CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Terza sezione civile La Corte di Appello nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Anna De Cristofaro Presidente; dott. Manuela Velotti consigliere relatore; dott. Luciano Varotti consigliere; ha pronunciato la seguente: Ordinanza nell'opposizione ex art. 5-ter legge n. 89/2001 iscritta al n. r.g. 98/2023 promosso da: Ministero della giustizia (C.F. 80184430587), con il patrocinio dell'avv. Avvocatura dello Stato di Bologna (opponente), contro Ifeachukwu Emmanuel Azowenubi (C.F. ZWNFHK85B07Z335E), con il patrocinio dell'avv. De Vincentis Gianluca (opposto). Fatto e diritto 1. Il Ministero della giustizia ha proposto opposizione ex art. 5-ter legge n. 89/2001 contro il decreto della Corte di Appello Bologna in composizione monocratica n. 4145/22 del 23 dicembre 2022, che ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da Azowenubi Ifeachukwu Emmanuel, liquidandogli la somma di euro 1.200 (euro 400 per tre anni di ritardo), oltre interessi legali, spese e accessori, a di titolo equa riparazione per l'ingiusta durata del procedimento n. 6136/2019 R.V.G. del Tribunale di Bologna, riguardante l'impugnazione della decisione della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, introdotto con ricorso depositato il 12 aprile 2019 e definito con decreto del Tribunale di Bologna dell'11 novembre 2022 di accoglimento del ricorso e riconoscimento del diritto al rilascio di permesso di soggiorno ex art. 32, comma 3 del decreto legislativo n. 25/2008. 2. In particolare il consigliere designato, rilevato che, ai sensi dell'art. 35-bis, comma 12, decreto legislativo n. 25/2008, il tribunale e' tenuto a decidere entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, aveva ritenuto che, per le caratteristiche di snellezza e rapidita' che connotano il procedimento presupposto, non potesse essere considerata ragionevole la durata prevista dall'art. 2-bis, legge n. 89/2001 per il giudizio di cognizione civile ordinario e che pertanto, in mancanza di una espressa previsione legislativa per il giudizio di impugnazione ex art. 35-bis, decreto legislativo n. 25/2008, la durata ragionevole del giudizio presupposto potesse stimarsi in un anno, in analogia con quanto riconosciuto in giurisprudenza per il procedimento altrettanto snello di equa riparazione ex legge n. 89/2001; quindi, nel caso di specie, il processo presupposto si era protratto di tre anni oltre la durata ragionevole. 3. Il Ministero della giustizia con opposizione ex art. 5-ter, legge n. 89/2001 ha chiesto la revoca del suddetto decreto deducendo, quale primo motivo, la violazione dell'art. 2, comma 2-bis della legge n. 89 del 2001, secondo il quale si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, in quanto, nell'individuare il termine di ragionevole durata del giudizio in materia di protezione internazionale in misura inferiore a tre anni e specificamente in un anno, il primo giudice avrebbe violato apertamente il dettato normativo, che non lascerebbe spazio a deroghe di sorta, tanto meno di creazione giurisprudenziale, nonche' la violazione dell'art. 83, comma 10, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per non avere tenuto conto, ai fini del computo della durata del processo presupposto, della sospensione ex lege dei termini nel periodo compreso tra l'8 marzo e il 30 giugno 2020 nel corso dell'emergenza pandemica, che, se applicata, avrebbe ricondotto la durata del processo di primo grado a tre anni, con conseguente non riconoscibilita' dell'indennizzo. 4. Con il secondo motivo ha dedotto l'erroneo riconoscimento dell'indennizzo per violazione dell'art. 2, comma 2-septies, legge n. 89 del 2001, la violazione dei parametri di cui all'art. 2-bis, comma 2 della legge n. 89 del 2001 e l'omessa motivazione in merito agli stessi, per non avere tenuto conto che l'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25/2008, nella nuova formulazione di cui decreto legge n. 130 del 21 ottobre 2020, entrato in vigore il 22 ottobre 2020 nel corso del procedimento presupposto e a questo immediatamente applicabile, ha disposto che i permessi di soggiorno ex art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25/2008 sono convertibili in permessi di soggiorno per motivi di lavoro nei casi in cui non si accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1. 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con la conseguenza che la durata del procedimento presupposto superiore all'anno avrebbe comportato un vantaggio per il ricorrente, consentendogli di ottenere un permesso di validita' biennale e convertibile; inoltre, posto che ai sensi dell'art. 35-bis, comma 3 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, «la proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato», il ricorrente aveva comunque la certezza di poter legittimamente soggiornare in Italia che per tutta la durata del processo. Nella specie, non soltanto il primo giudice non aveva indicato alcuno dei parametri previsti dall'art. 2-bis, comma 2, legge n. 89/2001 per la determinazione dell'indennizzo, e comunque l'indennizzo non sarebbe stato riconoscibile neppure qualora fosse stata ritenuta corretta l'individuazione in un anno della durata ragionevole alla luce del vantaggio che il ricorrente aveva tratto dall'applicazione del nuovo trattamento piu' favorevole e dalla fruizione delle misure di accoglienza, che elideva ogni patema d'animo connesso al tempo necessario per definire il processo. 4. Si e' costituito Azowenubi Ifeachukwu Emmanuel chiedendo che il ricorso venga respinto e, per il caso di ritenuta applicabilita' del termine di tre anni previsto dalla c.d. legge Pinto, che venga sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, legge n. 89/2001 laddove, considerando ragionevole la durata triennale del procedimento di primo grado in materia di protezione internazionale, finisce per equiparare e trattare in modo uniforme procedure del tutto diverse sotto l'aspetto della congruita' della durata ragionevole dei giudizi, posto che l'individuazione di tale durata ex art. 111, secondo comma della Costituzione non puo' prescindere dalle caratteristiche e dalla natura del procedimento. 5. Ritiene questa Corte che la tesi affermata dal decreto impugnato - secondo il quale, in considerazione delle caratteristiche di snellezza e rapidita' che connotano il procedimento di protezione internazionale presupposto, non possa essere considerata ragionevole la durata prevista dall'art. 2-bis, legge n. 89/2001 per il giudizio di cognizione civile ordinario e che, in mancanza di una espressa previsione legislativa per il giudizio di impugnazione ex art. 35-bis, decreto legislativo n. 25/2008, la durata ragionevole di detto procedimento possa stimarsi in un anno, in analogia con quanto riconosciuto in giurisprudenza per il procedimento altrettanto snello di equa riparazione ex legge n. 89/2001 - non sia condivisibile. 6. L'art. 2, comma 2-bis, della legge Pinto prevede che: «si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, due in secondo grado e un anno nel giudizio di legittimita'». La disposizione ha carattere generale e si applica, in difetto di diverse specifiche previsioni di legge, a tutti i processi civili e penali. Cio' posto, e' pacifico che il termine di quattro mesi per la decisione a far data dalla presentazione del ricorso previsto per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale dall'art. 35-bis, comma 12, decreto legislativo n. 25/2008, come modificato dal decreto-legge n. 13/2017, conv. nella legge n. 46/2017, abbia mera natura ordinatoria e che, pertanto, lo stesso non possa considerarsi sostitutivo e derogatorio rispetto al termine di tre anni di cui al menzionato art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001. 7. D'altro canto deve ritenersi che quest'ultimo termine, predeterminato dal legislatore, non possa essere disapplicato e rimesso alla discrezionalita' dell'autorita' giudiziaria, come si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 36/2016 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dello stesso comma nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89/2001. La Corte costituzionale ha infatti affermato che: «L'obbligo di addivenire ad una interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all'incidente di legittimita' costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione», nonche': «I commi 2-bis e 2-ter dell'art. 2, nell'affermare che il termine ivi indicato "Si considera rispettato", sono univoci e non possono che essere intesi nel senso che tale termine va ritenuto ragionevole. Cio' appare tanto piu' vero, se si tiene a mente che questa affermazione e' stata fatta nell'ambito di un intervento normativo segnato dall'intento del legislatore di sottrarre alla discrezionalita' giudiziaria la determinazione della congruita' del termine, per affidarla invece ad una previsione legale di carattere generale. Si puo' aggiungere fin d'ora che, in tal modo, e in coerenza con quest'ultima finalita', e' stato regolato l'insieme dei processi civili di cognizione, e dunque anche il procedimento previsto dalla legge n. 89 del 2001, cui la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente attribuito tale natura. Difatti, lo stesso art. 2, comma 2-bis, di tale legge reca previsioni speciali esclusivamente per il procedimento di esecuzione forzata e per le procedure concorsuali». 8. Deve pertanto escludersi che la ragionevole durata del procedimento in primo grado di riconoscimento della protezione internazionale possa essere determinata in via interpretativa in anni uno, in analogia con la ragionevole durata in primo grado del procedimento previsto dalla legge n. 89 del 2001, in quanto tale opzione ermeneutica si traduce nella disapplicazione dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001; pertanto, anche per i suddetti procedimenti l'unico termine rilevante ai fini dell'accertamento dell'eventuale superamento della giusta durata del processo e' quello di tre anni per il primo grado previsto dal citato art. 2, comma 2-ter. 9. Va tuttavia considerato che la tutela in materia di riconoscimento della protezione internazionale richiede particolare rapidita' e urgenza, come si desume dalla natura personalissima dei diritti umani fondamentali coinvolti (riconosciuti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana), dalle caratteristiche del procedimento, avente natura camerale e connotato da esigenze di celerita' e sommarieta' (vedi Cassazione, n. 1878/2020), dalla stessa previsione del termine (sia pure meramente ordinatorio, come gia' rilevato) di quattro mesi per la decisione del giudice, nonche' dall'indicazione contenuta nel comma 15 dello stesso art. 35-bis, secondo cui la «controversia e' trattata in ogni grado in via di urgenza». 10. E dunque l'applicazione del termine generale di tre anni previsto con generale riferimento a tutti i procedimenti civili in materia di protezione internazionale non appare ragionevole e rispettoso dei principi costituzionali, e segnatamente dell'art. 111, secondo comma della Costituzione, alla stregua del quale non puo' prescindersi, nell'individuazione della giusta durata, dalle caratteristiche e dalla natura del procedimento. Va altresi' considerato che, in sede di interpretazione dell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sempre tenuto conto della complessita' della causa e della rilevanza della c.d. «posta in gioco» al fine della determinazione del termine ragionevole, individuando in concreto, tra le categorie di cause che, per loro natura, esigono particolare diligenza e sollecitudine, quelle in materia di stato civile e di capacita' personale (cfr. Corte europea diritti dell'uomo, sez. I, 5 dicembre 2019, n. 35516). 11. Ne consegue che l'art. 2, comma 2-bis citato, nella parte in cui si applica anche ai procedimenti in materia di protezione internazionale, appare contrastante con gli articoli 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, per violazione degli obblighi internazionali derivanti dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che stabilisce l'analogo principio del «termine ragionevole». 12. D'altronde, l'evidente incongruenza non puo' essere superata mediante un'interpretazione dell'art. 2, comma 2-bis in senso conforme alla Costituzione, con deroga alla suddetta previsione normativa e sostituzione al termine triennale di un termine inferiore individuato dal giudice, come ad esempio, in via analogica, quello annuale previsto per le procedure della legge Pinto, essendo cio' escluso dal carattere vincolante ed inderogabile della previsione normativa, che non consente di adottare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame, obbligando piuttosto il giudice a sollevare la relativa questione di costituzionalita'. 13. Evidente, infine, e' la rilevanza della questione nel presente giudizio; l'individuazione della durata ragionevole del processo presupposto, contenuta nelle disposizioni della cui legittimita' costituzionale si dubita, influisce infatti in modo determinante ai fini del riconoscimento o meno dell'indennizzo richiesto e, di conseguenza, sulla decisione. Al riguardo, il mancato computo del periodo di sospensione dei termini per l'emergenza pandemica da Covid-19, stabilito dall'art. 83, comma 10 del decreto-legge n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020 sarebbe decisivo soltanto nel caso di applicazione ai procedimenti di protezione internazionale di primo grado del termine di durata di tre anni previsto dell'art. 2, comma 2-bis, legge n. 89/2001, risultando in caso contrario influente, eventualmente, ai soli fini della sua quantificazione. 14. Sotto altro aspetto, il protrarsi, per il ricorrente, della possibilita' di permanere nel territorio nazionale per effetto della sospensione dell'esecutivita' del provvedimento impugnato durante il procedimento presupposto non puo' essere valorizzata quale presunzione di insussistenza del danno ai sensi dell'art. 2, comma 2-sexies, legge n. 89/2001, non rientrando in alcuna delle ipotesi contemplate da detta disposizione (non potendo in particolare ravvisarsi ne' una condotta imputabile alla parte che abbia comportato la protrazione del procedimento di protezione internazionale, ne' un beneficio definitivamente consolidato in capo al ricorrente in conseguenza della durata del processo che possa giustificare tale presunzione, diversamente da quanto avviene nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato per l'imputato o di estinzione del processo per rinuncia o per inattivita' delle parti). 15. Infine, il beneficio concreto asseritamente derivato al ricorrente dall'introduzione della normativa piu' favorevole prevista dal n. 130/2020, convertito nella legge n. 173/2020 non appare ostativo al riconoscimento dell'indennizzo, in quanto l'art. 2, comma 2-septies, che prevede «Si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell'indennizzo altrimenti dovuto», non sembra applicabile al caso di specie, non avendo il vantaggio eventualmente conseguito dall'originario ricorrente carattere patrimoniale. 16. Va pertanto disposta, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la sospensione del presente procedimento e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.