TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA 
                           Sezione civile 
                           Settore lavoro 
 
    Il Giudice  del  Lavoro  Dario  Bernardi,  a  scioglimento  della
riserva precedentemente assunta, pronuncia la seguente  ordinanza  di
rimessione  della   questione   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 7, 5° comma, legge n. 223/1991 (nonche'  dell'art.  77  del
R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 e  dell'art.  52  del  R.D.  2270/1924)
nell'interpretazione del diritto vivente della Corte di cassazione. 
1 - Fatto e processo a quo. 
    Con ricorso tempestivamente depositato (20 maggio 2022)  Sbaragli
Gilberto proponeva  opposizione  avverso  il  decreto  ingiuntivo  n.
58/2022 (notificatogli a mezzo posta il 14 aprile 2022) con il  quale
il Tribunale di Ravenna gli aveva ingiunto il pagamento, in favore di
INPS, della somma di 9.904,56 euro, quale preteso indebito  derivante
dal non spettante godimento dell'indennita' di mobilita'. 
    In particolare l'opponente  veniva  licenziato  per  giustificato
motivo oggettivo e iscritto nelle liste di mobilita' nel novembre del
2008, godendo dell'indennita'  relativa  dal  dicembre  del  2008  al
dicembre del  2010,  per  totali  ventiquattro  mesi,  in  base  alla
normativa all'epoca vigente. 
    Il ricorrente  si  iscriveva  nella  gestione  commercianti  come
coadiutore di impresa commerciale (in forma di impresa familiare,  di
titolarita' della moglie dello stesso e della quale lo  Sbaragli  era
collaboratore, come risulta da dichiarazione in forma notarile del 12
maggio 2019, doc. 1 parte ricorrente) con decorrenza  dal  1°  maggio
2009. 
    In data 24 settembre  2019,  l'opponente  riceveva  richiesta  di
restituzione ad INPS  della  somma  di  euro  13.963,40  poiche'  nel
periodo  dal  1°  maggio  2009  al  4  dicembre  2010   -   a   detta
dell'Istituto - era «stata corrisposta indennita'  di  mobilita'  non
spettante  a  lavoratore  per  l'avvenuta  scadenza  del  periodo  di
godimento dell'indennita' medesima», somma che veniva successivamente
rideterminata per difetto al netto della prescrizione, nella somma di
cui alla ingiunzione oggetto dell'odierno giudizio. 
    Nella sostanza INPS  ritiene  che  lo  svolgimento  di  attivita'
autonoma  nel  periodo  di  godimento  dell'indennita'  di  mobilita'
avrebbe comportato  la  perdita  del  diritto  alla  stessa,  essendo
radicalmente preclusa. 
    INPS sostiene anche  che  il  ricorrente,  nel  caso  di  specie,
avrebbe potuto richiedere l'anticipazione dell'indennita' residua  ex
art. 7, comma 5, legge n. 223/91 («il ricorrente nel mese di  ottobre
2019 si e' presentato allo sportello ammortizzatori sociali per avere
chiarimenti sui motivi della notifica dell'indebito e  gli  e'  stato
spiegato che la motivazione era relativa  alla  perdita  del  diritto
della mobilita'... avrebbe potuto  richiedere  l'anticipazione  della
mobilita' ai sensi della legge n. 223/91, art. 7, comma  5»:  memoria
difensiva INPS, pag. 3). 
    Tuttavia, non avendo il ricorrente richiesto  -  nel  maggio  del
2009,  ne'  successivamente  -  l'anticipazione  in   questione,   lo
svolgimento dell'attivita' autonoma gli avrebbe precluso di  ricevere
mensilmente tale indennita' sino alla sua naturale scadenza. 
    Da qui l'esistenza del ritenuto indebito oggettivo. 
    La causa e' matura per la decisione, risultando  da  dirimere  la
questione - in diritto - oggetto della presente ordinanza. 
2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma: 
    La norma che si impugna e' quella per la  quale,  nell'ambito  di
operativita' della legge n. 223/1991 (rilevante  ratione  temporis  -
posto che tutti i fatti rilevanti si sono svolti sotto il suo  ambito
applicativo - ancorche' poi abrogata  ex  legge  n.  92/2012)  ed  in
particolare ai fini della percezione dell'indennita' di mobilita', lo
svolgimento di attivita' autonoma e' con essa incompatibile, salvo il
solo caso in  cui  il  beneficiario  ne  richieda  la  corresponsione
anticipata, detratte le mensilita' gia' godute (ex art. 7, 5° comma). 
    Questa norma, e'  bene  chiarirlo  subito,  non  si  trova  nella
lettera della legge. 
    O meglio, risulta complicato individuare la disposizione  formale
dalla  quale  la  norma  sopra  descritta  viene  ricavata   in   via
interpretativa. 
    Essa e' frutto di una particolare e articolata interpretazione da
parte della Corte di cassazione che  ha  ormai  da  tempo  assunto  i
caratteri del diritto vivente. 
    La disposizione principale oggetto  di  tale  interpretazione  e'
l'art. 7, comma 5° ai sensi del quale «I lavoratori in mobilita'  che
ne facciano richiesta per intraprendere un'attivita' autonoma  o  per
associarsi in cooperativa in conformita' alle norme  vigenti  possono
ottenere la corresponsione anticipata  dell'indennita'  nelle  misure
indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero  di  mensilita'  gia'
godute». 
    Si ritiene che la norma qui censurata derivi, in particolare,  da
una interpretazione restrittiva di tale disposizione,  nonche'  dalla
sua mancata valorizzazione in chiave sistematica. 
    Va quindi rappresentato come si e' giunti al diritto vivente. 
    Esso ha  superato  un  precedente  orientamento  di  legittimita'
secondo il quale, al contrario, tale incompatibilita' non  si  aveva,
l'art. 7, 5° comma confermava  (sistematicamente)  la  compatibilita'
tra svolgimento di attivita' autonoma e percezione dell'indennita' di
mobilita' (perche'  ovviamente  si  puo'  ricevere  il  pagamento  in
un'unica soluzione di qualcosa di cui  si  avrebbe  comunque  diritto
anche in via rateizzata) e la facolta' ivi  prevista  («possono»)  di
richiedere il pagamento  in  un'unica  soluzione  era,  appunto,  una
facolta' (che spettava solo a chi  aveva  intrapreso  lo  svolgimento
dell'attivita' autonoma durante l'iscrizione alle liste e non  a  chi
gia' esercitava la stessa da prima) e non un obbligo. 
    Nel  caso  di  specie  secondo  questo  primo   orientamento   di
legittimita'  vi  era  quindi  compatibilita'  tra  l'indennita'   di
mobilita' e lo svolgimento di  attivita'  autonoma  e  il  non  avere
richiesto l'anticipazione  in  un'unica  soluzione  della  prima  non
significava che la stessa non spettasse, ma semplicemente, che andava
fruita ratealmente («... Questa regola particolare, posta dal  quinto
comma  dell'art.  7,  presuppone  quindi  -  ed  in   cio'   consiste
l'interpretazione sistematica - la  regola  generale  del  perdurante
diritto all'indennita' di mobilita' pur in costanza della svolgimento
di  lavoro  autonomo;  sicche'  il  lavoratore   in   mobilita'   che
intraprende  un'attivita'  di  lavoro  autonomo  puo'  rinunciare  al
beneficio dell'anticipazione e  percepire  l'indennita'  mensilmente,
come di norma. Parimenti si deduce che,  nell'ipotesi  (probabilmente
meno frequente, ma non impossibile  tant'e'  che  e'  proprio  quella
oggetto del presente giudizio) in cui il lavoratore in mobilita' gia'
svolgesse, in costanza di lavoro subordinato, anche lavoro autonomo e
continui a svolgerlo dopo il collocamento in mobilita', non scatta il
beneficio   della   facolta'   di   richiedere   la   "corresponsione
anticipata": il lavoratore ha  diritto  all'indennita'  di  mobilita'
erogata con l'ordinaria periodicita'  mensile  e  non  puo'  chiedere
l'erogazione anticipata  di  tutte  le  mensilita'  spettantegli.  In
conclusione il lavoratore in mobilita'  che  svolga  lavoro  autonomo
conserva non  di  meno  il  diritto  all'iscrizione  nella  lista  di
mobilita' e conserva patimenti il diritto all'indennita' di mobilita'
(sicche' puo' coonestarsi, sotto  il  profilo  della  interpretazione
sistematica esaminata, l'approdo  esegetico  di  Cass.  n.  5951/2001
cit.)»: Cass. n. 6463/2004). 
    Tale interpretazione veniva - gia' solo pochi mesi dopo: Cass. n.
15890/2004 - abbandonata dalla S.C. 
    Valorizzando la funzione (implicita) di finanziamento  (in  senso
lato)  dell'anticipazione  dell'indennita'  di  mobilita'   per   chi
intendesse svolgere attivita' autonoma, ma  soprattutto  operando  un
rinvio diretto (che l'art.  7,  12°  comma  prevederebbe  «in  quanto
applicabile») alle risalenti - e aspecifiche sul punto - disposizioni
in tema di disoccupazione (art. 77, R.D.L. 4 ottobre 1935 n.  1827  e
articoli 52 e ss. R.D. 2270/1924),  e'  stato  ritenuto  che  l'unica
forma compatibile di percezione dell'indennita' di mobilita'  con  lo
svolgimento di attivita' autonoma fosse quella della anticipazione. 
    Nella sostanza, posto che il regio decreto n.  2270/1924  (avente
peraltro natura di regolamento di attuazione) all'art. 52 prevede che
«L'assicurato cessera' dal percepire il sussidio: ... b) quando abbia
trovato nuova occupazione», se ne e'  semplicemente  desunto  che  il
fatto che nel sistema  della  mobilita'  sia  prevista  la  spettanza
dell'indennita' anche in ipotesi di inizio di una attivita' di lavoro
autonomo e che, in  caso  di  percezione  della  stessa  in  un'unica
soluzione, vi sia cancellazione dalle liste  di  mobilita',  sia  una
previsione eccezionale (e irrilevante sistematicamente) e  non  possa
giustificare la compatibilita' tra svolgimento di attivita' di lavoro
autonomo e la percezione rateizzata dell'indennita'. 
    In particolare, secondo Cass. n. 20826/2014  «Lo  svolgimento  di
un'attivita'  lavorativa  autonoma,  come  quella  di  collaborazione
coordinata e continuativa, suscettibile di redditivita', comporta  il
venir meno  dello  stato  di  bisogno  connesso  alla  disoccupazione
involontaria e determina la cessazione del diritto all'indennita'  di
mobilita', quale tipica prestazione di sicurezza sociale,  atteso  il
carattere speciale dell'art. 7, comma 5, della legge 23 luglio  1991,
n. 223, che consente un'erogazione anticipata  dell'indennita'  quale
contributo finanziario all'avvio di attivita' in proprio da parte del
lavoratore in mobilita'». 
    Nello stesso  senso  anche  la  successiva  Cass.  n.  2497/2018,
secondo la quale, in motivazione «4. Questa Corte si e' gia' espressa
circa le finalita' perseguite dall'art. 7, comma 5, le  quali  devono
ravvisarsi nello scopo di indirizzare ed incentivare  il  disoccupato
in  mobilita'  verso  attivita'  autonome,  al  fine  di  ridurre  la
pressione sul mercato del  lavoro  subordinato,  risolvendosi  in  un
contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali  di
un'attivita' che il lavoratore in  mobilita'  svolgera'  in  proprio»
(cfr., ex plurimis, Cass., 18 settembre 2007,  n.  19338;  Cass.,  21
luglio 2004, n. 13562; Cass., 28 gennaio 2004,  n.  1587;  Cass.,  10
settembre 2003, n. 13272; Cass.,  20  giugno  2002,  n.  9007;  e  da
ultimo, Cass., 25 maggio 2010, n. 12746). 5. In sostanza, secondo  la
riferita,  condivisibile  giurisprudenza  l'erogazione  in   un'unica
soluzione ed in via anticipata dei vari ratei dell'indennita' non  e'
piu' funzionale al sostegno dello stato di bisogno  che  nasce  dalla
disoccupazione, cosicche' l'indennita' perde la connotazione tipica -
che le e' propria - di prestazione di sicurezza sociale, per assumere
la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese
iniziali di un'attivita' che il lavoratore in mobilita' svolgera'  in
proprio  (ovvero  associandosi  a  una  cooperativa)   nell'obiettivo
perseguito  dalla  citata  disposizione   legislativa   (configurante
un'ipotesi  tipica  di  legislazione  promozionale)   di   creare   i
presupposti  affinche'  nuovi  soggetti  assumano   l'iniziativa   di
attivita' di natura imprenditoriale o professionale riducendo, in tal
modo, l'eventualita' di un intervento del  sistema  previdenziale  in
forma  meramente   assistenzialistica   e,   sotto   altro   profilo,
sollecitando una partecipazione  «attiva»  da  parte  del  lavoratore
nella ricerca di una nuova occupazione (cfr., ex plurimis, Cass.,  20
giugno 2002, n. 9007). 6. Dato  il  carattere  di  specialita'  della
citata previsione non e' consentito farne applicazione  al  di  fuori
dei casi in essa previsti non trattandosi di un  principio  generale,
per cui va esclusa la compatibilita' della percezione dell'indennita'
in esame con lo svolgimento di lavoro autonomo...». 
    Conforme piu' recentemente anche Cass.  n.  6943/2020  che,  dopo
avere richiamato  e  ribadito  la  correttezza  dell'orientamento  da
ultimo citato, trova una ragione «equitativa» per  discostarsene  (e,
quindi, riconoscendo infine la spettanza dell'indennita' di mobilita'
anche in favore di chi svolgeva lavoro  autonomo)  nella  circostanza
che,  nel  caso  di  specie,  l'accipiens,  svolgesse  una  attivita'
autonoma da prima dell'iscrizione nelle liste di mobilita' (questa la
massima ufficiale: «Lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo e'
incompatibile con la percezione dell'indennita' di mobilita'  di  cui
all'art. 7 della legge n. 223 del 1991, tranne nel  caso  in  cui  il
lavoratore gia' svolgesse, nella  costanza  del  lavoro  subordinato,
anche un lavoro autonomo con esso compatibile, e  quest'ultimo  abbia
continuato a svolgere anche dopo il collocamento in mobilita'. (Nella
specie, la S.C.  ha  confermato  la  sentenza  di  merito  che  aveva
ritenuto  sussistente  il  diritto  a   percepire   l'indennita'   di
mobilita', da parte di un lavoratore  che,  dopo  l'iscrizione  nelle
relative  liste,  aveva  continuato   a   svolgere   l'attivita'   di
amministratore di S.p.a., gia' svolta in precedenza)»). 
    Proprio tale ultimo precedente (ovviamente inapplicabile al  caso
di  specie  in  cui  l'attivita'  autonoma  e'  iniziata  durante  il
godimento della mobilita') rende evidente come non e'  sul  piano  di
una revisione interpretativa complessiva del consolidato orientamento
appena esposto che si muove la S.C. e che, quindi, il diritto vivente
e' piu' forte che mai, e' insuperabile. 
    Dunque,  per  chi  intraprende  lo   svolgimento   dell'attivita'
autonoma, o vi e' richiesta di anticipazione (e  allora  l'indennita'
viene data in un'unica soluzione anticipata, detratte  le  rate  gia'
percepite) o vi e'  cancellazione  dalla  lista  e  l'indennita'  non
spetta piu' in alcuna misura (tantomeno con erogazione mensile). 
3 - I parametri: 
    Si ritiene che il diritto  vivente  si  ponga  innanzi  tutto  in
contrasto con l'art. 3, 1° comma della Costituzione nella  misura  in
cui violi sia regole di ragionevolezza, sia di uguaglianza. 
    Viene inoltre il rilievo l'art. 41, 1° comma  della  Costituzione
ai sensi del quale l'iniziativa economica privata e' libera. 
    Infine, si ritiene sussistente anche un contrasto  tra  la  norma
qui impugnata e l'art. 3, 2° comma della Costituzione. 
4 - La questione. 
    La  questione  si  risolve   nel   seguente   interrogativo:   e'
costituzionalmente legittima la soluzione data dal diritto vivente  e
in base alla quale  -  sotto  l'ambito  applicativo  della  legge  n.
223/1991 - vi e' incompatibilita' tra lo svolgimento di attivita'  di
lavoro autonomo e la percezione dell'indennita' di  mobilita'  al  di
fuori della (sola) ipotesi in cui  si  chieda  l'anticipazione  delle
mensilita' residue in un'unica soluzione? 
5 - Rilevanza della questione. 
    Va premesso che l'astratta applicazione  della  regola  giuridica
qui invocata  sarebbe  pacifica  tra  le  parti,  posto  che  non  e'
contestata tra le stesse la  qualifica  di  lavoratore  autonomo  del
ricorrente (collaboratore dell'impresa familiare  della  moglie)  nel
periodo in oggetto e risulta  pacifico  che  lo  stesso  ha  ricevuto
l'indennita' in questione che ora INPS gli chiede indietro. 
    E cio' e' tanto vero che INPS stessa, negli atti amministrativi e
difensivi,  conferma  che  il  ricorrente  avrebbe  avuto  diritto  a
richiedere e ricevere l'indennita' in forma anticipata. 
    Come anticipato, inoltre, la normativa  da  applicare  e'  quella
rilevante  per  l'epoca  dei  fatti,  ossia  la  legge  n.  223/1991,
ancorche' la stessa sia stata successivamente abrogata. La  questione
e' rilevante in quanto decisiva nel giudizio a quo. 
    Se si applicasse  il  diritto  vivente,  infatti,  il  ricorrente
perderebbe, avendo lo stesso iniziato (successivamente all'iscrizione
nelle liste di mobilita') un'attivita' di lavoro  autonomo  che,  per
stessa ammissione di INPS, gli  avrebbe  permesso  di  accedere  alla
richiesta  di   liquidazione   anticipata   in   un'unica   soluzione
dell'indennita' residua. 
    Lo stesso, tuttavia, non ha mai presentato una  tale  istanza  e,
quindi, ha continuato a ricevere mensilmente l'indennita', in un arco
di tempo durante  il  quale  lo  stesso  svolgeva  contemporaneamente
l'attivita' di lavoro autonomo. 
    INPS (che non fa questione di compatibilita' in  concreto,  ossia
di superamento di soglie reddituali di compatibilita') ora  rivendica
la  restituzione  dell'indennita'  (nella   parte   non   prescritta)
corrisposta per tale periodo, ritenendolo un indebito. 
    L'unica    causa    petendi    dell'indebito     sta,     quindi,
nell'applicazione della regola della  radicale  incompatibilita'  tra
percezione rateizzata dall'indennita' e svolgimento di  attivita'  di
lavoro autonomo. 
    Se la soluzione qui prospettata fosse accolta dalla Consulta,  al
contrario, non sussisterebbe alcun indebito ed il ricorrente potrebbe
trattenere la somma ricevuta da INPS quale  indennita'  di  mobilita'
nel periodo durante il quale lo stesso parimenti  svolgeva  attivita'
di lavoro autonomo. 
    Non emergono, al contrario ed  allo  stato,  ulteriori  cause  di
revoca tali da impedire l'accoglimento  dell'opposizione  laddove  la
presente questione  dovesse  risultare  fondata  (in  particolare  in
memoria difensiva INPS si legge genericamente  di  «  ...perdita  del
diritto  della  mobilita'  per   mancata   comunicazione   di   avvio
dell'attivita' di lavoro autonomo con conseguente perdita del diritto
alla  prestazione...»,  senza  fare  riferimento  ad  alcuna  precisa
disposizione di legge e risultando prima facie inapplicabile la causa
di decadenza di cui all'art. 9, lettera d) in  base  alla  quale  «Il
lavoratore e' cancellato  della  lista  di  mobilita'  e  decade  dai
trattamenti e dalle indennita' di cui agli articoli 7, 11 comma  2  e
16  quanto:  ...  d)  non  abbia   provveduto   a   dare   preventiva
comunicazione alla competente sede dell'INPS del lavoro  prestato  ai
sensi dell'art. 8, comma 6», norma che si  riferisce  all'ipotesi  in
cui "Il lavoratore in mobilita' ha facolta' di svolgere attivita'  di
lavoro subordinato a  tempo  parziale,  ovvero  a  tempo  determinato
mantenendo  l'iscrizione  nella  lista»  e,   dunque,   secondo   una
previsione che non appare applicabile al campo del  lavoro  autonomo;
non  risulterebbero  sussistenti  ulteriori  ipotesi   normativamente
previste di decadenza, come detto nemmeno specificamente lamentate). 
6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. 
    Dell'esistenza di un orientamento consolidato quasi ventennale si
e' gia' dato atto. 
    Il giudice di merito non ha alcuna possibilita'  di  fornire  una
interpretazione  adeguatrice,  posto  che  un   eventuale   decisione
dissonante verrebbe inevitabilmente ed immediatamente riformata sulla
base del diritto vivente consolidato. 
7 - La non manifesta infondatezza della questione. 
  1° vizio: Illogicita' della norma. 
    La norma che esce dall'interpretazione  obbligata  imposta  dalla
S.C. appare illogica e riva di ragionevolezza. 
    A livello insiemistico e logico, il postulato  (anticipazione  in
un'unica   soluzione)   contiene    necessariamente    la    premessa
(compatibilita' tra lavoro autonomo e indennita'), o detto altrimenti
se esiste una norma applicativa di un diritto e' evidente che a monte
quel diritto sussiste. 
    Come si fa, invece, a parlare di anticipare una somma della quale
un soggetto non vanta in via generale un diritto? 
    Al contrario, l'interpretazione della S.C. rende  l'anticipazione
della mobilita' una eccezione, introducendo una regola (non  scritta)
di  incompatibilita'  tra  lavoro   autonomo   e   percezione   della
indennita'. 
    La compatibilita' e',  quindi,  limitata  alla  sola  ipotesi  di
percezione anticipata, essendovi per il resto incompatibilita'. 
    Tale ipotesi appare al di fuori di ogni logica possibile, essendo
un  non  senso  postulare  di  potere  ottenere  legittimamente   una
anticipazione di una somma della quale non si avrebbe diritto laddove
la somma fosse corrisposta ratealmente. 
    Tale conclusione appare illogica anche perche'  fa  dipendere  la
spettanza o meno di una somma di denaro  da  un  elemento  del  tutto
neutro  rispetto  agli  elementi  che  al  contrario  rilevano  nella
fattispecie e che  sono  la  provenienza  da  un  esubero  lavorativo
(dipendente) e l'intrapresa di un'attivita' autonoma. 
    Tali elementi conducono ad un potenziale  percorso  virtuoso  per
tutti, dal lavoratore alle casse erariali (l'autonomo paga  i  propri
contributi,  puo'  assumere  dipendenti  ai  quali   paga   ulteriori
contributi, oltre che lo stipendio, sul quale  vanno  poi  pagate  le
imposte, etc.; cfr. Corte costituzionale n. 194/2021 pur in  tema  di
Naspi). 
    Cio' giustifica, quindi, la dazione dell'indennita' in  questione
all'autonomo al fine proprio di aiutarlo nel  difficile  percorso  di
accesso all'imprenditorialita'. 
    Ecco, rispetto a tale percorso  di  crescita  e  passaggio  dalla
subordinazione  all'autonomia,  basato  sui   due   elementi   appena
descritti, che sono gli unici con un peso sostanziale  meritevole  di
essere considerato, la circostanza  che  l'indennita'  (o,  a  questo
punto, il contributo - a fondo perduto e senza obbligo di  rendiconto
-  all'imprenditorialita')  venga  pagata  in  un'unica  soluzione  o
mensilmente assume valenza del tutto neutra e per questo e'  illogico
farne dipendere una conclusione  capitale  come  la  spettanza  o  la
perdita del contributo. 
    Esaltare la natura di finanziamento che  assume  l'indennita'  in
questione, lungi dal rappresentare un  eldorado  interpretativo,  non
puo' mai condurre secondo logica a inferirne conseguenze ermeneutiche
tali da escludere la spettanza della stessa laddove  ve  ne  sia  una
corresponsione rateizzata. 
    Non esistono, infatti, solo finanziamenti anteriori all'inizio di
un'attivita'  di   impresa.   Al   contrario,   esistono   forme   di
finanziamento che si utilizzano  nell'ambito  della  vita  di,  ossia
nelle quali le somme  finanziate  sono  consegnate  non  in  un'unica
soluzione iniziale, ma periodicamente, in  base  ai  bisogni  e  alle
richieste   del   soggetto   finanziato.   Essenzialmente   tutti   i
finanziamenti su carta commerciale  salvo  buon  fine  vedono  questo
schema, ma anche il  factoring  e  piu'  in  generale  l'apertura  di
credito e lo scoperto senza affidamento: il  credito  viene  concesso
quando serve, dietro richiesta o utilizzo da parte del finanziato. 
    L'argomento  esce  poi  particolarmente  rafforzato  anche  dalla
circostanza che per usufruire dell'anticipo dell'indennita'  al  fine
di iniziare un'attivita' autonoma non e'  previsto  un  controllo  di
effettivita'  dell'utilizzo  della  somma,  ne'  una  rendicontazione
particolare, ne' sono previste scadenze di spesa  (come  in  generale
per i  finanziamenti  di  scopo),  ne'  tantomeno  esistono  barriere
reddituali o patrimoniali all'accesso del contributo. 
    Ne consegue che la somma in questione  puo'  quindi  essere  bene
incamerata in un'unica soluzione e  poi  spesa  un  poco  alla  volta
secondo le cadenze  di  opportunita'  e  necessita'  impartite  dallo
stesso imprenditore, dalla tipologia di  attivita'  e  dall'andamento
degli affari. 
    E, quindi,  ben  puo'  l'accipiens  del  contributo  ricevuto  in
un'unica soluzione non utilizzarlo immediatamente, ma disporne  senza
limiti  nel  tempo,  senza  con  cio'   violare   alcuna   norma   di
comportamento e proprio per questo non essendoci alcun controllo  sul
punto. 
    Essa, per giunta,  potrebbe  essere  spesa  anche  per  finalita'
diverse   da   quelle   imprenditoriali,   come   il    sostentamento
dell'imprenditore e della sua famiglia o l'acquisto di beni  che  non
vengono utilizzati nell'ambito dell'impresa. 
    Anche  da  questo  punto  di  vista,  quindi,  emerge  la  totale
inconferenza,  anche  nell'ottica   che   muove   dalla   natura   di
finanziamento dell'indennita' in favore di  chi  inizia  un'attivita'
autonoma,  della  tempistica  dell'erogazione  della  somma   stessa,
manifestamente  neutra   rispetto   allo   scopo   di   finanziamento
perseguito. 
    E' quindi illogico ed irragionevole sostenere che non ci si possa
finanziare  ratealmente  e,  quindi,   che   la   stessa   ratio   di
finanziamento che sta dietro alla percezione dello stesso in un'unica
soluzione non sussista anche nel caso  di  percezione  rateale  della
stessa identica somma. 
  2° motivo: Ingiustificata disparita' di trattamento. 
    Si    tratta    spesso    dell'altro    lato    della    medaglia
dell'irragionevolezza e dell'illogicita'. 
    Si verifica quando tali vizi aprono le porte  ad  un  trattamento
differenziato di situazioni omogenee se non addirittura uguali. 
    Qui cio'  si  verifica  in  pieno,  posto  che,  rispetto  a  due
ipotetici ex lavoratori collocati entrambi  in  lista  di  mobilita',
entrambi intraprendenti un'attivita' di tipo autonomo, chi  ha  fatto
formale domanda  di  anticipazione  del  trattamento  viene  trattato
diversamente da chi, svolgendo la stessa attivita', non ha fatto tale
domanda. 
    Essendo le due situazioni assolutamente assimilabili dal punto di
vista  degli  elementi  di  rilievo  sostanziale  della   fattispecie
(collocamento nelle liste di mobilita';  intrapresa  di  un'attivita'
autonoma,  fruizione  dell'indennita'  di  mobilita',  necessita'  di
finanziare  la  propria  attivita'),  la  capitale   distinzione   di
trattamento imposta dal diritto vivente discende da un mero  elemento
formale  ed  estrinseco  rappresentato   dalla   periodicita'   della
fruizione, posto che solo chi riceve la somma in una unica  soluzione
anticipata ne ha diritto, mentre chi, per scelta o per  dimenticanza,
riceve la stessa identica somma in via frazionata perde, per  effetto
esclusivo di tale rateizzazione, il relativo diritto. 
    E  cio'  al  Tribunale  di   Ravenna   appare   frutto   di   una
ingiustificata differenza di trattamento, non apparendo (anche  sulla
base di quanto gia' scritto) esistere un motivo logico  in  grado  di
condurre a tale conclusione. 
    Emerge,  inoltre,  una  ulteriore   disparita'   di   trattamento
significativa, tra coloro i quali gia' svolgevano attivita'  autonoma
(parallela a quella subordinata) prima dell'inserimento  nelle  liste
di mobilita' (ai quali l'indennita' spetterebbe anche nella fruizione
rateale e anche contemporaneamente  allo  svolgimento  dell'attivita'
autonoma: Cass. n. 6943/2020, cit.) e coloro i quali,  al  contrario,
hanno  iniziato  a  svolgere  l'attivita'  autonoma   successivamente
all'inserimento  nelle  liste,   soggetti   che   invece   dovrebbero
sottostare alla  piu'  rigida  e  illogica  norma  impugnata  con  la
presente ordinanza. 
    Distinzione,  questa  tra  soggetti  in  posizioni  assolutamente
omogenee e che, come e' evidente, non poggia  su  alcun  elemento  di
fattispecie  significativo  ed  e'  pertanto  del  tutto  illogica  e
discriminatoria. 
    Se il lavoro autonomo non  e'  incompatibile  con  la  percezione
rateizzata dell'indennita',  cio'  deve  essere  sia  per  chi  aveva
l'attivita'  autonoma  prima  di  essere  iscritto  nelle  liste   di
mobilita', sia per chi ha iniziato tale attivita'  dopo  l'iscrizione
nelle stesse, risultando altrimenti il distinguo illogico e come tale
incomprensibile. 
  3° vizio: Liberta' di impresa. 
    Tale ulteriore vizio che si sottopone all'attenzione della  Corte
e' in realta' strettamente collegato ai precedenti, perche' la scelta
di rimettere la spettanza o meno del beneficio economico  di  cui  si
discute esclusivamente nelle mani del termine di corresponsione dello
stesso (unica soluzione: si'; rateizzazione: no), appare lesivo della
liberta' di impresa costituzionalmente tutelata  ai  sensi  dell'art.
41, 1° comma della Costituzione. 
    In questo caso, infatti, la norma introduce un vincolo all'azione
dell'imprenditore che ha effetti rilevantissimi e senza  che  a  cio'
corrisponda alcuna necessita' o utilita' sociale, ne' creandosi danni
alla salute, all'ambiente,  alla  sicurezza,  alla  liberta'  o  alla
dignita' umana (l'iniziativa economica privata «Non puo' svolgersi in
contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare  danno  alla
salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla  liberta',  alla  dignita'
umana»: art. 41, 2°  comma)  o  senza  che  cio'  sia  imposto  dalla
necessita' di bilanciare situazioni  giuridiche  rilevanti  di  altri
soggetti. 
    Ne' risulta possibile iscrivere (e quindi giustificare) la  norma
in questione nell'ambito del 3° comma dell'art. 41 della Costituzione
(«La legge determina i programmi  e  i  controlli  opportuni  perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere  indirizzata  e
coordinata a fini sociali e  ambientali»)  e,  dunque,  con  funzione
antielusiva, posto che, come detto, nella  fattispecie  in  questione
non sono previste barriere reddituali o  patrimoniali  di  accesso  o
controlli ex post di sorta, piu' in generale non essendovi nemmeno un
obbligo di spesa delle somme ricevute, ne' un vincolo di  scopo,  ne'
una rendicontazione, ne' una documentazione. 
    Una volta percepita, la somma e'  nella  totale  discrezionalita'
dell'imprenditore. Condizionarne radicalmente la spettanza sulla base
della tempistica di fruizione appare, pertanto, lesivo della liberta'
dell'imprenditore  di  poter  scegliere  la  fruizione  anticipata  o
rateizzata  (quest'ultima  al  contrario   spettante   per   il   non
imprenditore e, dunque, non incompatibile certamente con la struttura
della misura de qua o con l'organizzazione dell'Istituto solvente). 
  4° vizio: Eguaglianza sostanziale. 
    Sarebbe «...compito della Repubblica rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine economico e sociale, che, limitando di  fatto  la  liberta'  e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana e l'effettiva  partecipazione  di  tutti  i  lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». 
    E la Repubblica in questo caso lo avrebbe fatto, incentivando per
i soggetti collocati nelle liste  di  mobilita'  la  possibilita'  di
divenire lavoratori autonomi, con  tutto  quanto  di  buono  puo'  in
ipotesi conseguirne. 
    Percorso che  puo'  certamente  ascriversi  allo  sviluppo  della
persona  umana,  ma  anche  alla  partecipazione  dell'ex  lavoratore
all'organizzazione economica del Paese. 
    Il diritto vivente, al contrario, ha gravemente compromesso  tale
possibilita',  nella  misura  in  cui   ha   escluso   la   ordinaria
compatibilita' tra la percezione dell'indennita' di  mobilita'  e  lo
svolgimento dell'attivita' di lavoro autonomo (ad eccezione del  solo
caso in cui venga previamente richiesta l'anticipazione). 
    Si tratta evidentemente di un ostacolo  «di  ordine  economico  e
sociale» al «pieno sviluppo della persona umana», oltretutto  gravato
da elementi di grave illogicita', disuguaglianza e compressione della
(appena acquisita) liberta' di iniziativa economica. 
    Anche per tale motivo si chiede, quindi, che la Corte abroghi  la
norma qui impugnata. 
8 - Conclusioni. 
    Alla luce  di  tutto  quanto  argomentato  sinora,  la  questione
prospettata con  la  presente  ordinanza  appare  non  manifestamente
infondata. 
    Come  gia'  anticipato  una  delle  criticita'   della   presente
rimessione  e'  rappresentata  dalla  mancanza   di   una   specifica
disposizione  dalla  quale  viene  ricavata  la   norma   della   cui
legittimita' questo giudice dubita. 
    E la circostanza non e' di poco momento considerato che  ai  fini
della  rimessione  occorre  pur   sempre   individuare   almeno   una
disposizione. 
    Si  ritiene  che  la  stessa  possa  individuarsi  innanzi  tutto
nell'art.  7,  comma  5  della  legge  n.  223/1991,  norma  la   cui
interpretazione (restrittiva ed asistematica) qui  avversata  conduce
direttamente ai risultati dei quali qui si invoca l'abrogazione. 
    In secondo luogo  e  solo  per  scrupolo  argomentativo,  vengono
sottoposte al giudizio della Consulta anche le  disposizioni  che  la
S.C. di cassazione utilizza al fine di ricavare  la  norma  implicita
(qui avversata) dal sistema, ossia l'art. 77  del  R.D.L.  4  ottobre
1935, n. 1827 e l'art. 52 del R.D. 2270/1924. 
    Concludendo, si domanda alla Corte costituzionale  di  dichiarare
incostituzionale l'art. 7, comma 5 della legge n. 223/1991 (ma anche,
ove ritenuto necessario, l'art. 77 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827
e l'art. 52 del  R.D.  2270/1924),  nell'interpretazione  datane  dal
diritto  vivente  della  Corte  di  cassazione   cosi'   come   sopra
ricostruita, ossia nella parte in cui esclude la compatibilita' della
indennita' di mobilita' ricevuta ratealmente e periodicamente con  lo
svolgimento  di  un'attivita'  lavorativa  autonoma,   imponendo   al
lavoratore autonomo la necessita' della richiesta  di  corresponsione
anticipata, pena la perdita del diritto.