CORTE D'APPELLO DI NAPOLI Quarta Sezione Penale Coll. A La Corte di appello di Napoli, Quarta Sezione Penale, Collegio A, in funzione di giudice dell'esecuzione e composta da: dott.ssa Silvana Gentile, Presidente; dott.ssa Alessandra Maddalena, giudice; dott.ssa Roberta Attena, giudice est. Nel procedimento camerale nei confronti di H.A., nato in ... il ...; destinatario di mandato di arresto europeo emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Montpellier in data 25 ottobre 2021 - assente All'esito della Camera di consiglio, seguita all'udienza del 19 gennaio 2023; Sulle conclusioni in atti riportate del procuratore generale presso la Corte e della difesa del «consegnando», Ha pronunciato la presente Ordinanza Con comunicazione della Polizia di frontiera presso lo scalo aereo di ... del 25 dicembre 2021, questa Corte veniva informata che H.H. era stato provvisoriamente tratto in arresto ex art. 11, legge n. 69/2005 in quanto colpito da mandato di arresto europeo Schengen ID ... emesso dall'autorita' giudiziaria della Francia, perche' condannato alla pena di anni due di reclusione con sentenza emessa dal Tribunale di Montpellier in data 25 giugno 2021 per i reati di ricettazione e di associazione per delinquere finalizzata al furto di pannelli solari, accertati nella citta' di Sete (Marsiglia), in data ... In data 27 dicembre 2021 il consigliere delegato, sentito l'arrestato - che alla presenza del difensore di fiducia dichiarava di non consentire alla consegna e di non rinunciare al beneficio della specialita' -, convalidava l'arresto ed applicava la misura cautelare dell'obbligo di dimora nella regione ..., misura, poi, revocata in data 3 febbraio 2022. All'esito del procedimento per la delibazione sulla consegna, questa Corte disponeva, ai sensi dell'art. 17, comma 4, legge n. 69/2005, la consegna dei H.A. alle competenti autorita' dello Stato della Francia in esecuzione del mandato d'arresto europeo e' stato emesso in data 25 ottobre 2021 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Montpellier per l'esecuzione della pena di anni due di reclusione inflitta ad H.A. con sentenza emessa dal Tribunale di Montpellier in data 25 giugno 2021 (n. di riferimento fascicolo ...). Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l'estradando ed, all'esito, la Corte di cassazione, con sentenza n. 24783/2022 del 27 giugno 2022, annullava la sentenza impugnata e rinviava per un nuovo giudizio ad altra sezione di questa Corte. La Suprema Corte - con riferimento al motivo con il quale il ricorrente si doleva della violazione dell'art 18-bis, comma 2, legge n. 69/2005, in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e agli articoli 2, 3, 31, 32, 34 e 38 della Costituzione, chiedendo di annullare la sentenza o di sollevare questione di legittimita' costituzionale della citata norma nella parte in cui preclude il rifiuto della consegna ai cittadini di paesi terzi che risiedano o dimorino in Italia, indipendentemente dai legami che essi abbiano con il territorio italiano - ha rilevato come la Corte di appello di Napoli abbia disposto la consegna rigettando la richiesta di produzione di ulteriore documentazione volta ad attestare che H.A. era dimorante effettivamente in Italia da oltre cinque anni (circostanza che la stessa Corte territoriale riconosceva documentata dalla carta di identita' rilasciata il ... dal Comune di ... e dal permesso di soggiorno con la dicitura «soggiornante di lungo periodo»), senza considerare questioni di legittimita' costituzionale attualmente pendenti per censure analoghe a quelle formulate dal ricorrente, ritenute non manifestamente infondate, tanto da dare vita ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Trattasi di questione pregiudiziale volta a chiarire la compatibilita' con il diritto comunitario di una normativa, come quella italiana, che precluda in modo assoluto ed automatico ai cittadini di paesi terzi che risiedano o dimorino in Italia, indipendentemente dai legami che essi abbiano con il territorio italiano, di avvalersi del motivo di rifiuto facoltativo al vaglio ed, in caso di incompatibilita', quali legami dovrebbero consentire il rifiuto della consegna. Ad avviso della Suprema Corte l'intestata autorita' giudiziaria avrebbe, quindi, dovuto sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis, comma 2, legge n. 69/2005, ove avesse accertato la rilevanza della sentenza nel presente giudizio. Per apprezzare la rilevanza di detta questione, non bastava accertare che il ricorrente dimorava nel territorio italiano da oltre cinque anni, ma occorreva verificare il presupposto della continuativa presenza del ricorrente sul territorio italiano e, dunque, l'effettivita' del suo, pur legittimo, radicamento, ossia stabilire se il ricorrente rientrasse nella categoria di cittadini di Stati terzi per i quali la Corte costituzionale ha ritenuto la questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata. La sentenza impugnata veniva, quindi, annullata con rinvio per accertare la sussistenza o meno del radicamento del ricorrente nel territorio italiano ed adottare i provvedimenti conseguenti. Alla prima udienza del giudizio di rinvio, fissata in data 22 settembre 2022, verificata la regolare costituzione delle parti, il procedimento veniva rinviato per legittimo impedimento del difensore. Alla successiva udienza del 19 ottobre 2022 veniva acquisita la documentazione prodotta dalla difesa e, dopo altri due rinvii disposti alle udienze del 17 novembre 2022 ed 12 gennaio 2023, per legittimo impedimento del difensore, all'udienza del 19 gennaio 2023, respinta l'ulteriore richiesta di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore, in quanto non adeguatamente documentata e tardiva, la Corte, all'esito della Camera di consiglio, la Corte pronunciava la presente ordinanza. Osserva la Corte, all'esito dell'odierna udienza, come, alla stregua della richiamata pronuncia della Corte di cassazione, debba essere sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall'autorita' giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno, avendo accertato la rilevanza della stessa nel presente giudizio. Invero, nel corso del giudizio svoltosi davanti a questa Corte, la difesa del consegnando ha adeguatamente fornito prova di una continuativa presenza di H.A. nel territorio italiano e di uno suo effettiva radicamento, anche lavorativo, sul territorio nazionale, cosi' da poterlo ritenere «legittimamente ed effettivamente dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni». A dimostrazione del proprio radicamento del territorio italiano la difesa di H.A. ha, infatti, prodotto, oltre la citata carta d'identita' rilasciata il ... dal Comune di ... ed il permesso di soggiorno con la dicitura «soggiornante di lungo periodo» del 5 ottobre 2010: comunicazione UniLav da cui risulta che il predetto ha svolto attivita' di bracciante agricolo dal 10 marzo 2021 al 31 luglio 2021; altra comunicazione UniLAv del 18 gennaio 2022; pratica relativa alla domanda di prestazione di disoccupazione agricola presentata il 29 gennaio 2022 con allegato estratto conto previdenziale da cui risulta il versamento di contributi come lavoratore agricolo per alcune giornate negli anni 1998, 1991, 2000, 2002, 2003, 2017 2018, 2019, 2020 e 2021; certificazione unica 2020 da cui risulta lo svolgimento di attivita' di lavoratore agricolo da giugno a dicembre 2019. Da tali elementi risulta, dunque, che il consegnando, oltre a risiedere leittimamente nel territorio italiano da oltre cinque anni, e' stabilmente radicato in esso, intrattenendo egli, da lungo tempo, la parte piu' significativa dei propri rapporti lavorativi e sociali in detto territorio, con conseguente rilevanza della questione al vaglio. Giova premettere, che la questione della legittimita' costituzionale dell'esclusione dei cittadini di Stati terzi dell'art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, e' gia' stata sollevata, in relazione a plurimi parametri costituzionali interni ed internazionali, oltre che del diritto dell'Unione europea, e ritenuta dalla Corte costituzionale non manifestamente infondata, tanto da giustificare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia con ordinanza n. 217/2021, ed e' proprio in forza di tale pronuncia che la Suprema Corte ha invitato questa Corte territoriale a sollevare questione di legittimita' della citata norma, previo accertamento della sua rilevanza, nella parte in cui esclude, in ogni caso, la possibilita' di opporre rifiuto quando il soggetto richiesto sia cittadino di un Paese terzo, indipendentemente dai legami che esso presenti con il territorio italiano. In particolare, la Corte costituzionale - chiamata dalla Corte d'appello di Bologna a delibare la legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69, per contrasto con la finalita' rieducativa della pena sancita dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, con il diritto alla vita familiare dell'interessato, tutelato dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 117, primo comma della Costituzione in relazione agli articoli 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e 17, paragrafo 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con l'art 3 della Costituzione e con gli articoli 11 e ancora 117, primo comma della Costituzione, in relazione all'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri (a cui lo Stato italiano ha dato attuazione con la legge n. 69/2005), all'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e all'art. 17, paragrafo 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PIDCP) - con ordinanza n. 217 del 2021, ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, le seguenti questioni pregiudiziali: a) se l'art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima consegna decisione quadro e dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), osti a una normativa, come quella italiana, che - nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza - precluda in maniera assoluta e automatica alle autorita' giudiziarie di' esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest'ultimo; b) in caso di risposta affermativa alla prima questione, sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna. Invero, dopo l'ordinanza di rimessione della Corte di Bologna, l'art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, e' stato modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione delle delega di cui all'art. 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117). Dal confronto tra le due versioni dell'art. 18-bis emerge che, ferma la possibilita' di rifiutare la consegna di un cittadino italiano, per rifiutare la consegna di un cittadino di altro Stato membro occorre questi sia «legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni», mentre prima era sufficiente che egli avesse «legittimamente ed effettivamente» residenza o dimora nel territorio italiano. Risulta, invero, modificato, ad opera dell'art 17 del decreto legislativo n. 10 del 2021, anche l'art. 19 della legge n. 69 del 2005, relativo al mandato di arresto processuale, che la Corte di appello di Bologna invocava quale tertium comparationis rispetto alla sua censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione (per la ritenura l'irragionevole disparita' di trattamento tra il cittadino di uno Stato terzo, stabilmente radicato in Italia e destinatario di un mandato di arresto rilasciato per l'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della liberta', il quale non puo' beneficiare del rifiuto della consegna e scontare in Italia la pena irrogata nello Stato emittente ai sensi del censurato art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, e il cittadino di uno Stato terzo, parimenti radicato in Italia, ma destinatario di una mandato d'arresto rilasciato ai fini dell'esercizio dell'azione penale, che, invece, avrebbe il diritto di scontare in Italia la pena irrogata dallo Stato emittente all'esito del processo ai sensi dell'art. 19, comma 1, lettera c), della medesima legge, nella versione previgente). Mentre nella versione previgente vi era un generico riferimento al cittadino «o residente dello Stato italiano», nella versione vigente la norma prevede che il man o di arresto europeo sia sottoposto alla condizione che la pena eventualmente applicata allo Stato richiedente sia eseguita in Italia solo qualora si tratti di cittadino italiano «o di cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano da almeno cinque anni», cosi escludendo anche da tale ipotesi, all'esito della citata modifica, i cittadini di Paesi terzi. La Corte di appello di Bologna deve, pero', fare applicazione della normativa precedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021 (Gazzetta Ufficiale 5 febbraio 2021), in quanto l'art. 28, comma 1, di tale decreto legislativo dispone che le modifiche da esso apportate alla legge n. 69 del 2005 non si applicano ai procedimenti di esecuzione di mandati di arresto gia' in corso. Diversamente, questa Corte deve applicare la nuova disciplina, atteso che lo stesso mandato di arresto europeo e' successivo all'entrate in vigore delle citate modifiche. Nonostante il parziale mutamento del quadro normativo di riferimento questa Corte - come implicitamente rilevato dalla stessa Corte di cassazione con la sentenza n. 24783/22 - ritiene, tuttora, non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3, 11, 27, comma 3, 117, comma 1, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b) , della legge 4 ottobre 2019, n. 117, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni (sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall'autorita' giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno). In primo luogo, la norma al vaglio si pone in contrasto con l'art. 27, terzo comma della Costituzione, poiche' l'impossibilita' di scontare la pena in Italia rispetto a condannati cittadini di Paesi terzi anche se stabilmente radicati nel territorio italiano da almeno cinque anni (requisito temporale che costituisce un ragionevole indice dell'effettivita' del radicamento nel territorio nazionale) vanifica la finalita' rieducativa della pena sancita dalla citata norma costituzionale - che tale finalita' enuncia senza operare alcuna distinzione fra determinate categorie di persone condannate considerato che il motivo di rifiuto in esame si propone di favorire la risocializzazione del condannato, rendendo possibile il mantenimento dei suoi legami familiari e sociali per favorirne un corretto reinserimento al termine dell'esecuzione. Tale funzione di risocializzazione del condannato e' stata costantemente indicata dalla Corte di giustizia quale obiettivo del motivo di rifiuto facoltativo stabilito dall'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, recepito dalla legge nazionale di attuazione. Ed, infatti, sin dalla sentenza Kozlowski, la Corte di giustizia ha sottolineato che «il motivo di non esecuzione facoltativa stabilito all'art. 4, punto 6, della decisione quadro mira segnatamente a permettere all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione di accordare una particolare importanza alla possibilita' di accrescere le opportunita' di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa e' stata condannata» (sentenza Kozlowski, paragrafo 45; sentenza Wolzenburg, paragrafo 62, e sentenza Lopes Da Silva Jorge, paragrafo 32). Come rilevato dalla Consulta nell'ordinanza n. 217/2021, «al perseguimento di tale scopo e' funzionale la successiva decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della liberta' personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea, il cui considerando n. 9 recita: «L'esecuzione della pena nello Stato di esecuzione dovrebbe aumentare le possibilita' di reinserimento sociale della persona condannata. Nell'accertarsi che l'esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione abbia lo scopo di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, l'autorita' competente dello Stato di emissione dovrebbe tenere conto di elementi quali, per esempio, l'attaccamento della persona allo Stato di esecuzione e il fatto che questa consideri tale Stato il luogo in cui mantiene legami linguistici, culturali, sociali o economici e di altro tipo». La decisione quadro 2008/909/GAI appena menzionata si applica non solo ai cittadini degli Stati membri dell'Unione, ma anche ai cittadini di paesi terzi. Anche a questi ultimi appare riferirsi, in particolare, il considerando n. 7, che individua lo Stato in cui l'esecuzione della pena appare piu' funzionale alle finalita' di reinserimento sociale del condannato in quello nel quale il condannato "vive e soggiorna legalmente e ininterrottamente da almeno cinque anni e in cui manterra' un diritto di soggiorno permanente"». Se obiettivo del motivo di rifiuto facoltativo al vaglio e', dunque, la reintegrazione sociale del condannato, come riduzione degli effetti desocializzanti della pena detentiva, manca una ragionevole giustificazione a sostegno della scelta normativa legata alla diversita' di trattamento della posizione del cittadino di uno Stato terzo, al quale viene del tutto preclusa la possibilita' di beneficiare di un rifiuto alla consegna nella prospettiva della finalita' rieducativa della pena. Tale obiettivo di risocializzazione, che costituisce indubbiamente uno dei principali coronari del principio rieducativo, non ammette distinzioni basate sulla cittadinanza, poiche' il criterio per individuare il contesto sociale, familiare e lavorativo piu' idoneo al raggiungimento di tale finalita' non e' tanto la cittadinanza, ma la residenza o dimora stabile nello Stato di esecuzione. La residenza o dimora, stabile ed effettiva, di un cittadino di un Paese terzo implica, in linea di principio, un grado di inserimento nello Stato equivalente a quello dei cittadini di quest'ultimo o degli altri Stati membri che, al pari, siano effettivamente residenti o dimoranti nel territorio italiano ed e' tale legame che con lo Stato di esecuzione che si vuole tutelare per facilitare il reinserimento sociale della persona condannata. In proposito, vale richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 227/2010, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevedeva il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno. In essa si legge che, la ratio della norma della citata decisione quadro e' favorire il reinserimento sociale della persona condannata, e, «cosi' come interpretata dalla Corte di giustizia, e' agevole dedurre che il criterio per individuare il contesto sociale, familiare, lavorativo e altro, nel quale si rivela piu' facile e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non e' tanto e solo la cittadinanza, ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant'altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di quel "radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia" che costituisce la premessa in fatto delle ordinanze di rimessione. Utilizzando il criterio esclusivo della cittadinanza, escludendo qualsiasi verifica in ordine alla sussistenza di un legame effettivo e stabile con lo Stato membro dell'esecuzione, la norma impugnata tradisce, in definitiva, non solo la lettera, ma anche e soprattutto la rado della norma dell'Unione europea alla quale avrebbe dovuto dare corretta attuazione». Giova, in proposito, richiamare anche le argomentazioni con cui la Corte di cassazione, nella sentenza n. 35953/2021 (pronunciata a seguito della restituzione degli atti disposta con ordinanza n. 60/2021 della Corte costituzionale, investita con ordinanza n. 10371 del 4 febbraio 2020 della Corte di cassazione, che aveva dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 11, 27, comma 3, 117, comma 1 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano), ha argomentato in merito alla sussistenza, (anche) nel nuovo quadro normativo derivante dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 10/2021, della disposizione al vaglio con il principio di rieducazione della pena sancito dall'art 27, comma 3 della Costituzione. Si legge in motivazione: «... Parimenti rilevanti, sotto altro, ma connesso profilo, devono ritenersi le implicazioni sottese all'incidenza concretamente esercitata sul sistema del mandato di arresto europeo dalla successiva adozione della collegata decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della liberta' personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea (cfr. il par. 7.3. della citata ordinanza di rimessione). A tale strumento di diritto derivato il nostro ordinamento ha dato attuazione con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161. Ora, l'ambito di applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI e' assai ampio e non mira a tutelare solo il diritto dei cittadini dell'Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito dall'art. 18 del Trattato che istituisce la Comunita' europea, ma investe anche (secondo il considerandum n. 16) le posizioni soggettive previste nella direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, nella direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo e nella direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE)]. Nel considerandum n. 17, inoltre, si specifica che «.... laddove nella presente decisione quadro si fa riferimento allo Stato in cui la persona condannata "vive", si intende il luogo a cui tale persona e' legata per il fatto che vi soggiorna abitualmente e per motivi quali quelli familiari, sociali o professionali». Il suo scopo fondamentale, ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, e' quello di stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, debba riconoscere una sentenza ed eseguire la pena nei suoi confronti irrogata da altro Stato dell'Unione. Siffatta decisione quadro contiene, all'art. 25, una disposizione specifica riguardante l'esecuzione di pene privative della liberta' nello Stato di esecuzione 16 ove ricorrano le richiamate evenienze procedinnentali di cui all'art. 4, n. 6, e all'art. 5, n. 3, della decisione quadro sul nn.a.e. Nelle ipotesi in cui vengano in rilievo tali specifiche disposizioni della procedura di consegna basata sul m.a.e., si deve applicare, secondo il richiamato art. 25 (e l'ulteriore esplicitazione offertane dal considerandum n. 12), anche la decisione quadro 2008/909/GAI per il trasferimento della pena nello Stato membro dove dovra' essere eseguita. A tale «microsistema» dell'esecuzione della pena nell'ambito dei rapporti giurisdizionali fra gli Stati membri dell'Unione il nostro ordinamento ha dato fedele attuazione, in particolare, con la previsione dell'art. 24, comma 1, decreto legislativo n. 161 del 2010 - che a sfa volta richiama le pertinenti disposizioni degli articoli 18 e 19 della legge 22 aprile 2005, n. 69 - e con l'art. 2, comma 1, lettera c), che in linea generale definisce la «persona condannata» come «la persona fisica nei cui confronti e' stata pronunciata una sentenza di condanna», ossia [ex art. 2, comma 1, lettera b)] una decisione definitiva emessa da un organo giurisdizionale di uno Stato membro con la quale vengono applicate una pena o una misura di sicurezza nei confronti di «una persona fisica», senza distinguere, ai fini dell'applicabilita' dello strumento, fra le posizioni soggettive dei cittadini comunitari o di Paesi terzi. In tal senso, infatti, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte (ex multis v. Sez. 6, n. 53 del 30 dicembre 2014, dep. 2015, Petrescu, Rv. 261803; Sez. 6, n. 38557 del 17 settembre 2014, Turlea, Rv. 261908) e' stato affermato il principio secondo cui la Corte d'appello che intende rifiutare la consegna ai sensi dell'art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005 - poi sostituito, come si e' visto, con l'art. 18-bis cit. e, da ultimo, con la riformulazione dell'art. 18-bis, comma 2 -, disponendo l'esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano o di altro Paese dell'Unione legittimamente residente o dimorante in Italia, e' tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il m.a.e. secondo quanto previsto dal decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, anche - per verificare la compatibilita' della pena irrogata con la legislazione italiana, qualora pure il Paese richiedente abbia dato attuazione alla predetta decisione quadro. Criteri direttivi, questi, che la Corte d'appello deve applicare non solo nei confronti del cittadino italiano, ma anche nei confronti della persona condannata che non ha la cittadinanza italiana (cfr. Sez. 6, n. 8439 del 16 febbraio 2018, Ciociu, Rv. 272379), ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 10, comma 2 e 12, comma 2, decreto legislativo n. 161 del 2010, in relazione alla connessa previsione di cui all'art. 4, paragrafo 1, lettera e) della decisione quadro 2008/909/GAI, purche' in tale ultima ipotesi il Ministro della giustizia abbia dato con un decreto il suo consenso all'esecuzione in Italia della relativa sentenza di condanna. 17 Entro tale prospettiva, dunque, rischierebbero di porsi in contrasto con il principio' della finalita' rieducativa della pena sancito dall'art. 27, comma 3 della Costituzione, disposizioni normative - quale quella contenuta nel novellato art. 18-bis, comma 2, legge cit. - che in sede di esecuzione della pena precludessero la realizzazione di ogni speranza di reintegrazione sociale per il cittadino di uno. Stato non membro dell'Unione europea, quando altre disposizioni, contestualmente applicabili nell'ambito della medesima procedura di consegna (segnatamente, i richiamati articoli 2, comma l, lettera b) e lettera c), 10, comma 2, 12, comma 2 e 24, comma 1, decreto legislativo n. 161 del 2010) e direttamente collegate a quella teste' richiamata, gli consentissero invece di beneficiare della possibilita' di scontare la pena nello Stato, a garanzia della medesima finalita' di rilievo costituzionale. Per le medesime ragioni, ancora, deve soggiungersi che se la previsione di eventuali diversita' di regime normativo per gli stranieri puo' essere considerata legittima, ove delineata dal legislatore in termini di ragionevolezza, e' pur vero che i diritti «inviolabili» sono incomprimibili nel loro «nucleo irriducibile» (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 252 del 5 luglio 2001), sicche' e' difficile ritenere che la sostanza di tale «nucleo» di tutela non rischi una ingiustificata compressione ove all'esecuzione della pena si accompagni lo sradicamento di una persona dal Paese nel quale essa si trovi ormai pienamente inserita sul piano sociale, affettivo e lavorativo». Le considerazioni che precedono portano anche a censurare la disposizione al vaglio in riferimento all'art 3 della Costituzione, comportando essa un'irragionevole disparita' di trattamento tra cittadini italiani o di uno Stato membro e cittadini di un Paese terzo, che, anche se stabilmente radicali nel territorio nazionale, non possono beneficiare del rifiuto alla consegna. Tale discriminazione non puo' ritenersi giustificata in considerazione della rado del motivo di rifiuto al vaglio, finalizzato - come gia' evidenziato - ad accrescere le opportunita' di reinserimento sociale del condannato, anche alla luce del principio della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione. Se, dunque, l'obiettivo e' la risocializzazione, il criterio selettivo deve essere non tanto e non solo la cittadinanza, ma la residenza o dimora stabile ovvero elementi idonei a rivelare un radicamento in Italia. Dunque, in relazione all'assenza di alcuna previsione di garanzia in favore dei cittadini di' Paesi non membri dell'UE che siano stabilmente radicati nel territorio italiano, deve ritenersi prospettabile anche la violazione del parametro riferibile all'art. 3 della Costituzione, per quel che attiene al rispetto dei canoni di ragionevolezza e coerenza sistematica nella delineazione dei tratti di diversita' che strutturalmente connotano, rispetto a tutte le altre categorie di potenziali destinatari, la qui denunciata disciplina del correlativo motivo di rifiuto della consegna, frutto di scelte discrezionali del legislatore il cui contenuto sembra tradursi in un risultato normativo tale da valicare il limite dell'intrinseca ragionevolezza. La mancata previsione della possibilita' di rifiutare la consegna del cittadino di uno Stato terzo stabilmente radicato nel territorio italiano si pone in contrasto anche con le norme costituzionali e sovranazionali (queste ultime rilevanti, nell'ordinamento costituzionale intaliano, ai sensi dell'art 117, primo comma della Costituzione, nonche', per cio' che concerne il diritto dell'Unione europea, 11 della Costituzione, che sanciscono il diritto alla vita privata e familiare: l'art 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili della persona, tra i quali si annovera il diritto in esame (sentenza n. 202 del 2013), e gli articoli 7 CDFUE, 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 17, paragrafo 1, PIDCP. Infatti, l'esecuzione di un mandato di arresto europeo finalizzato all'esecuzione di una pena nei confronti del cittadino di un Paese terzo che sia stabilmente radicato nel territorio italiano produrrebbe una violazione del diritto alla vita privata e familiare della persona condannata e richiesta in consegna per l'esecuzione di una pena all'estero che, se scontata, invece, nel territorio dello Stato ove sono di fatto concentrati, perche' nel tempo vi hanno trovato una nuova radice, tutti i legami affettivi, sentimentali, di reciproca assistenza e solidarieta' scaturenti dalla vicinanza della propria famiglia, potrebbe accrescerne sensibilmente le possibilita' di reinserimento sociale. In altri termini, in forza della censurata formulazione della disposizioni di cui agli articoli 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 (anche ed, anzi, ancora di piu') a seguito delle modifiche della novella legislativa del 2 febbraio 2021 - il cittadino di uno Stato terzo che abbia stabilito il centro dei suoi legami familiari nello Stato di esecuzione si vede sistematicamente preclusa, come gia' osservato, qualsiasi possibilita' di «risocializzazione» attraverso la conservazione, per quanto possibile, dei legami affettivi germinati all'interno del nucleo familiare cui appartiene durante l'intera fase temporale di esecuzione della pena detentiva irrogatagli dallo Stato emittente. L'art. 18-bis, comma 1, lettera e), della legge n. 69 del 2005, come modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10, si pone in contrasto anche con gli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 4, punto 6, della decisione - quadro 2002/583/GAI del 13 giugno 2002, laddove limita la possibilita' prevista in via generale da tale disposizione della decisione quadro - di rifiutare la consegna della persona che dimori o risieda in Italia alle sole ipotesi in cui tale persona sia cittadina italiana o di altro Stato membro, con esclusione dell'ipotesi in cui essa sia cittadina di un Paese terzo. Come si e' sopra ricordato, a seguito della citata ordinanza di rimessione della Corte di appello di Bologna, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 217/2021, ha sottosto alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267 TFUE, le due surrichiamate questioni pregiudiziali relativamente La questione non risulta essere ancora stata decisa dalla Corte di giustizia. Cio' posto, per comprendere i profili di incompatibilita' della norma nazionale al vaglio con gli art. 11 e 117, primo comma della Costituzione, in relazione all'art. 4, paragrafo 6, della decisione-quadro 2002/584, prospettati in questa sede, occorre considerare che, ai sensi del citato art. 4, punto 6, l'autorita' giudiziaria puo' rifiutare di eseguire un MAE rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della liberta', purche' siano soddisfatte due condizioni: la persona ricercata deve dimorare nello Stato membro di esecuzione, esserne cittadino o risiedevi; lo Stato di esecuzione deve impegnarsi a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno. Il legislatore italiano, nel recepire nel suo ordinamento giuridico detto motivo di non esecuzione facoltativa, ne ha limitato l'operativita', escludendo tale possibilita' per i cittadini di Paesi terzi, che, anche se legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano, saranno comunque consegnati (se ricorrono le altre circostanze richieste) allo Stato che ha emesso il MAE. Secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia, l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI stabilisce un motivo di rifiuto espressamente definito quale «facoltativo», la cui trasposizione totale o anche solo parziale nel diritto nazionale e' rimessa, in linea di principio, alla discrezionalita' degli Stati membri. La Corte di giustizia ha sottolineato, in proposito, che «un legislatore nazionale il quale, in base alle possibilita' accordategli dall'art. 4 di detta decisione quadro, opera la scelta di limitare le situazioni nelle quali la sua autorita' giudiziaria di esecuzione puo' rifiutare di consegnare una persona ricercata non fa che rafforzare il sistema di consegna istituito da detta decisione quadro a favore di uno spazio di liberta', di sicurezza e di giustizi& Infatti, limitando le situazioni nelle quali l'autorita' giudiziaria di esecuzione puo' rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo, tale legislazione non fa che agevolare la consegna delle persone ricercate, conformemente al principio del reciproco riconoscimento sancito dall'art. 1, n. 2, della decisione quadro 2002/584, il quale costituisce il principio fondamentale istituito da quest'ultima» (sentenza Wolzenburg, paragrafi 58 e 59). Da cio' deriva, che secondo da Corte di giustizia non puo' escludersi «che gli Stati membri, nell'attuazione di detta decisione quadro, limitino, nel senso indicato dal principio fondamentale enunciato al suo art. 1, n. 2, le situazioni in cui dovrebbe essere possibile rifiutare di consegnare una persona rientrante nella sfera di applicazione [dell']art. 4, punto 6» (sentenza Wolzenburg, paragrafo 62). Tuttavia, la liberta' di scelta del legislatore nazionale non e' illimitata ed e' indubbio che l'esecuzione di un mandato di arresto europeo non puo' mai comportare la violazione dei diritti fondamentali dell'interessato art. 1, paragrafo 3 («L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 [TUE] non puo' essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro») e considerando n. 12 della decisione quadro («La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall'art. 6 [TUE] e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, segnatamente il capo VI.») -, ne' dei principi del diritto dell'Unione riconosciuti dall'art. 6 Trattato sull'Unione europea e dalla CDFUE. In altri termini, l'art. 4, punto 6, della citata decisione-quadro non consente agio Stati membri di ricorrere a modalita' di recepimento che comportino la violazione dei diritti fondamentali o principi dell'art 6 Trattato sull'Unione europea e della Carta dei diritti fondamentali. Ebbene, la limitazione alla facolta' di rifiuto alla consegna prevista dalla legge italiana, che ne esclude in ogni caso l'operativita' nei confronti di cittadini di Stati terzi, indipendentemente dai legami da questi creati con il territorio nazionale, viola il principio di uguaglianza garantito dagli articoli 2 e 20 della Carta, in considerazione della finalita' - gia' sopra illustrata - che tale normativa persegue. Sebbene, lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi non possa essere equiparato, in generale, a quello dei cittadini degli Stati membri (atteso che l'art. 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che vieta la dimsciminazione in base alla nazionalita', si riferisce ai cittadini degli Stati membri); tuttavia, la differenza di trattamento tra i primi e i secondi non puo' prevalere quando lo stesso diritto derivato dell'Unione prevede, esplicitamente o implicitamente, prevede un regime uniforme per entrambe le categorie, vigendo il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito dall'art. 20 della Carta. Tenuto conto dell'inviolabilita' dell'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi sanciti dall'art. 6 del TUE, l'art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 esclude che il suo stesso art. 4, punto 6, consenta agli Stati membri di ricorrere a modalita' di recepimento che comportino la violazione della Carta o dei principi fondamentali dell'Unione. Tra detti principi vi e' quello di uguaglianza, garantito dagli articoli 2 del Trattato sull'Unione europea e 20 della Carta ed il recepimento dell'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 nell'ordinamenti italiano - come giu' illustrato - non appare sia compatibile con essi. Invero, l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 non da' rilevanza al criterio della cittadinanza, sostituito da quello della residenza (o della dimora), con la sola eccezione dei cittadini dello Stato membro di esecuzione, ed il potere discrezionale in sede di recepimento di tale disposizione del diritto dell'Unione non puo' quindi tradursi in un sistema di regole che' tratta i cittadini di paesi terzi in modo deteriore rispetto ai cittadini di uno Stato membro, poiche', alla luce dell'obiettivo dell'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, la situazione di un cittadino di un paese terzo che risiede effettivamente nello Stato di esecuzione e' comparabile a quella di un cittadino di uno Stato membro. A tal fine, la residenza, stabile ed effettiva, di un cittadino di un paese terzo implica, in linea di principio, un grado di inserimento nel paese in cui dimora equivalente a quello dei cittadini di quest'ultimo. Un siffatto legame con lo Stato membro di esecuzione e' idoneo a facilitare il reinserimento sociale della persona ricercata, dopo aver scontato in tale Stato la pena detentiva cui e' stata condannata. Inoltre, il superamento dei limiti di discrezionalita' dello Stato membro nell'attuazione dell'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 ossia l'incompatilita' della legge italiana con tale norma dell'Unione europea e, quindi, la violazione degli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione, deriva anche - come gia' rappresentato - dalla lesione del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall'art. 7 della Carta (oltre che dall'art 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dall'art. 17, paragrafo 1, PIDCP) che l'esclusione assoluta del motivo di rifiuto al vaglio nei confronti dei cittadini di Stati terzi comporta, qualora la persona ricercata abbia solidi legami sociali e familiari in Italia.