TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA Sezione civile Settore lavoro Il Giudice del Lavoro Dario Bernardi, a scioglimento della riserva precedentemente assunta, pronuncia la seguente ordinanza di rimessione della questione della legittimita' costituzionale dell'art. 7, 5° comma, legge n. 223/1991 (nonche' dell'art. 77 del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 e dell'art. 52 del R.D. 2270/1924) nell'interpretazione del diritto vivente della Corte di cassazione. 1 - Fatto e processo a quo. Con ricorso tempestivamente depositato (20 maggio 2022) Sbaragli Gilberto proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 58/2022 (notificatogli a mezzo posta il 14 aprile 2022) con il quale il Tribunale di Ravenna gli aveva ingiunto il pagamento, in favore di INPS, della somma di 9.904,56 euro, quale preteso indebito derivante dal non spettante godimento dell'indennita' di mobilita'. In particolare l'opponente veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo e iscritto nelle liste di mobilita' nel novembre del 2008, godendo dell'indennita' relativa dal dicembre del 2008 al dicembre del 2010, per totali ventiquattro mesi, in base alla normativa all'epoca vigente. Il ricorrente si iscriveva nella gestione commercianti come coadiutore di impresa commerciale (in forma di impresa familiare, di titolarita' della moglie dello stesso e della quale lo Sbaragli era collaboratore, come risulta da dichiarazione in forma notarile del 12 maggio 2019, doc. 1 parte ricorrente) con decorrenza dal 1° maggio 2009. In data 24 settembre 2019, l'opponente riceveva richiesta di restituzione ad INPS della somma di euro 13.963,40 poiche' nel periodo dal 1° maggio 2009 al 4 dicembre 2010 - a detta dell'Istituto - era «stata corrisposta indennita' di mobilita' non spettante a lavoratore per l'avvenuta scadenza del periodo di godimento dell'indennita' medesima», somma che veniva successivamente rideterminata per difetto al netto della prescrizione, nella somma di cui alla ingiunzione oggetto dell'odierno giudizio. Nella sostanza INPS ritiene che lo svolgimento di attivita' autonoma nel periodo di godimento dell'indennita' di mobilita' avrebbe comportato la perdita del diritto alla stessa, essendo radicalmente preclusa. INPS sostiene anche che il ricorrente, nel caso di specie, avrebbe potuto richiedere l'anticipazione dell'indennita' residua ex art. 7, comma 5, legge n. 223/91 («il ricorrente nel mese di ottobre 2019 si e' presentato allo sportello ammortizzatori sociali per avere chiarimenti sui motivi della notifica dell'indebito e gli e' stato spiegato che la motivazione era relativa alla perdita del diritto della mobilita'... avrebbe potuto richiedere l'anticipazione della mobilita' ai sensi della legge n. 223/91, art. 7, comma 5»: memoria difensiva INPS, pag. 3). Tuttavia, non avendo il ricorrente richiesto - nel maggio del 2009, ne' successivamente - l'anticipazione in questione, lo svolgimento dell'attivita' autonoma gli avrebbe precluso di ricevere mensilmente tale indennita' sino alla sua naturale scadenza. Da qui l'esistenza del ritenuto indebito oggettivo. La causa e' matura per la decisione, risultando da dirimere la questione - in diritto - oggetto della presente ordinanza. 2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma: La norma che si impugna e' quella per la quale, nell'ambito di operativita' della legge n. 223/1991 (rilevante ratione temporis - posto che tutti i fatti rilevanti si sono svolti sotto il suo ambito applicativo - ancorche' poi abrogata ex legge n. 92/2012) ed in particolare ai fini della percezione dell'indennita' di mobilita', lo svolgimento di attivita' autonoma e' con essa incompatibile, salvo il solo caso in cui il beneficiario ne richieda la corresponsione anticipata, detratte le mensilita' gia' godute (ex art. 7, 5° comma). Questa norma, e' bene chiarirlo subito, non si trova nella lettera della legge. O meglio, risulta complicato individuare la disposizione formale dalla quale la norma sopra descritta viene ricavata in via interpretativa. Essa e' frutto di una particolare e articolata interpretazione da parte della Corte di cassazione che ha ormai da tempo assunto i caratteri del diritto vivente. La disposizione principale oggetto di tale interpretazione e' l'art. 7, comma 5° ai sensi del quale «I lavoratori in mobilita' che ne facciano richiesta per intraprendere un'attivita' autonoma o per associarsi in cooperativa in conformita' alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell'indennita' nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero di mensilita' gia' godute». Si ritiene che la norma qui censurata derivi, in particolare, da una interpretazione restrittiva di tale disposizione, nonche' dalla sua mancata valorizzazione in chiave sistematica. Va quindi rappresentato come si e' giunti al diritto vivente. Esso ha superato un precedente orientamento di legittimita' secondo il quale, al contrario, tale incompatibilita' non si aveva, l'art. 7, 5° comma confermava (sistematicamente) la compatibilita' tra svolgimento di attivita' autonoma e percezione dell'indennita' di mobilita' (perche' ovviamente si puo' ricevere il pagamento in un'unica soluzione di qualcosa di cui si avrebbe comunque diritto anche in via rateizzata) e la facolta' ivi prevista («possono») di richiedere il pagamento in un'unica soluzione era, appunto, una facolta' (che spettava solo a chi aveva intrapreso lo svolgimento dell'attivita' autonoma durante l'iscrizione alle liste e non a chi gia' esercitava la stessa da prima) e non un obbligo. Nel caso di specie secondo questo primo orientamento di legittimita' vi era quindi compatibilita' tra l'indennita' di mobilita' e lo svolgimento di attivita' autonoma e il non avere richiesto l'anticipazione in un'unica soluzione della prima non significava che la stessa non spettasse, ma semplicemente, che andava fruita ratealmente («... Questa regola particolare, posta dal quinto comma dell'art. 7, presuppone quindi - ed in cio' consiste l'interpretazione sistematica - la regola generale del perdurante diritto all'indennita' di mobilita' pur in costanza della svolgimento di lavoro autonomo; sicche' il lavoratore in mobilita' che intraprende un'attivita' di lavoro autonomo puo' rinunciare al beneficio dell'anticipazione e percepire l'indennita' mensilmente, come di norma. Parimenti si deduce che, nell'ipotesi (probabilmente meno frequente, ma non impossibile tant'e' che e' proprio quella oggetto del presente giudizio) in cui il lavoratore in mobilita' gia' svolgesse, in costanza di lavoro subordinato, anche lavoro autonomo e continui a svolgerlo dopo il collocamento in mobilita', non scatta il beneficio della facolta' di richiedere la "corresponsione anticipata": il lavoratore ha diritto all'indennita' di mobilita' erogata con l'ordinaria periodicita' mensile e non puo' chiedere l'erogazione anticipata di tutte le mensilita' spettantegli. In conclusione il lavoratore in mobilita' che svolga lavoro autonomo conserva non di meno il diritto all'iscrizione nella lista di mobilita' e conserva patimenti il diritto all'indennita' di mobilita' (sicche' puo' coonestarsi, sotto il profilo della interpretazione sistematica esaminata, l'approdo esegetico di Cass. n. 5951/2001 cit.)»: Cass. n. 6463/2004). Tale interpretazione veniva - gia' solo pochi mesi dopo: Cass. n. 15890/2004 - abbandonata dalla S.C. Valorizzando la funzione (implicita) di finanziamento (in senso lato) dell'anticipazione dell'indennita' di mobilita' per chi intendesse svolgere attivita' autonoma, ma soprattutto operando un rinvio diretto (che l'art. 7, 12° comma prevederebbe «in quanto applicabile») alle risalenti - e aspecifiche sul punto - disposizioni in tema di disoccupazione (art. 77, R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 e articoli 52 e ss. R.D. 2270/1924), e' stato ritenuto che l'unica forma compatibile di percezione dell'indennita' di mobilita' con lo svolgimento di attivita' autonoma fosse quella della anticipazione. Nella sostanza, posto che il regio decreto n. 2270/1924 (avente peraltro natura di regolamento di attuazione) all'art. 52 prevede che «L'assicurato cessera' dal percepire il sussidio: ... b) quando abbia trovato nuova occupazione», se ne e' semplicemente desunto che il fatto che nel sistema della mobilita' sia prevista la spettanza dell'indennita' anche in ipotesi di inizio di una attivita' di lavoro autonomo e che, in caso di percezione della stessa in un'unica soluzione, vi sia cancellazione dalle liste di mobilita', sia una previsione eccezionale (e irrilevante sistematicamente) e non possa giustificare la compatibilita' tra svolgimento di attivita' di lavoro autonomo e la percezione rateizzata dell'indennita'. In particolare, secondo Cass. n. 20826/2014 «Lo svolgimento di un'attivita' lavorativa autonoma, come quella di collaborazione coordinata e continuativa, suscettibile di redditivita', comporta il venir meno dello stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria e determina la cessazione del diritto all'indennita' di mobilita', quale tipica prestazione di sicurezza sociale, atteso il carattere speciale dell'art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, che consente un'erogazione anticipata dell'indennita' quale contributo finanziario all'avvio di attivita' in proprio da parte del lavoratore in mobilita'». Nello stesso senso anche la successiva Cass. n. 2497/2018, secondo la quale, in motivazione «4. Questa Corte si e' gia' espressa circa le finalita' perseguite dall'art. 7, comma 5, le quali devono ravvisarsi nello scopo di indirizzare ed incentivare il disoccupato in mobilita' verso attivita' autonome, al fine di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato, risolvendosi in un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attivita' che il lavoratore in mobilita' svolgera' in proprio» (cfr., ex plurimis, Cass., 18 settembre 2007, n. 19338; Cass., 21 luglio 2004, n. 13562; Cass., 28 gennaio 2004, n. 1587; Cass., 10 settembre 2003, n. 13272; Cass., 20 giugno 2002, n. 9007; e da ultimo, Cass., 25 maggio 2010, n. 12746). 5. In sostanza, secondo la riferita, condivisibile giurisprudenza l'erogazione in un'unica soluzione ed in via anticipata dei vari ratei dell'indennita' non e' piu' funzionale al sostegno dello stato di bisogno che nasce dalla disoccupazione, cosicche' l'indennita' perde la connotazione tipica - che le e' propria - di prestazione di sicurezza sociale, per assumere la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attivita' che il lavoratore in mobilita' svolgera' in proprio (ovvero associandosi a una cooperativa) nell'obiettivo perseguito dalla citata disposizione legislativa (configurante un'ipotesi tipica di legislazione promozionale) di creare i presupposti affinche' nuovi soggetti assumano l'iniziativa di attivita' di natura imprenditoriale o professionale riducendo, in tal modo, l'eventualita' di un intervento del sistema previdenziale in forma meramente assistenzialistica e, sotto altro profilo, sollecitando una partecipazione «attiva» da parte del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione (cfr., ex plurimis, Cass., 20 giugno 2002, n. 9007). 6. Dato il carattere di specialita' della citata previsione non e' consentito farne applicazione al di fuori dei casi in essa previsti non trattandosi di un principio generale, per cui va esclusa la compatibilita' della percezione dell'indennita' in esame con lo svolgimento di lavoro autonomo...». Conforme piu' recentemente anche Cass. n. 6943/2020 che, dopo avere richiamato e ribadito la correttezza dell'orientamento da ultimo citato, trova una ragione «equitativa» per discostarsene (e, quindi, riconoscendo infine la spettanza dell'indennita' di mobilita' anche in favore di chi svolgeva lavoro autonomo) nella circostanza che, nel caso di specie, l'accipiens, svolgesse una attivita' autonoma da prima dell'iscrizione nelle liste di mobilita' (questa la massima ufficiale: «Lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo e' incompatibile con la percezione dell'indennita' di mobilita' di cui all'art. 7 della legge n. 223 del 1991, tranne nel caso in cui il lavoratore gia' svolgesse, nella costanza del lavoro subordinato, anche un lavoro autonomo con esso compatibile, e quest'ultimo abbia continuato a svolgere anche dopo il collocamento in mobilita'. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente il diritto a percepire l'indennita' di mobilita', da parte di un lavoratore che, dopo l'iscrizione nelle relative liste, aveva continuato a svolgere l'attivita' di amministratore di S.p.a., gia' svolta in precedenza)»). Proprio tale ultimo precedente (ovviamente inapplicabile al caso di specie in cui l'attivita' autonoma e' iniziata durante il godimento della mobilita') rende evidente come non e' sul piano di una revisione interpretativa complessiva del consolidato orientamento appena esposto che si muove la S.C. e che, quindi, il diritto vivente e' piu' forte che mai, e' insuperabile. Dunque, per chi intraprende lo svolgimento dell'attivita' autonoma, o vi e' richiesta di anticipazione (e allora l'indennita' viene data in un'unica soluzione anticipata, detratte le rate gia' percepite) o vi e' cancellazione dalla lista e l'indennita' non spetta piu' in alcuna misura (tantomeno con erogazione mensile). 3 - I parametri: Si ritiene che il diritto vivente si ponga innanzi tutto in contrasto con l'art. 3, 1° comma della Costituzione nella misura in cui violi sia regole di ragionevolezza, sia di uguaglianza. Viene inoltre il rilievo l'art. 41, 1° comma della Costituzione ai sensi del quale l'iniziativa economica privata e' libera. Infine, si ritiene sussistente anche un contrasto tra la norma qui impugnata e l'art. 3, 2° comma della Costituzione. 4 - La questione. La questione si risolve nel seguente interrogativo: e' costituzionalmente legittima la soluzione data dal diritto vivente e in base alla quale - sotto l'ambito applicativo della legge n. 223/1991 - vi e' incompatibilita' tra lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo e la percezione dell'indennita' di mobilita' al di fuori della (sola) ipotesi in cui si chieda l'anticipazione delle mensilita' residue in un'unica soluzione? 5 - Rilevanza della questione. Va premesso che l'astratta applicazione della regola giuridica qui invocata sarebbe pacifica tra le parti, posto che non e' contestata tra le stesse la qualifica di lavoratore autonomo del ricorrente (collaboratore dell'impresa familiare della moglie) nel periodo in oggetto e risulta pacifico che lo stesso ha ricevuto l'indennita' in questione che ora INPS gli chiede indietro. E cio' e' tanto vero che INPS stessa, negli atti amministrativi e difensivi, conferma che il ricorrente avrebbe avuto diritto a richiedere e ricevere l'indennita' in forma anticipata. Come anticipato, inoltre, la normativa da applicare e' quella rilevante per l'epoca dei fatti, ossia la legge n. 223/1991, ancorche' la stessa sia stata successivamente abrogata. La questione e' rilevante in quanto decisiva nel giudizio a quo. Se si applicasse il diritto vivente, infatti, il ricorrente perderebbe, avendo lo stesso iniziato (successivamente all'iscrizione nelle liste di mobilita') un'attivita' di lavoro autonomo che, per stessa ammissione di INPS, gli avrebbe permesso di accedere alla richiesta di liquidazione anticipata in un'unica soluzione dell'indennita' residua. Lo stesso, tuttavia, non ha mai presentato una tale istanza e, quindi, ha continuato a ricevere mensilmente l'indennita', in un arco di tempo durante il quale lo stesso svolgeva contemporaneamente l'attivita' di lavoro autonomo. INPS (che non fa questione di compatibilita' in concreto, ossia di superamento di soglie reddituali di compatibilita') ora rivendica la restituzione dell'indennita' (nella parte non prescritta) corrisposta per tale periodo, ritenendolo un indebito. L'unica causa petendi dell'indebito sta, quindi, nell'applicazione della regola della radicale incompatibilita' tra percezione rateizzata dall'indennita' e svolgimento di attivita' di lavoro autonomo. Se la soluzione qui prospettata fosse accolta dalla Consulta, al contrario, non sussisterebbe alcun indebito ed il ricorrente potrebbe trattenere la somma ricevuta da INPS quale indennita' di mobilita' nel periodo durante il quale lo stesso parimenti svolgeva attivita' di lavoro autonomo. Non emergono, al contrario ed allo stato, ulteriori cause di revoca tali da impedire l'accoglimento dell'opposizione laddove la presente questione dovesse risultare fondata (in particolare in memoria difensiva INPS si legge genericamente di « ...perdita del diritto della mobilita' per mancata comunicazione di avvio dell'attivita' di lavoro autonomo con conseguente perdita del diritto alla prestazione...», senza fare riferimento ad alcuna precisa disposizione di legge e risultando prima facie inapplicabile la causa di decadenza di cui all'art. 9, lettera d) in base alla quale «Il lavoratore e' cancellato della lista di mobilita' e decade dai trattamenti e dalle indennita' di cui agli articoli 7, 11 comma 2 e 16 quanto: ... d) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede dell'INPS del lavoro prestato ai sensi dell'art. 8, comma 6», norma che si riferisce all'ipotesi in cui "Il lavoratore in mobilita' ha facolta' di svolgere attivita' di lavoro subordinato a tempo parziale, ovvero a tempo determinato mantenendo l'iscrizione nella lista» e, dunque, secondo una previsione che non appare applicabile al campo del lavoro autonomo; non risulterebbero sussistenti ulteriori ipotesi normativamente previste di decadenza, come detto nemmeno specificamente lamentate). 6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. Dell'esistenza di un orientamento consolidato quasi ventennale si e' gia' dato atto. Il giudice di merito non ha alcuna possibilita' di fornire una interpretazione adeguatrice, posto che un eventuale decisione dissonante verrebbe inevitabilmente ed immediatamente riformata sulla base del diritto vivente consolidato. 7 - La non manifesta infondatezza della questione. 1° vizio: Illogicita' della norma. La norma che esce dall'interpretazione obbligata imposta dalla S.C. appare illogica e riva di ragionevolezza. A livello insiemistico e logico, il postulato (anticipazione in un'unica soluzione) contiene necessariamente la premessa (compatibilita' tra lavoro autonomo e indennita'), o detto altrimenti se esiste una norma applicativa di un diritto e' evidente che a monte quel diritto sussiste. Come si fa, invece, a parlare di anticipare una somma della quale un soggetto non vanta in via generale un diritto? Al contrario, l'interpretazione della S.C. rende l'anticipazione della mobilita' una eccezione, introducendo una regola (non scritta) di incompatibilita' tra lavoro autonomo e percezione della indennita'. La compatibilita' e', quindi, limitata alla sola ipotesi di percezione anticipata, essendovi per il resto incompatibilita'. Tale ipotesi appare al di fuori di ogni logica possibile, essendo un non senso postulare di potere ottenere legittimamente una anticipazione di una somma della quale non si avrebbe diritto laddove la somma fosse corrisposta ratealmente. Tale conclusione appare illogica anche perche' fa dipendere la spettanza o meno di una somma di denaro da un elemento del tutto neutro rispetto agli elementi che al contrario rilevano nella fattispecie e che sono la provenienza da un esubero lavorativo (dipendente) e l'intrapresa di un'attivita' autonoma. Tali elementi conducono ad un potenziale percorso virtuoso per tutti, dal lavoratore alle casse erariali (l'autonomo paga i propri contributi, puo' assumere dipendenti ai quali paga ulteriori contributi, oltre che lo stipendio, sul quale vanno poi pagate le imposte, etc.; cfr. Corte costituzionale n. 194/2021 pur in tema di Naspi). Cio' giustifica, quindi, la dazione dell'indennita' in questione all'autonomo al fine proprio di aiutarlo nel difficile percorso di accesso all'imprenditorialita'. Ecco, rispetto a tale percorso di crescita e passaggio dalla subordinazione all'autonomia, basato sui due elementi appena descritti, che sono gli unici con un peso sostanziale meritevole di essere considerato, la circostanza che l'indennita' (o, a questo punto, il contributo - a fondo perduto e senza obbligo di rendiconto - all'imprenditorialita') venga pagata in un'unica soluzione o mensilmente assume valenza del tutto neutra e per questo e' illogico farne dipendere una conclusione capitale come la spettanza o la perdita del contributo. Esaltare la natura di finanziamento che assume l'indennita' in questione, lungi dal rappresentare un eldorado interpretativo, non puo' mai condurre secondo logica a inferirne conseguenze ermeneutiche tali da escludere la spettanza della stessa laddove ve ne sia una corresponsione rateizzata. Non esistono, infatti, solo finanziamenti anteriori all'inizio di un'attivita' di impresa. Al contrario, esistono forme di finanziamento che si utilizzano nell'ambito della vita di, ossia nelle quali le somme finanziate sono consegnate non in un'unica soluzione iniziale, ma periodicamente, in base ai bisogni e alle richieste del soggetto finanziato. Essenzialmente tutti i finanziamenti su carta commerciale salvo buon fine vedono questo schema, ma anche il factoring e piu' in generale l'apertura di credito e lo scoperto senza affidamento: il credito viene concesso quando serve, dietro richiesta o utilizzo da parte del finanziato. L'argomento esce poi particolarmente rafforzato anche dalla circostanza che per usufruire dell'anticipo dell'indennita' al fine di iniziare un'attivita' autonoma non e' previsto un controllo di effettivita' dell'utilizzo della somma, ne' una rendicontazione particolare, ne' sono previste scadenze di spesa (come in generale per i finanziamenti di scopo), ne' tantomeno esistono barriere reddituali o patrimoniali all'accesso del contributo. Ne consegue che la somma in questione puo' quindi essere bene incamerata in un'unica soluzione e poi spesa un poco alla volta secondo le cadenze di opportunita' e necessita' impartite dallo stesso imprenditore, dalla tipologia di attivita' e dall'andamento degli affari. E, quindi, ben puo' l'accipiens del contributo ricevuto in un'unica soluzione non utilizzarlo immediatamente, ma disporne senza limiti nel tempo, senza con cio' violare alcuna norma di comportamento e proprio per questo non essendoci alcun controllo sul punto. Essa, per giunta, potrebbe essere spesa anche per finalita' diverse da quelle imprenditoriali, come il sostentamento dell'imprenditore e della sua famiglia o l'acquisto di beni che non vengono utilizzati nell'ambito dell'impresa. Anche da questo punto di vista, quindi, emerge la totale inconferenza, anche nell'ottica che muove dalla natura di finanziamento dell'indennita' in favore di chi inizia un'attivita' autonoma, della tempistica dell'erogazione della somma stessa, manifestamente neutra rispetto allo scopo di finanziamento perseguito. E' quindi illogico ed irragionevole sostenere che non ci si possa finanziare ratealmente e, quindi, che la stessa ratio di finanziamento che sta dietro alla percezione dello stesso in un'unica soluzione non sussista anche nel caso di percezione rateale della stessa identica somma. 2° motivo: Ingiustificata disparita' di trattamento. Si tratta spesso dell'altro lato della medaglia dell'irragionevolezza e dell'illogicita'. Si verifica quando tali vizi aprono le porte ad un trattamento differenziato di situazioni omogenee se non addirittura uguali. Qui cio' si verifica in pieno, posto che, rispetto a due ipotetici ex lavoratori collocati entrambi in lista di mobilita', entrambi intraprendenti un'attivita' di tipo autonomo, chi ha fatto formale domanda di anticipazione del trattamento viene trattato diversamente da chi, svolgendo la stessa attivita', non ha fatto tale domanda. Essendo le due situazioni assolutamente assimilabili dal punto di vista degli elementi di rilievo sostanziale della fattispecie (collocamento nelle liste di mobilita'; intrapresa di un'attivita' autonoma, fruizione dell'indennita' di mobilita', necessita' di finanziare la propria attivita'), la capitale distinzione di trattamento imposta dal diritto vivente discende da un mero elemento formale ed estrinseco rappresentato dalla periodicita' della fruizione, posto che solo chi riceve la somma in una unica soluzione anticipata ne ha diritto, mentre chi, per scelta o per dimenticanza, riceve la stessa identica somma in via frazionata perde, per effetto esclusivo di tale rateizzazione, il relativo diritto. E cio' al Tribunale di Ravenna appare frutto di una ingiustificata differenza di trattamento, non apparendo (anche sulla base di quanto gia' scritto) esistere un motivo logico in grado di condurre a tale conclusione. Emerge, inoltre, una ulteriore disparita' di trattamento significativa, tra coloro i quali gia' svolgevano attivita' autonoma (parallela a quella subordinata) prima dell'inserimento nelle liste di mobilita' (ai quali l'indennita' spetterebbe anche nella fruizione rateale e anche contemporaneamente allo svolgimento dell'attivita' autonoma: Cass. n. 6943/2020, cit.) e coloro i quali, al contrario, hanno iniziato a svolgere l'attivita' autonoma successivamente all'inserimento nelle liste, soggetti che invece dovrebbero sottostare alla piu' rigida e illogica norma impugnata con la presente ordinanza. Distinzione, questa tra soggetti in posizioni assolutamente omogenee e che, come e' evidente, non poggia su alcun elemento di fattispecie significativo ed e' pertanto del tutto illogica e discriminatoria. Se il lavoro autonomo non e' incompatibile con la percezione rateizzata dell'indennita', cio' deve essere sia per chi aveva l'attivita' autonoma prima di essere iscritto nelle liste di mobilita', sia per chi ha iniziato tale attivita' dopo l'iscrizione nelle stesse, risultando altrimenti il distinguo illogico e come tale incomprensibile. 3° vizio: Liberta' di impresa. Tale ulteriore vizio che si sottopone all'attenzione della Corte e' in realta' strettamente collegato ai precedenti, perche' la scelta di rimettere la spettanza o meno del beneficio economico di cui si discute esclusivamente nelle mani del termine di corresponsione dello stesso (unica soluzione: si'; rateizzazione: no), appare lesivo della liberta' di impresa costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 41, 1° comma della Costituzione. In questo caso, infatti, la norma introduce un vincolo all'azione dell'imprenditore che ha effetti rilevantissimi e senza che a cio' corrisponda alcuna necessita' o utilita' sociale, ne' creandosi danni alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla liberta' o alla dignita' umana (l'iniziativa economica privata «Non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana»: art. 41, 2° comma) o senza che cio' sia imposto dalla necessita' di bilanciare situazioni giuridiche rilevanti di altri soggetti. Ne' risulta possibile iscrivere (e quindi giustificare) la norma in questione nell'ambito del 3° comma dell'art. 41 della Costituzione («La legge determina i programmi e i controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali») e, dunque, con funzione antielusiva, posto che, come detto, nella fattispecie in questione non sono previste barriere reddituali o patrimoniali di accesso o controlli ex post di sorta, piu' in generale non essendovi nemmeno un obbligo di spesa delle somme ricevute, ne' un vincolo di scopo, ne' una rendicontazione, ne' una documentazione. Una volta percepita, la somma e' nella totale discrezionalita' dell'imprenditore. Condizionarne radicalmente la spettanza sulla base della tempistica di fruizione appare, pertanto, lesivo della liberta' dell'imprenditore di poter scegliere la fruizione anticipata o rateizzata (quest'ultima al contrario spettante per il non imprenditore e, dunque, non incompatibile certamente con la struttura della misura de qua o con l'organizzazione dell'Istituto solvente). 4° vizio: Eguaglianza sostanziale. Sarebbe «...compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». E la Repubblica in questo caso lo avrebbe fatto, incentivando per i soggetti collocati nelle liste di mobilita' la possibilita' di divenire lavoratori autonomi, con tutto quanto di buono puo' in ipotesi conseguirne. Percorso che puo' certamente ascriversi allo sviluppo della persona umana, ma anche alla partecipazione dell'ex lavoratore all'organizzazione economica del Paese. Il diritto vivente, al contrario, ha gravemente compromesso tale possibilita', nella misura in cui ha escluso la ordinaria compatibilita' tra la percezione dell'indennita' di mobilita' e lo svolgimento dell'attivita' di lavoro autonomo (ad eccezione del solo caso in cui venga previamente richiesta l'anticipazione). Si tratta evidentemente di un ostacolo «di ordine economico e sociale» al «pieno sviluppo della persona umana», oltretutto gravato da elementi di grave illogicita', disuguaglianza e compressione della (appena acquisita) liberta' di iniziativa economica. Anche per tale motivo si chiede, quindi, che la Corte abroghi la norma qui impugnata. 8 - Conclusioni. Alla luce di tutto quanto argomentato sinora, la questione prospettata con la presente ordinanza appare non manifestamente infondata. Come gia' anticipato una delle criticita' della presente rimessione e' rappresentata dalla mancanza di una specifica disposizione dalla quale viene ricavata la norma della cui legittimita' questo giudice dubita. E la circostanza non e' di poco momento considerato che ai fini della rimessione occorre pur sempre individuare almeno una disposizione. Si ritiene che la stessa possa individuarsi innanzi tutto nell'art. 7, comma 5 della legge n. 223/1991, norma la cui interpretazione (restrittiva ed asistematica) qui avversata conduce direttamente ai risultati dei quali qui si invoca l'abrogazione. In secondo luogo e solo per scrupolo argomentativo, vengono sottoposte al giudizio della Consulta anche le disposizioni che la S.C. di cassazione utilizza al fine di ricavare la norma implicita (qui avversata) dal sistema, ossia l'art. 77 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 e l'art. 52 del R.D. 2270/1924. Concludendo, si domanda alla Corte costituzionale di dichiarare incostituzionale l'art. 7, comma 5 della legge n. 223/1991 (ma anche, ove ritenuto necessario, l'art. 77 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 e l'art. 52 del R.D. 2270/1924), nell'interpretazione datane dal diritto vivente della Corte di cassazione cosi' come sopra ricostruita, ossia nella parte in cui esclude la compatibilita' della indennita' di mobilita' ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di un'attivita' lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la necessita' della richiesta di corresponsione anticipata, pena la perdita del diritto.