LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA 
           (Ex Commissione Tributaria Provinciale di Roma) 
                             Sezione 28 
 
    Riunita in udienza il  7  luglio  2022  alle  ore  11,00  con  la
seguente composizione collegiale: 
      Zucchelli Claudio, Presidente e Relatore; 
      Lamorgese Antonio Pietro Maria, Giudice; 
      Aquino Nunzio, Giudice; 
    in data 7 luglio 2022 ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul
ricorso n. 11397/2020 depositato il 30 ottobre 2020; 
    proposto da R C. T. S.r.l. - 08482171009; 
    difeso da Gennaro Borriello -BRRGNR55H11F839W; Alfonso Magliulo -
MGLLNS66H09F839C; Fiorella Titolo - TTLFLL71D66F839V; 
    Rappresentato  da  Roberto  Ferrarini   -   FRRRRT63C24E897J   ed
elettivamente                   domiciliato                    presso
fiorellatitolo@avvocatinapoli.legalmail.it; 
    contro Regione Lazio; 
    difeso da Marco  Marafini  -  MRFMRC68T01E472C  ed  elettivamente
domiciliato presso federalismofiscale@regione.lazio.legalmail.it; 
    Avente ad oggetto l'impugnazione di: avviso di accertamento n...; 
    a seguito di discussione in pubblica udienza. 
 
                                Fatto 
 
    Con atto di accertamento e contestuale irrogazione  sanzione,  la
Regione Lazio ha ingiunto alla R. C. T. S.r.l. (d'ora innanzi  RCT  o
«la  ricorrente»)  il  pagamento  della   imposta   regionale   sulle
concessioni statali dei beni del demanio marittimo istituita ai sensi
dell'art. 6 legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, dovuta in
relazione alla concessione del... 
    Avverso tale atto la RCT propone ricorso per i seguenti motivi: 
      1) Con il primo motivo lamenta Violazione e falsa  applicazione
dell'art. 6 della legge regionale del Lazio  29  aprile  2013  n.  2.
Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del decreto legislativo 6
maggio 2011, n. 68 e  della  legge  delega  5  maggio  2009,  n.  42.
Violazione e falsa applicazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84. 
    Osserva che la legge n. 84/1994 ha  riordinato  l'intero  sistema
portuale istituendo le Autorita' Portuali, oggi Autorita' di  Sistema
Portuale-AdSP, cui sono devoluti i canoni di concessione versati  dai
concessionari delle  aree  demaniali  siti  nella  circoscrizione  di
competenza delle stesse AdSP. Detti canoni, quindi, costituiscono  la
provvista finanziaria per le AdSP  per  la  erogazione  dei  servizi.
L'art. 1  della  legge  n.  16  maggio  1970  n.  281  (Provvedimenti
finanziari  per  l'attuazione  delle  Regioni  a  statuto  ordinario)
istituisce un tributo derivato a favore delle Regioni, costituito  da
un'imposta sulle concessioni statali dei beni del  demanio  siti  nel
proprio  territorio.  Poiche'  le  concessioni  di  cui  si   discute
rientrano nell'ambito delle circoscrizioni delle Autorita'  portuali,
e proprio per questo motivo sono rilasciate da tali enti autonomi, ne
consegue il venir meno del  relativo  requisito  soggettivo  giacche'
nella fattispecie non possono essere soggetti passivi dell'imposta in
parola, che e' regionale,  i  titolari  delle  concessioni  demaniali
rilasciate dalle Autorita' portuali. 
    L'espressione «beni del demanio siti nel proprio territorio»  non
va intesa in senso geografico, ma funzionale, cioe' intendendosi  con
essa l'ambito su cui la Regione esercita le sue funzioni. 
    Poiche' sui porti di interesse nazionale sedi di AdSP la  Regione
non esercita alcun potere amministrativo, ne consegue  che  sui  beni
siti nella circoscrizione della AdSP la cui concessione da' luogo  al
pagamento del canone, viene meno la stessa potesta' impositiva  della
Regione, e l'accertamento impugnato, quindi, e' illegittimo. 
      2) Con il secondo motivo lamenta la violazione  degli  articoli
3, 23 e 53 della Costituzione nonche' del principio di ragionevolezza
e correlazione. 
    Osserva che la legge di delegazione n. 42 del 2009  ha  previsto,
tra le altre, per attuare l'art.  119  della  Costituzione  sotto  il
profilo  finanziario,  la  possibilita'  di  garantire  alle  Regioni
tributi propri e non solo derivati, cosi' come definiti dall'art.  7,
comma 1, lettera b) della legge n. 42 del 2009, fissando  principi  e
criteri direttivi. RCT quindi lamenta che la disposizione  regionale,
che sottopone all'imposta de qua i canoni delle concessioni demaniali
rilasciate  dalle  AdSP,  sia  costituzionalmente   illegittima   per
violazione, ad opera del  decreto  delegato  n.  281  del  1970,  dei
principi di ragionevolezza (art 3, comma 2  della  Costituzione),  di
legalita'  e  riserva  di  legge  (art.  23  della  Costituzione)  di
capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione), e per violazione
dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega  n.  42
del 2009 che aveva indicato gli stessi al legislatore  delegato.  Sul
punto osserva che la legge di delegazione n. 42 ha individuato  (art.
2), tra gli  altri,  i  seguenti  criteri:  «...  n-1)  rispetto  del
criterio ... della capacita' contributiva ai fini del  concorso  alle
spese pubbliche; p) tendenziale correlazione tra prelievo  fiscale  e
beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da
favorire  la  corrispondenza  tra   responsabilita'   finanziaria   e
amministrativa;  continenza  e  responsabilita'  nell'imposizione  di
tributi propri.». 
    Emergono  in  particolare  il  rispetto  dei  principi:   a)   di
continenza; b)  di  correlazione;  c)  del  divieto  di  duplicazione
dell'imposta;  d)  della   conferma   dei   principi   di   capacita'
contributiva e progressivita'. RCT precisa che il c.d. «principio  di
continenza»  e'  condizione  necessaria  affinche'  il  tributo   sia
considerato  «proprio»,  ossia  espressivo  della   (e   strettamente
funzionale alla) autonomia amministrativa della  Regione  e,  dunque,
connesso alle materie di competenza regionale,  attraverso  un  nesso
imprescindibile tra l'esercizio delle funzioni attribuite, i  servizi
pubblici erogati e la relativa imposizione. Esso  e'  espresso  nella
lettera p) del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 42/2009  come:  «p)
tendenziale correlazione tra prelievo fiscale  e  beneficio  connesso
alle funzioni esercitate  sul  territorio  in  modo  da  favorire  la
corrispondenza  tra  responsabilita'  finanziaria  e  amministrativa;
continenza e responsabilita' nell'imposizione di tributi propri;». 
    Vi e', poi, un «principio di  correlazione»  che  presuppone  una
identificazione tra Ente impositore ed Ente erogante i servizi o beni
pubblici richiesti dalla collettivita' locale in modo che  i  gettiti
provenienti  dai  tributi,  rispettosi  della   correlazione,   siano
destinati  esclusivamente  alla  copertura  delle  specifiche   spese
sostenute per la fornitura di beni o  prestazioni  pubbliche,  quindi
con  un  esercizio  di  moderazione  nella  imposizione   finalizzato
esclusivamente a tali scopi. I richiamati principi impongono, quindi,
una stretta connessione tra «cosa tassata e cosa  amministrata»,  per
ciascun livello di governo, in modo da  garantire  la  corrispondenza
tra  responsabilita'  di  entrata  e  responsabilita'  di  spesa.  Ne
consegue  che  e'  inibito  alla  Regione  istituire  e  disciplinare
«tributi propri» su concessioni rilasciate dalle Autorita' Portuali e
cio' per due ragioni. 
I. In primo luogo, non ricorre la indicata identificazione  fra  Ente
impositore ed Ente erogatore di servizi. 
  II. Inoltre, non ricorre neanche quel parallelismo  fra  competenza
amministrativa,  gestione  e  autonomia   tributaria   espresso   dai
richiamati principi di correlazione e continenza. 
    Ed infatti, gli ambiti  portuali  come  quelli  di  Civitavecchia
rimangono di esclusiva competenza statale, sia con  riferimento  alle
funzioni  amministrative,  sia  con   riferimento   alla   proprieta'
demaniale del bene sia al sostentamento dei costi per  la  erogazione
dei servizi,  che  sono  reperiti  esclusivamente  tramite  i  canoni
concessori. Anche sotto il profilo della  proprieta'  delle  aree  in
concessione, RCT ricorda che gia' dal  primo  intervento  legislativo
volto a realizzare una maggiore  autonomia  amministrativa  regionale
(decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, art.  105,  in  attuazione
della delega  contenuta  nella  legge  15  marzo  1997,  n.  59),  il
legislatore  ha  stabilito  che,  nell'ambito  dei  trasporti,  «sono
conferite alle Regioni e agli  Enti  locali  tutte  le  funzioni  non
espressamente <...> attribuite alle autorita' portuali dalla legge 28
gennaio 1994, n. 84» e, in particolare, nell'individuare le  funzioni
conferite agli Enti territoriali, espressamente ha disposto che «tale
conferimento non opera nei porti finalizzati alla difesa militare  ed
alla  sicurezza  dello  Stato,  nei  porti  di  rilevanza   economica
internazionale  e  nazionale,  nonche'  nelle  aree   di   preminente
interesse nazionale...», fra i quali rientrano i porti sedi  di  AdSP
quindi anche il Porto di Civitavecchia. 
    A tal proposito, sul piano del  c.d.  federalismo  demaniale,  la
citata Legge delega n. 42/2009 ha delegato ai decreti legislativi  la
individuazione delle tipologie di beni di «rilevanza  nazionale»  che
non possono essere trasferiti (art. 19)  e,  in  esecuzione  di  tale
delega, il decreto legislativo 18 maggio 2010 n. 85, nel disporre  il
trasferimento dei beni statali alle Regioni e agli  Enti  locali,  ha
espressamente escluso da tale trasferimento: i) i  beni  appartenenti
al demanio marittimo  non  direttamente  utilizzati  dallo  Stato;  e
ancora piu' specificamente ii) i porti e gli aeroporti  di  rilevanza
economica  nazionale  e  internazionale,  secondo  la  normativa   di
settore. Per tali motivi solleva questione di  costituzionalita'  nei
confronti dei commi 1, 2 e 3  dell'art.  6  legge  regione  Lazio  29
aprile 2013, n. 2,  nella  parte  in  cui,  nell'istituire  l'imposta
regionale sulle concessioni statali dei beni del  demanio  marittimo,
di cui all'art. 2 della legge 16 maggio 1970, n.  281  quale  tributo
proprio (comma 1), prevede che  l'imposta  sia  dovuta  alla  Regione
anche dai titolari delle concessioni statali (comma 2)  rilasciate  e
gestite dalle autorita' portuali (comma 3).  E,  in  ogni  caso,  non
esclude dalla sua applicazione le concessioni delle aree demaniali di
Porti di rilevanza economica di preminente  interesse  statale,  come
quello di Civitavecchia, per violazione  degli  articoli  117  e  119
della Costituzione Nonche' per violazione dei  principi  del  decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68 art. 8, di cui la legge regionale e'
attuazione e conseguente violazione anche dei principi della legge n.
42/2009 attraverso la norma interposta di cui al decreto  legislativo
n. 68/2011. 
    La legge regionale avrebbe infatti istituito  un  nuovo  tributo,
non  gia'  si  sarebbe  limitata  a   trasformare   l'imposta   sulle
concessioni in imposta sui canoni, violando cosi' la delega contenuta
nella legge n. 42 del 2009,  attraverso  la  violazione  della  norma
interposta costituita dal decreto  legislativo  n.  68  del  2011  di
attuazione della legge n. 42 del 2009. Si  chiede,  inoltre,  che  la
questione di legittimita'  costituzionale  sia  sollevata  anche  nei
confronti dell'art. 8 decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68,  per
eccesso di delega, violazione dei principi e criteri direttivi  della
Legge di delega n. 42/2009, nonche' per violazione  art.  117  e  119
della  Costituzione  se  interpretato  nel   senso   di   autorizzare
l'imposizione sui canoni erariali riscossi dalle AdSP. 
      3) Nella  memoria  la  ricorrente  precisa  che  il  dubbio  di
incostituzionalita' investe anche l'art. 6 della legge regionale  del
Lazio n. 2 del 2013. 
    Ripercorrendo la successione di leggi nel tempo, con  riferimento
alle funzioni delegate o trasferite alle Regioni, precisa  che  anche
in occasione della delega alle Regioni delle funzioni  amministrative
su beni statali, con l'art. 59, comma 2 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione  della  delega
contenuta nell'art.  1  della  legge  22  luglio  1975,  n.  382,  si
disponeva: «2. La delega di cui al comma precedente non si applica ai
porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli
interessi  della  sicurezza  dello  Stato  e  alle   esigenze   della
navigazione  marittima.  L'identificazione  delle  aree  predette  e'
effettuata, entro il 31 dicembre 1978, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, ...». 
    Il decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  e'  stato
emanato in data 21 dicembre 1995 e contempla, oltre ad altri, tutti i
porti sede di AdSP  e  nella  specie  Civitavecchia.  Successivamente
anche  l'art.  19  della  legge  n.  42  del  2009,  in  materia   di
trasferimento delle funzioni su beni demaniali alle Regioni,  dispone
che nel decreto delegato siano individuate le tipologie  di  beni  di
rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti. In  attuazione
di tale criterio direttivo,  il  successivo  decreto  legislativo  28
maggio 2010, n. 85, art. 5, comma 2, ha disposto  che  «...  Sono  in
ogni caso esclusi dal trasferimento: ... i porti e gli  aeroporti  di
rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la  normativa
di settore; ...». 
    Deduce la ricorrente che la legge regionale non e' che attuazione
del decreto legislativo n. 68 del 2011, il quale a sua volta attua la
delega contenuta nella legge n. 42 del 2009. 
    L'art. 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011 non consente alle
Regioni di introdurre nuovi tributi ma  solo  di  trasformare  alcuni
tributi  erariali  esistenti  in  tributi  da  derivati   a   propri.
Espressamente esso richiama il decreto-legge 5 ottobre 1993, n.  400,
recante la disciplina della determinazione dei canoni demaniali,  nei
soli articoli 1, 5 e 6 (che riguardano le funzioni delegate)  ma  non
nell'art. 7 che riguarda appunto i  canoni  per  le  concessioni  nei
porti dotati di autorita'. 
    E infatti, correttamente il citato art. 8 trasforma l'imposta  su
canoni concessori in tributo proprio della  Regione,  delimitando  il
campo oggettivo ai soli beni contemplati dagli articoli 1, 5 e 6  del
decreto-legge n. 400/1993 ovvero quelli trasferiti alle  Regioni,  ma
non l'art. 7 che si occupa invece dei porti ove esistono le Autorita'
Portuali. 
    Conseguentemente la legge regionale n. 2 del 2013 avrebbe violato
l'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del  2011  il  quale  consente
solo di trasformare il tributo erariale in tributo proprio  avendo  a
presupposto  impositivo  il  pagamento  dei  canoni  dovuti  per   le
concessioni  nei  porti  le  cui  funzioni  siano  state  delegate  o
trasferite alle Regioni, ma non il pagamento dei canoni dovuti per la
concessione demaniale nei porti sede  di  AdSP  che  non  sono  stati
trasferiti e sui  quali  la  Regione  non  esercita  alcuna  funziona
amministrativa. In tal modo la Regione avrebbe istituito ex  novo  un
tributo, nuovo poiche' si  fonderebbe  su  un  presupposto  d'imposta
quantitativamente  e  qualitativamente  diverso  da  quello  definito
dall'art.  8  del  decreto  legislativo  n.  68  del  2011  attuativo
dell'art. 2 della legge n. 281 del 1970. 
    La trasformazione  in  tributo  proprio,  infatti,  e'  possibile
secondo le due norme da  ultimo  citate  solo  con  l'invarianza  del
presupposto, nonche' delle componenti, soggettive e oggettive. 
      3) Ove le considerazioni che precedano  non  conducano  ad  una
interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 del  decreto
legislativo n. 68 del 2011, che escluda i canoni concessori a  favore
delle AdSP dalla imposizione, la RCT  deduce  allora  una  violazione
della legge di delegazione n. 42 del 2009 da parte dello stesso  art.
8 che ne e' attuazione. Conseguentemente, per violazione della  norma
interposta, anche la violazione della legge di delegazione n. 42  del
2009 da parte della legge regionale. 
      La  legge  n.  42  del  2009,  infatti  contiene  principi   di
attuazione, coerenti con la materia della finanza pubblica  e  quindi
incidenti in tutte le materie, che possono riassumersi nei seguenti: 
      a) Attribuzione di risorse autonome agli  enti  locali  e  alle
Regioni, in relazione alle rispettive competenze; 
      b) Tendenziale correlazione tra prelievo  fiscale  e  beneficio
connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da  favorire
la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria  e  amministrativa;
continenza e responsabilita'  nella  imposizione  di  tributi  propri
(art. 2, comma 2, lettera p). 
    Orbene,  allo  stato  attuale  nessuna  correlazione  esiste  tra
l'attivita' amministrativa nei proti affidati alle AdSP e le  Regioni
competenti, per cui la legge  regionale  ha  violato  tali  principi.
Necessita quindi una  interpretazione  costituzionalmente  orientata,
ovvero, in alternativa, ritenere che l'art. 8 del decreto legislativo
n. 68 del 2011, se interpretato in tal maniera, ha violato la  delega
contenuta nella legge n. 42 del 2009. Rendendo cosi' incostituzionale
la legge regionale per  la  incostituzionalita'  della  stessa  norma
interposta in base alla quale la Regione ha potuto esercitare il  suo
potere impositivo. 
  4) In sintesi: 
    a. Ai sensi dell'art. 8, decreto legislativo n. 68/2011 i tributi
da sopprimere o  trasformare,  sono  solo  quelli  relativi  ai  beni
demaniali di cui agli articoli 1, 5 e 6, decreto-legge n. 400/1993; 
    b. L'art. 1 riguarda i canoni delle  concessioni  con  decorrenza
1990, 1991, 1992 e 1993 (quella RCT e' del 2005); 
    c. Gli articoli 1, 5 e 6 decreto-legge n. 400/1993 attengono solo
ai beni demaniali le cui funzioni amministrative sono state  delegate
alle Regioni ai sensi  dell'art.  59  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 616/1977; 
    d. L'art. 59 decreto del Presidente della Repubblica n.  616/1977
esclude dalla delega alle Regione i  porti  di  preminente  interesse
nazionale individuati con decreto del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    e. Il decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  21
dicembre 1995, attuativo dell'art. 59 decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 616/1977, individua fra i porti di preminente interesse
nazionale quello di Civitavecchia; 
    f.  L'art.  8  non  fa  riferimento,  invece,  all'art.   7   del
decreto-legge n. 400/1993 che si occupa delle Autorita' Portuali. 
    Si e' costituita la Regione Lazio resistendo. 
 
                               Diritto 
 
    I. La questione che si agita dinanzi a  questa  Corte  Tributaria
riguarda una pretesa avanzata dalla Regione Lazio nei confronti di R.
C. T.  S.r.l.  (RCT)  concessionario  a  fronte  di  una  concessione
demaniale nel porto di Civitavecchia rilasciata  dalla  Autorita'  di
Sistema  Portuale  (AdSP)  del  Mar  Tirreno  Centro  Settentrionale,
relativamente alla imposta sulle concessioni demaniali marittime. 
    La pretesa trova  il  suo  fondamento  nell'art.  6  della  legge
regionale  del  Lazio  29  aprile  2013,  n.  2,  la  quale   prevede
l'applicazione della menzionata imposta, avente a base imponibile  il
canone  concessorio  riferito  al  bene  concesso.  L'imposta,   gia'
istituita come tributo  proprio  derivato  e'  stata  trasformata  in
tributo  regionale  proprio  stricto  sensu  (cioe'   non   derivato)
dall'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68  emanato  in
attuazione della legge di delegazione 5 maggio 2009, n. 42. 
    Preliminarmente,  sono  state  prospettate  dalla  ricorrente,  o
devono essere sollevate d'ufficio, alcune questioni che appaiono  non
manifestamente infondate di contrasto con norme costituzionali. 
    E'  necessario,  a  tale  scopo,  tracciare  il  piu'  brevemente
possibile il quadro del sistema portuale in connessione  con  i  beni
demaniali marittimi, particolarmente con riferimento alla  attuazione
degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione  e  ai  cosi'  detti
«federalismo patrimoniale (o  demaniale)»  e  «federalismo  fiscale»,
tenendo conto della evoluzione legislativa. 
    Occorre chiarire il rapporto giuridico esistente tra i  beni  del
demanio marittimo, oggetto delle  concessioni  e  le  funzioni  delle
Autorita' di Sistema Portuale e delle Regioni,  nonche'  il  rapporto
tra l'imposizione tributaria e le funzioni di questi due  organi.  In
tal modo si potra' meglio spiegare come il mutato assetto del sistema
incida sulla valutazione di  non  manifesta  infondatezza  di  alcune
questioni di costituzionalita', di cui avanti. 
II. Cenni sul sistema portuale. 
    Ai sensi dell'art. 822 del codice civile costituiscono,  ciascuno
per se', una parte del demanio marittimo, naturale e necessario. 
    La funzione attribuita al titolare di un  bene  demaniale  (nella
fattispecie i porti marini di cui all'art. 822 del codice civile)  e'
primariamente quella di tutela, conservazione, manutenzione del  bene
per  garantirne  l'uso  comune  o  comunque  pubblico   nonche'   per
soddisfare l'interesse pubblico sotteso al regime di demanialita'. Il
demanio marittimo e' bene fuori commercio e non puo'  essere  oggetto
di contratti di alienazione o godimento (art. 823 del codice civile),
ma solo di concessione traslativa ai sensi dell'art. 36 e  segg.  del
codice della navigazione e dell'art. 18 della legge 28 gennaio  1994,
n. 84 (Riordino del sistema portuale), per  godimento  individuale  o
come fattore produttivo di una attivita'  imprenditoriale.  Cio'  non
elide le finalita' primarie del bene  demaniale  sopra  indicate  che
vengono  quindi  perseguite  attraverso  l'esercizio   di   complesse
attivita' amministrative di  competenza  del  titolare  altresi'  del
potere concessorio. Vi e' quindi una coincidenza  necessaria  tra  il
titolare del diritto demaniale (di natura dominicale) e  il  titolare
delle funzioni amministrative. 
    A tal proposito, l'art. 6 della legge  28  gennaio  1994,  n.  84
citata  ha  istituito  le  Autorita'  Portuali,  enti  pubblici   non
economici ai sensi del comma 5 del medesimo articolo. Esse esercitano
le medesime funzioni originariamente riservate allo  Stato  sui  beni
demaniali   costituti   dai   porti   rientranti   nelle   rispettive
circoscrizioni, come per altro chiarito dal parere del  Consiglio  di
Stato, sez. III, del 9 luglio 2002, n.  1614,  e  sono  titolari  del
potere demaniale. Originariamente esse erano state  individuate  come
autorita'  «mono-scalo»,  ma  con  la  riforma  recata  dal   decreto
legislativo 4 agosto 2016, n.  169  ed  dal  decreto  legislativo  13
dicembre 2017, n.  232,  sono  state  trasformate  in  Autorita'  con
competenza  su  una  circoscrizione  territoriale  comprendente  piu'
porti, cosi' inseriti in un sistema. Sono esattamente le Autorita' di
Sistema Portuale - AdSP di cui all'art. 6 della legge n. 84 del  1994
novellata, con competenza sui porti individuati dall'Allegato A della
stessa legge. Trattasi dei porti  gia'  sostanzialmente  definiti  di
interesse nazionale e internazionale dal decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 21 dicembre  1995  gia'  citato  e  mai  stati
oggetto di delega o trasferimento  di  funzioni  amministrative  alle
regioni, come meglio si vedra' innanzi. 
    Piu' precisamente, alle AdSP sono affidati compiti di: 
      a)  Indirizzo,  programmazione,   coordinamento,   regolazione,
promozione e controllo, delle operazioni e dei servizi portuali; 
      b) Manutenzione ordinaria e straordinaria  delle  parti  comuni
nell'ambito portuale; 
      c)  Affidamento  e  controllo  delle  attivita'  dirette   alla
fornitura a  titolo  oneroso  agli  utenti  portuali  di  servizi  di
interesse generale; 
      d)  Coordinamento  delle  attivita'  amministrative  esercitate
dagli enti e dagli organismi pubblici nell'ambito dei porti; 
      e) Amministrazione in via esclusiva delle aree e dei  beni  del
demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione; 
      f) Promozione e  coordinamento  di  forme  di  raccordo  con  i
sistemi logistici retro portuali e interportuali. La AdSP  quindi  si
configura principalmente come  autorita'  di  regolazione  e  non  di
gestione.  Essa  e'  chiamata  a  regolare  il  proprio  mercato   di
riferimento, costituito dai beni demaniali di competenza e dalla loro
utilizzazione, in condizioni di scarsita' del  bene  e  di  monopolio
dell'offerta. E' quindi chiamata  ad  esercitare  le  funzioni  dello
Stato proprietario, ma non  a  erogare  beni  e  servizi  al  mercato
medesimo  nei  cui   confronti   essa   e'   il   monopolista   della
disponibilita' del bene demaniale. L'erogazione di beni e servizi  al
mercato tramite  l'utilizzazione  del  bene  demaniale,  infatti,  e'
esercitata  in  maniera  esclusiva   solo   dalle   imprese   private
concessionarie,  che   all'uopo   ottengono   dalla   AdSP   apposita
autorizzazione ad esercitare le operazioni portuali e fornire servizi
di interesse generale agli utenti utilizzando a  tale  scopo  i  beni
demaniali  attraverso  la  concessione,  e  quindi  esercitando   una
attivita' commerciale. 
    Il  canone   concessorio   costituisce   sinallagmaticamente   la
remunerazione dell'uso del bene, in particolar modo  quando  esso  e'
inserito in una filiera produttiva imprenditoriale e funge quindi  da
mezzo di produzione. Infatti, ai sensi dell'art.  6,  comma  9-quater
della legge n. 84/1994, i  canoni  ricevono  il  trattamento  fiscale
proprio dei canoni di locazione,  cioe'  sono  considerati  ricavi  e
concorrono a formare il reddito complessivo della AdSP ai fini  delle
imposte dirette. 
    Con riserva di approfondire  piu'  avanti  l'argomento,  possiamo
anticipare che ai sensi dell'art. 2, comma 1 della legge 281 del 1970
e successivamente dell'art. 7 del decreto-legge 5  ottobre  1993,  n.
400 convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 494, ai fini della misura
e della qualificazione giuridica del canone e'  stata  istituita  una
summa divisio. Da un lato i canoni  determinati  in  via  generale  e
astratta secondo i criteri indicati dallo  stesso  decreto  legge  n.
400/1993 oppure  con  legge,  o  regolamenti  o  atti  amministrativi
generali, quale tipica espressione della potesta' pubblicistica dello
Stato  o  del  titolare  del  diritto  demaniale  e   relativi   alle
concessioni rilasciate per finalita' turistico ricreative sportive  e
abitative (contenute in un elenco che  esplicitamente  le  descrive);
dall'altra (art. 7 del decreto-legge  n.  400  del  1993),  i  canoni
relativi alle concessioni  rilasciate  per  servizi  pubblici  e  per
servizi e attivita' portuali rese in regime  imprenditoriale,  invece
determinati in relazione a criteri estimativi e  di  volta  in  volta
approvate   per   ciascuna   concessione   con    un    provvedimento
amministrativo del concedente,  per  altro  attraverso  procedure  ad
evidenza pubblica obbligatorie. Vedi a tal proposito  il  nuovo  art.
18, comma 1,  secondo  periodo  della  legge  n.  84  del  1994  come
sostituito dalla legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge  annuale  per  il
mercato  e  la  concorrenza   2021)   che   espressamente   subordina
l'affidamento della concessione all'espletamento di una procedura  ad
evidenza   pubblica   («Le   concessioni   sono   affidate,    previa
determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entita' dei
traffici portuali ivi svolti, sulla base  di  procedure  ad  evidenza
pubblica, ...»). 
    Si tratta, in sostanza, di valutazioni tecnico  discrezionali  in
funzione  del  valore  e  della  potenzialita'  economica  dei  beni,
validate dal mercato tramite le procedure  pubbliche  di  scelta  del
contraente. 
    Ed  infatti,  l'art.  03  dello  stesso  decreto-legge  individua
criteri e parametri predeterminati (ad esempio un importo  fisso  per
mq, casi di riduzione etc.)  per  la  determinazione  del  canone  di
concessione, applicabili a qualsiasi  concessione  a  fini  turistico
ricreativi sul territorio nazionale. Viceversa, l'art. 7 del medesimo
decreto-legge  dispone  un  criterio  del  tutto  differente  per  la
determinazione dei canoni relativi alle sole  concessioni  rilasciate
dalle AdSP, affidando a queste ultime il compito di adottare  criteri
diversi dai precedenti. 
    In tal modo la norma ha istituzionalizzato la differenza  tra  le
«concessioni pure» ed le cosi' dette «concessioni contratto». 
    Per concessione pura si deve intendere quella avente  ad  oggetto
beni demaniali destinati ad attivita' turistico ricreative, sportive,
abitative  anche  correlate  alla  nautica   da   diporto   (per   la
equiparazione di queste alle prime discendente dalla  sentenza  Corte
della costituzionale 10 gennaio 2017, n. 29) il cui canone e' appunto
determinato preventivamente  in  maniera  generale  e  astratta;  per
concessioni contratto si intendono, invece,  quelle  nella  quali  la
concessione accede  strumentalmente  a  un  rapporto  contrattuale  a
prestazioni sinallagmatiche e  la  determinazione  del  canone  segue
regole non giuridiche ma di mercato attraverso la  regolazione  dello
stesso esercitata dalla AdSP (scelta del bene, procedura ad  evidenza
pubblica, durata della concessione etc.). 
    Il canone svolge cosi' la funzione  economica  di  prezzo  di  un
fattore di produzione, determinato dalla AdSP secondo le regole della
economia aziendale in funzione della domanda e  offerta,  dei  propri
costi e  quindi  del  mantenimento  dell'equilibrio  economico  della
stessa. Tutte le concessioni rilasciate dalle AdSP  per  i  porti  di
loro competenza sono per definizione concessioni contratto. 
III. Il Federalismo amministrativo nel Settore portuale. 
    I   porti   sono   dunque   oggetto   di   complessa    attivita'
amministrativa, la cui  titolarita'  ha  subito  nel  tempo  numerose
vicissitudini legislative tutte da riferire al rapporto tra  Stato  e
Regione alla luce degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione ed
alla  allocazione  della  funzione  amministrativa.  Negli  anni,  il
sistema  ha  trovato  un  assetto  completamente  diverso  da  quello
tradizionale    fondato    sulla    gestione    demaniale    prevista
dall'originario codice della navigazione,  per  evolversi  verso  una
organizzazione basata su alcuni  principi  generali  che  fungono  da
cardine, sia con riferimento  alla  «proprieta'  pubblica»  del  bene
porto, sia alla sua gestione e utilizzazione, sia ai risvolti fiscali
di tali attivita'. 
    Il primo principio ordinatore del settore e' che esiste una summa
divisio tra i porti (corrispondente a quella esistente per i  canoni)
non   ascrivibile   solo   alle   dimensioni   e   alla   conseguente
classificazione di cui all'art. 4 della legge  n.  84  del  1999,  ma
dipendente dalla rilevanza nazionale e internazionale del  porto.  Da
cio' consegue la scelta del Legislatore  in  ordine  alla  proprieta'
pubblica di esso e alle modalita' di gestione e  utilizzazione.  Tali
porti non sono mai stati oggetto di delega alle Regioni  ne'  tampoco
di trasferimento e sono quelli sede di Autorita' di Sistema  Portuale
- AdSP. 
    Infatti, in questa lunga e complessa storia, troviamo  in  primis
che in occasione della  prima  delega  alle  Regioni  delle  funzioni
amministrative su beni statali, con l'art. 59, comma  2  del  decreto
del Presidente della  Repubblica  n.  24  luglio  1977,  n.  616,  in
attuazione della delega contenuta nell'art. 1 della legge  22  luglio
1975, n. 382, si disponeva: «2. La delega di cui al comma  precedente
non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale
in relazione agli  interessi  della  sicurezza  dello  Stato  e  alle
esigenze della navigazione marittima.  L'identificazione  delle  aree
predette e' effettuata, entro il 31 dicembre 1978,  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, ...». 
    Le Autorita'  Portuali  non  erano  ancora  state  istituite  (lo
saranno solo con la legge 84 del 1994) e quindi il  riferimento  alle
categorie di porti piu' rilevanti da sottrarre alla delega non poteva
che essere  fatto  in  base  al  concetto  di  «preminente  interesse
nazionale» da individuarsi attraverso un decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri il quale e' stato  effettivamente  emanato  in
data 21 dicembre 1995, e' ancora in  vigore  e  contempla,  oltre  ad
alcuni altri, ovviamente tutti i porti sede di AdSP  e  nella  specie
anche Civitavecchia. 
    Sempre sul fronte della gestione  amministrativa  delle  aree  in
concessione, gia' dal primo intervento legislativo volto a realizzare
una maggiore autonomia amministrativa regionale (decreto  legislativo
3 marzo 1998, n. 112, art. 105), il  legislatore  ha  stabilito  che,
nell'ambito dei trasporti, «sono conferite alle Regioni e  agli  Enti
locali tutte le funzioni non espressamente < ...  >  attribuite  alle
autorita' portuali  dalla  legge  28  gennaio  1994,  n.  84»  e,  in
particolare,  nell'individuare  le  funzioni  conferite   agli   Enti
territoriali, espressamente ha disposto che  «tale  conferimento  non
opera nei porti finalizzati alla difesa militare  ed  alla  sicurezza
dello Stato,  nei  porti  di  rilevanza  economica  internazionale  e
nazionale, nonche' nelle aree di preminente interesse  nazionale...»,
fra i quali rientrano i porti facenti parte di AdSP. 
    Sul piano del  c.d.  federalismo  patrimoniale  o  demaniale,  la
citata Legge delega n. 42/2009  in  materia  di  trasferimento  delle
funzioni su beni demaniali  alle  Regioni,  ha  delegato  ai  decreti
legislativi la individuazione delle tipologie di beni  di  «rilevanza
nazionale» che non possono  essere  trasferiti  (art.  19,  comma  1,
lettera d) e, in esecuzione di tale criterio  direttivo,  il  decreto
legislativo delegato 18 maggio 2010 n. 85, art. 5,  nel  disporre  il
trasferimento dei beni statali alle Regioni e agli Enti Locali, ne ha
espressamente escluso: a) i beni appartenenti  al  demanio  marittimo
non direttamente  utilizzati  dallo  Stato,  e  quindi  anche  quelli
attribuiti alle AdSP, e ancora piu' specificamente ha  disposto  che:
b) <...> Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: <...> i porti e
gli aeroporti di  rilevanza  economica  nazionale  e  internazionale,
secondo la normativa di settore. 
    Gli ambiti portuali ricompresi nei  distretti  delle  AdSP,  come
quello di Civitavecchia, rimangono  quindi  di  esclusiva  competenza
statale, sia con riferimento alle funzioni  amministrative,  sia  con
riferimento  alla  proprieta'  statale  demaniale  del  bene  sia  al
sostentamento dei costi per  la  erogazione  dei  servizi,  che  sono
reperiti esclusivamente tramite i canoni concessori. 
IV. Il Federalismo fiscale nel Settore portuale. 
    Nella complessa operazione di riordino del sistema tributario per
la provvista finanziaria degli enti locali, il Legislatore  ha  preso
le  mosse  necessariamente  dagli  articoli  117,  118  e  119  della
Costituzione,  dai   quali   scaturiscono   i   «principi   generali»
dell'ordinamento giuridico in materia, i quali costituiscono anche, a
loro volta, i  «principi  fondamentali»  cui  le  regioni  si  devono
attenere nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente  (art.
117, comma terzo, ultimo periodo della Costituzione) quale quella  in
esame, cioe' il «coordinamento della finanza pubblica e  del  sistema
tributario;» come riconosce anche Corte  costituzionale  1°  febbraio
2023, n. 6. 
    A tale proposito giova ricordare che  nella  sentenza  citata  la
Corte precisa: «7.2.  -  Dalla  riconducibilita'  delle  disposizioni
impugnate a tale materia di legislazione concorrente  deriva  che  le
norme dettate  dallo  Stato  possano  trovare  legittimazione  se  ne
stabiliscono  i  principi  fondamentali,  secondo   quanto   previsto
dall'art. 117, terzo comma, della  Costituzione,  o  se  dettate  per
effetto della «chiamata in sussidiarieta'». 
    Precisamente e' scritto: «Quanto ai primi occorre ricordare  che,
secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la qualificazione
di una norma di fonte statale, quale principio  fondamentale  di  una
materia di competenza legislativa concorrente cui le  Regioni  devono
adeguarsi, deve essere valutata, avendo riguardo al  contenuto  della
stessa e alla sua funzione nel sistema (ex plurimis, sentenze n.  166
e n. 44 del 2021, n. 78 del 2020, n. 94 del 2018, n. 16 del 2010), in
considerazione  delle  «esigenze  di  coerenza   sistematica   e   di
uniformita' a livello nazionale della disciplina»  (sentenza  n.  166
del 2021)». 
    «Quanto  al  meccanismo  della  chiamata  in   sussidiarieta'   -
costantemente richiamato da questa Corte a partire dalle sentenze  n.
303 del 2003 e n. 6 del 2004 -  pur  nelle  materie  di  legislazione
concorrente o residuale, le esigenze di carattere unitario  abilitano
lo Stato ad accentrare l'esercizio delle funzioni amministrative,  ai
sensi dell'art. 118 della Costituzione, e al tempo stesso a regolarne
l'esercizio. Affinche' l'intervento normativo statale "in attrazione"
sia costituzionalmente legittimo  e'  necessario  che  la  disciplina
dettata  sia  logicamente  pertinente,  risulti  limitata  a   quanto
strettamente  indispensabile  e  preveda   adeguati   meccanismi   di
cooperazione con i  livelli  di  governo  coinvolti  per  l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo  agli  organi
centrali (ex plurimis, sentenze n. 123 e n. 40 del 2022, n.  246  del
2019, n. 142 e n. 7 del 2016)». 
    E ancora precisa: «7.3. - Con  riferimento  alla  fattispecie  in
esame, questa Corte ritiene, innanzitutto, che  l'intervento  statale
in attrazione trovi presupposto legittimante nelle esigenze unitarie,
che risultino non  sproporzionate  o  irragionevoli  (tra  le  altre,
sentenze n. 170 del 2017 e n. 142 del 2016).» 
    Ricorda ancora la Corte: «D'altronde,  questa  Corte  aveva  gia'
prefigurato che il carattere di rilevanza economica internazionale  o
di  preminente  interesse  nazionale   dei   porti   avrebbe   potuto
«giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato
su di essi sulle connesse aree portuali» (sentenze n. 412  del  2008,
n. 255 del 2007, n. 90 e n. 89 del 2006)). 
    Anche a tenore della giurisprudenza della Corte, che  ha  sancito
il crisma di legalita' costituzionale al sistema, nessun rapporto  di
natura  legislativa,   amministrativa   o   comunque   giuridicamente
rilevante lega le Regioni  ai  beni  demaniali  marittimi  ricompresi
nelle circoscrizioni delle AdSP. 
    Dunque, mentre l'art. 118 introduce un  regime  generalizzato  di
decentramento delle  funzioni  amministrative  secondo  il  principio
della sussidiarieta', l'art. 119  conseguentemente  attribuisce  alle
Regioni e agli enti locali la potesta' di imporre tributi propri  per
la provvista dei  mezzi  per  farvi  fronte,  vincolandola  pero'  al
rispetto, tra l'altro,  del  citato  art.  119,  comma  quarto  della
Costituzione, il quale prevede che le regioni attingono alle  risorse
previste  dal  comma  terzo  del  medesimo  art.,  tra   cui   quelle
tributarie, solo per finanziare integralmente le  funzioni  pubbliche
loro attribuite. Le due disposizioni costituzionali introducono cosi'
il principio di  corrispondenza  tra  responsabilita'  finanziaria  e
amministrativa che ha come corollario quello del  contenimento  della
pressione fiscale regionale a cio' che e' strettamente  necessario  a
finanziare le funzioni attribuite, rispetto a cui e' quindi correlato
il principio di responsabilita' , vale a dire il dovere della Regione
di non debordare da una politica fiscale di pareggio tra  le  entrate
tributarie e le spese  pubbliche  per  la  fornitura  di  servizi  al
territorio. 
    Inoltre, il riconoscimento della potesta' tributaria regionale e'
comunque vincolato al rispetto del divieto di una doppia  imposizione
sul medesimo presupposto  da  parte  dello  Stato  e  della  Regione,
espressamente previsto dall'art. 2, comma 2, lettera o)  della  legge
di delegazione n. 42 del 2009. 
    In sostanza, dalla normativa vigente si ricavano, tra gli  altri,
alcuni «principi fondamentali» dell'ordinamento giuridico nel settore
tributario regionale, cioe': 
      -Il principio di  continenza  nel  reperimento  delle  risorse,
individuate in funzione dei LEP e dei  costi  standard,  strettamente
necessarie al sostentamento delle funzioni amministrative; 
      - Il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire  la
limitazione del potere fiscale alla copertura  dei  costi  finanziari
dei servizi se e in quanto resi al territorio; 
      - Il principio del divieto di doppia imposizione  sul  medesimo
presupposto; 
      - Il principio di correlazione, in merito alla coincidenza  tra
l'ente  impositore  e  l'ente  erogatore  del  bene  o  servizio.  La
prosecuzione del cammino del federalismo  fiscale,  per  l'attuazione
degli articoli 117  e  119  della  Costituzione,  e'  proseguita  nel
rispetto di tali principi. La legge 5 giugno 2003, n. 131  contenente
la cd. Modifica del titolo V della  Costituzione,  (Disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre  2001,  n.  3)  ha  dettato  una  serie  di
principi, criteri direttivi  e  parametri,  tra  cui  nella  presente
questione rilevano quelli contenuti negli articoli 2, comma  5  e  7,
comma 2 per i loro riflessi  sulla  attivita'  di  reperimento  delle
risorse regionali attraverso il sistema fiscale. 
    Tali  norme,  in  previsione  del   trasferimento   di   funzioni
amministrative previsti nella legge costituzionale  n.  3  del  2001,
prevedono la presentazione da parte del Governo  di  leggi  collegate
alla  manovra  finanziaria  finalizzate   a   reperire   le   risorse
strettamente correlate alle funzioni amministrative  conferite  e  al
loro costo, ribadendo il principio di correlazione che diviene  cosi'
uno dei  principi  cardine  in  questa  materia  concorrente  di  cui
all'art. 117, comma terzo della  costituzione:  «coordinamento  della
finanza pubblica e del sistema tributario». 
    A seguire, nella legge di delegazione n. 42 del 2009  (Delega  al
Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione  dell'art.
119 della Costituzione), il Legislatore del  settore  ha  indicato  i
principi  e  criteri  direttivi  che  sovraintendono  al  Legislatore
delegato,  ma  che  contemporaneamente   costituiscono   anche   essi
«principi fondamentali» ai sensi dell'art. 117, comma  terzo,  ultimo
periodo. Tra questi, per il momento, interessa citare quelli previsti
nell'art. 2, comma 2, lettere e), f), o) e  p),  rispettivamente  (in
estrema sintesi per quanto qui di interesse): 
      e) attribuire risorse autonome ai comuni, alle  province,  alle
citta'  metropolitane  e  alle  Regioni,  secondo  il  principio   di
territorialita'; le risorse derivanti dai  tributi  e  dalle  entrate
propri di Regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al  gettito
di tributi erariali e dal  fondo  perequativo  devono  consentire  di
finanziare  integralmente  il  normale   esercizio   delle   funzioni
pubbliche attribuite; 
      f) determinazione del  costo  e  del  fabbisogno  standard  che
devono costituire l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare
l'azione pubblica; definire gli  obiettivi  di  servizio  cui  devono
tendere le amministrazioni regionali e locali; 
      o) Divieto della doppia imposizione dello Stato e delle Regioni
sul medesimo presupposto; 
      p)  continenza  e  correlazione   tra   l'imposizione   fiscale
regionale e le funzioni trasferite, prevedendo: 
        «p) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio
connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da  favorire
la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria  e  amministrativa;
<...>». 
    E infatti, contestualmente  il  medesimo  art.  2  richiama,  tra
l'altro, il principio contenuto nell'art.  8,  comma  1,  lettera  i)
della stessa legge, il quale a sua volta richiama il su  citato  art.
7, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Anche  essi  si  muovono  nel  solco  dei  principi  generali   e
fondamentali sopra mentovati, cui le leggi  regionali  di  disciplina
dei  tributi  propri  devono  attenersi,   sicche'   la   inevitabile
conclusione per cui, a fronte di  funzioni  non  trasferite,  non  e'
luogo a reperimento di risorse e ad imposizione fiscale  propria,  ma
di cio' amplius piu' avanti. 
    In attuazione della delega,  per  quanto  qui  di  interesse,  il
Legislatore delegato del decreto  legislativo  n.  68  del  2011,  ha
previsto la «trasformazione»  in  tributi  propri  regionali  stricto
sensu (cioe' non derivati) di tributi erariali preesistenti, ferma la
possibilita' per le Regioni e gli enti locali di sopprimerli. 
    Tra questi l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni
del  demanio.  Istituita  originariamente  come   tributo   regionale
derivato dagli articoli 1 e 2 della legge 16  maggio  1970,  n.  281,
poi, come detto, trasformata in tributo regionale proprio con  l'art.
8 del decreto legislativo n. 68 del 2011  citato  e  con  riferimento
agli articoli 1, 5  e  6  del  decreto-legge  ottobre  1993,  n.  400
(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni
demaniali marittime). Giova sottolineare che non si tratta  di  tassa
(cioe' un tributo cui non corrisponde una controprestazione,  inoltre
non e' correlata ad una prestazione di servizi pubblici indivisibili)
ma imposta indiretta proporzionale, quindi a pieno titolo  rientrante
nella disciplina di cui all'art. 53 della Costituzione e soggetta  al
limite della capacita' contributiva.  Essa  ha  come  presupposto  di
imposta il rilascio di  concessioni  statali  dei  beni  del  demanio
marittimo e la sua base imponibile, trattandosi di imposta e  non  di
tassa,  varia  da  concessione  a  concessione  perche'   commisurata
all'ammontare del canone della singola specifica concessione. 
    La legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, con  l'art.  6
ha   disciplinato   questo    tributo    proprio    trascurando    la
differenziazione tra i due tipi di concessione, anzi al comma  3  del
medesimo art. 6 ha trattato allo stesso  modo  le  due  tipologie  di
concessione,  assoggettando  espressamente  alla  imposta  anche   le
concessioni demaniali marittime rilasciate e gestite dalle  autorita'
portuali. 
V. Incostituzionalita' degli articoli 1 e 2  della  legge  16  maggio
1970, n. 281, dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio  2011,  n.
68 e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio del 29 aprile  2013,
n. 2 per violazione degli  articoli  3  e  53  della  Costituzione  e
irragionevolezza. 
    Cosi'  sommariamente  delineato  il  quadro  normativo,  si  puo'
procedere all'esame delle questioni di costituzionalita'  prospettate
dalla ricorrente o sollevate d'ufficio. 
    In via di priorita' logico giuridica e' necessario esaminare  per
prima la prospettazione di non manifesta infondatezza della questione
di costituzionalita' degli art. 1 e 2 della legge 16 maggio  1970  n.
281, dell'art. 8 del decreto legislativo  6  maggio  2011,  n.  68  e
dell'art. 6 della legge regionale del Lazio del 29 aprile 2013, n.  2
per violazione dell'art. 53 della Costituzione nonche' del  principio
di ragionevolezza, nella parte in cui sottopongono  alla  imposta  in
questione le concessioni su beni demaniali marittimi rilasciate dalle
ex Autorita' portuali oggi Autorita' di  Sistema  Portuale  AdSP,  ad
imprenditori della filiera portuale. 
    L'accoglimento    della    prospettazione    determinerebbe    la
incostituzionalita'  della  imposta   (in   parte   qua)   e   quindi
scioglierebbe definitivamente il merito del ricorso con carattere del
tutto assorbente.  Da  cio'  anche  la  sua  rilevanza  nel  presente
giudizio. 
  Va) Sulla capacita' contributiva e il presupposto di imposta. 
    A) Si e' gia' osservato che il tributo in  esame  e'  qualificato
come  imposta  indiretta,  avente   a   presupposto   giuridico   una
concessione traslativa a fronte della quale e' corrisposto un  canone
concessorio. 
    Il presupposto appena menzionato non sembra essere conforme  alla
realta' economica sottostante, e quindi al parametro della  capacita'
contributiva, ed anzi sembra contrario a  principi  di  logica  e  di
ragionevolezza nella misura  in  cui  sottopone  ad  una  imposta  un
componente negativo della forza economica del contribuente. 
    Negli  atti  preparatori  della  legge  n.  281/1970  si  afferma
sbrigativamente  e  apoditticamente  che:  «L'esistenza   stessa   di
concessioni statali sui  beni  indicati  e'  stata  considerata  come
possibile oggetto imponibile da parte delle  regioni,  rappresentando
essa indubbiamente una manifestazione di  ricchezza.».  L'assenza  di
una credibile motivazione non puo' essere surrogata dal semplice  uso
di un avverbio (indubbiamente) che  di  per  se'  non  spiega  nulla,
sicche', per verificare se sia stato rispettato il dettato  dell'art.
53 della Costituzione e' necessario indagare se esista e quale sia la
capacita' contributiva in relazione alla quale e'  costituzionalmente
permessa la istituzione di questa prestazione  patrimoniale  imposta,
ovvero in altri termini,  se  il  fatto  giuridico,  prescelto  quale
presupposto sia  idoneo  per  se',  sotto  un  profilo  economico,  a
costituire vero indizio  di  ricchezza  manifestatasi  attraverso  di
esso. Inoltre occorre verificare che l'imposizione non  sia  comunque
irragionevole in senso intrinseco. 
    Il  potere  impositivo  incontra  i   limiti   entro   cui   puo'
costituzionalmente   incidere   nei    principi    della    capacita'
contributiva, della soggettivita' e autosufficienza del  presupposto,
della ragionevolezza. 
    Quanto alla «capacita' contributiva», le frequenti volte  in  cui
la  giurisprudenza  costituzionale  ha  preso  in  considerazione  il
significato di questa espressione ha sempre ritenuto che i  parametri
per individuarla nel concreto possano anche essi essere sottoposti al
giudizio  di  costituzionalita'   per   verificare   che   la   ampia
discrezionalita' che si deve riconoscere  al  Legislatore  in  questa
materia non  debordi  in  palese  arbitrarieta'  ed  irragionevolezza
(giurisprudenza  consolidata,  ex  multis  Corte  costituzionale   24
ottobre 2017, n. 249; 4 maggio 1995, n. 143; 1992, n. 42). 
    Afferma, infatti, la Corte nella sentenza n. 108 del 1994 «<  ...
> ogni volta che il  legislatore  e'  tenuto  a  bilanciare  distinti
valori costituzionali, non puo' affatto essere preclusa  la  via  del
controllo  di  questa  Corte  in  ordine  alla  congruita'   e   alla
ragionevolezza del bilanciamento compiuto.». 
    Dalle  motivazioni  della  giurisprudenza  costituzionale   nelle
sentenze  sopra  citate  si  evince,  sia  pure   non   espressamente
affermato, che la capacita' contributiva sia  categoria  economica  e
conseguentemente giuridica, e non viceversa, indagabile con  l'ottica
propria  della  analisi  economica  del  diritto.  E  infatti:   «Per
capacita' contributiva, ai sensi dell'art. 53 della Costituzione deve
intendersi  l'idoneita'  soggettiva   alla   obbligazione   d'imposta
deducibile dal presupposto al quale  la  prestazione  e'  collegata.»
(Corte costituzionale 6 luglio 1972, n. 144, 10 maggio 1972, n.  92),
quindi  una  idoneita'  propria  della  situazione   soggettiva   del
contribuente. Al contempo, emerge  altresi'  il  carattere  oggettivo
della detta capacita' poiche'  «il  principio  sancito  dall'art.  53
della Costituzione ha  carattere  oggettivo,  riferendosi  ad  indici
concretamente rivelatori di  ricchezza.»  (Corte  costituzionale,  ex
multis sentenze del 20 novembre 2001, n. 16/02, del 7 giugno 1999, n.
229; del 8 luglio 1982, n. 143). 
    In base a detto principio, il presupposto di  imposta,  anche  se
individuato discrezionalmente dal legislatore, deve sempre  riferirsi
a una manifestazione concreta ed effettiva di ricchezza,  deve  avere
cioe'  una  valenza  non  costitutiva  di   un   rapporto   giuridico
tributario, ma dichiarativa di uno status economico. Il  presupposto,
in altri termini,  rinvia  alla  capacita'  contributiva  di  cui  e'
sintomo. 
    Perche' tale operazione non sia irragionevole  e  immotivatamente
arbitraria  e  vessatoria,  l'art.  53  pone  alla  base  del  potere
tributario la necessita' di tenere conto, nell'an e  nel  quantum  di
questa «forza economica». 
    Tra imposte dirette e imposte dirette esiste una differenziazione
concettuale non indifferente ai fini che qui interessano. Le  imposte
dirette, come e' noto, colpiscono la ricchezza  nel  momento  in  cui
essa e' prodotta (reddito, o flusso) o gia' maturata  (patrimonio,  o
stock). Le imposte indirette colpiscono la ricchezza nel  momento  in
cui e' traferita, sia che il trasferimento avvenga per causa gratuita
(donazione, successione) sia per  causa  onerosa.  In  altri  termini
hanno quale presupposto  economico  un  mutamento  della  allocazione
(utilizzazione  mediante  trasferimento)  della  ricchezza,  la   cui
funzione economica e' sostanzialmente quella del consumo di essa  per
l'acquisizione di un bene giuridico. Mentre quindi l'imposta  diretta
colpisce la ricchezza nel suo divenire (reddito) o nel  suo  esistere
(patrimonio), l'imposta indiretta la colpisce  nel  suo  manifestarsi
attraverso il presupposto e il consumo. 
    Cio' che caratterizza tale manifestazione e' che la ricchezza  si
manifesta deprivando il  patrimonio  del  contribuente  senza  alcuna
altra giustificazione economica che godere di essa attraverso il bene
giuridico appreso. La spendita della ricchezza non e' finalizzata  ad
aumentare il reddito o il patrimonio ma  puramente  ad  acquisire  un
bene per soddisfare un bisogno, cioe'  sostanzialmente  riconducibile
al concetto economico del «consumo finale» e come tale essa misura la
marginalita'  economica  dei  mezzi  utilizzati,  cioe'  appunto   la
capacita' contribuiva del contribuente  dipendente  dall'entita'  del
suo patrimonio in senso tecnico  (l'insieme  dei  rapporti  economici
attivi e passivi a lui imputabili). 
    Tutte le imposte indirette dell'ordinamento giuridico  tributario
hanno questa  strutturazione:  imposta  di  registro,  imposta  sulle
successioni  e  donazioni,  imposta  di  bollo  sull'atto   giuridico
presupposto, imposta ipotecaria, imposta catastale,  accise,  imposta
sui finanziamenti sostitutiva delle imposte di registro,  ipotecaria,
catastale, bollo e  tassa  sulle  concessioni  governative,  IVA,  la
quale,  grazie   al   suo   meccanismo   particolare,   incide   solo
sull'incremento di valore nei passaggi intermedi  della  filiera,  ma
percuote il consumatore finale che paga l'intera imposta. In tutte le
imposte indirette il presupposto manifesta la  ricchezza  perche'  la
contiene in se'. 
    Da cio'  rilevanti  conseguenze  sulla  fattispecie  che  saranno
analizzate piu' avanti. 
    Qualunque sia la natura della ricchezza tassata (reddito nel  suo
prodursi,  patrimonio  nel   suo   consistere,   manifestazione   nel
trasferimento per consumo) l'art. 53 della  Costituzione  impone  che
l'onere  tributario  sia  commisurato  alla  capacita'   contributiva
personale di ciascun contribuente. Considerando  la  differenziazione
concettuale tra imposte dirette e indirette appena accennata,  se  ne
deduce che la valutazione della capacita'  contributiva  e'  funzione
del presupposto, nel senso cioe' che a  ciascun  diverso  presupposto
corrisponde un diverso fenomeno economico che la individua. 
    La giurisprudenza Costituzionale e la dottrina hanno  individuato
piu' che parametri di valutazione  della  capacita'  contributiva  in
quanto tali, degli  indici  della  sua  esistenza  o  manifestazione,
tecnicamente delle figure sintomatiche di capacita': il  reddito,  il
patrimonio, il consumo  o  comunque  la  riallocazione  di  ricchezza
tramite negozi dispositivi (imposte indirette), la spesa  complessiva
affrontata  dal  contribuente  nel  periodo   di   riferimento,   gli
incrementi di valore del patrimonio non  legati  a  un'attivita'  del
soggetto passivo (sopravvenienze  attive,  rivalutazione  di  cespiti
etc.). 
    Ciascuno  di  questi  indici  e'  legato  ad   un   indefettibile
presupposto d'imposta, per  cui  ai  fini  della  ragionevolezza  del
tributo  e  della  sua  corrispondenza  alla  capacita'  contributiva
effettiva occorre verificare che esso consista in  un  fatto  o  atto
giuridico economico ascrivibile a uno degli indici individuati  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  ma  anche  che  il  fatto  economico
sottostante sia idoneo a manifestare effettivamente la  potenzialita'
di una ricchezza. 
    Limitatamente  alla  imposizione  proporzionale  gravante   sulle
concessioni contratto, il dubbio di costituzionalita' per  violazione
del  principio  della  capacita'  contributiva   sotto   il   profilo
dell'erronea valutazione della sua  sussistenza,  riposa  esattamente
sul fatto che non sembra si possa ritenere il rilascio di una  simile
concessione (come presupposto giuridico) e il sostenimento del canone
(come presupposto economico) come manifestazione in se' di  ricchezza
o forza economica all'interno di uno degli indici  indicati  giacche'
il presupposto economico e' costituito da un  elemento  negativo  del
patrimonio ed e' finalizzato  non  al  consumo  finale  ma  a  quello
intermedio. 
    Se le imposte dirette per loro stessa  natura  sono  destinate  a
colpire  il  «consumo  finale»  della  ricchezza,  appare  logico   e
ragionevole  che  nessuna  imposta   indiretta   possa   colpire   le
concessioni in esame che  costituiscono  mero  «consumo  intermedio»,
cioe' quella  parte  della  ricchezza  consumata  o  trasformata  dai
produttori durante il processo produttivo. 
    Sembra  quindi  del  tutto  irragionevole  che,  nella   doverosa
comparazione tra l'interesse  del  cittadino  contribuente  e  quello
della collettivita' cui  e'  sostanzialmente  finalizzato  l'art.  53
della Costituzione, si incida il primo con riferimento ad  una  posta
passiva del suo patrimonio. In particolare, quando cio'  avvenga  con
riferimento ad  una  imposta  indiretta,  nella  quale  si  assume  a
presupposto non il  reddito  o  il  patrimonio  (unita'  direttamente
individuabili  e   sicuramente,   per   definizione,   manifestazioni
esteriori della ricchezza in fieri o accumulata)  ma  si  considerino
invece indiziariamente gli scambi. 
    In tal  caso  occorre  verificare  la  natura  e  il  significato
economici dello scambio o transazione economica, vale a dire  il  suo
significato  all'interno  della  situazione  economica  propria   del
contribuente.  In  particolare  se  egli  agisca  nella  specie  come
consumatore finale o come consumatore intermedio. 
    Viene in questione quindi anche il principio dell'autosufficienza
del presupposto, vale a dire esso deve  contenere  in  se  stesso  la
forza economica per sopportare il tributo, se necessario  tramite  la
cessione sul mercato del presupposto stesso (tipico esempio l'imposta
di successione eccedente il numerario  e  la  conseguente  necessaria
vendita  di  cespiti  ereditari   per   reperire   le   risorse   per
l'adempimento). 
    A tale proposito Corte costituzionale 19  aprile  1995,  n.  143,
precisa che il presupposto deve essere costituito da un «bene  indice
di  ricchezza  nella  sua  oggettivita'.»  Sicche',  il   presupposto
prescelto deve  essere  idoneo  a  manifestare,  da  solo,  la  forza
economica del soggetto. 
    Ed infatti la Corte afferma nella sentenza 10 maggio 1972, n. 92,
ponendo attenzione ai  meccanismi  e  conseguenze  economiche  e  non
giuridiche  dell'atto-presupposto:   «Questo   collegamento   ad   un
presupposto  condiziona  esclusivamente,   e   nello   stesso   tempo
esaurisce,  il  riconoscimento  di  detta  idoneita'  (la   capacita'
contributiva ndr)». 
    Se l'imposta e' correlata alla capacita'  contributiva  e  quindi
alla forza economica del soggetto passivo, il presupposto non e' solo
un fatto  (giuridico  o  naturale)  ma  un  elemento  della  medesima
capacita' contributiva. Cosi' nella  imposta  di  registro  (la  c.d.
Regina delle Imposte vero  paradigma  delle  imposte  indirette),  il
presupposto giuridico  formale  e'  il  negozio  o  l'atto  giuridico
(compravendita, morte del de cuius, locazione, lo stesso rilascio  di
concessione  demaniale  etc.),  ma   il   presupposto   economico   e
sostanziale  e'  costituito   dalla   conseguenza   economica   della
riallocazione di ricchezza che,  in  quanto  tale,  si  manifesta  in
occasione e in concomitanza con il fatto o atto giuridico. 
    Il presupposto nelle imposte indirette e' realmente indice di una
forza economica che si fonda  nella  disponibilita'  in  potenza  del
reddito o del patrimonio. La forza economica,  sino  ad  allora  mera
«potenza» si trasforma in atto, cioe' si attualizza e si manifesta  e
in quel momento e' percossa, proprio  nella  riallocazione  (spesa  o
trasferimento  definitivi).  Il  passaggio  dalla  potenza   all'atto
costituisce la manifestazione, ma solo se  la  ricchezza  potenziale,
reddituale o  patrimoniale,  e'  finalisticamente  e  definitivamente
consumata o trasferita. 
    In altre parole,  il  presupposto  non  e'  solo  un  accidens  o
l'occasione fortuita del manifestarsi della  ricchezza,  ma  anzi  e'
sostanza della medesima capacita' contributiva che si manifesta. 
    Diviene   cosi'    irragionevole,    quindi    costituzionalmente
illegittima, l'imposizione di un tributo derivante dall'avversarsi di
un presupposto giuridico che, di per se', non  sia  sostenuto  da  un
sottostante economico che si identifica con la stessa forza economica
(capacita' contributiva) del contribuente. 
    In ordine alla ragionevolezza Corte  costituzionale  14  dicembre
1988, n. 1130, afferma: «il giudizio  di  ragionevolezza,  lungi  dal
comportare  il  ricorso  a  criteri   di   valutazione   assoluti   e
astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni  relative
alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze e delle limitazioni  concretamente  sussistenti.  <
... >». 
    Ne consegue che il giudizio di ragionevolezza non  puo'  avvenire
in base ad astratti parametri generali, ma di  volta  in  volta,  nel
caso concreto, comparando i diversi parametri indicati  dalla  Corte,
secondo una analisi che ricerchi l'irragionevolezza intrinseca  della
norma e non un mero giudizio ab extrinseco di essa sul  piano  logico
formale. 
    Venendo all'attuale  fattispecie,  consegue  da  cio'  che  nelle
concessioni c.d. pure, il canone assume la finalita' di acquisire  il
godimento in se' considerato del bene demaniale, senza  alcuna  altra
finalita' che  godere  del  bene  giuridico  acquisito  e  quindi  il
concessionario si  comporta,  dal  punto  di  vista  economico,  come
consumatore finale, paga un prezzo che e' di per  se'  sintomo  della
propria forza economica. Viceversa, nella concessione  contratto,  la
concessione   e'   finalizzata   allo   svolgimento    dell'attivita'
imprenditoriale. Il canone si inserisce non alla  fine  del  percorso
economico  come  consumo-manifestazione  di   forza   economica,   ma
all'inizio di un processo economico destinato a  produrre  ricchezza,
quindi come debolezza economica legata al rischio. In altri  termini,
nelle prime il canone e'  indice  di  consumo  finale,  manifesta  il
passaggio della ricchezza da potenza in atto, nella seconda e' indice
non di riallocazione finale della ricchezza, ma di consumo intermedio
attraverso l'indebitamento, secondo le regole e i  meccanismi  propri
della economia d'impresa, cioe' di investimento produttivo attraverso
l'acquisizione di uno strumento di produzione. Non sembra quindi  che
sia ragionevolmente presente  quella  connessione  oggettiva  tra  il
presupposto e una manifestazione di ricchezza che giustificherebbe la
prestazione patrimoniale imposta indiretta. 
    In cio' si manifesta la irragionevolezza della norma. 
    Nella sentenza 27 maggio 1996, n.  172,  la  Corte  definisce  la
ragionevolezza  come  «razionalita'  pratica»,  cioe'  un  uso  della
ragione  che  si   avvicina   al   buon   senso   per   moderare   la
discrezionalita' del legislatore e la distingue concettualmente dalla
razionalita' formale, caratterizzata  dal  principio  logico  di  non
contraddizione. L'aderenza al parametro  della  razionalita'  pratica
necessita,  come  appare  nelle  motivazioni  della  Corte,  che   la
ragionevolezza intrinseca appaia in modo  manifesto,  evidente,  ictu
oculi. Allo stesso modo, e' sufficiente per sollevare  il  dubbio  di
costituzionalita',  che  la  irragionevolezza  si  palesi   in   modo
intuitivo   tenendo   conto   soprattutto   di   quelle    situazioni
contro-intuitive nelle quali il buon senso «se ne  sta  nascosto  per
paura del senso comune». Il buon senso e' in effetti la capacita'  di
giudicare rettamente in maniera istintiva a prescindere dalle  spesso
fuorvianti concatenazioni logico formali. 
    La ragionevolezza intrinseca, dunque, e'  oggetto  di  intuizione
immediata, cosi' come il suo contrario. Dubita questo Giudice che  le
norme sottoposte al giudizio della Corte possano  essere  considerate
ragionevoli,  la'  dove  sottopongono  a  tassazione,  considerandoli
manifestazione di ricchezza, esborsi di numerario non destinati altro
che a diminuire la  ricchezza  del  contribuente  nella  speranza,  o
fiducia, che l'impiego  di  essi  nella  intrapresa  produca  i  suoi
frutti. 
    E' fortemente intuitivo che  non  sia  ragionevole  sottoporre  a
tassazione  poste  negative   della   intrapresa   economica   mentre
contro-intuitive  sono  le  conseguenze  economiche   della   imposta
considerata. 
    Non si tratta, ovviamente, di  considerazioni  fondate  sul  dato
formale del  presupposto  giuridico,  poiche'  essendo  la  capacita'
contributiva per se' categoria economica  e  non  giuridica,  l'esame
deve essere condotto sul ruolo  e  sulla  valenza  economica  che  il
fenomeno assume perche' se ne possa dedurre la funzione di «indice» o
«sintomo» da cui emerga la forza economica ricercata e, inoltre,  che
esso non duplichi altro indice o sintomo gia' altrimenti considerato. 
    Nel caso di specie dubita questo Giudice della  conformita'  alla
Costituzione di questo presupposto  di  imposta  (limitatamente  alle
concessioni contratto), per il fatto che esso colpisce un costo della
produzione del tutto avulso  da  uno  qualsiasi  degli  indici  sopra
mentovati. Non e' reddito, non patrimonio, soprattutto non e' consumo
ne'  risparmio,  anzi  essendo  investimento  e'  economicamente  una
riduzione della ricchezza in vista  di  una  aspettativa  di  maggior
ricavo e guadagno. Esso e' solo, e puramente, un costo di produzione. 
    Nell'ambito  del  rapporto  sinallagmatico   tra   concedente   e
concessionario, il canone  ha  la  esclusiva  funzione  economica,  e
quindi giuridica, di fissare il prezzo di mercato. Come  costo,  esso
converge verso la produzione di reddito e  patrimonio  in  base  alle
risultanze del conto profitti e perdite. 
    Si e' gia' ricordato che nei lavori preparatori  della  legge  n.
281 del 1970 si riscontra un accenno al regime fiscale, nel senso che
si afferma: «L'esistenza  stessa  di  concessioni  statali  sui  beni
indicati e' stata considerata come possibile  oggetto  imponibile  da
parte  delle   regioni,   rappresentando   essa   indubbiamente   una
manifestazione di ricchezza». L'affermazione, puramente apodittica  e
quindi difficilmente falsificabile, e' pur comprensibile considerando
che la divaricazione tra concessioni pure e concessioni contratto  ai
fini della competenza amministrativa e della  differenziazione  della
funzione  del  canone,  in  questo  settore  imprenditoriale  si   e'
verificata solo 23 anni piu' tardi ad opera del citato  decreto-legge
n. 400 del 1993, sicche' all'epoca dell'istituzione  dell'imposta  le
concessioni erano tute "pure"  e  rappresentavano  effettivamente  la
manifestazione di  ricchezza  attraverso  il  consumo,  e  quindi  il
pagamento del canone poteva  rientrare  nel  concetto  di  indice  di
capacita' contributiva. L'emersione di una diversa ragione  economica
del canone concessorio nel mutato assetto economico del  settore  dei
porti (istituito solo nel 1994 con la citata legge n. 84 di riordino)
giustifica  oggi  una  minore  certezza  apodittica  sulla  effettiva
manifestazione di ricchezza di un esborso numerario  avente  il  solo
scopo di remunerare un fattore di produzione. 
  V b) Sulla doppia imposizione. 
    Un secondo dubbio di  incostituzionalita',  sempre  in  relazione
agli articoli 53 della Costituzione e 3 con riferimento al  principio
di ragionevolezza, si appalesa non manifestamente  infondato.  Sempre
con  limitato  riferimento  alla  imposta  gravante  sui  canoni   da
concessione contratto con le AdSP (poiche' non sarebbe  rilevante  la
medesima questione nei  confronti  della  imposta  sulle  concessioni
"pure" atteso  che  l'oggetto  dell'accertamento  qui  impugnato  non
riguarda questo tipo di concessioni), sembra violato il principio  di
ragionevolezza e di equita' attraverso la violazione del  divieto  di
doppia imposizione,  fattispecie  specifica  del  principio  generale
dell'ordinamento giuridico che aborre il bis  in  idem  in  qualsiasi
situazione, ma particolarmente in quelle in cui si incida (quindi due
volte) su una situazione giuridica soggettiva di diritto  soggettivo.
Principio introdotto in via generale dalla normativa avanti citata e,
nella materia del federalismo fiscale, dall'art 2, comma  2,  lettera
o) della legge n. 42 del 2009, come gia' osservato. 
    Ed infatti, il tributo in  esame  ha  il  suo  presupposto  nella
titolarita' di una concessione demaniale, il soggetto  inciso  e'  il
titolare della concessione e la base imponibile e'  proporzionale  al
canone corrisposto. 
    E' agevole  notare  che  i  presupposti,  il  soggetto,  la  base
imponibile sono i medesimi della imposta di registro che grava  sulle
concessioni demaniali marittime ai sensi dell'art. 5, comma 2,  della
Tariffa parte I, allegata al decreto del Presidente della  Repubblica
26 aprile 1986, n. 131, Testo  unico  sulla  imposta  di  registro  e
dell'art. 1, comma 993, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. E non a
caso  la  detta  tariffa  inserisce  l'imposta  di   registro   sulle
concessioni  nel  medesimo  art.  della  imposta  di  registro  sulle
locazioni,  in  ossequio  all'art.  20  dello  stesso   decreto   del
Presidente della Repubblica che dispone che  l'imposta  e'  applicata
secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, e quindi  prima
ancora economici, dell'atto e non  secondo  la  forma  dell'atto.  Il
corrispettivo, quindi (canone concessorio), e' tassato due volte. 
    La violazione dell'art. 53  della  Costituzione  sembra  emergere
esattamente  dalla  considerazione  che  la  doppia  imposizione   si
verifica sul medesimo presupposto e a carico del medesimo soggetto  e
quindi  duplica,  immotivatamente,  la  capacita'  contributiva   che
giustifica il prelievo. 
    Ricorrerebbe,  nella   fattispecie,   un   fenomeno   di   doppia
imposizione in senso economico, vale a dire l'incisione di una stessa
ricchezza  in  fattispecie  impositive  distinte  e  relativamente  a
tributi diversi (imposta sulle concessioni e  imposta  di  registro),
per  altro  appartenenti  alla  medesima  categoria  giuridica  delle
imposte indirette ove l'emersione  della  capacita'  contributiva  e'
legata allo scambio  (che  ha  nei  due  casi  l'identico  meccanismo
economico) e non al reddito o patrimonio. 
    L'ordinamento tributario  prevede  in  via  generale,  assurgendo
quindi a principio dell'ordinamento giuridico tributario,  l'espresso
divieto di doppia imposizione,  sia  nell'art.  67  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, in materia  di
accertamento delle imposte sui redditi, sia nell'art. 163 del decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, Testo unico
delle imposte sui redditi, riprendendo una tradizione normativa  gia'
risalente all'analogo divieto contenuto nella legge  sull'imposta  di
ricchezza mobile e nel Testo unico sulle imposte dirette del 1958. 
    La  migliore  dottrina  considera  il  divieto  quale   principio
generale  dell'ordinamento  giuridico  tributario,  e  non  un   mero
principio procedimentale di interpretazione e applicazione,  operante
non  solo  nella  diversita'  nominalistica  delle  due   imposte   a
confronto, ma soprattutto in funzione della analisi  economica  delle
loro conseguenze. 
    La unicita' del presupposto d'imposta, tra imposta sui  canoni  e
imposta di registro, si ricava sia se la si intende come  presupposto
giuridico del tributo nella sua componente oggettiva o materiale  (il
rilascio della concessione demaniale/la stipulazione del contratto di
locazione), sia se riferita al sostrato economico del fatto giuridico
colpito dal prelievo (l'esborso del canone  demaniale/locativo  quale
corrispettivo). 
    Ancor di piu' con riferimento al vizio di doppia  imposizione  si
appalesano irragionevoli le  norme  istitutive  della  imposta  sulle
concessioni marittime demaniali (nella fattispecie delle  concessioni
rilasciate dalle AdSP). Non appare  ragionevole  che  per  l'identico
fatto giuridico il cittadino sia inciso  due  volte  da  due  imposte
apparentemente diverse aventi non solo  il  medesimo  presupposto,  i
soggetti e la base imponibile,  ma  altresi'  la  medesima  struttura
impositiva (cioe' il fine di colpire la manifestazione di  ricchezza)
come se lo  stesso  contribuente  si  sdoppiasse  dinanzi  al  potere
impositivo. 
    L'accoglimento  di  una  delle   su   illustrate   questioni   di
costituzionalita', che riguardano la legittimita' costituzionale  (in
parte qua, cioe' limitata ai canoni delle  concessioni  contratto  su
beni demaniali marittimi  attribuiti  alle  AdSP)  della  istituzione
stessa della imposta sarebbe di per se'  assorbente  delle  ulteriori
questioni solevate dalla ricorrente o rilevabili  d'ufficio  e  delle
questioni  di  merito,  il  che  da'  conto  della  rilevanza   della
questione. 
    Tuttavia, occorre delibare altresi'  le  ulteriori  questioni  di
costituzionalita' prospettate dalla ricorrente, nonche'  motivare  la
impossibilita'  di  risolvere  il  merito,  come  richiesto  da  RCT,
ricorrendo  ad  una  interpretazione   costituzionalmente   orientata
dell'art. 8 del decreto legislativo 68 del 2011 e dell'art.  6  della
legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. 
VI. Incostituzionalita' per contrasto con l'art. 23, con  l'art.  76,
con gli articoli 117 e  119  della  Costituzione  e  con  i  Principi
generali e fondamentali dettati dalla Legislazione statale  dell'art.
8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 dell'art. 2, comma  2  della
Legge di  delegazione  n.  42  del  2009,  dell'art.  6  della  legge
regionale del Lazio n. 2 del 2013. 
  VI a) Una interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'ampia e complessa normativa sopra illustrata traccia un  quadro
di  principi  generali  nella  materia  alla  luce   dei   quali   e'
ermeneuticamente possibile, in  astratto,  una  interpretazione  c.d.
costituzionalmente orientata,  proposta  dalla  medesima  ricorrente,
dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 e, correlatamente,
dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. 
    Occorre dar conto di  tale  tentativo,  atteso  che,  secondo  la
giurisprudenza  costituzionale  e'  inammissibile  una  questione  di
costituzionalita' quando la norma sospettata sia suscettibile di  una
interpretazione  «costituzionalmente  orientata»  che  conduca  a  un
risultato giuridico non in contrasto con la Costituzione. In tal caso
e' obbligo del Giudice accedere alla interpretazione conforme. 
    La ricorrente prospetta una lettura di tale contenuto  la  quale,
molto semplificando, sarebbe nel  senso  per  cui  la  trasformazione
della imposta  sulle  concessioni  demaniali  marittime  (contemplata
negli articoli citati) riguardi esclusivamente  quelle  afferenti  le
cosi'  dette  concessioni  «pure»,  e  non  anche   le   «concessioni
contratto» perche' correlate a funzioni amministrative non  conferite
alle Regioni e quindi in palese contrasto con i principi generali del
sistema, sopra ampiamente trattati. 
    La lettera dell'art. 8 del decreto legislativo  n.  68  del  2011
permette una tale interpretazione, nel  senso  che  non  la  esclude,
poiche' si riferisce genericamente a tutte le  concessioni  demaniali
marittime, e dunque, in sede  di  interpretazione,  ben  potrebbe  il
Giudice operare una distinzione in  base  ai  criteri  sistematici  e
finalistici sopra ampiamente illustrati. Con questa proposta  lettura
delle  norme  si  darebbe  attuazione   completa   ai   principi   di
correlazione  e  continenza,  negando  sostanzialmente  la   potesta'
impositiva della  regione  su  un  presupposto  di  imposta  nei  cui
confronti essa  non  svolge  e  non  puo'  svolgere  alcuna  funzione
amministrativa conferita. 
  VI b) Correlatamente a questa impostazione, la ricorrente prospetta
in  subordine   l'incostituzionalita'   dell'art.   8   del   decreto
legislativo n. 68 del 2011 (che ha trasformato in  regionale  proprio
il tributo de quo) e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2
del 2013 che l'ha disciplinata, ove interpretato in senso difforme  a
quella che si e' prospettata come interpretazione «costituzionalmente
orientata», per violazione dell'art. 76 della Costituzione  sotto  il
profilo della violazione dei principi di delega  contenuti  nell'art.
2, comma 2 della legge n. 42 del 2009. 
    In  effetti,  l'esercizio   della   potesta'   impositiva   sulle
concessioni demaniali marittime di competenza delle AdSP sia da parte
del decreto legislativo statale sia  della  legge  regionale,  sembra
essere in contrasto e contraddizione con tutti i principi  e  con  il
disegno generale del sistema, cosi' come si e' sopra descritto,  come
anche con il modello emergente dalla citata legge di  delegazione  n.
42 del 2009. 
    Questa   questione   di   costituzionalita'   prospettata   dalla
ricorrente e' nondimeno manifestamente inammissibile. Essa,  infatti,
non riguarda la norma che, ai sensi dell'art. 23 della  Costituzione,
autorizza la istituzione della prestazione  patrimoniale  imposta,  e
quindi, quand'anche fosse accolta, non determinerebbe la  definizione
del giudizio. 
    Infatti, tale interpretazione, fondata su una lettura in  ipotesi
costituzionalmente corretta dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68
del 2011 e dell'art. 2, comma 2 della legge di delegazione n. 42  del
2009 non sufficientemente precise sul punto, viceversa si porrebbe in
contrasto insanabile con la lettera della legge regionale che,  unica
norma primaria, autorizza il potere impositivo. 
    Infatti, i citati articoli 8 del decreto legislativo 68 del  2011
e 2, comma 2 della legge n. 42 del  2009,  di  cui  si  vorrebbe  far
dichiarare la incostituzionalita', non costituiscono le basi  dirette
della potesta'  impositiva  esercitata  mediante  l'accertamento  qui
impugnato. Trattandosi di tributo ormai proprio in senso stretto,  la
relativa disciplina  legislativa  compete  alla  Regione  nell'ambito
della materia  concorrente,  sia  pure  nel  rispetto  dei  «principi
fondamentali» dettati dallo Stato (art. 117, comma terzo). 
    L'accertamento, in altri  termini,  e'  giuridicamente  sostenuto
dalla potesta' impositiva scaturente non dagli articoli 8 del decreto
legislativo 68 del 2011 e 2, comma 2 della legge n. 42 del  2009,  ma
dall'art. 6 della legge regionale Lazio n.  2  del  2013,  il  quale,
espressamente,  assoggetta  alla   imposta   anche   le   concessioni
rilasciate  dalle  AdSP  (comma  3),  in  piena  contraddizione   con
l'interpretazione dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del  2011
sopra mentovata, sulla quale prevale sia  perche'  norma  successiva,
sia perche' la disciplina attuativa, applicativa e di dettaglio nelle
materie concorrenti e' demandata alle regioni. 
    Da  questo   punto   di   vista   l'accertamento   impugnato   si
appaleserebbe,    quindi,     del     tutto     legittimo     poiche'
l'assoggettabilita' al tributo e' disposta direttamente  dalla  legge
(sia pure regionale) in ossequio all'art. 23 della Costituzione,  sul
presupposto, in  ipotesi  erroneo,  che  sussista  la  corrispondente
potesta' impositiva ad onta di qualsiasi interpretazione contraria. 
    Manifestamente infondata, quindi, e'  la  prospettazione  di  una
incostituzionalita' della imposta per violazione dell'art.  23  della
Costituzione, sul presupposto che si tratterebbe di un nuovo  tributo
istituito senza  legittimazione  normativa,  come  anche  prospettato
dalla ricorrente, atteso che e'  invece  proprio  la  norma  primaria
regionale  ad  istituire  espressamente   il   tributo.   Mentre   e'
inammissibile  una  questione  di  costituzionalita'  nei   confronti
dell'art.  8  del  decreto  legislativo  68  del  2011  (e  dell'art.
delegante 2, comma 2 della legge n. 42  del  2009)  come  prospettato
dalla ricorrente, per mancanza di  rilevanza,  non  essendo  essi  la
norma primaria che autorizza e sostiene la potesta' impositiva  e  la
loro dichiarata incostituzionalita' non influirebbe  sulla  decisione
del merito. 
VII. Incostituzionalita' dell'art 6 della legge regionale  del  Lazio
n. 2 del 2013 per violazione degli art.  23,  117,  comma  terzo,  76
della Costituzione. 
  VII a) Le medesime motivazioni di sistema e di principio alla  base
della interpretazione costituzionalmente orientata  dell'art.  8  del
decreto legislativo n. 68 del 2011 ben potrebbero costituire la  base
di una interpretazione costituzionalmente orientata  anche  dell'art.
6, comma 3 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013,  la  quale,
pero', espressamente  assoggetta  al  tributo  anche  le  concessioni
rilasciate dalle AdSP. 
    Tuttavia  non  e'  possibile  procedere  ad  un  tale   tentativo
ermeneutico, poiche' il significato fatto palese dalle parole e',  in
questo  caso,  inequivocabile  e  una  decisione  fondata  nel  senso
dell'accoglimento   del   ricorso   solo   su   una   interpretazione
costituzionalmente orientata sostanzialmente analoga a  quella  sopra
illustrata, si risolverebbe non in una operazione ermeneutica, ma  in
una  disapplicazione  sic  et  simpliciter   della   norma   primaria
regionale, inibita al Giudice nel nostro ordinamento giuridico, salvo
il caso che qui non  si  presenta,  di  contrasto  con  l'ordinamento
giuridico europeo. 
    Proprio nei confronti di detto art. 6, pero', sorge il dubbio sul
rispetto da parte della legge regionale delle  regole  costituzionali
di esercizio delle competenze legislative, dubbio che necessita di un
giudizio del Giudice delle leggi e  della  Attribuzione  e  non  puo'
essere sciolto dal Giudice ordinario. 
  VII b) Il Collegio, ritiene quindi non manifestamente infondata  la
questione di costituzionalita' dell'art. 6 della legge regionale  del
Lazio piu' volte citata, nella parte in cui, al  comma  3,  sottopone
alla imposta anche le concessioni demaniali con riferimento ai  porti
attribuiti alla competenza delle AdSP, per violazione dell'art.  117,
comma terzo, della Costituzione. 
    La questione e' rilevante perche', come gia' osservato, l'art.  6
in questione costituisce la norma  tributaria  primaria  ex  art.  23
della Costituzione, regolatrice dell'imposta e  la  dichiarazione  di
una  sua  incostituzionalita'  sarebbe  del  tutto  assorbente  nella
decisione del presente giudizio. 
    A tal proposito si osserva: Nei precedenti  paragrafi  III  e  IV
sono  stati  illustrati  l'attuale  regime  amministrativo  e  quello
fiscale delle concessioni demaniali marittime nei porti, segnatamente
quelli  di  competenza  delle  AdSP.  L'interpretazione  della  lunga
sequela di norme che hanno disciplinato la materia dei  porti,  e  in
particolare dell'art. 8 del decreto legislativo n.  68  del  2011,  e
della  legge  n.  84  del  2009  soprattutto  nella  sua   successiva
evoluzione a seguito dei decreti-legislativi 4 agosto 2016, n. 169  e
13 dicembre  2017,  n.  232,  ha  permesso  di  individuare  principi
generali, successivamente affermatisi  attraverso  le  varie  novelle
succedutesi, sia nell'uno sia nell'altro settore. 
    Essi si possono qui riassumere: 
      La netta separazione del regime amministrativo tra i  porti  di
rilevanza nazionale e internazionale attribuiti alla competenza delle
AdSP  e  quelli  attribuiti  alla  competenza  delle  regioni  e   in
conseguenza: 
      - l'individuazione  di  una  doppia  tipologia  di  concessioni
demaniali sui beni marittimi tra «pure» e «contrattuali»; 
      - il principio di continenza  nel  reperimento  delle  risorse,
individuate in funzione dei LEP e dei  costi  standard,  strettamente
necessarie al solo sostentamento delle funzioni amministrative; 
      - il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire  la
limitazione del potere fiscale alla copertura  dei  costi  finanziari
dei servizi se e in quanto resi al territorio; 
      -  il  divieto  per  le  regioni  di  costituire   una   doppia
imposizione fiscale sul medesimo presupposto  di  imposta  utilizzato
dallo Stato; 
      - il principio di correlazione, in merito alla coincidenza  tra
l'ente impositore e l'ente erogatore del bene o servizio; 
      -  il   principio   di   corrispondenza   tra   responsabilita'
finanziaria e amministrativa; 
      - il principio di autonomia territoriale nel reperimento  delle
risorse che devono consentire di finanziare integralmente il  normale
esercizio delle funzioni pubbliche attribuite; 
      - il principio del rispetto dei costi standard  e  dei  livelli
essenziali delle prestazioni. 
    Essi costituiscono quindi quei  «principi  fondamentali»  che  le
regioni  devono  rispettare  nell'esercizio  della  loro   competenza
legislativa concorrente ex art. 117 comma terzo della Costituzione. 
    In  merito  alla  valutazione  di   tali   principi,   la   corte
Costituzionale ha elaborato  alcuni  criteri  cardine,  con  numerose
sentenze, tra cui di recente Corte costituzionale 1°  febbraio  2023,
n. 6. 
    Nella sentenza citata, proprio per la individuazione dei principi
fondamentali nel settore dei porti, la Corte precisa: «7.2.  -  Dalla
riconducibilita' delle  disposizioni  impugnate  a  tale  materia  di
legislazione concorrente deriva che  le  norme  dettate  dallo  Stato
possano  trovare  legittimazione  se  ne  stabiliscono   i   principi
fondamentali, secondo quanto previsto  dall'art.  117,  terzo  comma,
della Costituzione, o se  dettate  per  effetto  della  «chiamata  in
sussidiarieta'». 
    In primo luogo si osserva che la Corte qualifica  la  materia  in
questione come concorrente,  con  la  conseguenza  che  e'  legittimo
interrogarsi su quali siano i principi fondamentali  cui  le  regioni
devono attenersi. 
    Continua la Corte: «Quanto ai  primi  (i  principi  fondamentali)
occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza costante  di  questa
Corte, la  qualificazione  di  una  norma  di  fonte  statale,  quale
principio fondamentale  di  una  materia  di  competenza  legislativa
concorrente cui le Regioni devono adeguarsi,  deve  essere  valutata,
avendo riguardo al contenuto della stessa e  alla  sua  funzione  nel
sistema (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 44 del  2021,  n.  78  del
2020, n. 94 del 2018,  n.  16  del  2010),  in  considerazione  delle
«esigenze  di  coerenza  sistematica  e  di  uniformita'  a   livello
nazionale della disciplina» (sentenza n. 166 del 2021)». 
    «Quanto  al  meccanismo  della  chiamata  in   sussidiarieta'   -
costantemente richiamato da questa Corte a partire dalle sentenze  n.
303 del 2003 e n. 6 del 2004 -  pur  nelle  materie  di  legislazione
concorrente o residuale, le esigenze di carattere unitario  abilitano
lo Stato ad accentrare l'esercizio delle funzioni amministrative,  ai
sensi dell'art. 118 della Costituzione, e al tempo stesso a regolarne
l'esercizio. Affinche' l'intervento normativo statale "in attrazione"
sia costituzionalmente legittimo  e'  necessario  che  la  disciplina
dettata  sia  logicamente  pertinente,  risulti  limitata  a   quanto
strettamente  indispensabile  e  preveda   adeguati   meccanismi   di
cooperazione con i  livelli  di  governo  coinvolti  per  l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo  agli  organi
centrali (ex plurimis, sentenze n. 123 e n. 40 del 2022, n.  246  del
2019, n. 142 e n. 7 del 2016)». 
    E ancora precisa: «7.3. - Con  riferimento  alla  fattispecie  in
esame, questa Corte ritiene, innanzitutto, che  l'intervento  statale
in attrazione trovi presupposto legittimante nelle esigenze unitarie,
che risultino non  sproporzionate  o  irragionevoli  (tra  le  altre,
sentenze n. 170 del 2017 e n. 142 del 2016).». 
    Ricorda ancora la Corte: «D'altronde,  questa  Corte  aveva  gia'
prefigurato che il carattere di rilevanza economica internazionale  o
di  preminente  interesse  nazionale   dei   porti   avrebbe   potuto
«giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato
su di essi sulle connesse aree portuali» (sentenze n. 412  del  2008,
n. 255 del 2007, n. 90 e n. 89 del 2006)). 
    Risulta  con  sufficiente  chiarezza,  dunque,  che  i   principi
generali individuati dalle numerose  leggi  intervenute  nel  settore
siano da considerarsi principi fondamentali ai sensi  dell'art.  117,
comma terzo, con le conseguenze del caso ove la legge  regionale  non
li rispetti. 
    In primis, i principi di  continenza  e  correlazione,  cioe'  la
connessione indefettibile tra l'esercizio di funzioni  amministrative
e  l'imposizione  fiscale  strettamente  necessaria  a  reperirne  le
risorse e la identita' del soggetto impositore e di quello erogatore;
inoltre, la suddivisione concettuale  del  sistema  portuale  in  due
categorie  separate  costituite  l'una  dai  porti  attribuiti   alla
competenza delle AdSP l'altra dai porti restanti  e  conseguentemente
di due categorie distinte di concessione, e inoltre il divieto  della
doppia imposizione. 
    Sul primo punto si osserva che il principio della correlazione e'
espressamente individuato dall'art. 2,  comma  2,  lettera  p)  della
legge n. 42 del 2009 quale principio  ai  sensi  dell'art.  76  della
Costituzione da rispettare nell'esercizio della potesta'  legislativa
delegata. 
    Il decreto legislativo n. 68 del 2011, art.  8  sopra  esaminato,
non ha  espressamente  disposto  che  la  trasformazione  in  tributo
regionale  proprio,  non  derivato,  riguardasse  solo  i  porti  non
attribuiti alla competenza delle AdSP, ma tale omissione non elide la
considerazione che tale principio deriva dalla stratificazione  delle
norme di settore che hanno finito col  separare  nettamente  i  porti
trasferiti alla competenza amministrativa  delle  regioni  da  quelli
attribuiti  alle  AdSP,  con  i  corollari  della  diversa  natura  e
competenza nelle funzioni amministrative e della diversita' economico
giuridica della  funzione  dei  rispettivi  canoni,  ma  soprattutto,
secondo i principi di correlazione  e  continenza,  che  la  potesta'
impositiva sia strettamente connessa  alle  funzioni  amministrative,
che in questi porti non sono trasferite alle regioni. 
    La interpretazione del combinato disposto dell'art.  2,  comma  2
della legge n. 42  del  2009  e  dell'art.  8  comma  1  del  decreto
legislativo n. 68 del 2011, nel senso appena illustrato, rende palese
la volonta' del Legislatore di tenere distinte le  due  categorie  di
porti (cioe' quelli attribuiti o  no  alla  competenza  regionale)  e
delle relative concessioni, anche sotto il profilo  della  competenza
legislativa   in   materia   tributaria.   Tuttavia,    poiche'    la
trasformazione in tributo  proprio  non  derivato  della  imposta  in
questione ha attribuito alla Regione la competenza legislativa  sulla
disciplina della stessa, occorre verificare se tale ultima disciplina
sia conforme al dettato costituzionale. 
    Il  primo  esame  va  condotto  alla  luce  dell'art.  76   della
Costituzione, come prospettato dalla ricorrente. 
    Il   meccanismo   legislativo   previsto   dall'art.   76   della
Costituzione prevede la delegazione della  potesta'  legislativa  dal
Parlamento al Governo. Destinatario della delega e'  quindi  solo  il
Governo della Repubblica e non le Regioni come organi costituzionali. 
    Ove si verta in materia di legislazione concorrente,  per  quanto
non ci si possa riferire alla legge regionale come «attuazione  della
delega  legislativa»  (che  e'  direttamente  cogente  solo  per   il
Legislatore statale delegato), tuttavia e' evidente che il  contenuto
di una legge di delegazione e del  relativo  decreto  legislativo  di
attuazione manifestino e cristallizzino quei «principi  fondamentali»
di cui all'art. 117, comma terzo, ultimo periodo della  Costituzione,
che le regioni sono tenute a  rispettare  nell'esercizio  della  loro
competenza legislativa concorrente. 
    La questione, quindi, non e' quella di individuare una violazione
dell'art. 76 della Costituzione sotto il profilo della violazione  di
principi di delega attraverso la violazione della  norma  interposta,
poiche'  la  potesta'  legislativa  concorrente  della   regione   e'
esercitata per legittimazione  sua  propria  e  non  su  delegazione.
Piuttosto si tratta di verificare se la legge regionale sia  conforme
ai «principi fondamentali» da rispettare (art. 1, comma 3 della legge
131 del 2003), dettati anche dalla citata legge  di  delegazione,  ma
soprattutto dall'intero sistema legislativo in materia che si e' gia'
esaminato. 
  VII c) Inammissibile e' quindi la questione nei confronti dell'art.
76 come prospettata dalla ricorrente, mentre  ammissibile  e'  quella
circa la violazione dell'art. 117, comma terzo. 
    Infatti, nelle materie di legislazione concorrente,  come  quella
che qui ci affatica, «spetta alle Regioni  la  potesta'  legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,  riservata
alla legislazione dello Stato.». L'art. 1, comma 3 della legge n. 131
del 2003, che detta i principi fondamentali  per  l'attuazione  della
riforma del titolo V  della  costituzione,  nel  ribadire  che  nelle
materie concorrenti le Regioni  esercitano  la  potesta'  legislativa
nell'ambito dei principi fondamentali chiarisce  che  questi  possono
non solo  essere  espressamente  determinati  dallo  Stato  ma  anche
desumibili dalle leggi statali vigenti. 
    E'  quindi  necessario  valutare  se  la  legge  regionale  abbia
rispettato i principi fondamentali desumibili da tutta  la  normativa
in tema di federalismo fiscale e patrimoniale o demaniale che abbiamo
esaminato sopra. 
VIII. Principi generali e fondamentali amministrativi e fiscali nella
materia  «Coordinamento  della  Finanza  pubblica   e   del   Sistema
tributario» nel Sistema portuale. 
    Giova ricapitolare sinteticamente i principi  generali  emergenti
da tutta la legislazione del settore e sopra esaminati: 
      quanto all'organizzazione amministrativa: 
        la   suddivisione   dei    porti    in    due    sottoinsiemi
quantitativamente e qualitativamente, oltre che  giuridicamente,  ben
differenziati. I  porti  attribuiti  alla  competenza  amministrativa
delle regioni e i porti sottratti alle  Regioni  e  rientranti  nelle
competenze delle AdSP; 
        come corollario, il principio della attribuzione alle AdSP  e
solo ad esse, o se si vuole dire, della sottrazione alle regioni,  di
qualsiasi competenza amministrativa su tali porti; 
        la figura della AdSP come autorita' di regolazione e  non  di
gestione; 
        ancora come corollario, la differente  natura  giuridica  del
canone di concessione. 
    Quanto alle conseguenze fiscali: 
      - il principio di continenza  nel  reperimento  delle  risorse,
individuate in funzione dei LEP e dei  costi  standard,  strettamente
necessarie al sostentamento delle funzioni amministrative e  ad  esse
legate da un rapporto di biunivocita' necessaria; 
      - il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire  la
limitazione del potere fiscale alla copertura  dei  costi  finanziari
dei servizi se e in quanto resi al territorio; 
      - il principio di correlazione, in merito alla coincidenza  tra
l'ente impositore e l'ente erogatore del bene o servizio; 
      - il principio del divieto di  doppia  imposizione,  statale  e
regionale, sul medesimo presupposto; 
      -  la  diversa  natura  giuridico   fiscale   del   canone   di
concessione: manifestazione  del  dominium  per  i  porti  regionali,
prezzo del sinallagma, imponibile fiscalmente, per i canoni richiesti
dalla AdSP. 
      Atteso che i principi succitati, e  in  particolare  quelli  di
correlazione e continenza, sono assurti, come si  e'  argomentato  ad
abundantiam, a principi generali e fondamentali  ai  sensi  dell'art.
117, terzo comma della Costituzione, e considerato  altresi'  che  la
espressa sottoposizione ad opera del citato  art.  6,  comma  secondo
periodo, alla imposta anche dei canoni relativi alle  concessioni  di
competenza delle AdSP e' in palese contrasto con tali principi, se ne
deduce   la   non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' relativa al detto art. 6. 
    In assenza di qualsiasi altra questione preliminare nel merito  o
nel rito che sia per se' sola in grado  di  definire  il  giudizio  e
quindi dinanzi alla necessita' di applicare una  legge  regionale  su
cui esiste una non manifesta infondatezza di incostituzionalita',  si
appalesa la rilevanza della medesima questione, che impone quindi  la
rimessione alla Corte Costituzionale del giudizio  incidentale  nulla
incostituzionalita' delle seguenti norme: 
      1. Degli articoli 1 e 2 della legge  16  maggio  1970  n.  281,
dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e  dell'art.
6 della legge regionale del Lazio  del  29  aprile  2013,  n.  2  per
violazione   degli   articoli   3   e   53   della   Costituzione   e
irragionevolezza, nella parte in cui  sottopongono  alla  imposta  in
questione le concessioni su beni demaniali marittimi rilasciate dalle
ex Autorita' portuali oggi Autorita' di Sistema Portuale AdSP; 
      2. Dell'art. 6, comma 3, della legge  regionale  del  Lazio  29
aprile 2013, n. 2, limitatamente  all'inciso:  «ivi  comprese  quelle
rilasciate  e  gestite  dalle  autorita'  portuali»,  per  violazione
dell'art. 117, comma terzo, ultimo periodo, della  Costituzione,  per
non  avere  rispettato  i   principi   fondamentali   della   materia
«coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario;»
riservati alla legislazione dello Stato.