LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA Sezione 27 Riunita in udienza il 5 aprile 2023 alle ore 9,30 con la seguente composizione collegiale: Proietti Roberto - Presidente; Salassa Pier Marco - Relatore; Venanzi Mario - Giudice, in data 3 maggio 2023 ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 17223/2022 depositato il 30 dicembre 2022, proposto da ENI Global Energy Markets S.p.a. - 11076280962; Difeso da: Davide De Girolamo - DGRDVD77A24H501P; Livia Salvini - SLVLVI57H67H501M; Rappresentato da Giorgio Bigoni - BGNGRG59B22D548K ed elettivamente domiciliato presso davidedegirolamo@ordineavvocatiroma.org Contro Agenzia entrate - Direzione regionale Lazio - elettivamente domiciliato presso dr.lazio.gtpec@pce.agenziaentrate.it Avente ad oggetto l'impugnazione di: Silenzio Rifiut n. IST. del 9 settembre 2022 Caro Bollette 2022 - a seguito di discussione in pubblica udienza. Elementi in fatto e diritto 1. La societa' ENI Global Energy Markets S.p.a. ha proposto ricorso contro l'Agenzia delle Entrate - Direzione regionale del Lazio, avverso il silenzio-rifiuto maturato con riferimento alla richiesta di rimborso dell'importo di euro 203.113.131,24 corrisposto in data 30 giugno 2022 ex art. 37 decreto-legge n. 21/2022, convertito in legge n. 51/2022, come modificato dall'art. 55 decreto-legge n. 50/2022, convertito in legge n. 91/2022, a titolo di «contributo straordinario contro il caro bollette», oltre interessi maturati e maturandi, presentata via PEC all'Amministrazione finanziaria in data 9 settembre 2022. La ricorrente ha dedotto, sia nell'istanza di rimborso che nel ricorso, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 sotto molteplici profili. La predetta norma sarebbe, infatti, costituzionalmente illegittima per: 2. Violazione degli artt. 23, 3 e 53 della Costituzione. 2.1. Genericita', indeterminatezza e irragionevolezza del presupposto. La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, convertito in legge 20 maggio 2022, n. 51, ha introdotto un contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese operanti nel settore energetico. Tuttavia, i soli elementi essenziali del contributo che il legislatore si e' premurato di individuare sono i soggetti passivi e i criteri di determinazione (base imponibile e aliquota), mentre il legislatore non ha individuato e definito il presupposto del tributo. Non sarebbe quindi possibile comprendere, nella sostanza, quale sia la manifestazione di capacita' contributiva che l'imposta intende individuare e colpire. Solo dalla lettura dei lavori preparatori sembrerebbe potersi dedurre che il contributo in esame dovrebbe intercettare asseriti «extraprofitti» di cui le imprese del comparto dell'energia avrebbero beneficiato, in relazione all'aumento dei prezzi e delle tariffe del settore verificatosi a causa della crisi internazionale conseguente all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Tuttavia, nella norma in esame non si fa mai riferimento ad «extraprofitti», cosicche' resterebbe indeterminata quale maggiore capacita' contributiva il tributo sia volto a colpire. Tale incertezza, deduce la ricorrente, si porrebbe in contrasto sia con l'art. 23 della Costituzione, che, prevedendo una chiara riserva di legge in relazione alle prestazioni patrimoniali, impone al legislatore di individuare gli elementi essenziali identificativi della prestazione tributaria, ivi incluso il presupposto, cioe' il fatto al verificarsi del quale la prestazione e' dovuta, sia con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal momento che, pur rientrando nella discrezionalita' del legislatore la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacita' contributiva, che puo' essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza, tale discrezionalita' incontra il limite della non arbitrarieta'. Infatti, le norme costituzionali citate esigono che il presupposto del prelievo abbia «un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (Corte costituzionale, sentenza n. 341/2000, ripresa sul punto dalla sentenza n. 223/2012). Cosi' non sarebbe nel caso di specie, atteso che le regole dettate per la determinazione della base imponibile apparirebbero di per se' irragionevoli e tecnicamente errate, non consentendo di determinare e colpire una ricchezza che sia in qualche modo riconducibile ad una nozione economica di extraprofitto. Invero, il contributo di cui trattasi, cosi' come configurato dal legislatore, inciderebbe su materia imponibile del tutto diversa dai presunti sovraprofitti delle imprese energetiche, ed anche su soggetti che in nessun modo hanno beneficiato di eventuali sovraprofitti. A tale proposito, la ricorrente ha premesso che l'art. 37 decreto-legge n. 21/2022, con riferimento ai soggetti passivi, dispone al primo comma che sono tali: a) i soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l'attivita' di produzione di energia elettrica, i soggetti che esercitano l'attivita' di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, i soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale e i soggetti che esercitano l'attivita' di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi; b) i soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell'Unione europea. Ha evidenziato la ricorrente che i soggetti incisi dal contributo sono individuati sulla base di un criterio puramente qualitativo, che e' rappresentato dalla loro appartenenza ai mercati energetici nel significato piu' ampiamente inteso, senza alcuna declinazione specifica del contributo a seconda dello svolgimento in concreto delle diverse attivita', ne' alcuna specificazione riguardante i soggetti che svolgono piu' attivita', sia comprese che non comprese nell'elencazione sopra riportata. Con riferimento alla quantificazione della base imponibile, il secondo comma del citato art. 37 precisa che essa e' costituita «dall'incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021». A tal fine, la norma richiama quindi la disciplina in materia di IVA, e nello specifico quella delle relative liquidazioni periodiche («LIPE»). 2.2. Inidoneita' allo scopo della norma. Tanto premesso, la ricorrente ha osservato che, ove pure il contributo avesse realmente per obiettivo la tassazione dei sovraprofitti delle imprese energetiche, la sua concreta articolazione tecnica si dimostrerebbe del tutto inidonea allo scopo, non apparendo in alcun modo progettato per incidere su una materia imponibile coincidente con eventuali sovraprofitti energetici. Infatti, il contributo grava: a) su materia imponibile del tutto diversa da margini di «sovraprofitto» quali che siano, atteso che, essendo il tributo calcolato su un differenziale tra «saldi IVA», gli e' totalmente estraneo qualsivoglia meccanismo di determinazione del «sovraprofitto» basato vuoi sul rendimento degli investimenti, vuoi sul margine lordo su merci, ecc.; b) su una platea indistinta e variegata di soggetti, molti dei quali non hanno beneficiato in nessun modo dell'ascesa dei prezzi e delle tariffe del settore; c) su un valore che raffronta i dati delle LIPE realizzati nell'anno corrente con quelli realizzati in un periodo (quello pandemico) intrinsecamente anomalo, nei quali l'imponibile IVA delle societa' era influenzato da variabili casuali e imprevedibili, quindi del tutto inidoneo a fungere da riferimento per individuare e calcolare una supposta «plus-ricchezza», e cioe' l'ipotetico «sovraprofitto», realizzato dalle imprese. Apparirebbe, quindi, ancora piu' evidente la violazione delle norme costituzionali citate, atteso che il sacrificio ai principi di eguaglianza e capacita' contributiva recato da un tributo speciale e selettivo non dev'essere sproporzionato e non deve degradare in arbitraria discriminazione, in quanto «la sua struttura deve raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice». Pertanto, «Se ... il presupposto economico che il legislatore intende colpire e' la eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi sulla struttura dell'imposizione» (Corte costituzionale n. 10/2015). Piu' specificamente, la ricorrente ha sottolineato: A) - L'inidoneita' ad intercettare presunti «extraprofitti» del meccanismo scelto per la determinazione della base imponibile, tenuto conto che le operazioni rilevanti ai fini IVA si fondano su fattori che, sia sul fronte delle operazioni attive che sul fronte di quelle passive, possono non avere alcuna relazione con gli extraprofitti, intesi come un incremento degli utili dell'impresa di tipo congiunturale, dovuto ad attivita' speculativa oppure a circostanze esterne rispetto all'attivita' dell'impresa. Invero, mentre il concetto di «sovraprofitto» si puo' al piu' calcolare sulla dinamica dei margini ovvero sugli utili «incrementali», la base imponibile quantificata in base alle norme in materia di IVA non tiene conto dei rilevantissimi elementi di costo che insistono in maniera significativa sui profitti, e quindi sugli ipotetici «sovraprofitti», del settore. Si pensi, in particolare, agli oneri di gestione (primi tra tutti i costi di personale), agli ammortamenti o ai differenziali realizzati su contratti derivati, che se sono considerati non soggetti ad IVA non sono computabili ai fini del contributo, ma rilevano ai fini della quantificazione dei profitti straordinari. Inoltre, alla base imponibile IVA concorrono elementi del tutto svincolati da un concetto di «sovraprofitto» incrementale, sia in senso economico che finanziario, come ad esempio le operazioni straordinarie (cessioni di partecipazioni, fusioni, scissioni etc.), che alterano l'omogeneita' degli elementi soggettivi ed oggettivi di raffronto fra i due periodi di riferimento individuati dal citato art. 37 e coinvolgono in ogni caso vicende estranee alla gestione caratteristica dell'impresa, alla quale soltanto dovrebbero essere ricollegabili gli extraprofitti. Ed ancora, secondo l'interpretazione dell'Amministrazione finanziaria (circolare n. 22/E del 23 giugno 2022), il contributo in esame si applica sull'interezza del fatturato ritratto da tutte le attivita' esercitate, anche nel caso di soggetti operanti anche al di fuori dell'ambito energetico, cosi' confermando che l'imposizione fiscale puo' estendersi anche a redditi maturati in settori di attivita' totalmente diversi da quello energetico, che in nessun modo si presuppongono beneficiati dall'andamento del prezzo dei prodotti energetici. Irragionevole appare, altresi', il fatto che il contributo, gravando sul fatturato IVA, incide su elementi radicalmente estranei alla definizione di profitto in senso economico o fiscale, come tipicamente accade con gli importi riferiti alle accise traslate sui clienti, che rappresentano componenti fiscali in definitiva riversate allo Stato, che non rientrano in alcun modo nella definizione di profitto in senso economico o fiscale, sicche' non possono rappresentare in alcun modo un incremento rilevante di «ricchezza» tassabile. A cio' si aggiunga che, proprio perche' le accise sono un tributo che viene riversato allo Stato e non un provento che rimane nella disponibilita' dei soggetti passivi, includere le medesime nella base imponibile del contributo vuole dire applicare un tributo su un altro tributo, con un risultato manifestamente irrazionale. Peraltro, le accise sono commisurate alle quantita' del prodotto venduto e non all'incremento di prezzo dello stesso e, quindi, non dipendono in nessun modo dall'aumento dei «margini», e cioe' dei «profitti», delle imprese. La ricorrente ha quindi concluso che la base imponibile su cui calcolare il contributo, cosi' come attualmente configurata dall'art. 37, sarebbe fortemente distorta e molto lontana dal rappresentare un indicatore della reale capacita' contributiva del soggetto obbligato. B) - L'inidoneita' ad isolare un presunto sovraprofitto anche delle norme in materia di competenza temporale. Osserva la ricorrente che per isolare un preteso sovraprofitto - e, prima ancora, un eventuale profitto - e' necessario che la struttura di un tributo sia idonea a correlare le componenti attive con le corrispondenti componenti passive. Il principio di competenza economica, cosi' come il principio di cassa, presuppone infatti la correlazione tra costi e ricavi proprio al fine di calcolare un preciso risultato economico realizzato in un determinato lasso di tempo. Tale principio non esiste nel sistema dell'IVA la quale, essendo un'imposta che grava sulle singole operazioni, si disinteressa di eventuali collegamenti tra le masse di operazioni attive e passive, non essendo strutturalmente demandata ad intercettare un risultato differenziale tra tali masse. Anche sotto questo profilo, pertanto, la base imponibile del contributo in esame sarebbe del tutto sbilanciata: quest'ultimo, sebbene volto specificamente a colpire un differenziale, vale a dire un sovraprofitto incrementale, appiattendosi sulle norme IVA mutua da quest'ultima imposta anche le regole di imputazione temporale delle operazioni; regole che tuttavia non sono in nessun modo idonee ad intercettare un profitto e men che meno un sovraprofitto, dal momento che non sono affatto basate sul criterio di competenza che - raffrontando temporalmente i ricavi con i relativi costi - consente di determinare con precisione il risultato economico dell'attivita'. C) - L'inidoneita' anche del periodo di tempo preso a riferimento dalla norma (1° ottobre 2021 - 30 aprile 2022) a rappresentare ipotetici sovraprofitti realizzati dalle imprese. Innanzitutto, si tratta di un periodo troppo breve e completamente svincolato dall'anno solare/esercizio. E' infatti ben possibile che, a fronte di un risultato economico positivo consuntivato nel periodo temporale rilevante ai fini del contributo, le societa' realizzino nei mesi successivi rilevantissime perdite. L'individuazione di un cosi' breve lasso temporale non e' quindi di per se', in concreto, sufficientemente significativo per inquadrare un incremento di «valore» che sia legato a un maggiore profitto. A cio' si aggiunga che gli extraprofitti realizzati nel 2021-2022, rispetto al corrispondente periodo 2020-2021, spesso sono dovuti al fatto che durante la pandemia le societa' erano in perdita. Il semestre compreso tra il 1° ottobre 2020 ed il 30 aprile 2021, infatti, ha risentito del calo dei consumi dei prodotti energetici dovuto al perdurare dell'emergenza sanitaria e delle connesse misure di contenimento, che ha comportato un minor impiego di tali prodotti. Pertanto, il differenziale che confluisce nella base imponibile del contributo non rappresenta un «sovraprofitto» posto in relazione con un «ordinario» profitto realizzato nel periodo precedente, riconducibile - nell'opinione del legislatore - ad una posizione «di vantaggio» dell'impresa sul mercato dovuta all'aumento delle tariffe, ma si rivela incrementale solo perche' posto in relazione con una perdita realizzata in costanza di pandemia. In buona sostanza, in tale settore il sovraprofitto non e' riconducibile ad un incremento dei prezzi, ma solo ad un incremento delle quantita' venduta, che, a sua volta, non rappresenta un risultato positivamente straordinario, ma un «ripristino» della situazione ordinaria rispetto a quella, negativamente straordinaria, realizzata in costanza di emergenza pandemica. Ha quindi osservato la ricorrente che l'aumento delle vendite nell'arco temporale preso in considerazione dall'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 non sarebbe affatto il sintomo di un sovraprofitto, ne' dello sfruttamento di una situazione di vantaggio derivante dall'aumento dei prezzi. Infatti, non e' l'aumento delle vendite cio' che genera una capacita' contributiva aggiuntiva come quella che la predetta norma vorrebbe colpire, ma semmai l'aumento dei margini. La disposizione, irragionevolmente, non ha pero' distinto tra l'operatore che abbia effettivamente potuto fruire di margini piu' elevati, a parita' di costi, grazie alla vertiginosa crescita dei prezzi delle materie prime energetiche, e l'operatore che, invece, abbia soltanto aumentato le proprie vendite. Quest'ultimo non esibisce alcuna capacita' contributiva aggiuntiva che non sia gia' peraltro incisa dalle ordinarie imposte sui redditi e, soprattutto, non palesa una capacita' contributiva differente da qualunque operatore economico, diverso da quelli che agiscono nei mercati delle fonti di energia, che abbia in quel dato periodo storico, superata la fase pandemica, aumentato i propri livelli produttivi. Dunque, ha concluso la ricorrente, assoggettare adesso questo aumento ad un contributo straordinario sarebbe manifestamente ingiusto ed irrazionale, atteso che l'imposizione fiscale colpirebbe non un extraprofitto propriamente detto, ma il mero ordinario profitto realizzato dall'impresa, piu' elevato rispetto al periodo precedente solo in ragione di un incremento di volumi dovuto a ragioni contingenti. D) - L'omessa considerazione, nel calcolo della base imponibile, dei derivati realizzati per la copertura delle variazioni prezzo dei prodotti oggetto dell'attivita' caratteristica, quale ulteriore elemento di incoerenza del prelievo fiscale in esame. Premesso che le societa' operanti nei settori incisi dal contributo sostengono ingenti costi, anch'essi aumentati data la contingenza economica, rappresentati da differenziali negativi realizzati su contratti derivati, ha osservato la ricorrente che tali costi, non rappresentando corrispettivi di una controprestazione, secondo quanto chiarito dalle indicazioni di prassi dell'Amministrazione finanziaria (risoluzione MEF n. 77 del 16 luglio 1998), non concorrono all'ammontare complessivo delle operazioni passive ai fini dell'IVA, in quanto correttamente trattati come non soggetti al tributo, e conseguentemente, pur rilevando in misura significativa ai fini della quantificazione dei redditi delle societa', non assumono alcuna rilevanza ai fini del calcolo della base imponibile del contributo, in quanto - come detto - non soggetti ad IVA e, quindi, non contabilizzati nelle relative liquidazioni periodiche. Si tratta di contratti che prevedono l'impegno delle parti a versare importi differenziali, da stabilire in base alle quotazioni di determinati beni, stipulati dalle imprese energetiche a copertura di rischi legati all'andamento delle quotazioni di beni che costituiscono materie prime o prodotti finiti oggetto della propria attivita'. L'esigenza sottesa a tali contratti e', in sostanza, quella di evitare che tali quotazioni possano causare l'erosione dei margini di guadagno per effetto dell'aumento del prezzo di materie prime o della contrazione del prezzo dei prodotti oggetto dell'attivita'. Non puo' quindi dubitarsi che tali componenti siano direttamente riconducibili all'attivita' di impresa, trattandosi di costi specificamente riferibili al suo oggetto: conseguentemente, non puo' nemmeno dubitarsi che essi concorrano, sia in senso economico che giuridico, alla produzione di profitti e quindi, di eventuali «sovraprofitti» realizzati nell'esercizio di quella stessa attivita'. La ricorrente ha quindi concluso evidenziando che l'omessa rilevanza dei differenziali ai fini del contributo per il solo fatto di non rilevare ai fini dell'IVA, sarebbe indice di un ulteriore motivo di irragionevolezza del criterio (e, in ogni caso, del tributo), per la sua inidoneita' - anche per tale via - a rappresentare correttamente la ricchezza che esso intende tassare. Anche sotto tale aspetto, il Contributo apparirebbe del tutto inidoneo a rappresentare correttamente il supposto «sovraprofitto» che intende colpire. 2.3. Modelli di corretta tassazione degli extraprofitti, non seguiti dal legislatore. La ricorrente ha evidenziato che il legislatore aveva a disposizione almeno tre modelli di «corretta» tassazione dei sovraprofitti incrementali, di cui tuttavia non avrebbe in alcun modo tenuto conto. 2.3.1. - Un primo modello e' quello disegnato nel regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio dell'UE del 6 ottobre 2022 «relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell'energia», che delinea al Capo III, artt. 14 e ss., un «contributo di solidarieta'» gravante sugli «utili eccedenti» generati dalle attivita' energetiche ad esso soggette (attivita' estrattive). Tale norma e' esplicitamente ispirata al medesimo scopo che orienta il contributo italiano, vale a dire intervenire sui sovraprofitti delle societa' energetiche per redistribuire tali plus-ricchezze ai soggetti che stanno subendo gli effetti dell'incremento dei prezzi dei prodotti e servizi energetici, ma le relative strutture sono radicalmente differenti. Il contributo europeo, infatti, mira ad intercettare proprio i sovraprofitti derivanti dagli incrementi di prezzo e riesce in questo intento includendo nella propria base imponibile gli utili «determinati in base alla normativa fiscale nazionale nell'esercizio fiscale che inizia il 1° gennaio 2022 o successivamente, che eccedono un aumento del 20% degli utili imponibili medi, determinati secondo la normativa tributaria nazionale, dei tre esercizi fiscali che iniziano il 1° gennaio 2019 o successivamente». Come chiarito nel Considerando 13 del regolamento citato, l'intenzione del legislatore europeo e' quella di tassare solo gli utili «straordinari» realizzati dalle imprese soggette al tributo. Viene infatti ribadito che il contributo straordinario sulle imprese estrattive deve essere «adeguato per gestire gli utili eccedenti in caso di circostanze impreviste. Tali utili non corrispondono agli utili ordinari che le imprese e le stabili organizzazioni dell'Unione che svolgono attivita' nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffineria si sarebbero aspettati o avrebbero potuto prevedere di ottenere in circostanze normali, se non si fossero verificati eventi imprevedibili sui mercati dell'energia»; cio' sempre al fine di garantire «condizioni di parita' in tutta l'Unione». Ha osservato la ricorrente che il regolamento riesce a disegnare un'imposta idonea ad isolare solo il sovraprofitto ritratto dalle imprese tassate, incidendo sui profitti in una accezione incrementale, in relazione alla particolare congiuntura economica. Tale caratteristica sembrerebbe del tutto assente nel contributo italiano, che non solo - e a monte - non sarebbe idoneo ad incidere sui «profitti», ma men che meno riuscirebbe ad isolare un loro incremento, e cioe' un «sovraprofitto». 2.3.2. - Un secondo modello, anch'esso comunitario, e' quello proposto nella «Comunicazione RePowerEU: azione europea comune per un'energia piu' sicura, piu' sostenibile e a prezzi piu' accessibili», pubblicata l'8 marzo 2022 dalla Commissione europea. Nel relativo Allegato 2, la Commissione ha infatti stabilito delle linee guida per orientare gli Stati membri verso una tassazione degli utili inframarginali compatibile con il diritto eurounitario, rilevando, tra l'altro, che: «tale misura dovrebbe tuttavia essere attentamente concepita per evitare inutili distorsioni del mercato»; «il metodo di calcolo dei rendimenti da considerare eccessivi [...] dovrebbero essere chiaramente e specificamente giustificati» ed i profitti fortuiti «dovrebbero essere definiti sulla base di criteri ed eventi oggettivi e verificabili» al fine di evitare «qualsiasi uso arbitrario che comporterebbe gravi distorsioni»; «le tendenze a lungo termine dei prezzi derivanti dagli sviluppi strutturali del mercato e il segnale del prezzo del carbonio proveniente dall'EU ETS non dovrebbero essere influenzati, in modo da non interferire con i segnali di prezzo a lungo termine che contribuiscono alla copertura dei costi fissi e di investimento»; «la misura non dovrebbe essere retroattiva e dovrebbe recuperare unicamente una quota degli utili effettivamente realizzati». Ha osservato, quindi, la ricorrente che la Commissione europea ha fornito agli Stati membri indicazioni sufficientemente chiare per «disegnare» tributi che devono incidere soltanto sull'extraprofitto delle imprese energetiche e che non devono alterare il normale funzionamento concorrenziale del mercato, in coerenza con i generali principi dell'ordinamento dell'Unione europea. Tuttavia, nessuna di tali indicazioni sarebbe stata recepita dal legislatore italiano, atteso che il contributo in argomento, per come concepito, non solo non definirebbe in maniera «oggettiva e verificabile» i sovraprofitti tassabili, ma escluderebbe anche dalla base imponibile tutti i costi «di investimento». 2.3.3. - Un terzo modello, puramente «domestico», emerge dalla sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale sulla nota «Robin Hood Tax». Secondo la Corte costituzionale, la congiuntura economica caratterizzata da un eccezionale rialzo dei prezzi di prodotti energetici al contempo insostenibile per gli utenti puo' incrementare sensibilmente i margini di profitto degli operatori dei settori interessati e quindi costituire «un elemento idoneo a giustificare un prelievo differenziato che colpisca gli eventuali "sovra-profitti" congiunturali». Tuttavia, «affinche' il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacita' contributiva non sia sproporzionato e la differenziazione dell'imposta non degradi in arbitraria discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice». Cio' non avveniva nel caso della maggiorazione dell'aliquota IRES prevista dal decreto-legge n. 112/2008, in quanto il tributo «si applica[va] all'intero reddito di impresa, anziche' ai soli "sovra-profitti"». Il precedente fornisce pero' preziose indicazioni al legislatore per disegnare un'imposta equa. Si legge infatti nella pronuncia che: «sebbene una pluralita' di indizi contenuti nel testo normativo impugnato e nei relativi lavori preparatori suggeriscano che l'intento del legislatore fosse quello di colpire i "sovra-profitti" conseguiti da detti soggetti in una data congiuntura economica, in realta' la struttura della nuova imposta non sarebbe poi coerente con tale ratio giustificatrice»; «la possibilita' di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell'imposta»; «se, come nel caso in esame, il presupposto economico che il legislatore intende colpire e' la eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi sulla struttura dell'imposizione»; «il vizio di irragionevolezza e' evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all'intero reddito di impresa, anziche' ai soli "sovra-profitti"». A contrario, dalla sentenza si evince che un'imposta sui sovraprofitti e', in linea di principio, equa e costituzionale a condizione che sia idonea ad incidere sui «profitti» in un'accezione «incrementale» in relazione alla «particolare congiuntura economica». La ricorrente ha dunque evidenziato che nessuna di queste indicazioni sarebbe stata recepita nel contributo in esame, che non solo - e a monte - non sarebbe idoneo ad incidere sui «profitti», ma men che meno riuscirebbe ad isolare un loro incremento, e cioe' un «sovraprofitto». Le conclusioni, allora, non potrebbero che essere identiche a quelle tratte nella citata sentenza: anche il contributo di cui all'art 37 decreto-legge n. 21/2022, al pari del suo «precedente», e' incompatibile con le norme costituzionali sopra indicate, in quanto il suo presupposto non si «riflette sulla struttura dell'imposizione». 2.4. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la ricorrente, con riferimento alla violazione degli artt. 23, 3 e 53 della Costituzione, ha prospettato una duplice conclusione. O l'intenzione del legislatore in realta' non sarebbe quella di indirizzare il contributo sui «sovraprofitti» delle imprese energetiche, ed allora risulterebbe confermata la piu' totale mancanza di ragioni giustificative del contributo, in violazione delle norme costituzionali di cui sopra. Oppure - e in subordine logico - il contributo sarebbe ipoteticamente inteso a colpire proprio i sovraprofitti, ma in tale caso esso si dimostrerebbe di fatto completamente inadeguato allo scopo, perche' articolato in previsioni del tutto inidonee ad incidere selettivamente su tali grandezze economiche e su chi ne e' eventualmente titolare, con l'inevitabile conseguenza della piu' totale discriminatorieta' ed irragionevolezza dell'intervento normativo, ancora in violazione delle norme costituzionali indicate. 2.5. Per quanto riguarda, in particolare, i profili rilevanti ex art. 3 della Costituzione, la ricorrente ha evidenziato la portata discriminatoria del contributo, interna o esterna al mercato energetico. In primo luogo, esso determinerebbe una chiara discriminazione tra le imprese del settore energetico e la restante platea dei contribuenti operanti in altri settori merceologici che pure hanno realizzato consistenti extraprofitti durante e dopo la crisi pandemica, senza tuttavia essere in alcun modo colpiti dall'imposta (ad. es. i settori bancario-finanziario o farmaceutico). In secondo luogo, esso determinerebbe discriminazioni interne allo stesso mercato energetico, gravando il contributo solo su alcune delle imprese che operano nel settore energetico e risolvendosi in un vantaggio degli operatori operanti nel settore energetico che - per ragioni del tutto «casuali» - non sono assoggettati al medesimo, non essendo in grado di isolare soggetti che abbiano realizzato una maggiore capacita' contributiva effettiva rispetto ai concorrenti. In terzo luogo, il contributo, mandando esenti da imposta operatori che hanno realizzato extraprofitti per importi inferiori a 5 milioni di euro o in una percentuale inferiore al 10 per cento, introdurrebbe un regime fiscale differenziato pur a fronte di situazioni del tutto comparabili. La ricorrente ha quindi concluso evidenziando che il contributo in commento non sarebbe conforme a Costituzione anche per le evidenti discriminazioni interne al settore energetico, non giustificate da alcuna differenziazione in relazione ad una diversa capacita' contributiva, in manifesta violazione dell'art. 3 della Costituzione. 3. Violazione degli artt. 53 e 42 della Costituzione. 3.1. La ricorrente ha evidenziato che l'art. 37 decreto-legge n. 21/2022, nella misura in cui accetta che il contributo possa avere effetti ablativi anche integrali della capacita' economica del soggetto inciso, sarebbe in palese contrasto anche con gli artt. 53 e 42 della Costituzione. Invero, il contributo in concreto dovuto dalla ricorrente ammonta a complessivi euro 507.782.828,10 ed ha un impatto dirompente sui conti della Societa', come documentato dai bilanci prodotti in atti, non solo erodendo integralmente il risultato operativo e l'utile ante imposte dell'ultimo esercizio concluso, ma addirittura superando ampiamente il patrimonio netto della stessa, come risultante dall'ultimo bilancio approvato. Infatti, proprio a causa del neointrodotto contributo, il socio Eni S.p.a. si e' visto costretto a ricapitalizzare la societa' ricorrente, per evitare di incorrere nelle conseguenze di cui all'art. 2447 c.c. Pertanto, la ricorrente ha osservato che la predetta imposta sortirebbe effetti tipicamente espropriativi e, anche per tale via, si rivelerebbe incostituzionale. Con riferimento all'art. 42 della Costituzione, norma posta dai costituenti a garanzia della proprieta' privata, un livello di imposizione tale da superare la ricchezza disponibile del contribuente conduce inevitabilmente all'ablazione graduale del patrimonio. Inoltre, l'art. 42 della Costituzione, quando al secondo comma dispone che «la legge determina i modi di acquisto della proprieta' privata», garantisce l'esistenza del mercato, ossia di un luogo in cui i privati scambiano i propri beni. Perche' vi sia un mercato e' necessaria la circolazione dei capitali, impossibile se i singoli sono privati, per effetto di un «supposto» tributo, del complesso dei beni economici necessario al soddisfacimento delle primarie necessita'. In sintesi, il legittimo sacrificio che puo' essere imposto in nome dell'interesse pubblico non puo' giungere sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprieta', pena la violazione della norma citata (Corte costituzionale, sentenza n. 348/2007). L'art. 53 della Costituzione opera, inoltre, da ulteriore baluardo contro prelievi il cui presupposto, pur essendo economicamente apprezzabile o sintomatico, sia configurato in modo da generare l'erosione progressiva dell'oggetto cui e' riferita l'imposta, oppure contro prelievi che sottraggono integralmente la stessa ricchezza tassata o in una misura che possa fondatamente minacciare l'equilibrio tra i bisogni finanziari del settore pubblico e l'interesse dei singoli. Peraltro, l'art. 53 della Costituzione, e in particolare il concetto di «capacita' contributiva», reca in se' il divieto di imposizione espropriativa. Non e' infatti consentito al legislatore soddisfare «l'interesse fiscale» in ogni modo, ma tale bisogno deve essere bilanciato con gli altri valori costituzionali, in quanto l'art. 53 della Costituzione non indica alcuna prevalenza dell'interesse fiscale rispetto agli altri diritti costituzionalmente tutelati. 4. Violazione dell'art. 117 della Costituzione e, in via mediata, dell'art. 1 del Primo Protocollo CEDU. La ricorrente ha evidenziato che il contributo ex art. 37 decreto-legge n. 21/2022 si porrebbe in manifesta violazione dell'art. 1 del Primo Protocollo CEDU e, per esso, dell'art. 117 della Costituzione, che impone al legislatore di operare nel rispetto degli obblighi internazionali. L'art. 1 del Primo Protocollo CEDU e' posto a presidio della tutela proprietaria, prevedendo al primo comma, primo periodo, la regola secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e cosi' vietando, in via generale, ogni compressione al libero godimento dei beni stessi. I periodi successivi del testo della disposizione autorizzano, a certe condizioni, la limitazione del diritto di proprieta': il secondo periodo del primo comma prevede, infatti, che «nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». Il secondo comma dispone a sua volta che «le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende». Tanto premesso, la ricorrente ha osservato che il contributo in esame determinerebbe una limitazione della tutela proprietaria nel godimento dei beni della medesima, risolvendosi in una contribuzione in denaro che determina l'erosione di tutto il patrimonio netto sociale, come gia' sopra evidenziato. Tale limitazione non sarebbe giustificata sulla base di una delle eccezioni ammesse dal secondo paragrafo dell'art. 1, con particolare riferimento alla seconda eccezione, che legittima le privazioni della tutela proprietaria volte ad «assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende» (art. 1, par. 2). Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, una restrizione della tutela proprietaria, anche se basata su ragioni di ordine fiscale, deve comunque: essere legittima, nella consapevolezza che «l'esistenza di una base giuridica nel diritto interno non e' di per se' sufficiente a soddisfare il principio di liceita'» in quanto detta base giuridica «deve avere una certa qualita', ovvero deve essere compatibile con lo stato di diritto e deve fornire garanzie contro l'arbitrarieta'» (CEDU, N.K.M. vs. Hungary, sentenza del 14 maggio 2013); rispondere ad un «giusto equilibrio» tra le esigenze pubbliche e quelle di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Nell'ambito di tale equilibrio, il potere impositivo trova un chiaro limite proprio nel divieto di introdurre «imposte confiscatorie», le quali incidono sui beni del contribuente in maniera cosi' dirompente da alterare in maniera illegittima e radicale l'equilibrio tra interesse fiscale e diritto alla tutela proprietaria. La Corte EDU ha avuto modo di esaminare la questione in tre recenti sentenze emesse nei confronti dell'Ungheria (CEDU, N.K.M. vs. Hungary, sentenza del 14 maggio 2013; CEDU, Gall vs. Hungary, sentenza del 25 giugno 2013 e CEDU, R.Sz. vs. Hungary, sentenza del 2 luglio 2013.), nelle quali e' stata accertato una violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU posta in essere dal legislatore ungherese, dato che quest'ultimo aveva introdotto retroattivamente un'imposta molto gravosa sulle somme corrisposte ai lavoratori del pubblico impiego in occasione della conclusione del rapporto di lavoro. Nelle pronunce, la Corte ha avuto modo definire quando un'imposta puo' essere considerata confiscatoria, chiarendo che: «un'ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni, anche se avvenuta alle condizioni previste dalla legge - che implica l'assenza di arbitrarieta' - e nell'interesse pubblico, deve sempre trovare un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell'interesse generale della collettivita' e le esigenze della tutela dei diritti fondamentali della persona. In particolare, deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e la finalita' perseguita dal provvedimento impugnato». Alla luce di tali premesse, l'imposta ungherese doveva considerarsi contraria al citato art. 1 in quanto la misura contestata: 1) comportava un onere «eccessivo e individuale da parte del ricorrente»; 2) riguardava «solo un determinato gruppo di soggetti»; 3) era da considerarsi «retroattiva» nell'accezione intesa dalla stessa Corte EDU. La ricorrente ha quindi evidenziato che il contributo di cui all'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 presenta tutte e tre le citate caratteristiche, erodendo da solo tutto il patrimonio netto della societa', con effetto espropriativo evidente, avendo natura intrinsecamente discriminatoria, come gia' sopra argomentato, ed essendo un prelievo con caratteristiche di retroattivita', gravando su una ricchezza comunque formatasi ben prima della sua entrata in vigore, nonche' privo del requisito della prevedibilita', determinando retroattivamente una situazione sfavorevole in capo ai contribuenti che non avrebbe potuto essere ragionevolmente prevista. 5. La Corte concorda con le suddette considerazioni e ritiene rilevante, posto che la presenza dell'art. 37 decreto-legge n. 21/2022 nell'ordinamento giuridico, osta al richiesto rimborso, e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della predetta norma secondo i profili dedotti dalla ricorrente.