi anche per quote, all'interno del territorio nazionale o all'estero") i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, con esclusione dei rifugiati e dei titolari della protezione sussidiaria di cui all' art. 2, comma 1, lettera a bis), del decreto legislativo n. 251/2007, devono presentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 e dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999 la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza. Comma 3-bis. I cittadini di cui al comma 3 impossibilitati, pur avendo agito con correttezza e diligenza, a produrre la documentazione in osservanza delle disposizioni richiamate dal comma medesimo presentano in sostituzione una dichiarazione resa ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000.». I ricorrenti hanno allegato la comunicazione con la quale il Comune di Udine ha richiesto loro di produrre, entro il termine indicato nella missiva a pena di inammissibilita' della domanda, la documentazione prevista dal regolamento all'art. 9, comma 3 con riferimento a tutti i componenti del nucleo o in alternativa, se impossibilitati, la dichiarazione dei motivi per i quali non possono produrre la certificazione, dimostrando quanto dichiarato con opportuna documentazione, con la precisazione che l'ufficio competente avrebbe valutato le dichiarazioni rese e i documenti allegati e che le dichiarazioni non supportate da sufficiente e idonea documentazione non sarebbero state considerate utili per l'ammissione. Si ritiene che tale modifica regolamentare non sia idonea ad eliminare la accertata discriminazione, per i motivi gia' evidenziati nella contestuale ordinanza emessa in questo procedimento nei confronti del Comune di Udine, e che si riportano: «Si osserva anzitutto che il modulo predisposto dal comune ed allegato alla richiesta di integrazione documentale non corrisponde alle indicazioni fornite dalla regione con nota del 23 agosto 2002; in essa infatti la regione precisa di aderire al principio espresso dalla Corte costituzionale in base al quale va sempre riconosciuta ai cittadini di uno Stato non aderente all'Unione europea la possibilita' di presentare una dichiarazione sostitutiva di certificazione da rendere ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2020 qualora dimostri, provando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza, l'impossibilita' di produrre la richiesta documentazione. Pertanto, pare che alla luce di tali precisazioni il richiedente non debba autocertificare (come richiesto nel modulo del comune) la propria impossibilita' a produrre certificazione ma solo depositare la documentazione a comprova dello stato di impossibilita', per poter accedere poi alla dichiarazione sostitutiva di certificazione. Certamente quindi non puo' richiedersi una dichiarazione ex art. 47, decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 relativa non a un fatto, ma a una valutazione ("sono impossibilitato...") addossando al dichiarante i rischi penali di una falsa dichiarazione. Ma anche limitandone la portata alla richiesta di produzione di documentazione, la novella regolamentare finisce per conferire al singolo funzionario comunale incaricato dell'esame di "correttezza e diligenza" una inammissibile discrezionalita'; non vi sono infatti dei criteri oggettivi predeterminati per valutare l'impossibilita' da un lato e lo sforzo pretendibile dal richiedente dall'altro. Da cio' consegue che e' impossibile per il cittadino straniero conoscere anticipatamente quale sia il comportamento di correttezza e diligenza richiestogli, e che gli potrebbe consentire di accedere alla autocertificazione e quindi alla prestazione; tali valutazioni (di carattere giuridico) egli peraltro dovrebbe compiere entro un termine perentorio. L'effetto complessivo della nuova previsione appare anche irragionevole, posto che viene introdotta una "dichiarazione di impossibilita'" di fatto difficilmente verificabile, essendo evidente che il funzionario non ha concrete possibilita' di accertare se, ad esempio, la richiesta di documenti e' stata inoltrata, e' rimasta senza risposta o se l'autorita' cui e' stata rivolta era quella competente, e cosi' via». Ritiene questo giudice che al soddisfacimento immediato del diritto degli odierni ricorrenti e interveniente ai fini dell'inclusione nelle graduatorie, senza che agli stessi venga richiesta documentazione ulteriore rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani e UE, possa giungersi gia' con disapplicazione della norma regionale di cui all'art. 29, comma 1-bis, legge regionale n. 1/2016 per contrasto con la direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, ed in particolare con l'art. 11 della citata direttiva, che sancisce il principio di parita' di trattamento dei soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini per quanto riguarda, tra gli altri, «d) le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale». Deve infatti riconoscersi alla direttiva 2003/109/C efficacia diretta negli ordinamenti interni degli Stati membri. Sul punto gia' l'ordinanza del 2 marzo 2021 affermava: «Puo' infatti ritenersi che la direttiva in esame sia dotata di tutti i requisiti che la giurisprudenza della Corte di giustizia ritiene necessari per ammettere la produzione di effetti diretti da parte di tale fonte del diritto comunitario, ovvero i requisiti di sufficiente precisione ed incondizionatezza (cfr. ex plurimis CGUE, sentenza Marshall, 26 febbraio 1986, C-152/84 e sentenza Van Duyn, 4 dicembre 1974, C-41/74). Come ha precisato la Corte di cassazione, pronunciandosi su fattispecie analoghe, l'efficacia diretta della direttiva n. 109 del 2003 deve necessariamente essere riconosciuta poiche' "i beneficiari della posizione di vantaggio erano determinati (i cittadini non comunitari dotati di permesso di soggiorno di lungo periodo), il contenuto della posizione di vantaggio era specificato (trattandosi di "prestazione essenziale" individuabile dal giudice interno), il soggetto passivo tenuto ad assicurare il vantaggio era un'autorita' pubblica" (cfr. Cassazione 28745/2019 e Cassazione 11165/2017); cosi' e' anche nel caso di specie. Ne' vale a ritenere diversamente quanto affermato al paragrafo 4 dell'art. 11 della direttiva 2003/109/CE, ove si legge che "gli Stati membri possono limitare la parita' di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali". Occorre in primis rilevare che "dal momento che l'integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri ed il diritto di tali cittadini al beneficio della parita' di trattamento nei settori elencati all'art. 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 costituiscono la regola generale, la deroga prevista dal paragrafo 4 di tale articolo deve essere interpretata restrittivamente" (CGUE, sentenza K., 24 aprile 2012, C571/10). Nella pronuncia appena menzionata la Corte di giustizia ha precisato altresi' che "un'autorita' pubblica, sia essa di livello nazionale, regionale o locale, puo' invocare la deroga prevista all'art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 unicamente qualora gli organi competenti nello Stato membro interessato per l'attuazione di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l'intenzione di avvalersi della deroga suddetta"; ha ribadito tale principio, piu' di recente, CGUE 25 novembre 2020, C-303/19. Non risulta che l'Italia abbia manifestato la propria intenzione di ricorrere alla deroga al principio della parita' di trattamento prevista dall'art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 al fine di evitare l'erogazione di una prestazione quale quella in esame ai cittadini stranieri lungo-soggiornanti». Si era anche indicato il possibile diverso riferimento normativo, individuato (nella precedente ordinanza del 2 marzo 2021 e poi dalla Corte di appello di Trieste nella sentenza n. 159/2021 confermativa della stessa), nell'art. 18, comma 3-bis della legge n. 241 del 1990, oppure nella normativa vigente in materia di certificazione ISEE (che vale anche per i cittadini extracomunitari e consente di riscostruire la titolarita' o meno di immobili abitativi sia in Italia che all'estero). La Regione Friuli-Venezia Giulia ha provveduto alla integrazione del regolamento come sopra gia' indicato e nel presente giudizio ha sostenuto l'erroneita' degli «ordini» (che sono stati imposti in varie ordinanze) di modificare i regolamenti attuativi in materia di sostegno alle politiche abitative che riproducono quanto previsto dall'art. 29 della legge regionale n. 1/2016. Deduce la regione di avere in ogni modo dato esecuzione alle ordinanze anche nella parte in cui ordinavano le modifiche, e che le modifiche sarebbero frutto di una interpretazione costituzionalmente orientata di quanto previsto dal quadro normativo esistente, ed in particolare dall'art. 29, legge regionale n. 1/2016. Evidenzia infatti la regione che l'art. 9, comma 3 del D.P.Reg. n. 66/2020 non poteva che essere riproduttivo dell'art. 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1/2016, con la conseguenza che anche laddove l'amministrazione regionale abrogasse o modificasse il regolamento in parola nel senso richiesto dai ricorrenti, tale regolamento sarebbe in contrasto con la disposizione di legge e dunque non potrebbe essere applicato, prevalendo in ogni caso, nel contrasto tra fonti di rango diverso, la disposizione di legge. L'amministrazione resistente ha poi ricordato che, nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il potere regolamentare spetta alla giunta regionale, ai sensi dell'art. 16, comma 1, lettera b), della legge regionale «statutaria» 18 giugno 2007, n. 17, e che spetta invece al Presidente della Regione emanare con decreto i regolamenti approvati dalla giunta (art. 42, comma 1, lettera b), statuto). Secondo la difesa della regione, pertanto, allo stato, da una parte l'art. 9, comma 3, del regolamento n. 66/2020 e' conforme all'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016 e non puo' essere modificato in senso difforme da esso, pena la violazione dell'art. 4 delle Preleggi; dall'altra non rientra tra le competenze del Presidente della Regione modificare un regolamento; cio' ancor piu' nella procedura modificativa dei regolamenti di cui si discute che devono ottenere il parere obbligatorio e vincolante della quarta commissione del Consiglio regionale. A fronte della interpretazione costituzionalmente orientata adottata, con la modifica regolamentare, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in relazione alla normativa regionale de quo, non pare possa essere imposta ai fini della cessazione della condotta discriminatoria, una diversa (e peraltro gia' proposta) interpretazione costituzionalmente orientata; d'altro canto, reputa questo giudice che una efficace rimozione della condotta discriminatoria e dei suoi effetti non possa che passare per l'adozione di una normativa, anche di rango regolamentare, che preveda uguale possibilita' di accesso ai cittadini comunitari ed extracomunitari e cio' anche sotto il profilo documentale. In cio' si rinviene la rilevanza della questione, ovvero nella possibilita' di adottare, come richiesto dai ricorrenti, un efficace piano di rimozione della discriminazione; l'art. 28, decreto legislativo n. 150/2022 prevede infatti che il giudice possa ordinare «la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice puo' ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate». Nella prospettazione della regione, in difetto di una pronuncia di illegittimita' costituzionale della previsione della legge regionale n. 1/2016 oggetto di causa, la regione non potrebbe ottemperare ad un ordine giudiziale di modifica del regolamento che equipari sotto il profilo documentale i cittadini italiani e UE da quelli extra UE. La questione e' quindi rilevante nel senso che, qualora la normativa regionale venga ritenuta conforme a Costituzione, la stessa giustifica l'adozione del regolamento censurato; nel caso invece la legge regionale non rispetti i parametri costituzionali di cui si dira' infra, potra' essere emesso un ordine di modifica del regolamento che eviti anche pro futuro un contenzioso ormai nutrito in questo Distretto. L'art. 29, comma 1-bis, legge regionale n. 1/2016 presenta un ulteriore elemento di criticita', sotto il profilo della parita' di trattamento, in quanto mentre al comma 1, lettera d) prescrive un requisito valevole per tutti i beneficiari (non essere proprietari neppure della nuda proprieta' di altri alloggi, all'interno del territorio nazionale o all'estero...), il comma 1-bis, senza modificare il requisito generale, prescrive che «ai fini della verifica del requisito di cui al comma 1, lettera d), i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, devono presentare... la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel pase di origine e nel paese di provenienza». La documentazione aggiuntiva richiesta ai cittadini extracomunitari e' quindi relativa ai soli paesi di origine e di provenienza, mentre per il possesso del requisito relativamente al resto del mondo (Italia inclusa) ai richiedenti cittadini extra UE non viene richiesto alcun tipo di attestazione. Si deve poi prospettare una ulteriore questione di legittimita' costituzionale con riferimento al disposto dell'art. 29, comma 1, lettera d), legge regionale n. 1/2016, il quale prevede tra i requisisti minimi per l'accesso alla misura di sostegno alle locazioni: «il non essere proprietari neppure della nuda proprieta' di altri alloggi, all'interno del territorio nazionale o all'estero, purche' non dichiarati inagibili, con esclusione delle quote di proprieta' non riconducibili all'unita', ricevuti per successione ereditaria, della nuda proprieta' di alloggi il cui usufrutto e' in capo a parenti entro il secondo grado e degli alloggi, o quote degli stessi, assegnati in sede di separazione personale o divorzio al coniuge o convivente». Qualora infatti si ritenesse costituzionalmente legittima la previsione dell'art. 29, comma 1-bis della legge regionale n. 1/2016, ed in particolare necessario per i cittadini extracomunitari attestare ai sensi dell'art. 2, decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 il mancato possesso di altri alloggi all'estero, e cio' in applicazione delle limitazioni di cui all'art. 3, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si pone la questione della legittimita' costituzionale del requisito della impossidenza planetaria in se'. Qualora infatti il requisito per l'accesso al beneficio del contributo per il canone locativo venga ritenuto, in termini cosi' estesi, non conforme alla Costituzione, e quindi espunto dalla normativa regionale, non sarebbe ipotizzabile alcuna discriminazione dei cittadini extracomunitari sotto il profilo documentale; tutti gli altri requisiti previsti infatti per l'accesso alla prestazione possono essere da loro autocertificati, e lo sarebbe anche una impossidenza limitata ad esempio al territorio nazionale. Cio' che pone in posizione deteriore i cittadini extracomunitari e' la affermata impossibilita' di autocertificare il non essere proprietari di immobili al di fuori del territorio nazionale, mentre la proprieta' di immobili in Italia e' un fatto certificabile da parte di soggetti pubblici italiani, con riguardo alla previsione dell'art. 3, comma 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000. Sulla non manifesta infondatezza Con riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni, si deve rilevare che la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata su analoga disposizione di legge regionale. Infatti la Corte con sentenza n. 9/2021 ha scrutinato la normativa della legge della Regione Abruzzo 31 ottobre 2019, n. 24 (Norme per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di locazione). La norma impugnata avanti alla Corte costituzionale prevedeva un onere documentale aggiuntivo per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, ed in particolare la presentazione di documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza (comma 4.1), ai fini della verifica della «non titolarita' di diritti di [proprieta', usufrutto, uso ed abitazione] su uno o piu' alloggi, ubicati all'interno del territorio nazionale o all'estero» (art. 2, comma 1, lettera d, della legge regionale Abruzzo n. 96 del 1996). La Corte costituzionale ha osservato quanto segue: «La norma impugnata, la quale obbliga "i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea" a presentare "la documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza", si inserisce in una cornice normativa, quella della legge regionale Abruzzo n. 96 del 1996, che gia' da prima prevedeva, come requisito per la partecipazione al bando di concorso per l'assegnazione degli alloggi, la "non titolarita' di diritti di [proprieta', usufrutto, uso ed abitazione] su uno o piu' alloggi, ubicati all'interno del territorio nazionale o all'estero" (art. 2, comma 1, lettera d, della legge regionale Abruzzo n. 96 del 1996), da asseverare mediante apposita dichiarazione (art. 5, commi 1, 2, 3 e 4, della medesima legge regionale) resa nei modi previsti dall'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 (Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme), nel frattempo abrogata e sostituita dall'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. L'onere di rendere questa dichiarazione circa la non titolarita' di diritti su alloggi di qualsiasi tipo in Italia o all'estero grava su chi intende partecipare al bando per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a prescindere dallo status di cittadino italiano o di altro Paese dell'Unione europea o di Paesi extraeuropei. La norma oggetto dell'odierno giudizio si rivolge, invece, solo ai "cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea" e solo a costoro richiede di presentare, "[a]i fini della verifica del requisito di cui alla lettera d) del primo comma dell'art. 2", "la documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza». L'onere procedimentale prescritto dalla disposizione in esame e' stato dalla Corte ritenuto in radice irragionevole «innanzitutto per la palese irrilevanza e per la pretestuosita' del requisito che mira a dimostrare. Se, infatti, lo scopo della normativa nella quale la disposizione impugnata si colloca e' di garantire un alloggio adeguato nel luogo di residenza in regione a chi si trovi nelle condizioni di bisogno individuate dalla legge, il possesso da parte di uno dei componenti del nucleo familiare del richiedente di un alloggio adeguato nel Paese di origine o provenienza non appare sotto alcun profilo rilevante. Non lo e' sotto il profilo dell'indicazione del bisogno, giacche', intesa l'espressione "alloggio adeguato" come alloggio idoneo a ospitare il richiedente e il suo nucleo familiare, e' evidente che la circostanza che qualcuno del medesimo nucleo familiare possegga, nel Paese di provenienza, un alloggio siffatto non dimostra nulla circa l'effettivo bisogno di un alloggio in Italia. E non lo e' nemmeno come indicatore della situazione patrimoniale del richiedente, per la quale non offre alcun significativo elemento aggiuntivo rispetto a quanto gia' si desume dalla generale attestazione di non titolarita' di diritti su alloggi all'interno del territorio nazionale o all'estero, prevista dall'art. 2, comma 1, lettera d), della legge regionale Abruzzo n. 96 del 1996. Oltre che irragionevole per le ragioni appena esposte, la previsione risulta altresi' discriminatoria. Tale carattere dell'onere aggiuntivo a carico dei soli cittadini extracomunitari - sul presupposto (indimostrato) che a essi sarebbero riservati "oneri probatori meno gravosi" di quelli imposti ad altri cittadini - appare evidente, solo che si consideri il fatto che le asserite difficolta' di verifica del possesso di alloggi in Paesi extraeuropei possono riguardare anche cittadini italiani o di altri Paesi dell'Unione europea, i quali invece sono esclusi dall'ambito di applicazione della normativa impugnata. Si tratta, dunque, di un aggravio procedimentale che si risolve in uno di quegli "ostacoli di ordine pratico e burocratico" che questa Corte ha ripetutamente censurato, ritenendo che in questo modo il legislatore (statale o regionale) discrimini alcune categorie di individui (sentenze n. 186 del 2020 e n. 254 del 2019»). Si ritiene che nel caso di specie il parametro di riferimento debba essere individuato anzitutto nell'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento tra cittadini italiani e UE da un lato, e cittadini extracomunitari dall'altro. Per tutti i richiedenti infatti si prescrive il possesso dell'ampio requisito della impossidenza planetaria, ma ai fini della verifica di tale requisito, per i cittadini UE si reputa sufficiente una autocertificazione (la cui veridicita' non e' verificabile con riguardo a tutti i paesi del mondo), mentre per i cittadini extra UE da un lato si riduce l'ambito territoriale di prova del requisito (limitato al paese di origine e al paese di provenienza) e dall'altro si introduce un gravoso onere di attestazione e documentazione, non richiesto per i primi. Come gia' evidenziato, neppure la modifica del regolamento con l'introduzione del comma 3-bis pare idonea a ridurre la denunciata gravosita'. La discriminazione fondata sulla nazionalita' risulta contraria all'art. 3 della Costituzione e viola altresi' l'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come evidenziato dalla Corte costituzionale laddove ha censurato la discriminazione dello straniero con riferimento alle prestazioni sociali (sentenza n. 187/2010). Oltre all'art. 3 della Costituzione, pare venire in rilievo anche la violazione dell'art. 117 Cost., che subordina la potesta' legislativa regionale (e quella statale) al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Infatti come gia' esposto deve riconoscersi alla direttiva 2003/109/C efficacia diretta negli ordinamenti interni degli Stati membri, e nel caso di specie viene in rilievo l'art. 11 della citata direttiva, che sancisce il principio di parita' di trattamento dei soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini per quanto riguarda, tra gli altri, «d) le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale». Si richiama poi il principio per cui «il legislatore puo' legittimamente circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali in ragione della limitatezza delle risorse destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia, la scelta legislativa non e' esente da vincoli di ordine costituzionale. La legge deve anzitutto rispettare gli obblighi europei che, anche per quanto riguarda le prestazioni sociali, esigono la parita' di trattamento tra i cittadini italiani ed europei e i soggiornanti di lungo periodo» (Corte costituzionale, sentenza n. 166/2018). Quanto poi al requisito della impossidenza di cui all'art. 29, comma 1, lettera d) della legge regionale n. 1/2016, oltre alla citata pronuncia di questa Corte in relazione alla normativa della Regione Abruzzo, si deve richiamare il principio costituzionale di cui all'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza della normativa e della proporzionalita'. Si verte in materia di tutela di un diritto fondamentale della persona: «il diritto all'abitazione "rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialita' cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione" ed e' compito dello Stato garantirlo, contribuendo cosi' "a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignita' umana" (Corte costituzionale n. 44/2020). La Corte costituzionale con sentenza n. 176 del 2000 ha affermato che non e' irragionevole la preclusione all'accesso ai contributi in materia di edilizia residenziale pubblica nei confronti di chi aspira all'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare, pur essendo titolare di un bene della medesima natura, anche se situato fuori dell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso, e cio' in quanto il titolare puo' comunque da esso ricavare utilita' comparabili a quelle di un alloggio situato in luogo adeguato in relazione alle proprie esigenze lavorative. Nel caso di specie tuttavia risulta preclusiva all'accesso al beneficio la titolarita' di diritti di proprieta' su immobili ubicati in tutto il mondo, il che pare sproporzionato e contrastante con le esigenze di tutela sociale della provvidenza. Si osserva infatti che la regione (all'art. 1 della legge regionale n. 1/2016) «riconosce il valore primario del diritto all'abitazione quale fattore fondamentale di inclusione, di coesione sociale e di qualita' della vita, promuovendo ogni forma d'intervento per l'esercizio effettivo di tale diritto», e che il rilievo, sotto il profilo reddituale, di altre proprieta' e' comunque garantito all'interno della certificazione ISEE.