CORTE D'APPELLO DI NAPOLI 
 
                        Quarta Sezione Penale 
 
                               Coll. A 
 
    La Corte di appello di Napoli, Quarta Sezione Penale, Collegio A,
in funzione di giudice dell'esecuzione e composta da: 
        dott.ssa Silvana Gentile, Presidente; 
        dott.ssa Alessandra Maddalena, giudice; 
        dott.ssa Roberta Attena, giudice est. 
    Nel procedimento camerale nei confronti di H.A., nato  in  ... il
...;  destinatario  di  mandato  di  arresto   europeo   emesso   dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  di  Montpellier  in
data 25 ottobre 2021 - assente 
    All'esito della Camera di consiglio, seguita all'udienza  del  19
gennaio 2023; 
    Sulle conclusioni in  atti  riportate  del  procuratore  generale
presso la Corte e della difesa del «consegnando», 
    Ha pronunciato la presente 
 
                              Ordinanza 
 
    Con comunicazione della Polizia  di  frontiera  presso  lo  scalo
aereo di ...  del 25 dicembre 2021, questa Corte veniva informata che
H.H. era stato provvisoriamente tratto in arresto ex art.  11,  legge
n. 69/2005 in quanto colpito da mandato di arresto  europeo  Schengen
ID  ... emesso  dall'autorita'  giudiziaria  della  Francia,  perche'
condannato alla pena di anni due di reclusione  con  sentenza  emessa
dal Tribunale di Montpellier in data 25 giugno 2021 per  i  reati  di
ricettazione e di associazione per delinquere finalizzata al furto di
pannelli solari, accertati nella citta' di Sete (Marsiglia), in  data
... 
    In  data  27  dicembre  2021  il  consigliere  delegato,  sentito
l'arrestato - che alla presenza del difensore di  fiducia  dichiarava
di non consentire alla consegna e  di  non  rinunciare  al  beneficio
della specialita' -, convalidava l'arresto  ed  applicava  la  misura
cautelare dell'obbligo di dimora  nella  regione  ...,  misura,  poi,
revocata in data 3 febbraio 2022. 
    All'esito del procedimento per  la  delibazione  sulla  consegna,
questa Corte disponeva, ai sensi dell'art.  17,  comma  4,  legge  n.
69/2005, la consegna dei H.A. alle competenti autorita'  dello  Stato
della Francia in esecuzione del mandato d'arresto  europeo  e'  stato
emesso in data 25  ottobre  2021  dal  Procuratore  della  Repubblica
presso il Tribunale di Montpellier per  l'esecuzione  della  pena  di
anni due di reclusione inflitta  ad  H.A.  con  sentenza  emessa  dal
Tribunale di Montpellier in data 25 giugno 2021  (n.  di  riferimento
fascicolo ...). 
    Avverso  tale  decisione   proponeva   ricorso   per   cassazione
l'estradando ed, all'esito, la Corte di cassazione, con  sentenza  n.
24783/2022 del 27 giugno 2022,  annullava  la  sentenza  impugnata  e
rinviava per un nuovo giudizio ad altra sezione di questa Corte. 
    La Suprema Corte - con riferimento al  motivo  con  il  quale  il
ricorrente si doleva della violazione dell'art 18-bis, comma 2, legge
n. 69/2005, in relazione agli articoli 3  e  27  della  Costituzione,
anche  con  riferimento  all'art.  34   della   Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea e agli articoli 2, 3, 31, 32,  34  e
38 della Costituzione,  chiedendo  di  annullare  la  sentenza  o  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale della citata norma
nella parte in cui preclude il rifiuto della consegna ai cittadini di
paesi terzi che risiedano o dimorino in Italia, indipendentemente dai
legami che essi abbiano con il territorio italiano - ha rilevato come
la Corte di appello di Napoli abbia disposto la  consegna  rigettando
la richiesta di  produzione  di  ulteriore  documentazione  volta  ad
attestare che H.A. era dimorante effettivamente in  Italia  da  oltre
cinque anni (circostanza che la stessa Corte territoriale riconosceva
documentata dalla carta di identita' rilasciata il ... dal Comune  di
... e dal permesso di soggiorno  con  la  dicitura  «soggiornante  di
lungo  periodo»),  senza  considerare   questioni   di   legittimita'
costituzionale attualmente pendenti per  censure  analoghe  a  quelle
formulate dal  ricorrente,  ritenute  non  manifestamente  infondate,
tanto da dare vita ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
europea. Trattasi di questione  pregiudiziale  volta  a  chiarire  la
compatibilita' con il diritto  comunitario  di  una  normativa,  come
quella italiana, che precluda  in  modo  assoluto  ed  automatico  ai
cittadini  di  paesi  terzi  che  risiedano  o  dimorino  in  Italia,
indipendentemente dai legami  che  essi  abbiano  con  il  territorio
italiano, di avvalersi del motivo di rifiuto  facoltativo  al  vaglio
ed, in caso di incompatibilita', quali legami  dovrebbero  consentire
il rifiuto della consegna. 
    Ad avviso della Suprema Corte l'intestata  autorita'  giudiziaria
avrebbe,  quindi,  dovuto   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18-bis,  comma  2,  legge  n.  69/2005,  ove
avesse accertato la rilevanza della sentenza nel presente giudizio. 
    Per apprezzare la  rilevanza  di  detta  questione,  non  bastava
accertare che il ricorrente dimorava nel territorio italiano da oltre
cinque  anni,  ma   occorreva   verificare   il   presupposto   della
continuativa presenza  del  ricorrente  sul  territorio  italiano  e,
dunque, l'effettivita' del suo,  pur  legittimo,  radicamento,  ossia
stabilire se il ricorrente rientrasse nella categoria di cittadini di
Stati terzi per i  quali  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  la
questione   di   legittimita'   costituzionale   non   manifestamente
infondata. 
    La sentenza impugnata veniva, quindi, annullata  con  rinvio  per
accertare la sussistenza o meno del radicamento  del  ricorrente  nel
territorio italiano ed adottare i provvedimenti conseguenti. 
    Alla prima udienza del giudizio di rinvio,  fissata  in  data  22
settembre 2022, verificata la regolare costituzione delle  parti,  il
procedimento veniva rinviato per legittimo impedimento del difensore. 
    Alla successiva udienza del 19 ottobre 2022 veniva  acquisita  la
documentazione  prodotta  dalla  difesa  e,  dopo  altri  due  rinvii
disposti alle udienze del 17 novembre 2022 ed 12  gennaio  2023,  per
legittimo impedimento del difensore, all'udienza del 19 gennaio 2023,
respinta l'ulteriore richiesta di  rinvio  per  concomitante  impegno
professionale del difensore, in quanto non adeguatamente  documentata
e tardiva, la Corte, all'esito della Camera di  consiglio,  la  Corte
pronunciava la presente ordinanza. 
    Osserva la Corte,  all'esito  dell'odierna  udienza,  come,  alla
stregua della richiamata pronuncia della Corte di  cassazione,  debba
essere sollevata questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69,  nella  parte  in  cui  non
prevede il rifiuto facoltativo della consegna del  cittadino  di  uno
Stato  non  membro  dell'Unione   europea   che   legittimamente   ed
effettivamente abbia residenza o dimora nel  territorio  italiano  da
almeno cinque anni, sempre che la Corte di appello  disponga  che  la
pena  o  la  misura  di  sicurezza  irrogata   nei   suoi   confronti
dall'autorita' giudiziaria di uno Stato  membro  dell'Unione  europea
sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto  interno,  avendo
accertato la rilevanza della stessa nel presente giudizio. 
    Invero, nel corso del giudizio svoltosi davanti a  questa  Corte,
la difesa del consegnando  ha  adeguatamente  fornito  prova  di  una
continuativa presenza di H.A. nel territorio italiano e  di  uno  suo
effettiva radicamento, anche lavorativo,  sul  territorio  nazionale,
cosi' da poterlo ritenere «legittimamente ed effettivamente dimorante
nel territorio italiano da almeno cinque anni». 
    A dimostrazione del proprio radicamento del  territorio  italiano
la difesa di H.A.  ha,  infatti,  prodotto,  oltre  la  citata  carta
d'identita' rilasciata il ... dal Comune di ...  ed  il  permesso  di
soggiorno con la dicitura  «soggiornante  di  lungo  periodo»  del  5
ottobre 2010: comunicazione UniLav da cui risulta che il predetto  ha
svolto attivita' di bracciante agricolo  dal  10  marzo  2021  al  31
luglio 2021; altra comunicazione UniLAv del 18 gennaio 2022;  pratica
relativa alla  domanda  di  prestazione  di  disoccupazione  agricola
presentata  il  29  gennaio  2022   con   allegato   estratto   conto
previdenziale  da  cui  risulta  il  versamento  di  contributi  come
lavoratore agricolo per alcune giornate negli anni 1998, 1991,  2000,
2002, 2003, 2017 2018, 2019, 2020 e 2021; certificazione  unica  2020
da cui risulta lo svolgimento di attivita' di lavoratore agricolo  da
giugno a dicembre 2019. 
    Da tali elementi risulta, dunque, che  il  consegnando,  oltre  a
risiedere leittimamente nel territorio italiano da oltre cinque anni,
e' stabilmente radicato in esso, intrattenendo egli, da lungo  tempo,
la parte piu' significativa dei propri rapporti lavorativi e  sociali
in detto territorio, con conseguente  rilevanza  della  questione  al
vaglio. 
    Giova   premettere,   che   la   questione   della   legittimita'
costituzionale dell'esclusione dei cittadini di Stati terzi dell'art.
18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, e' gia' stata sollevata, in
relazione   a   plurimi   parametri   costituzionali    interni    ed
internazionali, oltre che del diritto dell'Unione europea, e ritenuta
dalla Corte costituzionale non  manifestamente  infondata,  tanto  da
giustificare il rinvio pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia  con
ordinanza n. 217/2021, ed e' proprio in forza di tale  pronuncia  che
la Suprema Corte ha invitato questa Corte  territoriale  a  sollevare
questione di legittimita' della  citata  norma,  previo  accertamento
della sua rilevanza, nella parte in cui esclude,  in  ogni  caso,  la
possibilita' di opporre rifiuto  quando  il  soggetto  richiesto  sia
cittadino di un Paese terzo, indipendentemente dai  legami  che  esso
presenti con il territorio italiano. 
    In particolare, la Corte costituzionale -  chiamata  dalla  Corte
d'appello  di  Bologna  a  delibare  la  legittimita'  costituzionale
dell'art. 18-bis, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n.
69, per contrasto con la finalita'  rieducativa  della  pena  sancita
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, con  il  diritto  alla
vita  familiare  dell'interessato,   tutelato   dall'art.   2   della
Costituzione e dall'art.  117,  primo  comma  della  Costituzione  in
relazione agli articoli  8  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo e 17, paragrafo 1, del  Patto  internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici, con l'art 3 della Costituzione e  con  gli
articoli  11  e  ancora  117,  primo  comma  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 4, punto 6, della  decisione  quadro  2002/584/GAI
del Consiglio del  13  giugno  2002  relativa  al  mandato  d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri (a  cui  lo
Stato italiano ha dato attuazione con la legge n. 69/2005),  all'art.
7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  (CDFUE),
all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (CEDU)  e
all'art. 17,  paragrafo  1,  del  Patto  internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici (PIDCP) - con ordinanza n. 217 del 2021, ha
sottoposto alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  in  via
pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, le seguenti questioni pregiudiziali: 
        a) se l'art. 4, punto 6,  della  direttiva  2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato  alla
luce dell'art. 1, paragrafo  3,  della  medesima  consegna  decisione
quadro e dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea (CDFUE), osti a una normativa, come quella  italiana,  che  -
nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato
all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza - precluda in
maniera  assoluta  e  automatica  alle  autorita'   giudiziarie   di'
esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi  terzi  che
dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami
che essi presentano con quest'ultimo; 
        b) in caso di  risposta  affermativa  alla  prima  questione,
sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano  essere
considerati tanto significativi da imporre all'autorita'  giudiziaria
dell'esecuzione di rifiutare la consegna. 
    Invero, dopo l'ordinanza di rimessione della  Corte  di  Bologna,
l'art. 18-bis della  legge  n.  69  del  2005,  e'  stato  modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10
(Disposizioni per il compiuto adeguamento della  normativa  nazionale
alle disposizioni della decisione quadro  2002/584/GAI,  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  stati
membri, in attuazione delle delega di cui all'art. 6  della  legge  4
ottobre 2019, n. 117). Dal confronto tra le  due  versioni  dell'art.
18-bis emerge che, ferma la possibilita' di rifiutare la consegna  di
un cittadino italiano, per rifiutare la consegna di un  cittadino  di
altro  Stato   membro   occorre   questi   sia   «legittimamente   ed
effettivamente residente  o  dimorante  nel  territorio  italiano  da
almeno cinque anni», mentre prima era  sufficiente  che  egli  avesse
«legittimamente ed effettivamente» residenza o dimora nel  territorio
italiano. 
    Risulta, invero, modificato, ad opera  dell'art  17  del  decreto
legislativo n. 10 del 2021, anche l'art. 19 della  legge  n.  69  del
2005, relativo al mandato di arresto processuale,  che  la  Corte  di
appello di Bologna invocava quale tertium comparationis rispetto alla
sua censura di violazione dell'art.  3  della  Costituzione  (per  la
ritenura l'irragionevole disparita' di trattamento tra  il  cittadino
di uno Stato terzo, stabilmente radicato in Italia e destinatario  di
un mandato di arresto rilasciato per l'esecuzione di una pena  o  una
misura di sicurezza privative  della  liberta',  il  quale  non  puo'
beneficiare del rifiuto della consegna e scontare in Italia  la  pena
irrogata nello Stato emittente ai sensi  del  censurato  art.  18-bis
della legge n. 69 del 2005,  e  il  cittadino  di  uno  Stato  terzo,
parimenti  radicato  in  Italia,  ma  destinatario  di  una   mandato
d'arresto rilasciato ai fini dell'esercizio dell'azione penale,  che,
invece, avrebbe il diritto di scontare in  Italia  la  pena  irrogata
dallo Stato emittente all'esito del processo ai sensi  dell'art.  19,
comma  1,  lettera  c),  della   medesima   legge,   nella   versione
previgente). 
    Mentre nella versione previgente vi era un  generico  riferimento
al cittadino «o  residente  dello  Stato  italiano»,  nella  versione
vigente la norma  prevede  che  il  man  o  di  arresto  europeo  sia
sottoposto alla condizione che la pena eventualmente  applicata  allo
Stato richiedente sia eseguita in Italia solo qualora  si  tratti  di
cittadino italiano «o di cittadino di altro Stato membro  dell'Unione
europea legittimamente ed  effettivamente  residente  nel  territorio
italiano da almeno  cinque  anni»,  cosi  escludendo  anche  da  tale
ipotesi, all'esito della citata modifica, i cittadini di Paesi terzi. 
    La Corte di appello di Bologna  deve,  pero',  fare  applicazione
della  normativa  precedente  all'entrata  in  vigore   del   decreto
legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021 (Gazzetta Ufficiale 5  febbraio
2021), in quanto l'art. 28, comma  1,  di  tale  decreto  legislativo
dispone che le modifiche da esso apportate alla legge n. 69 del  2005
non si applicano ai procedimenti di esecuzione di mandati di  arresto
gia' in corso. 
    Diversamente, questa Corte deve applicare  la  nuova  disciplina,
atteso che  lo  stesso  mandato  di  arresto  europeo  e'  successivo
all'entrate in vigore delle citate modifiche. 
    Nonostante  il  parziale  mutamento  del  quadro   normativo   di
riferimento questa Corte - come implicitamente rilevato dalla  stessa
Corte di cassazione con la sentenza n. 24783/22 -  ritiene,  tuttora,
non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3,  11,
27, comma 3, 117,  comma  1,  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della  legge  22  aprile
2005, n. 69, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b) , della
legge 4 ottobre 2019, n. 117, nella  parte  in  cui  non  prevede  il
rifiuto facoltativo della consegna del cittadino  di  uno  Stato  non
membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio  italiano  da  almeno  cinque  anni
(sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la  misura  di
sicurezza irrogata nei suoi confronti dall'autorita'  giudiziaria  di
uno  Stato  membro  dell'Unione  europea  sia  eseguita   in   Italia
conformemente al suo diritto interno). 
    In primo luogo, la norma al  vaglio  si  pone  in  contrasto  con
l'art. 27, terzo comma della Costituzione,  poiche'  l'impossibilita'
di scontare la pena in Italia  rispetto  a  condannati  cittadini  di
Paesi terzi anche se stabilmente radicati nel territorio italiano  da
almeno  cinque  anni  (requisito   temporale   che   costituisce   un
ragionevole indice dell'effettivita' del radicamento  nel  territorio
nazionale) vanifica la finalita' rieducativa della pena sancita dalla
citata norma  costituzionale  -  che  tale  finalita'  enuncia  senza
operare alcuna  distinzione  fra  determinate  categorie  di  persone
condannate considerato che il motivo di rifiuto in esame  si  propone
di favorire la risocializzazione del condannato,  rendendo  possibile
il mantenimento dei suoi legami familiari e sociali per favorirne  un
corretto reinserimento al termine dell'esecuzione. 
    Tale  funzione  di  risocializzazione  del  condannato  e'  stata
costantemente indicata dalla Corte di giustizia quale  obiettivo  del
motivo di rifiuto facoltativo stabilito dall'art. 4, punto  6,  della
decisione quadro 2002/584/GAI,  recepito  dalla  legge  nazionale  di
attuazione. Ed, infatti, sin dalla sentenza Kozlowski,  la  Corte  di
giustizia  ha  sottolineato  che  «il  motivo   di   non   esecuzione
facoltativa stabilito all'art. 4, punto  6,  della  decisione  quadro
mira   segnatamente   a    permettere    all'autorita'    giudiziaria
dell'esecuzione  di  accordare  una   particolare   importanza   alla
possibilita' di accrescere le opportunita' di  reinserimento  sociale
della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa e'  stata
condannata» (sentenza Kozlowski, paragrafo 45;  sentenza  Wolzenburg,
paragrafo 62, e sentenza Lopes Da Silva Jorge, paragrafo 32). 
    Come rilevato dalla  Consulta  nell'ordinanza  n.  217/2021,  «al
perseguimento di tale scopo e'  funzionale  la  successiva  decisione
quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del  27  novembre  2008,  relativa
all'applicazione del  principio  del  reciproco  riconoscimento  alle
sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative  della
liberta'  personale,  ai  fini  della  loro  esecuzione   nell'Unione
europea, il cui considerando n. 9 recita:  «L'esecuzione  della  pena
nello Stato di  esecuzione  dovrebbe  aumentare  le  possibilita'  di
reinserimento sociale della persona condannata.  Nell'accertarsi  che
l'esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione  abbia  lo
scopo di favorire il reinserimento sociale della persona  condannata,
l'autorita' competente dello Stato di emissione dovrebbe tenere conto
di elementi quali, per esempio,  l'attaccamento  della  persona  allo
Stato di esecuzione e il fatto che questa  consideri  tale  Stato  il
luogo in  cui  mantiene  legami  linguistici,  culturali,  sociali  o
economici e di altro tipo». La decisione quadro  2008/909/GAI  appena
menzionata si applica  non  solo  ai  cittadini  degli  Stati  membri
dell'Unione, ma anche ai cittadini di paesi  terzi.  Anche  a  questi
ultimi appare riferirsi, in particolare, il considerando  n.  7,  che
individua lo  Stato  in  cui  l'esecuzione  della  pena  appare  piu'
funzionale alle finalita' di reinserimento sociale del condannato  in
quello nel  quale  il  condannato  "vive  e  soggiorna  legalmente  e
ininterrottamente da almeno cinque anni e in cui manterra' un diritto
di soggiorno permanente"». 
    Se obiettivo del motivo di  rifiuto  facoltativo  al  vaglio  e',
dunque, la reintegrazione  sociale  del  condannato,  come  riduzione
degli  effetti  desocializzanti  della  pena  detentiva,  manca   una
ragionevole giustificazione a sostegno della scelta normativa  legata
alla diversita' di trattamento della posizione del cittadino  di  uno
Stato terzo, al quale viene del tutto  preclusa  la  possibilita'  di
beneficiare di un  rifiuto  alla  consegna  nella  prospettiva  della
finalita' rieducativa della pena. 
    Tale   obiettivo   di    risocializzazione,    che    costituisce
indubbiamente uno dei principali coronari del principio  rieducativo,
non  ammette  distinzioni  basate  sulla  cittadinanza,  poiche'   il
criterio per individuare il contesto sociale, familiare e  lavorativo
piu' idoneo al raggiungimento di  tale  finalita'  non  e'  tanto  la
cittadinanza, ma  la  residenza  o  dimora  stabile  nello  Stato  di
esecuzione. 
    La residenza o dimora, stabile ed effettiva, di un  cittadino  di
un  Paese  terzo  implica,  in  linea  di  principio,  un  grado   di
inserimento  nello  Stato  equivalente  a  quello  dei  cittadini  di
quest'ultimo  o  degli  altri  Stati  membri  che,  al  pari,   siano
effettivamente residenti o dimoranti nel territorio  italiano  ed  e'
tale legame che con lo Stato di esecuzione che si vuole tutelare  per
facilitare il reinserimento sociale della persona condannata. 
    In  proposito,  vale   richiamare   la   sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  227/2010,  che  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 1,  lettera  r),  della  legge  22
aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare  il  diritto  interno
alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri), nella parte in cui non  prevedeva  il  rifiuto  di
consegna anche del cittadino di un  altro  Paese  membro  dell'Unione
europea, che  legittimamente  ed  effettivamente  abbia  residenza  o
dimora nel territorio italiano, ai fini  dell'esecuzione  della  pena
detentiva in Italia conformemente al diritto interno. 
    In essa si legge che, la ratio della norma della citata decisione
quadro e' favorire il reinserimento sociale della persona condannata,
e, «cosi' come interpretata dalla  Corte  di  giustizia,  e'  agevole
dedurre  che  il  criterio  per  individuare  il  contesto   sociale,
familiare, lavorativo e altro, nel quale  si  rivela  piu'  facile  e
naturale la risocializzazione  del  condannato,  durante  e  dopo  la
detenzione, non e' tanto e solo  la  cittadinanza,  ma  la  residenza
stabile, il luogo principale degli interessi, dei  legami  familiari,
della formazione dei figli e di quant'altro sia idoneo a rivelare  la
sussistenza di quel  "radicamento  reale  e  non  estemporaneo  dello
straniero in Italia" che  costituisce  la  premessa  in  fatto  delle
ordinanze di rimessione.  Utilizzando  il  criterio  esclusivo  della
cittadinanza,  escludendo   qualsiasi   verifica   in   ordine   alla
sussistenza di un legame effettivo e  stabile  con  lo  Stato  membro
dell'esecuzione, la norma impugnata tradisce, in definitiva, non solo
la lettera, ma anche e soprattutto la rado  della  norma  dell'Unione
europea alla quale avrebbe dovuto dare corretta attuazione». 
    Giova, in proposito, richiamare anche le argomentazioni  con  cui
la Corte di cassazione, nella sentenza n. 35953/2021  (pronunciata  a
seguito della restituzione  degli  atti  disposta  con  ordinanza  n.
60/2021 della Corte costituzionale, investita con ordinanza n.  10371
del 4 febbraio 2020 della Corte di cassazione, che  aveva  dichiarato
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in  riferimento   agli
articoli 3, 11, 27, comma 3, 117,  comma  1  della  Costituzione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge
22 aprile 2005, n. 69, come introdotto dall'art. 6, comma 5,  lettera
b), della legge 4 ottobre 2019,  n.  117,  nella  parte  in  cui  non
prevede il rifiuto facoltativo della consegna del  cittadino  di  uno
Stato  non  membro  dell'Unione   europea   che   legittimamente   ed
effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano),  ha
argomentato in merito alla  sussistenza,  (anche)  nel  nuovo  quadro
normativo  derivante   dalle   modifiche   introdotte   dal   decreto
legislativo n. 10/2021, della disposizione al vaglio con il principio
di rieducazione  della  pena  sancito  dall'art  27,  comma  3  della
Costituzione. 
    Si legge in motivazione: «... Parimenti rilevanti,  sotto  altro,
ma  connesso  profilo,  devono  ritenersi  le  implicazioni   sottese
all'incidenza concretamente esercitata sul  sistema  del  mandato  di
arresto europeo dalla successiva adozione della  collegata  decisione
quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del  27  novembre  2008,  relativa
all'applicazione del  principio  del  reciproco  riconoscimento  alle
sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative  della
liberta' personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea
(cfr. il par. 7.3. della citata  ordinanza  di  rimessione).  A  tale
strumento  di  diritto  derivato  il  nostro  ordinamento   ha   dato
attuazione con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161.  Ora,
l'ambito di applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI e' assai
ampio e non mira a tutelare solo il diritto dei cittadini dell'Unione
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli  Stati
membri,  conferito  dall'art.  18  del  Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea, ma investe anche (secondo il considerandum n.  16)
le posizioni  soggettive  previste  nella  direttiva  2003/86/CE  del
Consiglio  del  22   settembre   2003,   relativa   al   diritto   al
ricongiungimento familiare, nella direttiva 2003/109/CE del Consiglio
del 25 novembre 2003, relativa allo status  dei  cittadini  di  Paesi
terzi che siano soggiornanti  di  lungo  periodo  e  nella  direttiva
2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004,
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri [che modifica il regolamento (CEE) n.  1612/68  ed  abroga  le
direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE,  75/34/CEE,
75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE)]. Nel considerandum n.
17, inoltre, si specifica che «.... laddove nella presente  decisione
quadro si fa riferimento allo Stato  in  cui  la  persona  condannata
"vive", si intende il luogo a cui tale persona e' legata per il fatto
che vi soggiorna abitualmente e per motivi  quali  quelli  familiari,
sociali  o  professionali».  Il  suo  scopo  fondamentale,  ai  sensi
dell'art. 3, paragrafo 1, e' quello di stabilire le norme secondo  le
quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento  sociale
della persona condannata, debba riconoscere una sentenza ed  eseguire
la pena nei suoi  confronti  irrogata  da  altro  Stato  dell'Unione.
Siffatta decisione quadro contiene,  all'art.  25,  una  disposizione
specifica riguardante l'esecuzione di pene privative  della  liberta'
nello Stato di esecuzione 16 ove ricorrano  le  richiamate  evenienze
procedinnentali di cui all'art. 4, n. 6, e all'art. 5,  n.  3,  della
decisione quadro sul nn.a.e. Nelle ipotesi in cui vengano in  rilievo
tali specifiche disposizioni della procedura di consegna  basata  sul
m.a.e.,  si  deve  applicare,  secondo  il  richiamato  art.  25   (e
l'ulteriore esplicitazione offertane dal considerandum n. 12),  anche
la decisione quadro 2008/909/GAI  per  il  trasferimento  della  pena
nello Stato membro dove dovra' essere eseguita. A tale «microsistema»
dell'esecuzione della pena nell'ambito dei  rapporti  giurisdizionali
fra gli Stati membri dell'Unione il nostro ordinamento ha dato fedele
attuazione, in particolare, con la previsione dell'art. 24, comma  1,
decreto legislativo n. 161 del 2010 - che a  sfa  volta  richiama  le
pertinenti disposizioni degli articoli 18 e 19 della legge 22  aprile
2005, n. 69 - e con l'art. 2, comma  1,  lettera  c),  che  in  linea
generale definisce la «persona condannata» come  «la  persona  fisica
nei cui confronti e' stata pronunciata  una  sentenza  di  condanna»,
ossia [ex art. 2, comma  1,  lettera  b)]  una  decisione  definitiva
emessa da un organo giurisdizionale di uno Stato membro con la  quale
vengono applicate una pena o una misura di sicurezza nei confronti di
«una persona fisica», senza distinguere, ai fini  dell'applicabilita'
dello strumento, fra le posizioni soggettive dei cittadini comunitari
o di Paesi terzi. In tal  senso,  infatti,  nella  giurisprudenza  di
questa Suprema Corte (ex multis v. Sez. 6,  n.  53  del  30  dicembre
2014, dep. 2015, Petrescu, Rv.  261803;  Sez.  6,  n.  38557  del  17
settembre 2014, Turlea, Rv. 261908) e' stato affermato  il  principio
secondo cui la Corte d'appello che intende rifiutare la  consegna  ai
sensi dell'art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005 -
poi sostituito, come si e'  visto,  con  l'art.  18-bis  cit.  e,  da
ultimo, con la riformulazione dell'art. 18-bis, comma 2 -, disponendo
l'esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano  o
di altro Paese dell'Unione legittimamente residente  o  dimorante  in
Italia, e' tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui  si
fonda il m.a.e. secondo quanto previsto  dal  decreto  legislativo  7
settembre 2010, n. 161, anche  -  per  verificare  la  compatibilita'
della pena irrogata con la legislazione  italiana,  qualora  pure  il
Paese richiedente  abbia  dato  attuazione  alla  predetta  decisione
quadro. Criteri  direttivi,  questi,  che  la  Corte  d'appello  deve
applicare non solo nei confronti del cittadino italiano, ma anche nei
confronti  della  persona  condannata  che  non  ha  la  cittadinanza
italiana (cfr. Sez. 6, n. 8439 del  16  febbraio  2018,  Ciociu,  Rv.
272379), ai sensi del combinato disposto di  cui  agli  articoli  10,
comma 2 e 12, comma 2,  decreto  legislativo  n.  161  del  2010,  in
relazione alla connessa previsione di cui all'art.  4,  paragrafo  1,
lettera e) della  decisione  quadro  2008/909/GAI,  purche'  in  tale
ultima ipotesi il Ministro della giustizia abbia dato con un  decreto
il suo consenso all'esecuzione in Italia della relativa  sentenza  di
condanna. 17 Entro tale prospettiva, dunque, rischierebbero di  porsi
in contrasto con il principio' della finalita' rieducativa della pena
sancito  dall'art.  27,  comma  3  della  Costituzione,  disposizioni
normative - quale quella contenuta nel novellato art.  18-bis,  comma
2, legge cit. - che in sede di esecuzione della pena precludessero la
realizzazione di ogni  speranza  di  reintegrazione  sociale  per  il
cittadino di uno. Stato non membro dell'Unione europea, quando  altre
disposizioni, contestualmente applicabili nell'ambito della  medesima
procedura di consegna (segnatamente, i richiamati articoli  2,  comma
l, lettera b) e lettera c), 10, comma 2, 12, comma 2 e 24,  comma  1,
decreto legislativo n. 161  del  2010)  e  direttamente  collegate  a
quella teste' richiamata, gli  consentissero  invece  di  beneficiare
della possibilita' di scontare la pena nello Stato, a garanzia  della
medesima  finalita'  di  rilievo  costituzionale.  Per  le   medesime
ragioni, ancora, deve soggiungersi che se la previsione di  eventuali
diversita'  di  regime  normativo  per  gli  stranieri  puo'   essere
considerata legittima, ove delineata dal legislatore  in  termini  di
ragionevolezza,  e'  pur  vero  che  i  diritti  «inviolabili»   sono
incomprimibili   nel   loro   «nucleo   irriducibile»   (cfr.   Corte
costituzionale, sent. n. 252 del 5 luglio 2001), sicche' e' difficile
ritenere che la sostanza di tale «nucleo» di tutela  non  rischi  una
ingiustificata  compressione  ove  all'esecuzione   della   pena   si
accompagni lo sradicamento di una persona dal Paese nel quale essa si
trovi ormai  pienamente  inserita  sul  piano  sociale,  affettivo  e
lavorativo». 
    Le considerazioni che precedono  portano  anche  a  censurare  la
disposizione al vaglio in riferimento all'art 3  della  Costituzione,
comportando  essa  un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra
cittadini italiani o di uno Stato membro  e  cittadini  di  un  Paese
terzo, che, anche se stabilmente radicali nel  territorio  nazionale,
non   possono   beneficiare   del   rifiuto   alla   consegna.   Tale
discriminazione non puo'  ritenersi  giustificata  in  considerazione
della rado del motivo di rifiuto al vaglio, finalizzato -  come  gia'
evidenziato - ad accrescere le opportunita' di reinserimento  sociale
del  condannato,  anche  alla  luce  del  principio  della  finalita'
rieducativa  della  pena  di  cui  all'art.   27,   comma   3   della
Costituzione. 
    Se, dunque, l'obiettivo  e'  la  risocializzazione,  il  criterio
selettivo deve essere non tanto e non solo  la  cittadinanza,  ma  la
residenza o dimora stabile  ovvero  elementi  idonei  a  rivelare  un
radicamento in Italia. 
    Dunque, in relazione all'assenza di alcuna previsione di garanzia
in favore dei cittadini  di'  Paesi  non  membri  dell'UE  che  siano
stabilmente  radicati  nel  territorio   italiano,   deve   ritenersi
prospettabile anche la violazione del parametro riferibile all'art. 3
della Costituzione, per quel che attiene al rispetto  dei  canoni  di
ragionevolezza e coerenza sistematica nella delineazione  dei  tratti
di diversita' che strutturalmente  connotano,  rispetto  a  tutte  le
altre  categorie  di  potenziali  destinatari,  la   qui   denunciata
disciplina del correlativo motivo di rifiuto della  consegna,  frutto
di scelte discrezionali  del  legislatore  il  cui  contenuto  sembra
tradursi in  un  risultato  normativo  tale  da  valicare  il  limite
dell'intrinseca ragionevolezza. 
    La mancata previsione della possibilita' di rifiutare la consegna
del cittadino di uno Stato terzo stabilmente radicato nel  territorio
italiano si pone in contrasto anche con  le  norme  costituzionali  e
sovranazionali    (queste    ultime    rilevanti,    nell'ordinamento
costituzionale intaliano, ai sensi dell'art 117,  primo  comma  della
Costituzione, nonche', per cio' che concerne il  diritto  dell'Unione
europea, 11 della Costituzione, che sanciscono il diritto  alla  vita
privata e familiare: l'art 2  della  Costituzione,  che  riconosce  i
diritti inviolabili della persona, tra i quali si annovera il diritto
in esame (sentenza n. 202 del  2013),  e  gli  articoli  7  CDFUE,  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e 17, paragrafo 1, PIDCP. 
    Infatti,  l'esecuzione  di  un   mandato   di   arresto   europeo
finalizzato all'esecuzione di una pena nei confronti del cittadino di
un Paese terzo che sia stabilmente radicato nel  territorio  italiano
produrrebbe una violazione del diritto alla vita privata e  familiare
della persona condannata e richiesta in consegna per l'esecuzione  di
una pena all'estero che, se scontata, invece,  nel  territorio  dello
Stato ove sono di fatto  concentrati,  perche'  nel  tempo  vi  hanno
trovato una nuova radice, tutti i legami affettivi, sentimentali,  di
reciproca assistenza e solidarieta' scaturenti dalla vicinanza  della
propria famiglia, potrebbe accrescerne sensibilmente le  possibilita'
di reinserimento sociale. 
    In altri termini, in forza  della  censurata  formulazione  della
disposizioni di cui agli articoli 18-bis, comma 2, della legge n.  69
del 2005 (anche ed, anzi, ancora di piu') a seguito  delle  modifiche
della novella legislativa del 2 febbraio 2021 - il cittadino  di  uno
Stato terzo che abbia stabilito il centro dei suoi  legami  familiari
nello Stato di esecuzione si  vede  sistematicamente  preclusa,  come
gia'  osservato,  qualsiasi   possibilita'   di   «risocializzazione»
attraverso  la  conservazione,  per  quanto  possibile,  dei   legami
affettivi germinati all'interno del nucleo familiare  cui  appartiene
durante l'intera fase temporale di esecuzione  della  pena  detentiva
irrogatagli dallo Stato emittente. 
    L'art. 18-bis, comma 1, lettera e), della legge n. 69  del  2005,
come modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2021,  n.  10,  si
pone in contrasto anche con gli articoli 11 e 117, primo comma, della
Costituzione in relazione all'art. 4,  punto  6,  della  decisione  -
quadro  2002/583/GAI  del  13  giugno   2002,   laddove   limita   la
possibilita' prevista in via  generale  da  tale  disposizione  della
decisione quadro - di rifiutare la consegna della persona che  dimori
o risieda in Italia  alle  sole  ipotesi  in  cui  tale  persona  sia
cittadina  italiana  o  di  altro  Stato   membro,   con   esclusione
dell'ipotesi in cui essa sia cittadina di un Paese terzo. 
    Come si e' sopra ricordato, a seguito della citata  ordinanza  di
rimessione  della   Corte   di   appello   di   Bologna,   la   Corte
costituzionale, con ordinanza n. 217/2021, ha sottosto alla Corte  di
giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267  TFUE,  le  due
surrichiamate questioni pregiudiziali relativamente 
    La questione non risulta essere ancora stata decisa  dalla  Corte
di giustizia. 
    Cio' posto, per comprendere i profili di  incompatibilita'  della
norma nazionale al vaglio con gli art. 11 e 117,  primo  comma  della
Costituzione,  in  relazione   all'art.   4,   paragrafo   6,   della
decisione-quadro  2002/584,  prospettati  in  questa  sede,   occorre
considerare che, ai sensi del citato art.  4,  punto  6,  l'autorita'
giudiziaria puo' rifiutare di eseguire  un  MAE  rilasciato  ai  fini
dell'esecuzione di una pena o di una misura  di  sicurezza  privative
della liberta', purche' siano soddisfatte due condizioni: la  persona
ricercata deve dimorare nello Stato  membro  di  esecuzione,  esserne
cittadino o risiedevi; lo  Stato  di  esecuzione  deve  impegnarsi  a
eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al
suo diritto interno. 
    Il  legislatore  italiano,  nel  recepire  nel  suo   ordinamento
giuridico detto motivo di non esecuzione facoltativa, ne ha  limitato
l'operativita', escludendo tale possibilita' per i cittadini di Paesi
terzi, che, anche se legittimamente  ed  effettivamente  residente  o
dimorante nel territorio italiano, saranno  comunque  consegnati  (se
ricorrono le altre circostanze richieste) allo Stato che ha emesso il
MAE. 
    Secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia,  l'art.
4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI stabilisce un  motivo
di  rifiuto  espressamente  definito  quale  «facoltativo»,  la   cui
trasposizione totale o anche solo parziale nel diritto  nazionale  e'
rimessa, in linea di principio,  alla  discrezionalita'  degli  Stati
membri. La Corte di giustizia ha sottolineato, in proposito, che  «un
legislatore  nazionale  il   quale,   in   base   alle   possibilita'
accordategli dall'art. 4 di detta decisione quadro, opera  la  scelta
di limitare le situazioni nelle quali la sua autorita' giudiziaria di
esecuzione puo' rifiutare di consegnare una persona ricercata non  fa
che rafforzare il sistema di consegna istituito  da  detta  decisione
quadro a favore  di  uno  spazio  di  liberta',  di  sicurezza  e  di
giustizi& Infatti, limitando le situazioni  nelle  quali  l'autorita'
giudiziaria di esecuzione puo' rifiutare di eseguire  un  mandato  di
arresto europeo, tale legislazione non fa che agevolare  la  consegna
delle persone ricercate, conformemente  al  principio  del  reciproco
riconoscimento sancito dall'art. 1,  n.  2,  della  decisione  quadro
2002/584, il quale costituisce il principio fondamentale istituito da
quest'ultima» (sentenza Wolzenburg, paragrafi 58 e 59). 
    Da cio' deriva, che  secondo  da  Corte  di  giustizia  non  puo'
escludersi «che gli Stati membri, nell'attuazione di detta  decisione
quadro, limitino,  nel  senso  indicato  dal  principio  fondamentale
enunciato al suo art. 1, n. 2, le situazioni in cui  dovrebbe  essere
possibile rifiutare di consegnare una persona rientrante nella  sfera
di  applicazione  [dell']art.  4,  punto  6»  (sentenza   Wolzenburg,
paragrafo 62). 
    Tuttavia, la liberta' di scelta del legislatore nazionale non  e'
illimitata ed e' indubbio che l'esecuzione di un mandato  di  arresto
europeo  non  puo'  mai  comportare   la   violazione   dei   diritti
fondamentali dell'interessato art.  1,  paragrafo  3  («L'obbligo  di
rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici
sanciti dall'art. 6 [TUE] non puo' essere  modificat[o]  per  effetto
della  presente  decisione  quadro»)  e  considerando  n.  12   della
decisione quadro («La presente decisione quadro  rispetta  i  diritti
fondamentali ed osserva  i  principi  sanciti  dall'art.  6  [TUE]  e
contenuti nella Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,
segnatamente  il  capo  VI.»)  -,  ne'  dei  principi   del   diritto
dell'Unione riconosciuti dall'art. 6 Trattato sull'Unione  europea  e
dalla CDFUE. 
    In   altri   termini,   l'art.   4,   punto   6,   della   citata
decisione-quadro non  consente  agio  Stati  membri  di  ricorrere  a
modalita' di recepimento che comportino  la  violazione  dei  diritti
fondamentali o principi dell'art 6  Trattato  sull'Unione  europea  e
della Carta dei diritti fondamentali. 
    Ebbene, la limitazione alla facolta'  di  rifiuto  alla  consegna
prevista  dalla  legge  italiana,  che  ne  esclude  in   ogni   caso
l'operativita'  nei  confronti   di   cittadini   di   Stati   terzi,
indipendentemente dai legami  da  questi  creati  con  il  territorio
nazionale, viola il principio di uguaglianza garantito dagli articoli
2 e 20 della Carta, in considerazione della finalita'  -  gia'  sopra
illustrata - che tale normativa persegue. 
    Sebbene, lo status giuridico dei cittadini  di  paesi  terzi  non
possa essere equiparato, in generale, a quello  dei  cittadini  degli
Stati membri (atteso che l'art. 18  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  europea  che  vieta  la  dimsciminazione  in  base  alla
nazionalita',  si  riferisce  ai  cittadini  degli   Stati   membri);
tuttavia, la differenza di trattamento tra i primi e  i  secondi  non
puo' prevalere quando lo stesso diritto derivato dell'Unione prevede,
esplicitamente o  implicitamente,  prevede  un  regime  uniforme  per
entrambe le categorie, vigendo il principio  di  uguaglianza  davanti
alla legge sancito dall'art. 20 della Carta. 
    Tenuto conto dell'inviolabilita'  dell'obbligo  di  rispettare  i
diritti fondamentali e i principi sanciti dall'art. 6 del TUE, l'art.
1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 esclude  che  il  suo
stesso art. 4, punto 6, consenta agli Stati  membri  di  ricorrere  a
modalita' di recepimento che comportino la violazione della  Carta  o
dei principi fondamentali dell'Unione. 
    Tra detti principi vi e' quello di uguaglianza,  garantito  dagli
articoli 2 del Trattato sull'Unione europea e 20 della  Carta  ed  il
recepimento dell'art. 4, punto 6,  della  decisione  quadro  2002/584
nell'ordinamenti italiano - come giu' illustrato  -  non  appare  sia
compatibile con essi. 
    Invero, l'art. 4, punto 6, della decisione  quadro  2002/584  non
da' rilevanza al criterio della cittadinanza,  sostituito  da  quello
della residenza (o della dimora), con la sola eccezione dei cittadini
dello Stato membro di esecuzione, ed il potere discrezionale in  sede
di recepimento di tale disposizione del diritto dell'Unione non  puo'
quindi tradursi in un sistema di regole che' tratta  i  cittadini  di
paesi terzi in modo deteriore rispetto  ai  cittadini  di  uno  Stato
membro, poiche', alla luce dell'obiettivo dell'art. 4, punto 6, della
decisione quadro 2002/584, la situazione di un cittadino di un  paese
terzo  che  risiede  effettivamente  nello  Stato  di  esecuzione  e'
comparabile a quella di un cittadino di uno Stato membro. 
    A tal fine, la residenza, stabile ed effettiva, di  un  cittadino
di un paese terzo  implica,  in  linea  di  principio,  un  grado  di
inserimento  nel  paese  in  cui  dimora  equivalente  a  quello  dei
cittadini di quest'ultimo. Un siffatto legame con lo Stato membro  di
esecuzione e' idoneo a  facilitare  il  reinserimento  sociale  della
persona ricercata, dopo aver scontato in tale Stato la pena detentiva
cui e' stata condannata. 
    Inoltre, il superamento  dei  limiti  di  discrezionalita'  dello
Stato membro nell'attuazione dell'art. 4, punto  6,  della  decisione
quadro 2002/584 ossia l'incompatilita' della legge italiana con  tale
norma dell'Unione europea e, quindi, la violazione degli articoli  11
e  117,  comma  1  della  Costituzione,  deriva  anche  -  come  gia'
rappresentato - dalla lesione del  diritto  al  rispetto  della  vita
privata e familiare  sancito  dall'art.  7  della  Carta  (oltre  che
dall'art 8  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dall'art. 17, paragrafo  1,
PIDCP) che l'esclusione assoluta del motivo di rifiuto al vaglio  nei
confronti dei cittadini di Stati terzi comporta, qualora  la  persona
ricercata abbia solidi legami sociali e familiari in Italia.