LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA (Ex Commissione Tributaria Provinciale di Roma) Sezione 28 Riunita in udienza il 7 luglio 2022 alle ore 11,00 con la seguente composizione collegiale: Zucchelli Claudio, Presidente e Relatore; Lamorgese Antonio Pietro Maria, Giudice; Aquino Nunzio, Giudice; in data 7 luglio 2022 ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 11397/2020 depositato il 30 ottobre 2020; proposto da R C. T. S.r.l. - 08482171009; difeso da Gennaro Borriello -BRRGNR55H11F839W; Alfonso Magliulo - MGLLNS66H09F839C; Fiorella Titolo - TTLFLL71D66F839V; Rappresentato da Roberto Ferrarini - FRRRRT63C24E897J ed elettivamente domiciliato presso fiorellatitolo@avvocatinapoli.legalmail.it; contro Regione Lazio; difeso da Marco Marafini - MRFMRC68T01E472C ed elettivamente domiciliato presso federalismofiscale@regione.lazio.legalmail.it; Avente ad oggetto l'impugnazione di: avviso di accertamento n...; a seguito di discussione in pubblica udienza. Fatto Con atto di accertamento e contestuale irrogazione sanzione, la Regione Lazio ha ingiunto alla R. C. T. S.r.l. (d'ora innanzi RCT o «la ricorrente») il pagamento della imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo istituita ai sensi dell'art. 6 legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, dovuta in relazione alla concessione del... Avverso tale atto la RCT propone ricorso per i seguenti motivi: 1) Con il primo motivo lamenta Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della legge regionale del Lazio 29 aprile 2013 n. 2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e della legge delega 5 maggio 2009, n. 42. Violazione e falsa applicazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84. Osserva che la legge n. 84/1994 ha riordinato l'intero sistema portuale istituendo le Autorita' Portuali, oggi Autorita' di Sistema Portuale-AdSP, cui sono devoluti i canoni di concessione versati dai concessionari delle aree demaniali siti nella circoscrizione di competenza delle stesse AdSP. Detti canoni, quindi, costituiscono la provvista finanziaria per le AdSP per la erogazione dei servizi. L'art. 1 della legge n. 16 maggio 1970 n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario) istituisce un tributo derivato a favore delle Regioni, costituito da un'imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio siti nel proprio territorio. Poiche' le concessioni di cui si discute rientrano nell'ambito delle circoscrizioni delle Autorita' portuali, e proprio per questo motivo sono rilasciate da tali enti autonomi, ne consegue il venir meno del relativo requisito soggettivo giacche' nella fattispecie non possono essere soggetti passivi dell'imposta in parola, che e' regionale, i titolari delle concessioni demaniali rilasciate dalle Autorita' portuali. L'espressione «beni del demanio siti nel proprio territorio» non va intesa in senso geografico, ma funzionale, cioe' intendendosi con essa l'ambito su cui la Regione esercita le sue funzioni. Poiche' sui porti di interesse nazionale sedi di AdSP la Regione non esercita alcun potere amministrativo, ne consegue che sui beni siti nella circoscrizione della AdSP la cui concessione da' luogo al pagamento del canone, viene meno la stessa potesta' impositiva della Regione, e l'accertamento impugnato, quindi, e' illegittimo. 2) Con il secondo motivo lamenta la violazione degli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione nonche' del principio di ragionevolezza e correlazione. Osserva che la legge di delegazione n. 42 del 2009 ha previsto, tra le altre, per attuare l'art. 119 della Costituzione sotto il profilo finanziario, la possibilita' di garantire alle Regioni tributi propri e non solo derivati, cosi' come definiti dall'art. 7, comma 1, lettera b) della legge n. 42 del 2009, fissando principi e criteri direttivi. RCT quindi lamenta che la disposizione regionale, che sottopone all'imposta de qua i canoni delle concessioni demaniali rilasciate dalle AdSP, sia costituzionalmente illegittima per violazione, ad opera del decreto delegato n. 281 del 1970, dei principi di ragionevolezza (art 3, comma 2 della Costituzione), di legalita' e riserva di legge (art. 23 della Costituzione) di capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione), e per violazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 42 del 2009 che aveva indicato gli stessi al legislatore delegato. Sul punto osserva che la legge di delegazione n. 42 ha individuato (art. 2), tra gli altri, i seguenti criteri: «... n-1) rispetto del criterio ... della capacita' contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche; p) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilita' nell'imposizione di tributi propri.». Emergono in particolare il rispetto dei principi: a) di continenza; b) di correlazione; c) del divieto di duplicazione dell'imposta; d) della conferma dei principi di capacita' contributiva e progressivita'. RCT precisa che il c.d. «principio di continenza» e' condizione necessaria affinche' il tributo sia considerato «proprio», ossia espressivo della (e strettamente funzionale alla) autonomia amministrativa della Regione e, dunque, connesso alle materie di competenza regionale, attraverso un nesso imprescindibile tra l'esercizio delle funzioni attribuite, i servizi pubblici erogati e la relativa imposizione. Esso e' espresso nella lettera p) del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 42/2009 come: «p) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilita' nell'imposizione di tributi propri;». Vi e', poi, un «principio di correlazione» che presuppone una identificazione tra Ente impositore ed Ente erogante i servizi o beni pubblici richiesti dalla collettivita' locale in modo che i gettiti provenienti dai tributi, rispettosi della correlazione, siano destinati esclusivamente alla copertura delle specifiche spese sostenute per la fornitura di beni o prestazioni pubbliche, quindi con un esercizio di moderazione nella imposizione finalizzato esclusivamente a tali scopi. I richiamati principi impongono, quindi, una stretta connessione tra «cosa tassata e cosa amministrata», per ciascun livello di governo, in modo da garantire la corrispondenza tra responsabilita' di entrata e responsabilita' di spesa. Ne consegue che e' inibito alla Regione istituire e disciplinare «tributi propri» su concessioni rilasciate dalle Autorita' Portuali e cio' per due ragioni. I. In primo luogo, non ricorre la indicata identificazione fra Ente impositore ed Ente erogatore di servizi. II. Inoltre, non ricorre neanche quel parallelismo fra competenza amministrativa, gestione e autonomia tributaria espresso dai richiamati principi di correlazione e continenza. Ed infatti, gli ambiti portuali come quelli di Civitavecchia rimangono di esclusiva competenza statale, sia con riferimento alle funzioni amministrative, sia con riferimento alla proprieta' demaniale del bene sia al sostentamento dei costi per la erogazione dei servizi, che sono reperiti esclusivamente tramite i canoni concessori. Anche sotto il profilo della proprieta' delle aree in concessione, RCT ricorda che gia' dal primo intervento legislativo volto a realizzare una maggiore autonomia amministrativa regionale (decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, art. 105, in attuazione della delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59), il legislatore ha stabilito che, nell'ambito dei trasporti, «sono conferite alle Regioni e agli Enti locali tutte le funzioni non espressamente <...> attribuite alle autorita' portuali dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84» e, in particolare, nell'individuare le funzioni conferite agli Enti territoriali, espressamente ha disposto che «tale conferimento non opera nei porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonche' nelle aree di preminente interesse nazionale...», fra i quali rientrano i porti sedi di AdSP quindi anche il Porto di Civitavecchia. A tal proposito, sul piano del c.d. federalismo demaniale, la citata Legge delega n. 42/2009 ha delegato ai decreti legislativi la individuazione delle tipologie di beni di «rilevanza nazionale» che non possono essere trasferiti (art. 19) e, in esecuzione di tale delega, il decreto legislativo 18 maggio 2010 n. 85, nel disporre il trasferimento dei beni statali alle Regioni e agli Enti locali, ha espressamente escluso da tale trasferimento: i) i beni appartenenti al demanio marittimo non direttamente utilizzati dallo Stato; e ancora piu' specificamente ii) i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore. Per tali motivi solleva questione di costituzionalita' nei confronti dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 6 legge regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, nella parte in cui, nell'istituire l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, di cui all'art. 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281 quale tributo proprio (comma 1), prevede che l'imposta sia dovuta alla Regione anche dai titolari delle concessioni statali (comma 2) rilasciate e gestite dalle autorita' portuali (comma 3). E, in ogni caso, non esclude dalla sua applicazione le concessioni delle aree demaniali di Porti di rilevanza economica di preminente interesse statale, come quello di Civitavecchia, per violazione degli articoli 117 e 119 della Costituzione Nonche' per violazione dei principi del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 art. 8, di cui la legge regionale e' attuazione e conseguente violazione anche dei principi della legge n. 42/2009 attraverso la norma interposta di cui al decreto legislativo n. 68/2011. La legge regionale avrebbe infatti istituito un nuovo tributo, non gia' si sarebbe limitata a trasformare l'imposta sulle concessioni in imposta sui canoni, violando cosi' la delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, attraverso la violazione della norma interposta costituita dal decreto legislativo n. 68 del 2011 di attuazione della legge n. 42 del 2009. Si chiede, inoltre, che la questione di legittimita' costituzionale sia sollevata anche nei confronti dell'art. 8 decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, per eccesso di delega, violazione dei principi e criteri direttivi della Legge di delega n. 42/2009, nonche' per violazione art. 117 e 119 della Costituzione se interpretato nel senso di autorizzare l'imposizione sui canoni erariali riscossi dalle AdSP. 3) Nella memoria la ricorrente precisa che il dubbio di incostituzionalita' investe anche l'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. Ripercorrendo la successione di leggi nel tempo, con riferimento alle funzioni delegate o trasferite alle Regioni, precisa che anche in occasione della delega alle Regioni delle funzioni amministrative su beni statali, con l'art. 59, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, si disponeva: «2. La delega di cui al comma precedente non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima. L'identificazione delle aree predette e' effettuata, entro il 31 dicembre 1978, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ...». Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e' stato emanato in data 21 dicembre 1995 e contempla, oltre ad altri, tutti i porti sede di AdSP e nella specie Civitavecchia. Successivamente anche l'art. 19 della legge n. 42 del 2009, in materia di trasferimento delle funzioni su beni demaniali alle Regioni, dispone che nel decreto delegato siano individuate le tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti. In attuazione di tale criterio direttivo, il successivo decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, art. 5, comma 2, ha disposto che «... Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: ... i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; ...». Deduce la ricorrente che la legge regionale non e' che attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, il quale a sua volta attua la delega contenuta nella legge n. 42 del 2009. L'art. 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011 non consente alle Regioni di introdurre nuovi tributi ma solo di trasformare alcuni tributi erariali esistenti in tributi da derivati a propri. Espressamente esso richiama il decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, recante la disciplina della determinazione dei canoni demaniali, nei soli articoli 1, 5 e 6 (che riguardano le funzioni delegate) ma non nell'art. 7 che riguarda appunto i canoni per le concessioni nei porti dotati di autorita'. E infatti, correttamente il citato art. 8 trasforma l'imposta su canoni concessori in tributo proprio della Regione, delimitando il campo oggettivo ai soli beni contemplati dagli articoli 1, 5 e 6 del decreto-legge n. 400/1993 ovvero quelli trasferiti alle Regioni, ma non l'art. 7 che si occupa invece dei porti ove esistono le Autorita' Portuali. Conseguentemente la legge regionale n. 2 del 2013 avrebbe violato l'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 il quale consente solo di trasformare il tributo erariale in tributo proprio avendo a presupposto impositivo il pagamento dei canoni dovuti per le concessioni nei porti le cui funzioni siano state delegate o trasferite alle Regioni, ma non il pagamento dei canoni dovuti per la concessione demaniale nei porti sede di AdSP che non sono stati trasferiti e sui quali la Regione non esercita alcuna funziona amministrativa. In tal modo la Regione avrebbe istituito ex novo un tributo, nuovo poiche' si fonderebbe su un presupposto d'imposta quantitativamente e qualitativamente diverso da quello definito dall'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 attuativo dell'art. 2 della legge n. 281 del 1970. La trasformazione in tributo proprio, infatti, e' possibile secondo le due norme da ultimo citate solo con l'invarianza del presupposto, nonche' delle componenti, soggettive e oggettive. 3) Ove le considerazioni che precedano non conducano ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che escluda i canoni concessori a favore delle AdSP dalla imposizione, la RCT deduce allora una violazione della legge di delegazione n. 42 del 2009 da parte dello stesso art. 8 che ne e' attuazione. Conseguentemente, per violazione della norma interposta, anche la violazione della legge di delegazione n. 42 del 2009 da parte della legge regionale. La legge n. 42 del 2009, infatti contiene principi di attuazione, coerenti con la materia della finanza pubblica e quindi incidenti in tutte le materie, che possono riassumersi nei seguenti: a) Attribuzione di risorse autonome agli enti locali e alle Regioni, in relazione alle rispettive competenze; b) Tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilita' nella imposizione di tributi propri (art. 2, comma 2, lettera p). Orbene, allo stato attuale nessuna correlazione esiste tra l'attivita' amministrativa nei proti affidati alle AdSP e le Regioni competenti, per cui la legge regionale ha violato tali principi. Necessita quindi una interpretazione costituzionalmente orientata, ovvero, in alternativa, ritenere che l'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011, se interpretato in tal maniera, ha violato la delega contenuta nella legge n. 42 del 2009. Rendendo cosi' incostituzionale la legge regionale per la incostituzionalita' della stessa norma interposta in base alla quale la Regione ha potuto esercitare il suo potere impositivo. 4) In sintesi: a. Ai sensi dell'art. 8, decreto legislativo n. 68/2011 i tributi da sopprimere o trasformare, sono solo quelli relativi ai beni demaniali di cui agli articoli 1, 5 e 6, decreto-legge n. 400/1993; b. L'art. 1 riguarda i canoni delle concessioni con decorrenza 1990, 1991, 1992 e 1993 (quella RCT e' del 2005); c. Gli articoli 1, 5 e 6 decreto-legge n. 400/1993 attengono solo ai beni demaniali le cui funzioni amministrative sono state delegate alle Regioni ai sensi dell'art. 59 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977; d. L'art. 59 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 esclude dalla delega alle Regione i porti di preminente interesse nazionale individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; e. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995, attuativo dell'art. 59 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977, individua fra i porti di preminente interesse nazionale quello di Civitavecchia; f. L'art. 8 non fa riferimento, invece, all'art. 7 del decreto-legge n. 400/1993 che si occupa delle Autorita' Portuali. Si e' costituita la Regione Lazio resistendo. Diritto I. La questione che si agita dinanzi a questa Corte Tributaria riguarda una pretesa avanzata dalla Regione Lazio nei confronti di R. C. T. S.r.l. (RCT) concessionario a fronte di una concessione demaniale nel porto di Civitavecchia rilasciata dalla Autorita' di Sistema Portuale (AdSP) del Mar Tirreno Centro Settentrionale, relativamente alla imposta sulle concessioni demaniali marittime. La pretesa trova il suo fondamento nell'art. 6 della legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, la quale prevede l'applicazione della menzionata imposta, avente a base imponibile il canone concessorio riferito al bene concesso. L'imposta, gia' istituita come tributo proprio derivato e' stata trasformata in tributo regionale proprio stricto sensu (cioe' non derivato) dall'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 emanato in attuazione della legge di delegazione 5 maggio 2009, n. 42. Preliminarmente, sono state prospettate dalla ricorrente, o devono essere sollevate d'ufficio, alcune questioni che appaiono non manifestamente infondate di contrasto con norme costituzionali. E' necessario, a tale scopo, tracciare il piu' brevemente possibile il quadro del sistema portuale in connessione con i beni demaniali marittimi, particolarmente con riferimento alla attuazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione e ai cosi' detti «federalismo patrimoniale (o demaniale)» e «federalismo fiscale», tenendo conto della evoluzione legislativa. Occorre chiarire il rapporto giuridico esistente tra i beni del demanio marittimo, oggetto delle concessioni e le funzioni delle Autorita' di Sistema Portuale e delle Regioni, nonche' il rapporto tra l'imposizione tributaria e le funzioni di questi due organi. In tal modo si potra' meglio spiegare come il mutato assetto del sistema incida sulla valutazione di non manifesta infondatezza di alcune questioni di costituzionalita', di cui avanti. II. Cenni sul sistema portuale. Ai sensi dell'art. 822 del codice civile costituiscono, ciascuno per se', una parte del demanio marittimo, naturale e necessario. La funzione attribuita al titolare di un bene demaniale (nella fattispecie i porti marini di cui all'art. 822 del codice civile) e' primariamente quella di tutela, conservazione, manutenzione del bene per garantirne l'uso comune o comunque pubblico nonche' per soddisfare l'interesse pubblico sotteso al regime di demanialita'. Il demanio marittimo e' bene fuori commercio e non puo' essere oggetto di contratti di alienazione o godimento (art. 823 del codice civile), ma solo di concessione traslativa ai sensi dell'art. 36 e segg. del codice della navigazione e dell'art. 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino del sistema portuale), per godimento individuale o come fattore produttivo di una attivita' imprenditoriale. Cio' non elide le finalita' primarie del bene demaniale sopra indicate che vengono quindi perseguite attraverso l'esercizio di complesse attivita' amministrative di competenza del titolare altresi' del potere concessorio. Vi e' quindi una coincidenza necessaria tra il titolare del diritto demaniale (di natura dominicale) e il titolare delle funzioni amministrative. A tal proposito, l'art. 6 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 citata ha istituito le Autorita' Portuali, enti pubblici non economici ai sensi del comma 5 del medesimo articolo. Esse esercitano le medesime funzioni originariamente riservate allo Stato sui beni demaniali costituti dai porti rientranti nelle rispettive circoscrizioni, come per altro chiarito dal parere del Consiglio di Stato, sez. III, del 9 luglio 2002, n. 1614, e sono titolari del potere demaniale. Originariamente esse erano state individuate come autorita' «mono-scalo», ma con la riforma recata dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169 ed dal decreto legislativo 13 dicembre 2017, n. 232, sono state trasformate in Autorita' con competenza su una circoscrizione territoriale comprendente piu' porti, cosi' inseriti in un sistema. Sono esattamente le Autorita' di Sistema Portuale - AdSP di cui all'art. 6 della legge n. 84 del 1994 novellata, con competenza sui porti individuati dall'Allegato A della stessa legge. Trattasi dei porti gia' sostanzialmente definiti di interesse nazionale e internazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995 gia' citato e mai stati oggetto di delega o trasferimento di funzioni amministrative alle regioni, come meglio si vedra' innanzi. Piu' precisamente, alle AdSP sono affidati compiti di: a) Indirizzo, programmazione, coordinamento, regolazione, promozione e controllo, delle operazioni e dei servizi portuali; b) Manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell'ambito portuale; c) Affidamento e controllo delle attivita' dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale; d) Coordinamento delle attivita' amministrative esercitate dagli enti e dagli organismi pubblici nell'ambito dei porti; e) Amministrazione in via esclusiva delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione; f) Promozione e coordinamento di forme di raccordo con i sistemi logistici retro portuali e interportuali. La AdSP quindi si configura principalmente come autorita' di regolazione e non di gestione. Essa e' chiamata a regolare il proprio mercato di riferimento, costituito dai beni demaniali di competenza e dalla loro utilizzazione, in condizioni di scarsita' del bene e di monopolio dell'offerta. E' quindi chiamata ad esercitare le funzioni dello Stato proprietario, ma non a erogare beni e servizi al mercato medesimo nei cui confronti essa e' il monopolista della disponibilita' del bene demaniale. L'erogazione di beni e servizi al mercato tramite l'utilizzazione del bene demaniale, infatti, e' esercitata in maniera esclusiva solo dalle imprese private concessionarie, che all'uopo ottengono dalla AdSP apposita autorizzazione ad esercitare le operazioni portuali e fornire servizi di interesse generale agli utenti utilizzando a tale scopo i beni demaniali attraverso la concessione, e quindi esercitando una attivita' commerciale. Il canone concessorio costituisce sinallagmaticamente la remunerazione dell'uso del bene, in particolar modo quando esso e' inserito in una filiera produttiva imprenditoriale e funge quindi da mezzo di produzione. Infatti, ai sensi dell'art. 6, comma 9-quater della legge n. 84/1994, i canoni ricevono il trattamento fiscale proprio dei canoni di locazione, cioe' sono considerati ricavi e concorrono a formare il reddito complessivo della AdSP ai fini delle imposte dirette. Con riserva di approfondire piu' avanti l'argomento, possiamo anticipare che ai sensi dell'art. 2, comma 1 della legge 281 del 1970 e successivamente dell'art. 7 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 494, ai fini della misura e della qualificazione giuridica del canone e' stata istituita una summa divisio. Da un lato i canoni determinati in via generale e astratta secondo i criteri indicati dallo stesso decreto legge n. 400/1993 oppure con legge, o regolamenti o atti amministrativi generali, quale tipica espressione della potesta' pubblicistica dello Stato o del titolare del diritto demaniale e relativi alle concessioni rilasciate per finalita' turistico ricreative sportive e abitative (contenute in un elenco che esplicitamente le descrive); dall'altra (art. 7 del decreto-legge n. 400 del 1993), i canoni relativi alle concessioni rilasciate per servizi pubblici e per servizi e attivita' portuali rese in regime imprenditoriale, invece determinati in relazione a criteri estimativi e di volta in volta approvate per ciascuna concessione con un provvedimento amministrativo del concedente, per altro attraverso procedure ad evidenza pubblica obbligatorie. Vedi a tal proposito il nuovo art. 18, comma 1, secondo periodo della legge n. 84 del 1994 come sostituito dalla legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che espressamente subordina l'affidamento della concessione all'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica («Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entita' dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, ...»). Si tratta, in sostanza, di valutazioni tecnico discrezionali in funzione del valore e della potenzialita' economica dei beni, validate dal mercato tramite le procedure pubbliche di scelta del contraente. Ed infatti, l'art. 03 dello stesso decreto-legge individua criteri e parametri predeterminati (ad esempio un importo fisso per mq, casi di riduzione etc.) per la determinazione del canone di concessione, applicabili a qualsiasi concessione a fini turistico ricreativi sul territorio nazionale. Viceversa, l'art. 7 del medesimo decreto-legge dispone un criterio del tutto differente per la determinazione dei canoni relativi alle sole concessioni rilasciate dalle AdSP, affidando a queste ultime il compito di adottare criteri diversi dai precedenti. In tal modo la norma ha istituzionalizzato la differenza tra le «concessioni pure» ed le cosi' dette «concessioni contratto». Per concessione pura si deve intendere quella avente ad oggetto beni demaniali destinati ad attivita' turistico ricreative, sportive, abitative anche correlate alla nautica da diporto (per la equiparazione di queste alle prime discendente dalla sentenza Corte della costituzionale 10 gennaio 2017, n. 29) il cui canone e' appunto determinato preventivamente in maniera generale e astratta; per concessioni contratto si intendono, invece, quelle nella quali la concessione accede strumentalmente a un rapporto contrattuale a prestazioni sinallagmatiche e la determinazione del canone segue regole non giuridiche ma di mercato attraverso la regolazione dello stesso esercitata dalla AdSP (scelta del bene, procedura ad evidenza pubblica, durata della concessione etc.). Il canone svolge cosi' la funzione economica di prezzo di un fattore di produzione, determinato dalla AdSP secondo le regole della economia aziendale in funzione della domanda e offerta, dei propri costi e quindi del mantenimento dell'equilibrio economico della stessa. Tutte le concessioni rilasciate dalle AdSP per i porti di loro competenza sono per definizione concessioni contratto. III. Il Federalismo amministrativo nel Settore portuale. I porti sono dunque oggetto di complessa attivita' amministrativa, la cui titolarita' ha subito nel tempo numerose vicissitudini legislative tutte da riferire al rapporto tra Stato e Regione alla luce degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione ed alla allocazione della funzione amministrativa. Negli anni, il sistema ha trovato un assetto completamente diverso da quello tradizionale fondato sulla gestione demaniale prevista dall'originario codice della navigazione, per evolversi verso una organizzazione basata su alcuni principi generali che fungono da cardine, sia con riferimento alla «proprieta' pubblica» del bene porto, sia alla sua gestione e utilizzazione, sia ai risvolti fiscali di tali attivita'. Il primo principio ordinatore del settore e' che esiste una summa divisio tra i porti (corrispondente a quella esistente per i canoni) non ascrivibile solo alle dimensioni e alla conseguente classificazione di cui all'art. 4 della legge n. 84 del 1999, ma dipendente dalla rilevanza nazionale e internazionale del porto. Da cio' consegue la scelta del Legislatore in ordine alla proprieta' pubblica di esso e alle modalita' di gestione e utilizzazione. Tali porti non sono mai stati oggetto di delega alle Regioni ne' tampoco di trasferimento e sono quelli sede di Autorita' di Sistema Portuale - AdSP. Infatti, in questa lunga e complessa storia, troviamo in primis che in occasione della prima delega alle Regioni delle funzioni amministrative su beni statali, con l'art. 59, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, si disponeva: «2. La delega di cui al comma precedente non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima. L'identificazione delle aree predette e' effettuata, entro il 31 dicembre 1978, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ...». Le Autorita' Portuali non erano ancora state istituite (lo saranno solo con la legge 84 del 1994) e quindi il riferimento alle categorie di porti piu' rilevanti da sottrarre alla delega non poteva che essere fatto in base al concetto di «preminente interesse nazionale» da individuarsi attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il quale e' stato effettivamente emanato in data 21 dicembre 1995, e' ancora in vigore e contempla, oltre ad alcuni altri, ovviamente tutti i porti sede di AdSP e nella specie anche Civitavecchia. Sempre sul fronte della gestione amministrativa delle aree in concessione, gia' dal primo intervento legislativo volto a realizzare una maggiore autonomia amministrativa regionale (decreto legislativo 3 marzo 1998, n. 112, art. 105), il legislatore ha stabilito che, nell'ambito dei trasporti, «sono conferite alle Regioni e agli Enti locali tutte le funzioni non espressamente < ... > attribuite alle autorita' portuali dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84» e, in particolare, nell'individuare le funzioni conferite agli Enti territoriali, espressamente ha disposto che «tale conferimento non opera nei porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonche' nelle aree di preminente interesse nazionale...», fra i quali rientrano i porti facenti parte di AdSP. Sul piano del c.d. federalismo patrimoniale o demaniale, la citata Legge delega n. 42/2009 in materia di trasferimento delle funzioni su beni demaniali alle Regioni, ha delegato ai decreti legislativi la individuazione delle tipologie di beni di «rilevanza nazionale» che non possono essere trasferiti (art. 19, comma 1, lettera d) e, in esecuzione di tale criterio direttivo, il decreto legislativo delegato 18 maggio 2010 n. 85, art. 5, nel disporre il trasferimento dei beni statali alle Regioni e agli Enti Locali, ne ha espressamente escluso: a) i beni appartenenti al demanio marittimo non direttamente utilizzati dallo Stato, e quindi anche quelli attribuiti alle AdSP, e ancora piu' specificamente ha disposto che: b) <...> Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: <...> i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore. Gli ambiti portuali ricompresi nei distretti delle AdSP, come quello di Civitavecchia, rimangono quindi di esclusiva competenza statale, sia con riferimento alle funzioni amministrative, sia con riferimento alla proprieta' statale demaniale del bene sia al sostentamento dei costi per la erogazione dei servizi, che sono reperiti esclusivamente tramite i canoni concessori. IV. Il Federalismo fiscale nel Settore portuale. Nella complessa operazione di riordino del sistema tributario per la provvista finanziaria degli enti locali, il Legislatore ha preso le mosse necessariamente dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dai quali scaturiscono i «principi generali» dell'ordinamento giuridico in materia, i quali costituiscono anche, a loro volta, i «principi fondamentali» cui le regioni si devono attenere nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente (art. 117, comma terzo, ultimo periodo della Costituzione) quale quella in esame, cioe' il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;» come riconosce anche Corte costituzionale 1° febbraio 2023, n. 6. A tale proposito giova ricordare che nella sentenza citata la Corte precisa: «7.2. - Dalla riconducibilita' delle disposizioni impugnate a tale materia di legislazione concorrente deriva che le norme dettate dallo Stato possano trovare legittimazione se ne stabiliscono i principi fondamentali, secondo quanto previsto dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, o se dettate per effetto della «chiamata in sussidiarieta'». Precisamente e' scritto: «Quanto ai primi occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la qualificazione di una norma di fonte statale, quale principio fondamentale di una materia di competenza legislativa concorrente cui le Regioni devono adeguarsi, deve essere valutata, avendo riguardo al contenuto della stessa e alla sua funzione nel sistema (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 44 del 2021, n. 78 del 2020, n. 94 del 2018, n. 16 del 2010), in considerazione delle «esigenze di coerenza sistematica e di uniformita' a livello nazionale della disciplina» (sentenza n. 166 del 2021)». «Quanto al meccanismo della chiamata in sussidiarieta' - costantemente richiamato da questa Corte a partire dalle sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004 - pur nelle materie di legislazione concorrente o residuale, le esigenze di carattere unitario abilitano lo Stato ad accentrare l'esercizio delle funzioni amministrative, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, e al tempo stesso a regolarne l'esercizio. Affinche' l'intervento normativo statale "in attrazione" sia costituzionalmente legittimo e' necessario che la disciplina dettata sia logicamente pertinente, risulti limitata a quanto strettamente indispensabile e preveda adeguati meccanismi di cooperazione con i livelli di governo coinvolti per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali (ex plurimis, sentenze n. 123 e n. 40 del 2022, n. 246 del 2019, n. 142 e n. 7 del 2016)». E ancora precisa: «7.3. - Con riferimento alla fattispecie in esame, questa Corte ritiene, innanzitutto, che l'intervento statale in attrazione trovi presupposto legittimante nelle esigenze unitarie, che risultino non sproporzionate o irragionevoli (tra le altre, sentenze n. 170 del 2017 e n. 142 del 2016).» Ricorda ancora la Corte: «D'altronde, questa Corte aveva gia' prefigurato che il carattere di rilevanza economica internazionale o di preminente interesse nazionale dei porti avrebbe potuto «giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato su di essi sulle connesse aree portuali» (sentenze n. 412 del 2008, n. 255 del 2007, n. 90 e n. 89 del 2006)). Anche a tenore della giurisprudenza della Corte, che ha sancito il crisma di legalita' costituzionale al sistema, nessun rapporto di natura legislativa, amministrativa o comunque giuridicamente rilevante lega le Regioni ai beni demaniali marittimi ricompresi nelle circoscrizioni delle AdSP. Dunque, mentre l'art. 118 introduce un regime generalizzato di decentramento delle funzioni amministrative secondo il principio della sussidiarieta', l'art. 119 conseguentemente attribuisce alle Regioni e agli enti locali la potesta' di imporre tributi propri per la provvista dei mezzi per farvi fronte, vincolandola pero' al rispetto, tra l'altro, del citato art. 119, comma quarto della Costituzione, il quale prevede che le regioni attingono alle risorse previste dal comma terzo del medesimo art., tra cui quelle tributarie, solo per finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Le due disposizioni costituzionali introducono cosi' il principio di corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa che ha come corollario quello del contenimento della pressione fiscale regionale a cio' che e' strettamente necessario a finanziare le funzioni attribuite, rispetto a cui e' quindi correlato il principio di responsabilita' , vale a dire il dovere della Regione di non debordare da una politica fiscale di pareggio tra le entrate tributarie e le spese pubbliche per la fornitura di servizi al territorio. Inoltre, il riconoscimento della potesta' tributaria regionale e' comunque vincolato al rispetto del divieto di una doppia imposizione sul medesimo presupposto da parte dello Stato e della Regione, espressamente previsto dall'art. 2, comma 2, lettera o) della legge di delegazione n. 42 del 2009. In sostanza, dalla normativa vigente si ricavano, tra gli altri, alcuni «principi fondamentali» dell'ordinamento giuridico nel settore tributario regionale, cioe': -Il principio di continenza nel reperimento delle risorse, individuate in funzione dei LEP e dei costi standard, strettamente necessarie al sostentamento delle funzioni amministrative; - Il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire la limitazione del potere fiscale alla copertura dei costi finanziari dei servizi se e in quanto resi al territorio; - Il principio del divieto di doppia imposizione sul medesimo presupposto; - Il principio di correlazione, in merito alla coincidenza tra l'ente impositore e l'ente erogatore del bene o servizio. La prosecuzione del cammino del federalismo fiscale, per l'attuazione degli articoli 117 e 119 della Costituzione, e' proseguita nel rispetto di tali principi. La legge 5 giugno 2003, n. 131 contenente la cd. Modifica del titolo V della Costituzione, (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) ha dettato una serie di principi, criteri direttivi e parametri, tra cui nella presente questione rilevano quelli contenuti negli articoli 2, comma 5 e 7, comma 2 per i loro riflessi sulla attivita' di reperimento delle risorse regionali attraverso il sistema fiscale. Tali norme, in previsione del trasferimento di funzioni amministrative previsti nella legge costituzionale n. 3 del 2001, prevedono la presentazione da parte del Governo di leggi collegate alla manovra finanziaria finalizzate a reperire le risorse strettamente correlate alle funzioni amministrative conferite e al loro costo, ribadendo il principio di correlazione che diviene cosi' uno dei principi cardine in questa materia concorrente di cui all'art. 117, comma terzo della costituzione: «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». A seguire, nella legge di delegazione n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione), il Legislatore del settore ha indicato i principi e criteri direttivi che sovraintendono al Legislatore delegato, ma che contemporaneamente costituiscono anche essi «principi fondamentali» ai sensi dell'art. 117, comma terzo, ultimo periodo. Tra questi, per il momento, interessa citare quelli previsti nell'art. 2, comma 2, lettere e), f), o) e p), rispettivamente (in estrema sintesi per quanto qui di interesse): e) attribuire risorse autonome ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle Regioni, secondo il principio di territorialita'; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di Regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo devono consentire di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite; f) determinazione del costo e del fabbisogno standard che devono costituire l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica; definire gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali; o) Divieto della doppia imposizione dello Stato e delle Regioni sul medesimo presupposto; p) continenza e correlazione tra l'imposizione fiscale regionale e le funzioni trasferite, prevedendo: «p) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa; <...>». E infatti, contestualmente il medesimo art. 2 richiama, tra l'altro, il principio contenuto nell'art. 8, comma 1, lettera i) della stessa legge, il quale a sua volta richiama il su citato art. 7, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Anche essi si muovono nel solco dei principi generali e fondamentali sopra mentovati, cui le leggi regionali di disciplina dei tributi propri devono attenersi, sicche' la inevitabile conclusione per cui, a fronte di funzioni non trasferite, non e' luogo a reperimento di risorse e ad imposizione fiscale propria, ma di cio' amplius piu' avanti. In attuazione della delega, per quanto qui di interesse, il Legislatore delegato del decreto legislativo n. 68 del 2011, ha previsto la «trasformazione» in tributi propri regionali stricto sensu (cioe' non derivati) di tributi erariali preesistenti, ferma la possibilita' per le Regioni e gli enti locali di sopprimerli. Tra questi l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio. Istituita originariamente come tributo regionale derivato dagli articoli 1 e 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281, poi, come detto, trasformata in tributo regionale proprio con l'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 citato e con riferimento agli articoli 1, 5 e 6 del decreto-legge ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime). Giova sottolineare che non si tratta di tassa (cioe' un tributo cui non corrisponde una controprestazione, inoltre non e' correlata ad una prestazione di servizi pubblici indivisibili) ma imposta indiretta proporzionale, quindi a pieno titolo rientrante nella disciplina di cui all'art. 53 della Costituzione e soggetta al limite della capacita' contributiva. Essa ha come presupposto di imposta il rilascio di concessioni statali dei beni del demanio marittimo e la sua base imponibile, trattandosi di imposta e non di tassa, varia da concessione a concessione perche' commisurata all'ammontare del canone della singola specifica concessione. La legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, con l'art. 6 ha disciplinato questo tributo proprio trascurando la differenziazione tra i due tipi di concessione, anzi al comma 3 del medesimo art. 6 ha trattato allo stesso modo le due tipologie di concessione, assoggettando espressamente alla imposta anche le concessioni demaniali marittime rilasciate e gestite dalle autorita' portuali. V. Incostituzionalita' degli articoli 1 e 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281, dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio del 29 aprile 2013, n. 2 per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione e irragionevolezza. Cosi' sommariamente delineato il quadro normativo, si puo' procedere all'esame delle questioni di costituzionalita' prospettate dalla ricorrente o sollevate d'ufficio. In via di priorita' logico giuridica e' necessario esaminare per prima la prospettazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' degli art. 1 e 2 della legge 16 maggio 1970 n. 281, dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio del 29 aprile 2013, n. 2 per violazione dell'art. 53 della Costituzione nonche' del principio di ragionevolezza, nella parte in cui sottopongono alla imposta in questione le concessioni su beni demaniali marittimi rilasciate dalle ex Autorita' portuali oggi Autorita' di Sistema Portuale AdSP, ad imprenditori della filiera portuale. L'accoglimento della prospettazione determinerebbe la incostituzionalita' della imposta (in parte qua) e quindi scioglierebbe definitivamente il merito del ricorso con carattere del tutto assorbente. Da cio' anche la sua rilevanza nel presente giudizio. Va) Sulla capacita' contributiva e il presupposto di imposta. A) Si e' gia' osservato che il tributo in esame e' qualificato come imposta indiretta, avente a presupposto giuridico una concessione traslativa a fronte della quale e' corrisposto un canone concessorio. Il presupposto appena menzionato non sembra essere conforme alla realta' economica sottostante, e quindi al parametro della capacita' contributiva, ed anzi sembra contrario a principi di logica e di ragionevolezza nella misura in cui sottopone ad una imposta un componente negativo della forza economica del contribuente. Negli atti preparatori della legge n. 281/1970 si afferma sbrigativamente e apoditticamente che: «L'esistenza stessa di concessioni statali sui beni indicati e' stata considerata come possibile oggetto imponibile da parte delle regioni, rappresentando essa indubbiamente una manifestazione di ricchezza.». L'assenza di una credibile motivazione non puo' essere surrogata dal semplice uso di un avverbio (indubbiamente) che di per se' non spiega nulla, sicche', per verificare se sia stato rispettato il dettato dell'art. 53 della Costituzione e' necessario indagare se esista e quale sia la capacita' contributiva in relazione alla quale e' costituzionalmente permessa la istituzione di questa prestazione patrimoniale imposta, ovvero in altri termini, se il fatto giuridico, prescelto quale presupposto sia idoneo per se', sotto un profilo economico, a costituire vero indizio di ricchezza manifestatasi attraverso di esso. Inoltre occorre verificare che l'imposizione non sia comunque irragionevole in senso intrinseco. Il potere impositivo incontra i limiti entro cui puo' costituzionalmente incidere nei principi della capacita' contributiva, della soggettivita' e autosufficienza del presupposto, della ragionevolezza. Quanto alla «capacita' contributiva», le frequenti volte in cui la giurisprudenza costituzionale ha preso in considerazione il significato di questa espressione ha sempre ritenuto che i parametri per individuarla nel concreto possano anche essi essere sottoposti al giudizio di costituzionalita' per verificare che la ampia discrezionalita' che si deve riconoscere al Legislatore in questa materia non debordi in palese arbitrarieta' ed irragionevolezza (giurisprudenza consolidata, ex multis Corte costituzionale 24 ottobre 2017, n. 249; 4 maggio 1995, n. 143; 1992, n. 42). Afferma, infatti, la Corte nella sentenza n. 108 del 1994 «< ... > ogni volta che il legislatore e' tenuto a bilanciare distinti valori costituzionali, non puo' affatto essere preclusa la via del controllo di questa Corte in ordine alla congruita' e alla ragionevolezza del bilanciamento compiuto.». Dalle motivazioni della giurisprudenza costituzionale nelle sentenze sopra citate si evince, sia pure non espressamente affermato, che la capacita' contributiva sia categoria economica e conseguentemente giuridica, e non viceversa, indagabile con l'ottica propria della analisi economica del diritto. E infatti: «Per capacita' contributiva, ai sensi dell'art. 53 della Costituzione deve intendersi l'idoneita' soggettiva alla obbligazione d'imposta deducibile dal presupposto al quale la prestazione e' collegata.» (Corte costituzionale 6 luglio 1972, n. 144, 10 maggio 1972, n. 92), quindi una idoneita' propria della situazione soggettiva del contribuente. Al contempo, emerge altresi' il carattere oggettivo della detta capacita' poiche' «il principio sancito dall'art. 53 della Costituzione ha carattere oggettivo, riferendosi ad indici concretamente rivelatori di ricchezza.» (Corte costituzionale, ex multis sentenze del 20 novembre 2001, n. 16/02, del 7 giugno 1999, n. 229; del 8 luglio 1982, n. 143). In base a detto principio, il presupposto di imposta, anche se individuato discrezionalmente dal legislatore, deve sempre riferirsi a una manifestazione concreta ed effettiva di ricchezza, deve avere cioe' una valenza non costitutiva di un rapporto giuridico tributario, ma dichiarativa di uno status economico. Il presupposto, in altri termini, rinvia alla capacita' contributiva di cui e' sintomo. Perche' tale operazione non sia irragionevole e immotivatamente arbitraria e vessatoria, l'art. 53 pone alla base del potere tributario la necessita' di tenere conto, nell'an e nel quantum di questa «forza economica». Tra imposte dirette e imposte dirette esiste una differenziazione concettuale non indifferente ai fini che qui interessano. Le imposte dirette, come e' noto, colpiscono la ricchezza nel momento in cui essa e' prodotta (reddito, o flusso) o gia' maturata (patrimonio, o stock). Le imposte indirette colpiscono la ricchezza nel momento in cui e' traferita, sia che il trasferimento avvenga per causa gratuita (donazione, successione) sia per causa onerosa. In altri termini hanno quale presupposto economico un mutamento della allocazione (utilizzazione mediante trasferimento) della ricchezza, la cui funzione economica e' sostanzialmente quella del consumo di essa per l'acquisizione di un bene giuridico. Mentre quindi l'imposta diretta colpisce la ricchezza nel suo divenire (reddito) o nel suo esistere (patrimonio), l'imposta indiretta la colpisce nel suo manifestarsi attraverso il presupposto e il consumo. Cio' che caratterizza tale manifestazione e' che la ricchezza si manifesta deprivando il patrimonio del contribuente senza alcuna altra giustificazione economica che godere di essa attraverso il bene giuridico appreso. La spendita della ricchezza non e' finalizzata ad aumentare il reddito o il patrimonio ma puramente ad acquisire un bene per soddisfare un bisogno, cioe' sostanzialmente riconducibile al concetto economico del «consumo finale» e come tale essa misura la marginalita' economica dei mezzi utilizzati, cioe' appunto la capacita' contribuiva del contribuente dipendente dall'entita' del suo patrimonio in senso tecnico (l'insieme dei rapporti economici attivi e passivi a lui imputabili). Tutte le imposte indirette dell'ordinamento giuridico tributario hanno questa strutturazione: imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni, imposta di bollo sull'atto giuridico presupposto, imposta ipotecaria, imposta catastale, accise, imposta sui finanziamenti sostitutiva delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, bollo e tassa sulle concessioni governative, IVA, la quale, grazie al suo meccanismo particolare, incide solo sull'incremento di valore nei passaggi intermedi della filiera, ma percuote il consumatore finale che paga l'intera imposta. In tutte le imposte indirette il presupposto manifesta la ricchezza perche' la contiene in se'. Da cio' rilevanti conseguenze sulla fattispecie che saranno analizzate piu' avanti. Qualunque sia la natura della ricchezza tassata (reddito nel suo prodursi, patrimonio nel suo consistere, manifestazione nel trasferimento per consumo) l'art. 53 della Costituzione impone che l'onere tributario sia commisurato alla capacita' contributiva personale di ciascun contribuente. Considerando la differenziazione concettuale tra imposte dirette e indirette appena accennata, se ne deduce che la valutazione della capacita' contributiva e' funzione del presupposto, nel senso cioe' che a ciascun diverso presupposto corrisponde un diverso fenomeno economico che la individua. La giurisprudenza Costituzionale e la dottrina hanno individuato piu' che parametri di valutazione della capacita' contributiva in quanto tali, degli indici della sua esistenza o manifestazione, tecnicamente delle figure sintomatiche di capacita': il reddito, il patrimonio, il consumo o comunque la riallocazione di ricchezza tramite negozi dispositivi (imposte indirette), la spesa complessiva affrontata dal contribuente nel periodo di riferimento, gli incrementi di valore del patrimonio non legati a un'attivita' del soggetto passivo (sopravvenienze attive, rivalutazione di cespiti etc.). Ciascuno di questi indici e' legato ad un indefettibile presupposto d'imposta, per cui ai fini della ragionevolezza del tributo e della sua corrispondenza alla capacita' contributiva effettiva occorre verificare che esso consista in un fatto o atto giuridico economico ascrivibile a uno degli indici individuati dalla giurisprudenza costituzionale, ma anche che il fatto economico sottostante sia idoneo a manifestare effettivamente la potenzialita' di una ricchezza. Limitatamente alla imposizione proporzionale gravante sulle concessioni contratto, il dubbio di costituzionalita' per violazione del principio della capacita' contributiva sotto il profilo dell'erronea valutazione della sua sussistenza, riposa esattamente sul fatto che non sembra si possa ritenere il rilascio di una simile concessione (come presupposto giuridico) e il sostenimento del canone (come presupposto economico) come manifestazione in se' di ricchezza o forza economica all'interno di uno degli indici indicati giacche' il presupposto economico e' costituito da un elemento negativo del patrimonio ed e' finalizzato non al consumo finale ma a quello intermedio. Se le imposte dirette per loro stessa natura sono destinate a colpire il «consumo finale» della ricchezza, appare logico e ragionevole che nessuna imposta indiretta possa colpire le concessioni in esame che costituiscono mero «consumo intermedio», cioe' quella parte della ricchezza consumata o trasformata dai produttori durante il processo produttivo. Sembra quindi del tutto irragionevole che, nella doverosa comparazione tra l'interesse del cittadino contribuente e quello della collettivita' cui e' sostanzialmente finalizzato l'art. 53 della Costituzione, si incida il primo con riferimento ad una posta passiva del suo patrimonio. In particolare, quando cio' avvenga con riferimento ad una imposta indiretta, nella quale si assume a presupposto non il reddito o il patrimonio (unita' direttamente individuabili e sicuramente, per definizione, manifestazioni esteriori della ricchezza in fieri o accumulata) ma si considerino invece indiziariamente gli scambi. In tal caso occorre verificare la natura e il significato economici dello scambio o transazione economica, vale a dire il suo significato all'interno della situazione economica propria del contribuente. In particolare se egli agisca nella specie come consumatore finale o come consumatore intermedio. Viene in questione quindi anche il principio dell'autosufficienza del presupposto, vale a dire esso deve contenere in se stesso la forza economica per sopportare il tributo, se necessario tramite la cessione sul mercato del presupposto stesso (tipico esempio l'imposta di successione eccedente il numerario e la conseguente necessaria vendita di cespiti ereditari per reperire le risorse per l'adempimento). A tale proposito Corte costituzionale 19 aprile 1995, n. 143, precisa che il presupposto deve essere costituito da un «bene indice di ricchezza nella sua oggettivita'.» Sicche', il presupposto prescelto deve essere idoneo a manifestare, da solo, la forza economica del soggetto. Ed infatti la Corte afferma nella sentenza 10 maggio 1972, n. 92, ponendo attenzione ai meccanismi e conseguenze economiche e non giuridiche dell'atto-presupposto: «Questo collegamento ad un presupposto condiziona esclusivamente, e nello stesso tempo esaurisce, il riconoscimento di detta idoneita' (la capacita' contributiva ndr)». Se l'imposta e' correlata alla capacita' contributiva e quindi alla forza economica del soggetto passivo, il presupposto non e' solo un fatto (giuridico o naturale) ma un elemento della medesima capacita' contributiva. Cosi' nella imposta di registro (la c.d. Regina delle Imposte vero paradigma delle imposte indirette), il presupposto giuridico formale e' il negozio o l'atto giuridico (compravendita, morte del de cuius, locazione, lo stesso rilascio di concessione demaniale etc.), ma il presupposto economico e sostanziale e' costituito dalla conseguenza economica della riallocazione di ricchezza che, in quanto tale, si manifesta in occasione e in concomitanza con il fatto o atto giuridico. Il presupposto nelle imposte indirette e' realmente indice di una forza economica che si fonda nella disponibilita' in potenza del reddito o del patrimonio. La forza economica, sino ad allora mera «potenza» si trasforma in atto, cioe' si attualizza e si manifesta e in quel momento e' percossa, proprio nella riallocazione (spesa o trasferimento definitivi). Il passaggio dalla potenza all'atto costituisce la manifestazione, ma solo se la ricchezza potenziale, reddituale o patrimoniale, e' finalisticamente e definitivamente consumata o trasferita. In altre parole, il presupposto non e' solo un accidens o l'occasione fortuita del manifestarsi della ricchezza, ma anzi e' sostanza della medesima capacita' contributiva che si manifesta. Diviene cosi' irragionevole, quindi costituzionalmente illegittima, l'imposizione di un tributo derivante dall'avversarsi di un presupposto giuridico che, di per se', non sia sostenuto da un sottostante economico che si identifica con la stessa forza economica (capacita' contributiva) del contribuente. In ordine alla ragionevolezza Corte costituzionale 14 dicembre 1988, n. 1130, afferma: «il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. < ... >». Ne consegue che il giudizio di ragionevolezza non puo' avvenire in base ad astratti parametri generali, ma di volta in volta, nel caso concreto, comparando i diversi parametri indicati dalla Corte, secondo una analisi che ricerchi l'irragionevolezza intrinseca della norma e non un mero giudizio ab extrinseco di essa sul piano logico formale. Venendo all'attuale fattispecie, consegue da cio' che nelle concessioni c.d. pure, il canone assume la finalita' di acquisire il godimento in se' considerato del bene demaniale, senza alcuna altra finalita' che godere del bene giuridico acquisito e quindi il concessionario si comporta, dal punto di vista economico, come consumatore finale, paga un prezzo che e' di per se' sintomo della propria forza economica. Viceversa, nella concessione contratto, la concessione e' finalizzata allo svolgimento dell'attivita' imprenditoriale. Il canone si inserisce non alla fine del percorso economico come consumo-manifestazione di forza economica, ma all'inizio di un processo economico destinato a produrre ricchezza, quindi come debolezza economica legata al rischio. In altri termini, nelle prime il canone e' indice di consumo finale, manifesta il passaggio della ricchezza da potenza in atto, nella seconda e' indice non di riallocazione finale della ricchezza, ma di consumo intermedio attraverso l'indebitamento, secondo le regole e i meccanismi propri della economia d'impresa, cioe' di investimento produttivo attraverso l'acquisizione di uno strumento di produzione. Non sembra quindi che sia ragionevolmente presente quella connessione oggettiva tra il presupposto e una manifestazione di ricchezza che giustificherebbe la prestazione patrimoniale imposta indiretta. In cio' si manifesta la irragionevolezza della norma. Nella sentenza 27 maggio 1996, n. 172, la Corte definisce la ragionevolezza come «razionalita' pratica», cioe' un uso della ragione che si avvicina al buon senso per moderare la discrezionalita' del legislatore e la distingue concettualmente dalla razionalita' formale, caratterizzata dal principio logico di non contraddizione. L'aderenza al parametro della razionalita' pratica necessita, come appare nelle motivazioni della Corte, che la ragionevolezza intrinseca appaia in modo manifesto, evidente, ictu oculi. Allo stesso modo, e' sufficiente per sollevare il dubbio di costituzionalita', che la irragionevolezza si palesi in modo intuitivo tenendo conto soprattutto di quelle situazioni contro-intuitive nelle quali il buon senso «se ne sta nascosto per paura del senso comune». Il buon senso e' in effetti la capacita' di giudicare rettamente in maniera istintiva a prescindere dalle spesso fuorvianti concatenazioni logico formali. La ragionevolezza intrinseca, dunque, e' oggetto di intuizione immediata, cosi' come il suo contrario. Dubita questo Giudice che le norme sottoposte al giudizio della Corte possano essere considerate ragionevoli, la' dove sottopongono a tassazione, considerandoli manifestazione di ricchezza, esborsi di numerario non destinati altro che a diminuire la ricchezza del contribuente nella speranza, o fiducia, che l'impiego di essi nella intrapresa produca i suoi frutti. E' fortemente intuitivo che non sia ragionevole sottoporre a tassazione poste negative della intrapresa economica mentre contro-intuitive sono le conseguenze economiche della imposta considerata. Non si tratta, ovviamente, di considerazioni fondate sul dato formale del presupposto giuridico, poiche' essendo la capacita' contributiva per se' categoria economica e non giuridica, l'esame deve essere condotto sul ruolo e sulla valenza economica che il fenomeno assume perche' se ne possa dedurre la funzione di «indice» o «sintomo» da cui emerga la forza economica ricercata e, inoltre, che esso non duplichi altro indice o sintomo gia' altrimenti considerato. Nel caso di specie dubita questo Giudice della conformita' alla Costituzione di questo presupposto di imposta (limitatamente alle concessioni contratto), per il fatto che esso colpisce un costo della produzione del tutto avulso da uno qualsiasi degli indici sopra mentovati. Non e' reddito, non patrimonio, soprattutto non e' consumo ne' risparmio, anzi essendo investimento e' economicamente una riduzione della ricchezza in vista di una aspettativa di maggior ricavo e guadagno. Esso e' solo, e puramente, un costo di produzione. Nell'ambito del rapporto sinallagmatico tra concedente e concessionario, il canone ha la esclusiva funzione economica, e quindi giuridica, di fissare il prezzo di mercato. Come costo, esso converge verso la produzione di reddito e patrimonio in base alle risultanze del conto profitti e perdite. Si e' gia' ricordato che nei lavori preparatori della legge n. 281 del 1970 si riscontra un accenno al regime fiscale, nel senso che si afferma: «L'esistenza stessa di concessioni statali sui beni indicati e' stata considerata come possibile oggetto imponibile da parte delle regioni, rappresentando essa indubbiamente una manifestazione di ricchezza». L'affermazione, puramente apodittica e quindi difficilmente falsificabile, e' pur comprensibile considerando che la divaricazione tra concessioni pure e concessioni contratto ai fini della competenza amministrativa e della differenziazione della funzione del canone, in questo settore imprenditoriale si e' verificata solo 23 anni piu' tardi ad opera del citato decreto-legge n. 400 del 1993, sicche' all'epoca dell'istituzione dell'imposta le concessioni erano tute "pure" e rappresentavano effettivamente la manifestazione di ricchezza attraverso il consumo, e quindi il pagamento del canone poteva rientrare nel concetto di indice di capacita' contributiva. L'emersione di una diversa ragione economica del canone concessorio nel mutato assetto economico del settore dei porti (istituito solo nel 1994 con la citata legge n. 84 di riordino) giustifica oggi una minore certezza apodittica sulla effettiva manifestazione di ricchezza di un esborso numerario avente il solo scopo di remunerare un fattore di produzione. V b) Sulla doppia imposizione. Un secondo dubbio di incostituzionalita', sempre in relazione agli articoli 53 della Costituzione e 3 con riferimento al principio di ragionevolezza, si appalesa non manifestamente infondato. Sempre con limitato riferimento alla imposta gravante sui canoni da concessione contratto con le AdSP (poiche' non sarebbe rilevante la medesima questione nei confronti della imposta sulle concessioni "pure" atteso che l'oggetto dell'accertamento qui impugnato non riguarda questo tipo di concessioni), sembra violato il principio di ragionevolezza e di equita' attraverso la violazione del divieto di doppia imposizione, fattispecie specifica del principio generale dell'ordinamento giuridico che aborre il bis in idem in qualsiasi situazione, ma particolarmente in quelle in cui si incida (quindi due volte) su una situazione giuridica soggettiva di diritto soggettivo. Principio introdotto in via generale dalla normativa avanti citata e, nella materia del federalismo fiscale, dall'art 2, comma 2, lettera o) della legge n. 42 del 2009, come gia' osservato. Ed infatti, il tributo in esame ha il suo presupposto nella titolarita' di una concessione demaniale, il soggetto inciso e' il titolare della concessione e la base imponibile e' proporzionale al canone corrisposto. E' agevole notare che i presupposti, il soggetto, la base imponibile sono i medesimi della imposta di registro che grava sulle concessioni demaniali marittime ai sensi dell'art. 5, comma 2, della Tariffa parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, Testo unico sulla imposta di registro e dell'art. 1, comma 993, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. E non a caso la detta tariffa inserisce l'imposta di registro sulle concessioni nel medesimo art. della imposta di registro sulle locazioni, in ossequio all'art. 20 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica che dispone che l'imposta e' applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, e quindi prima ancora economici, dell'atto e non secondo la forma dell'atto. Il corrispettivo, quindi (canone concessorio), e' tassato due volte. La violazione dell'art. 53 della Costituzione sembra emergere esattamente dalla considerazione che la doppia imposizione si verifica sul medesimo presupposto e a carico del medesimo soggetto e quindi duplica, immotivatamente, la capacita' contributiva che giustifica il prelievo. Ricorrerebbe, nella fattispecie, un fenomeno di doppia imposizione in senso economico, vale a dire l'incisione di una stessa ricchezza in fattispecie impositive distinte e relativamente a tributi diversi (imposta sulle concessioni e imposta di registro), per altro appartenenti alla medesima categoria giuridica delle imposte indirette ove l'emersione della capacita' contributiva e' legata allo scambio (che ha nei due casi l'identico meccanismo economico) e non al reddito o patrimonio. L'ordinamento tributario prevede in via generale, assurgendo quindi a principio dell'ordinamento giuridico tributario, l'espresso divieto di doppia imposizione, sia nell'art. 67 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sia nell'art. 163 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, Testo unico delle imposte sui redditi, riprendendo una tradizione normativa gia' risalente all'analogo divieto contenuto nella legge sull'imposta di ricchezza mobile e nel Testo unico sulle imposte dirette del 1958. La migliore dottrina considera il divieto quale principio generale dell'ordinamento giuridico tributario, e non un mero principio procedimentale di interpretazione e applicazione, operante non solo nella diversita' nominalistica delle due imposte a confronto, ma soprattutto in funzione della analisi economica delle loro conseguenze. La unicita' del presupposto d'imposta, tra imposta sui canoni e imposta di registro, si ricava sia se la si intende come presupposto giuridico del tributo nella sua componente oggettiva o materiale (il rilascio della concessione demaniale/la stipulazione del contratto di locazione), sia se riferita al sostrato economico del fatto giuridico colpito dal prelievo (l'esborso del canone demaniale/locativo quale corrispettivo). Ancor di piu' con riferimento al vizio di doppia imposizione si appalesano irragionevoli le norme istitutive della imposta sulle concessioni marittime demaniali (nella fattispecie delle concessioni rilasciate dalle AdSP). Non appare ragionevole che per l'identico fatto giuridico il cittadino sia inciso due volte da due imposte apparentemente diverse aventi non solo il medesimo presupposto, i soggetti e la base imponibile, ma altresi' la medesima struttura impositiva (cioe' il fine di colpire la manifestazione di ricchezza) come se lo stesso contribuente si sdoppiasse dinanzi al potere impositivo. L'accoglimento di una delle su illustrate questioni di costituzionalita', che riguardano la legittimita' costituzionale (in parte qua, cioe' limitata ai canoni delle concessioni contratto su beni demaniali marittimi attribuiti alle AdSP) della istituzione stessa della imposta sarebbe di per se' assorbente delle ulteriori questioni solevate dalla ricorrente o rilevabili d'ufficio e delle questioni di merito, il che da' conto della rilevanza della questione. Tuttavia, occorre delibare altresi' le ulteriori questioni di costituzionalita' prospettate dalla ricorrente, nonche' motivare la impossibilita' di risolvere il merito, come richiesto da RCT, ricorrendo ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 del decreto legislativo 68 del 2011 e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. VI. Incostituzionalita' per contrasto con l'art. 23, con l'art. 76, con gli articoli 117 e 119 della Costituzione e con i Principi generali e fondamentali dettati dalla Legislazione statale dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 dell'art. 2, comma 2 della Legge di delegazione n. 42 del 2009, dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. VI a) Una interpretazione costituzionalmente orientata. L'ampia e complessa normativa sopra illustrata traccia un quadro di principi generali nella materia alla luce dei quali e' ermeneuticamente possibile, in astratto, una interpretazione c.d. costituzionalmente orientata, proposta dalla medesima ricorrente, dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 e, correlatamente, dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013. Occorre dar conto di tale tentativo, atteso che, secondo la giurisprudenza costituzionale e' inammissibile una questione di costituzionalita' quando la norma sospettata sia suscettibile di una interpretazione «costituzionalmente orientata» che conduca a un risultato giuridico non in contrasto con la Costituzione. In tal caso e' obbligo del Giudice accedere alla interpretazione conforme. La ricorrente prospetta una lettura di tale contenuto la quale, molto semplificando, sarebbe nel senso per cui la trasformazione della imposta sulle concessioni demaniali marittime (contemplata negli articoli citati) riguardi esclusivamente quelle afferenti le cosi' dette concessioni «pure», e non anche le «concessioni contratto» perche' correlate a funzioni amministrative non conferite alle Regioni e quindi in palese contrasto con i principi generali del sistema, sopra ampiamente trattati. La lettera dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 permette una tale interpretazione, nel senso che non la esclude, poiche' si riferisce genericamente a tutte le concessioni demaniali marittime, e dunque, in sede di interpretazione, ben potrebbe il Giudice operare una distinzione in base ai criteri sistematici e finalistici sopra ampiamente illustrati. Con questa proposta lettura delle norme si darebbe attuazione completa ai principi di correlazione e continenza, negando sostanzialmente la potesta' impositiva della regione su un presupposto di imposta nei cui confronti essa non svolge e non puo' svolgere alcuna funzione amministrativa conferita. VI b) Correlatamente a questa impostazione, la ricorrente prospetta in subordine l'incostituzionalita' dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (che ha trasformato in regionale proprio il tributo de quo) e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013 che l'ha disciplinata, ove interpretato in senso difforme a quella che si e' prospettata come interpretazione «costituzionalmente orientata», per violazione dell'art. 76 della Costituzione sotto il profilo della violazione dei principi di delega contenuti nell'art. 2, comma 2 della legge n. 42 del 2009. In effetti, l'esercizio della potesta' impositiva sulle concessioni demaniali marittime di competenza delle AdSP sia da parte del decreto legislativo statale sia della legge regionale, sembra essere in contrasto e contraddizione con tutti i principi e con il disegno generale del sistema, cosi' come si e' sopra descritto, come anche con il modello emergente dalla citata legge di delegazione n. 42 del 2009. Questa questione di costituzionalita' prospettata dalla ricorrente e' nondimeno manifestamente inammissibile. Essa, infatti, non riguarda la norma che, ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, autorizza la istituzione della prestazione patrimoniale imposta, e quindi, quand'anche fosse accolta, non determinerebbe la definizione del giudizio. Infatti, tale interpretazione, fondata su una lettura in ipotesi costituzionalmente corretta dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 e dell'art. 2, comma 2 della legge di delegazione n. 42 del 2009 non sufficientemente precise sul punto, viceversa si porrebbe in contrasto insanabile con la lettera della legge regionale che, unica norma primaria, autorizza il potere impositivo. Infatti, i citati articoli 8 del decreto legislativo 68 del 2011 e 2, comma 2 della legge n. 42 del 2009, di cui si vorrebbe far dichiarare la incostituzionalita', non costituiscono le basi dirette della potesta' impositiva esercitata mediante l'accertamento qui impugnato. Trattandosi di tributo ormai proprio in senso stretto, la relativa disciplina legislativa compete alla Regione nell'ambito della materia concorrente, sia pure nel rispetto dei «principi fondamentali» dettati dallo Stato (art. 117, comma terzo). L'accertamento, in altri termini, e' giuridicamente sostenuto dalla potesta' impositiva scaturente non dagli articoli 8 del decreto legislativo 68 del 2011 e 2, comma 2 della legge n. 42 del 2009, ma dall'art. 6 della legge regionale Lazio n. 2 del 2013, il quale, espressamente, assoggetta alla imposta anche le concessioni rilasciate dalle AdSP (comma 3), in piena contraddizione con l'interpretazione dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 sopra mentovata, sulla quale prevale sia perche' norma successiva, sia perche' la disciplina attuativa, applicativa e di dettaglio nelle materie concorrenti e' demandata alle regioni. Da questo punto di vista l'accertamento impugnato si appaleserebbe, quindi, del tutto legittimo poiche' l'assoggettabilita' al tributo e' disposta direttamente dalla legge (sia pure regionale) in ossequio all'art. 23 della Costituzione, sul presupposto, in ipotesi erroneo, che sussista la corrispondente potesta' impositiva ad onta di qualsiasi interpretazione contraria. Manifestamente infondata, quindi, e' la prospettazione di una incostituzionalita' della imposta per violazione dell'art. 23 della Costituzione, sul presupposto che si tratterebbe di un nuovo tributo istituito senza legittimazione normativa, come anche prospettato dalla ricorrente, atteso che e' invece proprio la norma primaria regionale ad istituire espressamente il tributo. Mentre e' inammissibile una questione di costituzionalita' nei confronti dell'art. 8 del decreto legislativo 68 del 2011 (e dell'art. delegante 2, comma 2 della legge n. 42 del 2009) come prospettato dalla ricorrente, per mancanza di rilevanza, non essendo essi la norma primaria che autorizza e sostiene la potesta' impositiva e la loro dichiarata incostituzionalita' non influirebbe sulla decisione del merito. VII. Incostituzionalita' dell'art 6 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013 per violazione degli art. 23, 117, comma terzo, 76 della Costituzione. VII a) Le medesime motivazioni di sistema e di principio alla base della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 ben potrebbero costituire la base di una interpretazione costituzionalmente orientata anche dell'art. 6, comma 3 della legge regionale del Lazio n. 2 del 2013, la quale, pero', espressamente assoggetta al tributo anche le concessioni rilasciate dalle AdSP. Tuttavia non e' possibile procedere ad un tale tentativo ermeneutico, poiche' il significato fatto palese dalle parole e', in questo caso, inequivocabile e una decisione fondata nel senso dell'accoglimento del ricorso solo su una interpretazione costituzionalmente orientata sostanzialmente analoga a quella sopra illustrata, si risolverebbe non in una operazione ermeneutica, ma in una disapplicazione sic et simpliciter della norma primaria regionale, inibita al Giudice nel nostro ordinamento giuridico, salvo il caso che qui non si presenta, di contrasto con l'ordinamento giuridico europeo. Proprio nei confronti di detto art. 6, pero', sorge il dubbio sul rispetto da parte della legge regionale delle regole costituzionali di esercizio delle competenze legislative, dubbio che necessita di un giudizio del Giudice delle leggi e della Attribuzione e non puo' essere sciolto dal Giudice ordinario. VII b) Il Collegio, ritiene quindi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 6 della legge regionale del Lazio piu' volte citata, nella parte in cui, al comma 3, sottopone alla imposta anche le concessioni demaniali con riferimento ai porti attribuiti alla competenza delle AdSP, per violazione dell'art. 117, comma terzo, della Costituzione. La questione e' rilevante perche', come gia' osservato, l'art. 6 in questione costituisce la norma tributaria primaria ex art. 23 della Costituzione, regolatrice dell'imposta e la dichiarazione di una sua incostituzionalita' sarebbe del tutto assorbente nella decisione del presente giudizio. A tal proposito si osserva: Nei precedenti paragrafi III e IV sono stati illustrati l'attuale regime amministrativo e quello fiscale delle concessioni demaniali marittime nei porti, segnatamente quelli di competenza delle AdSP. L'interpretazione della lunga sequela di norme che hanno disciplinato la materia dei porti, e in particolare dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011, e della legge n. 84 del 2009 soprattutto nella sua successiva evoluzione a seguito dei decreti-legislativi 4 agosto 2016, n. 169 e 13 dicembre 2017, n. 232, ha permesso di individuare principi generali, successivamente affermatisi attraverso le varie novelle succedutesi, sia nell'uno sia nell'altro settore. Essi si possono qui riassumere: La netta separazione del regime amministrativo tra i porti di rilevanza nazionale e internazionale attribuiti alla competenza delle AdSP e quelli attribuiti alla competenza delle regioni e in conseguenza: - l'individuazione di una doppia tipologia di concessioni demaniali sui beni marittimi tra «pure» e «contrattuali»; - il principio di continenza nel reperimento delle risorse, individuate in funzione dei LEP e dei costi standard, strettamente necessarie al solo sostentamento delle funzioni amministrative; - il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire la limitazione del potere fiscale alla copertura dei costi finanziari dei servizi se e in quanto resi al territorio; - il divieto per le regioni di costituire una doppia imposizione fiscale sul medesimo presupposto di imposta utilizzato dallo Stato; - il principio di correlazione, in merito alla coincidenza tra l'ente impositore e l'ente erogatore del bene o servizio; - il principio di corrispondenza tra responsabilita' finanziaria e amministrativa; - il principio di autonomia territoriale nel reperimento delle risorse che devono consentire di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite; - il principio del rispetto dei costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni. Essi costituiscono quindi quei «principi fondamentali» che le regioni devono rispettare nell'esercizio della loro competenza legislativa concorrente ex art. 117 comma terzo della Costituzione. In merito alla valutazione di tali principi, la corte Costituzionale ha elaborato alcuni criteri cardine, con numerose sentenze, tra cui di recente Corte costituzionale 1° febbraio 2023, n. 6. Nella sentenza citata, proprio per la individuazione dei principi fondamentali nel settore dei porti, la Corte precisa: «7.2. - Dalla riconducibilita' delle disposizioni impugnate a tale materia di legislazione concorrente deriva che le norme dettate dallo Stato possano trovare legittimazione se ne stabiliscono i principi fondamentali, secondo quanto previsto dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, o se dettate per effetto della «chiamata in sussidiarieta'». In primo luogo si osserva che la Corte qualifica la materia in questione come concorrente, con la conseguenza che e' legittimo interrogarsi su quali siano i principi fondamentali cui le regioni devono attenersi. Continua la Corte: «Quanto ai primi (i principi fondamentali) occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la qualificazione di una norma di fonte statale, quale principio fondamentale di una materia di competenza legislativa concorrente cui le Regioni devono adeguarsi, deve essere valutata, avendo riguardo al contenuto della stessa e alla sua funzione nel sistema (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 44 del 2021, n. 78 del 2020, n. 94 del 2018, n. 16 del 2010), in considerazione delle «esigenze di coerenza sistematica e di uniformita' a livello nazionale della disciplina» (sentenza n. 166 del 2021)». «Quanto al meccanismo della chiamata in sussidiarieta' - costantemente richiamato da questa Corte a partire dalle sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004 - pur nelle materie di legislazione concorrente o residuale, le esigenze di carattere unitario abilitano lo Stato ad accentrare l'esercizio delle funzioni amministrative, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, e al tempo stesso a regolarne l'esercizio. Affinche' l'intervento normativo statale "in attrazione" sia costituzionalmente legittimo e' necessario che la disciplina dettata sia logicamente pertinente, risulti limitata a quanto strettamente indispensabile e preveda adeguati meccanismi di cooperazione con i livelli di governo coinvolti per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali (ex plurimis, sentenze n. 123 e n. 40 del 2022, n. 246 del 2019, n. 142 e n. 7 del 2016)». E ancora precisa: «7.3. - Con riferimento alla fattispecie in esame, questa Corte ritiene, innanzitutto, che l'intervento statale in attrazione trovi presupposto legittimante nelle esigenze unitarie, che risultino non sproporzionate o irragionevoli (tra le altre, sentenze n. 170 del 2017 e n. 142 del 2016).». Ricorda ancora la Corte: «D'altronde, questa Corte aveva gia' prefigurato che il carattere di rilevanza economica internazionale o di preminente interesse nazionale dei porti avrebbe potuto «giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato su di essi sulle connesse aree portuali» (sentenze n. 412 del 2008, n. 255 del 2007, n. 90 e n. 89 del 2006)). Risulta con sufficiente chiarezza, dunque, che i principi generali individuati dalle numerose leggi intervenute nel settore siano da considerarsi principi fondamentali ai sensi dell'art. 117, comma terzo, con le conseguenze del caso ove la legge regionale non li rispetti. In primis, i principi di continenza e correlazione, cioe' la connessione indefettibile tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'imposizione fiscale strettamente necessaria a reperirne le risorse e la identita' del soggetto impositore e di quello erogatore; inoltre, la suddivisione concettuale del sistema portuale in due categorie separate costituite l'una dai porti attribuiti alla competenza delle AdSP l'altra dai porti restanti e conseguentemente di due categorie distinte di concessione, e inoltre il divieto della doppia imposizione. Sul primo punto si osserva che il principio della correlazione e' espressamente individuato dall'art. 2, comma 2, lettera p) della legge n. 42 del 2009 quale principio ai sensi dell'art. 76 della Costituzione da rispettare nell'esercizio della potesta' legislativa delegata. Il decreto legislativo n. 68 del 2011, art. 8 sopra esaminato, non ha espressamente disposto che la trasformazione in tributo regionale proprio, non derivato, riguardasse solo i porti non attribuiti alla competenza delle AdSP, ma tale omissione non elide la considerazione che tale principio deriva dalla stratificazione delle norme di settore che hanno finito col separare nettamente i porti trasferiti alla competenza amministrativa delle regioni da quelli attribuiti alle AdSP, con i corollari della diversa natura e competenza nelle funzioni amministrative e della diversita' economico giuridica della funzione dei rispettivi canoni, ma soprattutto, secondo i principi di correlazione e continenza, che la potesta' impositiva sia strettamente connessa alle funzioni amministrative, che in questi porti non sono trasferite alle regioni. La interpretazione del combinato disposto dell'art. 2, comma 2 della legge n. 42 del 2009 e dell'art. 8 comma 1 del decreto legislativo n. 68 del 2011, nel senso appena illustrato, rende palese la volonta' del Legislatore di tenere distinte le due categorie di porti (cioe' quelli attribuiti o no alla competenza regionale) e delle relative concessioni, anche sotto il profilo della competenza legislativa in materia tributaria. Tuttavia, poiche' la trasformazione in tributo proprio non derivato della imposta in questione ha attribuito alla Regione la competenza legislativa sulla disciplina della stessa, occorre verificare se tale ultima disciplina sia conforme al dettato costituzionale. Il primo esame va condotto alla luce dell'art. 76 della Costituzione, come prospettato dalla ricorrente. Il meccanismo legislativo previsto dall'art. 76 della Costituzione prevede la delegazione della potesta' legislativa dal Parlamento al Governo. Destinatario della delega e' quindi solo il Governo della Repubblica e non le Regioni come organi costituzionali. Ove si verta in materia di legislazione concorrente, per quanto non ci si possa riferire alla legge regionale come «attuazione della delega legislativa» (che e' direttamente cogente solo per il Legislatore statale delegato), tuttavia e' evidente che il contenuto di una legge di delegazione e del relativo decreto legislativo di attuazione manifestino e cristallizzino quei «principi fondamentali» di cui all'art. 117, comma terzo, ultimo periodo della Costituzione, che le regioni sono tenute a rispettare nell'esercizio della loro competenza legislativa concorrente. La questione, quindi, non e' quella di individuare una violazione dell'art. 76 della Costituzione sotto il profilo della violazione di principi di delega attraverso la violazione della norma interposta, poiche' la potesta' legislativa concorrente della regione e' esercitata per legittimazione sua propria e non su delegazione. Piuttosto si tratta di verificare se la legge regionale sia conforme ai «principi fondamentali» da rispettare (art. 1, comma 3 della legge 131 del 2003), dettati anche dalla citata legge di delegazione, ma soprattutto dall'intero sistema legislativo in materia che si e' gia' esaminato. VII c) Inammissibile e' quindi la questione nei confronti dell'art. 76 come prospettata dalla ricorrente, mentre ammissibile e' quella circa la violazione dell'art. 117, comma terzo. Infatti, nelle materie di legislazione concorrente, come quella che qui ci affatica, «spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.». L'art. 1, comma 3 della legge n. 131 del 2003, che detta i principi fondamentali per l'attuazione della riforma del titolo V della costituzione, nel ribadire che nelle materie concorrenti le Regioni esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi fondamentali chiarisce che questi possono non solo essere espressamente determinati dallo Stato ma anche desumibili dalle leggi statali vigenti. E' quindi necessario valutare se la legge regionale abbia rispettato i principi fondamentali desumibili da tutta la normativa in tema di federalismo fiscale e patrimoniale o demaniale che abbiamo esaminato sopra. VIII. Principi generali e fondamentali amministrativi e fiscali nella materia «Coordinamento della Finanza pubblica e del Sistema tributario» nel Sistema portuale. Giova ricapitolare sinteticamente i principi generali emergenti da tutta la legislazione del settore e sopra esaminati: quanto all'organizzazione amministrativa: la suddivisione dei porti in due sottoinsiemi quantitativamente e qualitativamente, oltre che giuridicamente, ben differenziati. I porti attribuiti alla competenza amministrativa delle regioni e i porti sottratti alle Regioni e rientranti nelle competenze delle AdSP; come corollario, il principio della attribuzione alle AdSP e solo ad esse, o se si vuole dire, della sottrazione alle regioni, di qualsiasi competenza amministrativa su tali porti; la figura della AdSP come autorita' di regolazione e non di gestione; ancora come corollario, la differente natura giuridica del canone di concessione. Quanto alle conseguenze fiscali: - il principio di continenza nel reperimento delle risorse, individuate in funzione dei LEP e dei costi standard, strettamente necessarie al sostentamento delle funzioni amministrative e ad esse legate da un rapporto di biunivocita' necessaria; - il principio di convenienza e di adeguatezza, vale a dire la limitazione del potere fiscale alla copertura dei costi finanziari dei servizi se e in quanto resi al territorio; - il principio di correlazione, in merito alla coincidenza tra l'ente impositore e l'ente erogatore del bene o servizio; - il principio del divieto di doppia imposizione, statale e regionale, sul medesimo presupposto; - la diversa natura giuridico fiscale del canone di concessione: manifestazione del dominium per i porti regionali, prezzo del sinallagma, imponibile fiscalmente, per i canoni richiesti dalla AdSP. Atteso che i principi succitati, e in particolare quelli di correlazione e continenza, sono assurti, come si e' argomentato ad abundantiam, a principi generali e fondamentali ai sensi dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, e considerato altresi' che la espressa sottoposizione ad opera del citato art. 6, comma secondo periodo, alla imposta anche dei canoni relativi alle concessioni di competenza delle AdSP e' in palese contrasto con tali principi, se ne deduce la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' relativa al detto art. 6. In assenza di qualsiasi altra questione preliminare nel merito o nel rito che sia per se' sola in grado di definire il giudizio e quindi dinanzi alla necessita' di applicare una legge regionale su cui esiste una non manifesta infondatezza di incostituzionalita', si appalesa la rilevanza della medesima questione, che impone quindi la rimessione alla Corte Costituzionale del giudizio incidentale nulla incostituzionalita' delle seguenti norme: 1. Degli articoli 1 e 2 della legge 16 maggio 1970 n. 281, dell'art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e dell'art. 6 della legge regionale del Lazio del 29 aprile 2013, n. 2 per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione e irragionevolezza, nella parte in cui sottopongono alla imposta in questione le concessioni su beni demaniali marittimi rilasciate dalle ex Autorita' portuali oggi Autorita' di Sistema Portuale AdSP; 2. Dell'art. 6, comma 3, della legge regionale del Lazio 29 aprile 2013, n. 2, limitatamente all'inciso: «ivi comprese quelle rilasciate e gestite dalle autorita' portuali», per violazione dell'art. 117, comma terzo, ultimo periodo, della Costituzione, per non avere rispettato i principi fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;» riservati alla legislazione dello Stato.