Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso in virtu' di legge dall'Avvocatura generale dello Stato (fax 06/96514000 PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici e' legalmente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; Contro la Regione autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, nella sua sede in Cagliari, al viale Trento n. 69 - indirizzo PEC: presidenza@pec.regione.sardegna.it; Per la declaratoria della illegittimita' costituzionale degli articoli 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, 34, comma 1, lettera a), punto 2) e lettera b), 35, comma 2, 56, 75, 80, comma 1, lettera b), 86, 87, 91, commi 1 e 2, 120, 123 commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2, 3, 4,125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1 lettere a) e b), 130, 131 e 133, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 9 del 23 ottobre 2023, recante «Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie», giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 19 dicembre 2023. Premesse di fatto Sul Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n. 54 del 24 ottobre 2023, parte prima, e' stata pubblicata la legge regionale n. 9 del 23 ottobre 2023, intitolata «Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie». Gli articoli di tale legge indicati in epigrafe sono costituzionalmente illegittimi, in quanto eccedono dalle competenze attribuite alla Regione autonoma della Sardegna dallo Statuto speciale, adottato con legge costituzionale n. 3 del 26 febbraio 1948, n. 3, ed invadono le competenze riservate allo Stato dalla Costituzione. Pertanto, esse vengono impugnate con il presente ricorso ex art. 127 Cost. affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti Motivi di diritto I Art. 13, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 13, comma 1, lettera b), della legge oggetto di impugnazione dispone quanto segue: «1. Alla legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l'organizzazione amministrativa della Regione sarda), sono apportate le seguenti modiche ed integrazioni: [...] b) dopo l'art. 17 e' aggiunto il seguente: "Art. 17-bis (Mutamento di destinazione in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili). - 1. Per l'installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili e' obbligatorio richiedere il parere del comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde. 2. Con deliberazione della Giunta regionale, adottata entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge su proposta dell'Assessore regionale competente per materia, e' istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale, un tavolo tecnico interassessoriale, a supporto degli Uffici regionali, per la riforma organica dell'intera materia degli usi civici in Sardegna con particolare riguardo alla legge regionale n. 12 del 1994. 3) Il tavolo tecnico interassessoriale di cui al comma 2 e' presieduto dall'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale ed e' composto da: a) un dirigente per ciascuno degli Assessorati regionali competenti in materia di agricoltura, ambiente, beni culturali, enti locali; b) un docente universitario competente nelle materie oggetto di discussione, nominato dai vertici dell'Ateneo per ciascuna delle Universita' di Cagliari e di Sassari; c) almeno un rappresentante per ciascun ordine professionale coinvolto in materia di usi civici; d) due componenti del Consiglio delle autonomie locali, eletti dal Consiglio medesimo in modo tale da garantire la parita' di genere; e) i presidenti regionali dell'ANCI, dell'UPS, dell'UNCEM, dell'AICCRE, della Lega delle autonomie e dell'ASEL, costituenti il coordinamento delle associazioni degli enti locali della Sardegna"». Le disposizioni sopra ritrascritte si pongono in contrasto con la Costituzione, in quanto invadono: per il tramite della «norma interposta» contenuta nell'art. 142, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui agli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione; per il tramite della «norma interposta» contenuta nell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199 dell'8 novembre 2021, la competenza legislativa esclusiva dello Stato relativa alla determinazione dei «principi fondamentali» in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia» di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione; per il tramite delle «norme interposte» contenute nella legge n. 1766 del 16 giugno 1927, nel regio decreto n. 332 del 26 febbraio 1928 e nella legge n. 168 del 20 novembre 2017, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» di cui all'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. L'esponente Patrocinio non ignora che lo Statuto speciale di autonomia attribuisce alla regione resistente la competenza legislativa in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, lettera f), «usi civici» (art. 3, lettera n), «produzione e distribuzione dell'energia elettrica» (art. 4, lettera e). Tuttavia, tale competenza legislativa deve essere esercitata «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (art. 3), cui si aggiungono, nella materia relativa alla «produzione e distribuzione dell'energia elettrica», i «principi stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 4). Ebbene, l'odierna Resistente non si e' attenuta, nell'esercizio delle proprie competenze legislative, ai suddetti limiti previsti dalle stesse norme dello Statuto speciale di autonomia. Al fine di dimostrarlo, preme segnalare come la norma censurata introduca una procedura semplificata per il «mutamento di destinazione» dei terreni soggetti ad «uso civico» nel caso in cui sia installati impianti per la produzione di «energie rinnovabili». Cio' senza tener conto dei vincoli stabiliti dal decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio», il quale - all'art. 142, comma 1, lettera h) - assoggetta espressamente al «vincolo paesaggistico» le «zone gravate da usi civici». Di conseguenza, come chiarito da codesta ecc.ma Corte nelle sentenze n. 210 del 2014, n. 103 del 2017 e 178 del 2018 non e' consentito alle regioni, anche a quelle che godono di speciali forme di autonomia, la menomazione degli ambiti di tutela stabiliti dal legislatore statale in favore delle «terre collettive», come e' invece accaduto con la disposizione oggetto dell'odierna impugnazione. Come s'e' anticipato, la suddetta disposizione eccede finanche dalle competenze attribuite alla Resistente dallo Statuto di autonomia, atteso che - nelle materie de quibus - la potesta' legislativa regionale deve essere esercitata in armonia con la Costituzione, con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, e quindi anche nel rispetto delle menzionate disposizioni del decreto legislativo n. 42 del 2004, poste a «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 51 del 2006 e n. 178 del 2018). Di qui, la violazione - per il tramite della citata norma interposta - dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. Peraltro, la disposizione oggetto di censura si pone in contrasto anche con l'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199 dell'8 novembre 2021, il quale - in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018 - individua le superfici e le aree idonee all'installazione degli impianti per la produzione delle «energie rinnovabili». Com'e' noto, tale disposizione demanda ad «uno o piu' decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata» l'individuazione di «principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili» (comma 1), precisando che - nelle more - sono considerate aree idonee: «le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all'art. 142. comma 1. lettera h), del medesimo decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo decreto legislativo» (comma 8, lettera c)-quater, enfasi aggiunte). Di conseguenza, appare evidente come la norma oggetto di impugnazione si ponga in contrasto con la disposizione statale appena ritrascritta, dato che essa consente l'installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile anche su aree (i.e. quelle gravate da «usi civici»), che il legislatore statale ha espressamente qualificato come non idonee all'installazione dei suddetti impianti. Inoltre, per come e' testualmente formulata la norma statale, non vi e' dubbio che il vincolo legislativo in questione costituisca espressione di un «principio fondamentale» in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia», la cui determinazione e' attribuita dall'art. 117, comma 3, della Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Tale circostanza - unitamente al rilievo per il quale la suddetta disciplina nazionale attua di precisi obblighi di natura comunitaria - rende irrilevante la disposizione contenuta nell'art. 4 dello Statuto di autonomia che attribuisce alla Resistente la competenza legislativa in materia di «produzione e distribuzione dell'energia elettrica»; la stessa disposizione statutaria - infatti - fa espressamente salvi i «principi stabiliti dalle leggi dello Stato», nonche' tutti i limiti all'esercizio della potesta' legislativa regionale previsti dal precedente art. 3, che annovera espressamente anche il «rispetto degli obblighi internazionali» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 2018). Di qui, la evidente illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata anche per la violazione - stante la citata norma interposta - dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, che riserva allo Stato - come s'e' anticipato - la determinazione dei principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia». Specifici limiti alla competenza legislativa della Regione Sardegna derivano, inoltre, dalle disposizioni statali indicate in premessa che disciplinano il regime dominicale degli usi civici nonche', in particolare, dalla legge n. 168 del 20 novembre 2017, recante «Norme in materia di domini collettivi». Ed invero, come recentemente chiarito da codesta ecc.ma Corte, non vi e' alcun dubbio che la disciplina delle «proprieta' collettive» e degli «usi civici» rientri nella sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» oltre che - naturalmente - in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 113 del 2018, n. 228 del 2021, n. 236 del 2022). Di conseguenza, la norma impugnata si pone in contrasto con gli evocati parametri di legittimita' costituzionale anche laddove dispone che «Con deliberazione della Giunta regionale, adottata entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge su proposta dell'Assessore regionale competente per materia, e' istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale, un tavolo tecnico interassessoriale, a supporto degli Uffici regionali, per la riforma organica dell'intera materia degli usi civici in Sardegna» (enfasi aggiunte). Difatti, tale disposizione (e quindi tutte le norme ad essa conseguenziali) attrae la disciplina degli «usi civici» entro l'ambito della competenza legislativa regionale, senza tener conto che - alla luce della citata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte - spetta senz'altro allo Stato disciplinare le alienazioni, i mutamenti di destinazione e la liquidazione degli usi civici, ai sensi degli articoli 5 e seguenti della legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonche' l'eventuale sclassificazione dei beni che abbiano perduto irreversibilmente l'originaria destinazione agro-silvo-pastorale, lo scioglimento delle promiscuita' e le autorizzazioni paesaggistiche, cosi' come stabilito dalle menzionate disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. In altri termini, la disposizione in esame, nella parte in cui attribuisce agli organi regionali il compito di attendere ad una «riforma organica dell'intera materia degli usi civici» si pone in evidente contrasto con gli evocati parametri costituzionali, in quanto invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato sia in materia di «ordinamento civile» (art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione) sia in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione) D'altro canto, la disposizione impugnata, nell'individuare la composizione del tavolo tecnico che dovra' procedere alla riforma organica dell'intera materia degli usi civici, non prevede alcuna partecipazione di Ministero della cultura, in palese contrasto con il principio di «leale collaborazione» desumibile dall'art. 5 della Carta fondamentale. Difatti, i lavori del citato tavolo tecnico incideranno senz'altro su profili di competenza della suddetta amministrazione statale: in particolare, su quelli concernenti i vincoli paesaggistici cui sono soggetti gli usi civici, ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali e del paesaggio. Pertanto, in virtu' del menzionato principio di «leale collaborazione», il legislatore regionale non avrebbe potuto prescindere dall'introdurre quantomeno delle forme di coordinamento con l'amministrazione centrale competente per materia. Sicche', anche per tali motivi, si confida nella declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023, stante la manifesta violazione di tutti i parametri costituzionali sopra indicati. II Art. 34, comma 1, lettera a), punto 2), della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 34 della legge oggetto di impugnazione - rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 24 del 2020 in materia di procedure di selezione, funzioni dell'ARES, liquidazione dell'ATS e disposizioni varie» - stabilisce che «Alla legge regionale 11 settembre 2020, n. 24 (Riforma del sistema sanitario regionale e riorganizzazione sistematica delle norme in materia. Abrogazione della legge regionale n. 10 del 2006, della legge regionale n. 23 del 2014 e della legge regionale n. 17 del 2016 e di ulteriori norme di settore) sono apportate le seguenti modifiche ed integrazioni: a) all'art. 3: [...] 2) il comma 6 e' cosi' sostituito: "6. Contestualmente all'istituzione di ARES, l'ATS e' posta in liquidazione. La gestione liquidatoria di ATS e' competente per la liquidazione di tutte le posizioni attive e passive e di tutte le cause pendenti, dalla data della sua costituzione e di quelle facenti in precedenza capo alle soppresse aree socio-sanitarie locali e alle soppresse aziende sanitarie. Per l'espletamento di tutte le attivita' la gestione liquidatoria di ATS si avvale, di norma, del personale di ARES e, ove necessario, di ulteriori figure attraverso la stipula di apposite convenzioni. Il Commissario liquidatore di ATS e' nominato dalla Giunta regionale. Agli oneri relativi all'attivita' liquidatoria di ATS si fa fronte con risorse ulteriori rispetto a quanto previsto, con riferimento alla Regione Sardegna, dall'intesa Stato-regioni concernente il riparto del fabbisogno sanitario standard"» (enfasi aggiunte). La suddetta disposizione - nella parte in cui prevede che il Commissario liquidatore dell'Azienda per la tutela della salute in Sardegna sia nominato dalla Giunta regionale - si pone in contrasto, per il tramite delle «norme interposte» contenute negli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 171 del 4 agosto 2016, con l'art. 117, comma 3, della Costituzione nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute» (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 192 del 2017, n. 54 del 2015, n. 207 del 2010, n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005). Ed invero, il Commissario liquidatore della suddetta Azienda svolge le medesime funzioni del direttore generale di una ASL, al quale e' integralmente assimilato; pertanto, la procedura di nomina del medesimo non puo' prescindere dai principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale negli articoli 1 e 2 del menzionato decreto legislativo, adottato - come noto - in attuazione della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria (Corte costituzionale, sentenze n. 87 del 2019, n. 159 del 2018, n. 190 del 2017, n. 124 del 2015, n. 295 del 2009, n. 449 del 2006 e n. 422 del 2005). In particolare, la legge n. 124 del 2015, intitolata «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all'art. 11, rubricato «Dirigenza sanitaria», stabilisce che: «1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo quanto previsto dall'art. 17, comma 2, uno o piu' decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici. I decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: [...] p) con riferimento al conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, nonche', ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando quanto previsto dall'art. 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 502, e successive modificazioni, per quanto attiene ai requisiti, alla trasparenza del procedimento e dei risultati, alla verifica e alla valutazione, definizione dei seguenti principi fondamentali, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione: selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalita' del citato art. 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni; sistema di verifica e di valutazione dell'attivita' dei direttori generali che tenga conto del raggiungimento degli obiettivi sanitari e dell'equilibrio economico dell'azienda, anche in relazione alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza e dei risultati del programma nazionale valutazione esiti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; decadenza dall'incarico e possibilita' di reinserimento soltanto all'esito di una nuova selezione nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato decorsi ventiquattro mesi dalla nomina, o nel caso di gravi o comprovati motivi, o di grave disavanzo o di manifesta violazione di leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e imparzialita'; selezione per titoli e colloquio, previo avviso pubblico, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, nonche', ove previsti dalla legislazione regionale, dei direttori dei servizi socio-sanitari, in possesso di specifici titoli professionali, scientifici e di carriera, effettuata da parte di commissioni regionali composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche, per l'inserimento in appositi elenchi regionali degli idonei, aggiornati con cadenza biennale, da cui i direttori generali devono obbligatoriamente attingere per le relative nomine; decadenza dall'incarico nel caso di manifesta violazione di leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e imparzialita'; definizione delle modalita' per l'applicazione delle norme adottate in attuazione della presente lettera alle aziende ospedaliero-universitarie» (enfasi aggiunte). In attuazione dei principi e criteri direttivi sopra trascritti, il Governo ha adottato il citato decreto legislativo n. 171 del 2016, il cui art. 1 ha disciplinato la procedura di formazione dell'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale; mentre, il successivo art. 2, rubricato «Disposizioni relative al conferimento degli incarichi di direttore generale», come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 26 luglio 2017, n. 126, cosi' dispone: «1. Le regioni nominano direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale dei direttori generali di cui all'art. 1. A tale fine, la regione rende noto, con apposito avviso pubblico, pubblicato sul sito internet istituzionale della regione l'incarico che intende attribuire, ai fini della manifestazione di interesse da parte dei soggetti iscritti nell'elenco nazionale. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio e' effettuata da una commissione regionale, nominata dal presidente della regione, secondo modalita' e criteri definiti dalle regioni, anche tenendo conto di eventuali provvedimenti di accertamento della violazione degli obblighi in materia di trasparenza. La commissione, composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, propone al presidente della regione una rosa di candidati, nell'ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire. Nella rosa proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale. 2. Il provvedimento di nomina, di conferma o di revoca del direttore generale e' motivato e pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonche' ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa. All'atto della nomina di ciascun direttore generale, le regioni definiscono e assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi con riferimento alle relative risorse, gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico, tenendo conto dei canoni valutativi di cui al comma 3, e ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi. La durata dell'incarico di direttore generale non puo' essere inferiore a tre anni e superiore a cinque anni. Alla scadenza dell'incarico, ovvero, nelle ipotesi di decadenza e di mancata conferma dell'incarico, le regioni procedono alla nuova nomina, previo espletamento delle procedure di cui presente articolo. La nuova nomina, in caso di decadenza e di mancata conferma, puo' essere effettuata anche mediante l'utilizzo degli altri nominativi inseriti nella rosa di candidati di cui al comma 1, relativa ad una selezione svolta in una data non antecedente agli ultimi tre anni e purche' i candidati inclusi nella predetta rosa risultino ancora inseriti nell'elenco nazionale di cui all'articolo 1. In caso di commissariamento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, il commissario e' scelto tra i soggetti inseriti nell'elenco nazionale» (enfasi aggiunte). Dalle disposizioni statali appena trascritte, si evincono - per quanto d'interesse in questa sede - i seguenti principi in materia di nomina dei direttori generali: a) la formazione, all'esito di una specifica procedura selettiva, di «una rosa di candidati», tra cui scegliere quello maggiormente idoneo a ricoprire l'incarico; b) la necessita', alla scadenza dell'incarico ovvero nelle ipotesi di decadenza e/o mancata conferma del medesimo, di procedere alla nuova nomina previo espletamento della specifica procedura selettiva di cui alla precedente lettera a); c) l'eccezionalita' dell'ipotesi in cui alla nuova nomina - in caso di decadenza e/o mancata conferma dell'incarico - si possa procedere mediante l'utilizzo degli altri nominativi inseriti in una «rosa di candidati» relativa ad una selezione precedente, che si sia svolta in una data non antecedente agli ultimi tre anni e purche' i suddetti candidati risultino ancora inseriti nell'elenco nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171 del 2016; d) la conclusione della procedura di nomina con l'adozione di un provvedimento, che deve essere motivato e pubblicato sul sito internet della regione, al quale segue la conclusione del contratto dove sono inseriti gli obiettivi, il cui raggiungimento e' valutato tenuto conto dei criteri stabiliti dall'art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 171 del 2016. Ebbene, la disposizione regionale impugnata prescinde integralmente dalla procedura di nomina sopra delineata; e quindi, per il tramite delle «norme interposte» sopra ritrascritte, si pone in evidente contrasto con l'art. 117, comma 3, della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute», tra i quali rientrano - secondo l'univoca giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte - anche le disposizioni relative alla nomina dei direttori generali delle ASL (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 209 del 2021). Peraltro, la deroga introdotta dalla regione resistente alle disposizioni di principio stabilite dal legislatore statale non trova alcun fondamento normativo nello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna e, segnatamente, nell'art. 4, comma 1, che - tra le materie di competenza legislativa regionale - annovera alla lettera h) la materia della «assistenza e beneficenza pubblica» e alla lettera i) quella relativa alla «igiene e sanita' pubblica». Difatti, la costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., ad esempio, la sentenza n. 126 del 2017) ha affermato, proprio con riferimento alle autonomie speciali, che, in ambito sanitario, non vengono in rilievo le norme dello Statuto speciale, bensi' l'art. 117 della Costituzione, in quanto la competenza legislativa concorrente in materia di «tutela della salute» assegnata alle regioni ordinarie dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, dopo la riforma costituzionale del 2001 e' «assai piu' ampia» di quella prevista dagli Statuti speciali in materia, tra l'altro, di «assistenza» oltre che di «igiene e sanita'» (cfr. sentenze n. 162 del 2007, n. 134 del 2006 e n. 270 del 2005). Ed invero, la formula utilizzata dall'art. 117, comma 3, della Costituzione esprime «l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (cfr. sentenza n. 282 del 2002). Ne consegue che, trattandosi di competenza legislativa piu' ampia rispetto a quella prevista dagli Statuti speciali, non puo' che trovare applicazione la clausola di favore contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Sicche', anche per la Regione autonoma della Sardegna, il regime della competenza legislativa nella materia de qua e' quello fissato dall'art. 117, comma 3, della Costituzione, in tema di «tutela della salute». In altri termini, lo Statuto speciale non attribuisce alla Resistente prerogative ulteriori rispetto a quelle desumibili dal menzionato art. 117, comma 3, della Costituzione, che - nelle materie di competenza concorrente, tra cui e' ricompresa anche la «tutela della salute» - riserva alla legislazione di «cornice» dello Stato la determinazione dei principi fondamentali, che le regioni sono tenute ad osservare nell'esercizio della propria potesta' legislativa di «dettaglio». Nel caso di specie, la norma oggetto di censura non si e' attenuta ai menzionati principi fondamentali e, dunque, non potra' che essere dichiarata costituzionalmente illegittima per i motivi sopra indicati ed illustrati. III Art. 34, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 34, comma 1, lettera b), della legge impugnata stabilisce altresi' che - alla legge regionale 11 settembre 2020, n. 24 - «dopo il comma 5 dell'art. 13 e' aggiunto il seguente: "5-bis. In attesa dell'espletamento delle procedure di cui al comma 2, i direttori sanitari e amministrativi di ARES, di AREUS, delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie sono nominati nel rispetto di quanto previsto dalle lettere a), b) e c) del comma 2. Ai dirigenti cosi' individuati spetta la retribuzione prevista dalla deliberazione della Giunta regionale n. 51/31 del 30 dicembre 2021, come modificata dalla deliberazione della Giunta regionale n. 9/23 del 24 marzo 2022"». Anche tale disposizione, per il tramite delle «norme interposte» contenute nell'art. 3 del decreto legislativo n. 171 del 4 agosto 2016, si pone in contrasto con l'art. 117, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute». Ed invero, la norma sopra ritrascritta prevede che, nelle more dell'aggiornamento degli elenchi regionali degli idonei, l'incarico di direttore sanitario e direttore amministrativo sia affidato con nomina diretta senza alcuna procedura selettiva, sia pure tra i soggetti in possesso dei requisiti previsti dall'art. 13, comma 2, lettere a), b) e c), della legge n. 24 del 2020. Tale disposizione, quindi, si pone in palese contrasto con il menzionato art. 3 del decreto legislativo n. 171 del 2016, secondo cui «Il direttore generale, nel rispetto dei principi di trasparenza di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, e di cui all'art. 1, comma 522, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nomina il direttore amministrativo, il direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, il direttore dei servizi socio sanitari, attingendo obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei, anche di altre regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione per titoli e colloquio, effettuati da una commissione nominata dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e composta da esperti di qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di comprovata professionalita' e competenza nelle materie oggetto degli incarichi, di cui uno designato dalla regione. La commissione valuta i titoli formativi e professionali, scientifici e di carriera presentati dai candidati, secondo specifici criteri indicati nell'avviso pubblico, definiti, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con Accordo in sede di Conferenza permanente peri rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, fermi restando i requisiti previsti per il direttore amministrativo e il direttore sanitario dall'art. 3, comma 7, e dall'art. 3-bis, comma 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni» (enfasi aggiunte). Peraltro, la suddetta disciplina si completa con quanto stabilito nel successivo art. 5, laddove e' stabilito che «Fino alla costituzione dell'elenco nazionale e degli elenchi regionali di cui, rispettivamente, agli articoli 1 e 3, si applicano, per il conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo, di direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, e per la valutazione degli stessi, le procedure vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Nel caso in cui non e' stato costituito l'elenco regionale, per il conferimento degli incarichi di direttore amministrativo, di direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio-sanitari, le regioni attingono agli altri elenchi regionali gia' costituiti» (enfasi aggiunte). Come codesta ecc.ma Corte ha recentemente chiarito, le suddette diposizioni statali rappresentano norme di principio in materia di «tutela della salute», essendo evidentemente ispirate dall'intento di circoscrivere la scelta dei dirigenti de quibus ai «candidati in possesso di comprovati titoli e capacita' professionali, iscritti in appositi elenchi, allo scopo di affrancare la dirigenza sanitaria da condizionamenti di carattere politico e di privilegiare criteri di selezione che assicurino effettive capacita' gestionali e un'elevata qualita' manageriale» (cfr., ad esempio, sentenza n. 155 del 2022). In altri termini, non vi e' dubbio che, nella materia «tutela della salute», rientrino tra i principi fondamentali, la cui determinazione e' riservata allo Stato, anche le disposizioni relative alle procedure di accesso alla dirigenza sanitaria e amministrativa, in quanto esse si collocano in una prospettiva di miglioramento del «rendimento» e della «qualita'» del servizio offerto, oltreche' dell'imparzialita' e del buon andamento dell'attivita' amministrativa (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 209 del 2021, n. 87 del 2019, n. 159 del 2018, n. 190 del 2017, n. 124 del 2015, n. 295 del 2009, n. 449 del 2006 e n. 422 del 2005). Pertanto, la norma regionale impugnata si pone in evidente contrasto con le menzionate disposizioni di principio dettate dal legislatore statale, in quanto consente - sia pure nelle more dell'aggiornamento degli elenchi regionali degli idonei - che gli incarichi di direttore sanitario e direttore amministrativo siano affidati senza il previo esperimento di una procedura selettiva tra gli aspiranti. Peraltro, anche in questo caso, la deroga introdotta dalla Regione resistente alle disposizioni di principio stabilite dal legislatore statale non trova alcun fondamento normativo nello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna e, segnatamente, nell'art. 4, comma 1, che - tra le materie di competenza legislativa regionale - annovera alla lettera h) la materia della «assistenza e beneficenza pubblica» e alla lettera i) quella relativa alla «igiene e sanita' pubblica». Difatti, come s'e' detto nel precedente capo del presente atto, la costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., ad esempio, la sentenza n. 126 del 2017) ha affermato, proprio con riferimento alle autonomie speciali, che, in ambito sanitario, non vengono in rilievo le norme dello Statuto speciale, bensi' l'art. 117 della Costituzione, in quanto la formula utilizzata dal comma 3 esprime «l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (cfr. sentenza n. 282 del 2002). Di conseguenza, trattandosi di competenza legislativa piu' ampia rispetto a quella prevista dagli Statuti speciali, non puo' che trovare applicazione la clausola di favore contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. In definitiva, lo Statuto speciale non attribuisce alla Resistente prerogative ulteriori rispetto a quelle desumibili dal menzionato art. 117, comma 3, della Costituzione, che - nelle materie di competenza concorrente, tra cui e' ricompresa anche la «tutela della salute» - riserva alla legislazione di «cornice» dello Stato la determinazione dei principi fondamentali, che le regioni sono tenute ad osservare nell'esercizio della propria potesta' legislativa di «dettaglio». Nel caso di specie, la norma censurata non si e' attenuta ai menzionati principi fondamentali, la cui osservanza e' peraltro espressamente imposta dallo stesso inciso con cui si apre il citato art. 4 dello Statuto speciale di autonomia (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 155 del 2022, n. 159 del 2018, n. 430 del 2007 e n. 448 del 2006); sicche', per i motivi sopra indicati ed illustrati, essa non potra' che essere dichiarata costituzionalmente illegittima. IV Art. 35, comma 2, della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 35 della legge oggetto di impugnazione stabilisce - al comma 2 - che «Nel rispetto del tetto di spesa fissato per il personale degli enti del Servizio sanitario regionale (SSR) e ferma restando la compatibilita' finanziaria, ciascun ente del SSR puo' destinare i risparmi derivanti dalla mancata attuazione del piano triennale dei fabbisogni all'incremento delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale anche oltre il limite previsto dall'art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 [...], sulla base degli indirizzi regionali. Le disposizioni di cui al presente comma [...] hanno carattere temporaneo e si applicano fino al termine dello stato emergenziale che si considera concluso con la saturazione dei piani triennali di fabbisogno di personale». La suddetta disposizione - per il tramite della «norma interposta» contenuta nell'art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017 - si pone in contrasto con l'art. 117 della Costituzione nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato sia la materia «ordinamento civile» (comma 2, lettera l) sia la determinazione dei principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica» (comma 3), anche in relazione al principio dell'equilibrio di bilancio e di sostenibilita' del debito pubblico, stabilito dagli articoli 81 e 97, comma 1, della Carta fondamentale. Difatti, la citata norma interposta stabilisce che «1. Al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all'incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione. 2. Nelle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualita' dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa, assicurando al contempo l'invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non puo' superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016» (enfasi aggiunte). Come si evince dal tenore letterale delle disposizioni appena ritrascritte, l'intervento normativo statale interviene sul trattamento accessorio destinato agli impiegati pubblici su tutto il territorio nazionale ed e' quindi sussumibile - anzitutto - entro la materia «ordinamento civile». Ed invero, come chiarito ormai da tempo da codesta ecc.ma Corte, attengono alla materia de qua, rientrante - quindi - nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, non solo le norme che disciplinano la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la mobilita' dei dipendenti pubblici (cfr. sentenze n. 32/2017; n. 175 del 2016; n. 17 del 2014; n. 130 del 2013; n. 69 del 2011), ma anche quelle relative al trattamento giuridico ed economico del personale in esame (cfr. sentenze n. 175 del 2017; n. 160 del 2017; n. 121 del 2017; n. 257 del 2016; n. 251 del 2016; n. 175 del 2016; n. 269 del 2014; n. 211 del 2014; n. 61 del 2014; n. 19 del 2014; n. 286 del 2013; n. 265 del 2013; n. 225 del 2013; n. 218 del 2013; n. 36 del 2013; n. 18 del 2013). Inoltre, l'art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017 persegue espressamente la finalita' di assicurare «l'invarianza della spesa» destinata al pubblico impiego con decorrenza dal 1° gennaio 2017; e quindi, essa reca anche un principio fondamentale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», che vincola - appunto - le regioni a non incrementare le spese relative al personale del Servizio sanitario regionale oltre i limiti espressamente stabiliti dal legislatore statale. Si tratta quindi di una diposizione che - come gia' ripetutamente affermato da codesta ecc.ma Corte - puo' legittimamente limitare «l'autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario [...] alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», in quanto impongono «alle regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (cfr. sentenza n. 91 del 2012, enfasi aggiunte). In altri termini, trattandosi di una disposizione espressamente volta a garantire l'attuazione del principio dell'equilibrio di bilancio e di sostenibilita' del debito pubblico, di cui agli articoli 81 e 97, comma 1, della Costituzione, essa si impone a tutti gli enti regionali, ivi compresi a quelli che - come l'odierna Resistente - godono di uno speciale regime di autonomia (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 226 del 2021). Nella specie, peraltro, la deroga introdotta dal legislatore regionale non trova alcun fondamento giuridico nello Statuto della Regione autonoma della Sardegna, dato che l'art. 3 - il quale peraltro fa sempre salva l'osservanza della Costituzione e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, nonche' il rispetto degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica - attribuisce alla competenza legislativa regionale lo «stato giuridico ed economico del personale» alle dipendenze della regione (lett. a); e quindi, non puo' evidentemente giustificare l'intervento normativo in esame, che - come anticipato - interviene sul trattamento economico di un'altra categoria di personale, ossia quello alle dipendenze degli enti del servizio sanitario. Si confida, pertanto, nella declaratoria di illegittimita' costituzionale anche dell'art. 35, comma 2, della legge regionale n. 9 del 2023. V Art. 56 della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 56 della legge impugnata - rubricato «Disposizioni in materia di tetti di spesa per prestazioni sanitarie erogate da privati accreditati» - interviene sul testo dell'art. 5, comma 12, della legge regionale n. 1 del 2023, prevedendo che le risorse non utilizzate di cui al tetto di spesa assegnato per il 2020 per l'assistenza ospedaliera possono essere redistribuite tra gli erogatori privati accreditati che abbiano prodotto un'attivita' ospedaliera eccedente il budget assegnato nell'anno 2021 e per incrementare il tetto di spesa dell'assistenza ospedaliera nell'anno 2023, «anche oltre i limiti imposti dalle disposizioni di legge nazionali che prevedono la riduzione dell'acquisto di volumi di prestazioni sanitarie da privati accreditati per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera finalizzate alla contrazione della spesa pubblica, in quanto la regione provvede con proprie risorse al finanziamento della spesa sanitaria» (enfasi aggiunte). Tale disposizione - per il tramite della norma interposta contenuta nell'art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 - si pone in palese contrasto con l'art. 117, comma 3, della Costituzione nella parte in cui riserva allo Stato la determinazione dei principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica» anche in relazione al gia' menzionato principio dell'equilibrio di bilancio e di sostenibilita' del debito pubblico, sancito dagli articoli 81 e 97, comma 1, della Carta fondamentale. Difatti, la norma interposta appena citata stabilisce che «A decorrere dall'anno 2013 il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera di cui all'art. 5, comma 5, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e' rideterminato nella misura del 3,5 per cento e si applicano le disposizioni dei commi da 5 a 10», che disciplinano le modalita' di calcolo del «tetto» e introducono le misure per il monitoraggio ed il contenimento della suddetta voce di spesa. Nella sentenza n. 203 del 2016, codesta ecc.ma Corte - nello scrutinio di legittimita' costituzionale della menzionata disposizione statale - ha chiarito che le risorse destinate a coprire la spesa sanitaria costituiscono un limite invalicabile non solo per l'amministrazione, ma anche per gli operatori privati, il cui superamento giustifica l'adozione delle necessarie misure di riequilibrio finanziario (cfr., in tale senso, anche Consiglio di Stato, Ad. plen., n. 3 e n. 4 del 2012). In altri termini, le norme statali che individuano le suddette misure di riequilibrio costituiscono altrettanti principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica», atteso che esse perseguono espressamente la «finalita' di far fronte all'elevato e crescente deficit della sanita' e alle esigenze ineludibili di bilancio e di contenimento della spesa pubblica. Tale finalita', in quanto imposta dai vincoli di bilancio derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea, si impone peraltro anche all'odierna Resistente, dato che - in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» ed in materia di «igiene e sanita'» - l'art. 4 dello Statuto speciale di autonomia condiziona espressamente l'esercizio delle competenze legislative regionali al rispetto dei vincoli derivanti dalla Costituzione, dai principi dell'ordinamento giuridico statale, dagli obblighi internazionali, dagli interessi nazionali, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, nonche' dai principi stabiliti nelle leggi dello Stato. Si confida, pertanto, nella declaratoria di illegittimita' costituzionale anche dell'art. 56 della legge censurata, stante l'evidente violazione dei parametri appena richiamati. VI L'art. 75 della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 75 della legge censurata - rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 9 del 2006 in materia di bonifiche ambientali di competenza degli enti locali» - attribuisce ai «comuni le funzioni e i compiti amministrativi in materia di bonifiche ambientali indicati negli articoli 242 e 249 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [...], per i siti ricadenti interamente nel territorio di competenza, e alle province e citta' metropolitane le medesime funzioni e compiti amministrativi per i siti ricadenti tra piu' comuni della stessa provincia o citta' metropolitana, ovvero: a) la convocazione della conferenza di servizi, l'approvazione del piano della caratterizzazione e l'autorizzazione all'esecuzione dello stesso, di cui all'art. 242, commi 3 e 13, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [...]; b) la convocazione della conferenza di servizi e l'approvazione del documento di analisi di rischio, di cui all'art. 242, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006; c) l'approvazione del piano di monitoraggio, di cui all'art. 242, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006; d) la convocazione della conferenza di servizi, l'approvazione del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza e delle eventuali ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale e l'autorizzazione all'esecuzione dello stesso, di cui all'art. 242, commi 7 e 13, del decreto legislativo n. 152 del 2006; e) l'approvazione del progetto di bonifica di aree contaminate di ridotte dimensioni, di cui all'art. 249 e all'allegato 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006. La garanzia finanziaria, di cui all'art. 242, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e' prestata in favore del comune, della provincia o della citta' metropolitana titolare del procedimento per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi autorizzati. Il comune, la provincia o la citta' metropolitana provvedono anche alla verifica e all'accettazione della garanzia finanziaria. Sono conferiti, inoltre, alle province e citta' metropolitane le funzioni e i compiti amministrativi attribuiti alla regione dall'art. 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006» (enfasi aggiunte). Le disposizioni sopra ritrascritte - per il tramite delle «norme interposte» contenute negli articoli 249 e 250 del codice dell'ambiente e nell'art. 22 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 136 - si pongono in evidente contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». In particolare, ai sensi dell'art. 22 del decreto-legge n. 104 del 2023, «Le regioni possono conferire, con legge, le funzioni amministrative di cui agli articoli 194, comma 6, lettera a), 208, 242 e 242-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, agli enti locali di cui all'art. 114 della Costituzione, tenendo conto in particolare del principio di adeguatezza. La medesima legge disciplina i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo sulle funzioni da parte della regione, il supporto tecnico-amministrativo agli enti cui sono trasferite le funzioni e l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della regione in caso di verificata inerzia nell'esercizio delle medesime. Sono fatte salve le disposizioni regionali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, che hanno trasferito le funzioni amministrative predette». Ebbene, l'art. 75 della legge oggetto di censura prevede una «delega» in favore degli enti locali anche per le funzioni amministrative individuate dagli articoli 249 e 250 del codice dell'ambiente, non espressamente contemplate dall'art. 22 del decreto-legge n. 104 del 2023. Di qui, la violazione per il tramite di tali «norme interposte» della citata disposizione costituzionale, posto che, anche di recente con la sentenza n. 160 del 2023, codesta ecc.ma Corte ha espressamente escluso la possibilita', per le regioni, di attribuire le funzioni in materia di bonifiche di siti inquinati agli enti locali in difformita' da quanto espressamente previsto nel codice dell'ambiente, stante la natura «unitaria» e «primaria» del bene tutelato (cfr. sentenza n. 189 del 2021). In altri termini, la potesta' legislativa esclusiva statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), esprime ineludibili esigenze di protezione dell'ambiente, che sarebbero inevitabilmente vanificate ove si attribuisse alle regioni «la facolta' di rimetterne indiscriminatamente la cura a un ente territoriale di dimensioni minori, in deroga alla valutazione di adeguatezza compiuta dal legislatore statale con l'individuazione del livello regionale» (cfr. sentenze n. 268 del 2017 e n. 641 del 1987). Peraltro, nella specie, l'intervento normativo regionale non trova alcun fondamento nello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna, il quale - da un lato - attribuisce alla competenza legislativa regionale esclusivamente la materia delle «piccole bonifiche» (art. 3, lettera d) e - dall'altro - prevede espressamente che tale competenza legislativa deve pur sempre essere esercitata in «armonia con la Costituzione» e con «i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica», nonche' nel «rispetto degli obblighi internazionali», degli «interessi nazionali» e delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali», quali sono senz'altro le citate norme contenute nel codice dell'ambiente. Si insiste, pertanto, anche per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del citato art. 75 della legge regionale impugnata, stante la violazione degli evocati parametri normativi, cosi' come interpretati dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. VII Art. 80, comma 1, lettera b) della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 80, comma 1, lettera b), della legge regionale in oggetto, sostituisce il comma 1 dell'art. 49, della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna», come modificato dall'art. 1 della legge regionale 7 febbraio 2002, n. 5, con il seguente: «1. Ai fini dell'attivita' venatoria nel territorio della Sardegna e' consentito abbattere esemplari di fauna selvatica di cui all'art. 48 nel periodo compreso tra la terza domenica di settembre ed il 31 gennaio dell'anno successivo, a condizione che le specie non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, ne' durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza e, qualora si tratti di specie migratorie, non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione, con le seguenti eccezioni: [...] b) Tortora selvatica (Streptopelia turtur) dal 1° settembre, secondo il piano adottato dalla conferenza Stato-regioni; ...». La norma sopra riportata prevede che la specie tortora selvatica («Streptopelia turtur») possa essere cacciata «dal 1° settembre secondo il piano adottato dalla Conferenza Stato-regioni», diversamente dalla data indicata per la medesima specie dall'art. 18, comma 1, lettera a) della legge n. 157 del 1992, c.d. «legge quadro» sulla caccia, ovvero dalla terza domenica di settembre al 31 di dicembre. La questione e' stata gia' affrontata da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 18 - 20 dicembre 2002, n. 536, proprio in riferimento all'art. 49 della L.R. Sardegna n. 23 del 1998. Nella citata pronuncia, infatti, codesta ecc.ma Corte ha stabilito che l'indicazione delle specie cacciabili e del relativo periodo di caccia (di cui alla legge quadro n. 157 del 1992), servisse a garantire uno standard minimo e uniforme di tutela della fauna su tutto il territorio nazionale, in linea con la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), nel cui ambito puo' essere ricondotta la tutela della fauna, che il legislatore regionale non puo' derogare, neppure in forza della speciale competenza statutaria in materia di «caccia» prevista dall'art. 3, primo comma, lettera i) dello Statuto regionale. L'attuale formulazione dell'articolo in esame, invece, non definendo il periodo di cacciabilita' della tortora selvatica nel perimetro fissato dal citato art. 18 della legge n. 157 del 1992 (e rimandando, anzi, l'individuazione del termine finale ad una disposizione del piano adottato dalla Conferenza Stato-regioni), interviene in deroga al parametro interposto, ponendo cosi' i descritti rilievi di incostituzionalita'. La norma impugnata deroga al suddetto standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell'intero territorio nazionale, ivi compreso quello delle regioni a statuto speciale e viola, pertanto, i limiti stabiliti dallo Statuto della Regione Sardegna (art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) all'esercizio della potesta' legislativa in materia di «caccia» (lett. i), tra cui quelli derivanti dall'osservanza delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica e degli obblighi internazionali. La deroga stabilita dalla Regione Sardegna, infatti, oltre ad incidere sul «nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi - accanto all'elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio» (Corte cost. sentenza n. 323/1998), non appare compatibile nemmeno con la normativa dell'Unione europea in materia di protezione della fauna selvatica la quale richiede che gli Stati membri provvedano «a che le specie a cui si applica la legislazione sulla caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione» (art. 7, par. 4, direttiva 2009/147/CER del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009). Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati, va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, primo comma, lettera b) della legge regionale n. 9/2023 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione al parametro interposto di cui all'art. 18, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992 e per inosservanza dei limiti all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia di «caccia» sanciti dall'art. 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale e degli obblighi internazionali. VIII Art. 86 della legge regionale n. 9 del 2033 L'art. 86, rubricato «Investigazione sulle cause di incendio nei boschi e nelle campagne», prevede, al comma 1, l'istituzione e la formazione specialistica di nuclei, all'interno della struttura del Corpo forestale regionale, che svolgano anche funzioni di «investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi e nelle campagne, sulla base delle quali, come prevede il comma 2, il Corpo forestale redige ogni anno un rapporto consuntivo e avanza proposte al Consiglio e alla Giunta della regione sulle misure ritenute necessarie ai fini del controllo e del superamento delle singole cause di incendio. La norma in argomento non appare compatibile con il riparto di competenze legislative tra Stato e Regione Sardegna, che non contempla la possibilita' di attribuire con legge regionale funzioni investigative/di polizia giudiziaria. L'ambito di autonomia legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla la possibilita' di legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale penale, nel cui novero si inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, la quale, per contro, e' attribuita in termini di esclusivita', ex art. 117, comma 2, lettera h), e lettera. l), allo Stato (in ragione della sua essenzialita', per garantire unitarieta' all'ordinamento giuridico nazionale). La potesta' legislativa esclusiva della regione in materia di «polizia locale urbana e rurale» (art. 3, lettera c], dello Statuto) puo' riguardare l'esercizio dei compiti di polizia amministrativa, ma non estendersi fino alla disciplina delle «funzioni di investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi. Codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare che la competenza a riconoscere la qualifica di agente di polizia giudiziaria e' «riservata a leggi e regolamenti che debbono essere, in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di fonte statale" (sentenza n. 185 del 1999)» (sentenze n. 82 del 2018 e n. 167 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011); cio', perche' le funzioni in esame ineriscono all'ordinamento processuale penale, che configura la polizia giudiziaria «come soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero)» (cosi', in particolare, le sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011). Ne deriva quindi, che solo leggi dello Stato possono attribuire funzioni di polizia giudiziaria agli appartenenti ad enti e istituzioni all'uopo indicate (come in termini esemplificativi e non esaustivi prevede l'art. 57 del codice di procedura penale). Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati, l'art. 86 della legge regionale in argomento appare illegittimo per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h) e lettera l) della Costituzione, sia in via autonoma e sia in relazione ai parametri interposti offerti dagli articoli 55 e 57, commi 1 e 2, codice di procedura penale, dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall'art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS e per inosservanza dei limiti all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia di «polizia locale urbana e rurale» sanciti dall'art. 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. IX Art. 87 della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 87, rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 26 del 1985 in materia di compiti del Corpo forestale e di vigilanza ambientale», prevede che al Corpo forestale di vigilanza ambientale, istituito nell'ambito del territorio regionale dall'art. 1 della legge regionale 5 novembre 1985, n. 26, siano attribuite: a) «attivita' di polizia giudiziaria e amministrativa ai sensi della vigente normativa nazionale e vigila sul rispetto della normativa regionale, nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse forestali, agroambientali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico regionale, e sulla sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo gli illeciti connessi»; b) «le funzioni e i compiti gia' espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato». In relazione al punto sub a), benche' i settori nei quali andra' a svolgersi l'attivita' di vigilanza da parte del Corpo forestale regionale potrebbero apparire coerenti con alcune delle materie attribuite alla Regione Sardegna ai sensi del suo Statuto (art. 3, lettera c] e d]), rilievi di incostituzionalita' sorgono in ordine all'attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria al relativo personale. L'ambito di autonomia legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla la possibilita' di legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale penale, nel cui novero si inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, la quale, per contro, e' attribuita in termini di esclusivita', ex art. 117, comma 2, lettera h), e lettera l), allo Stato (in ragione della sua essenzialita', per garantire unitarieta' all'ordinamento giuridico nazionale). La potesta' legislativa esclusiva della regione in materia di «polizia locale urbana e rurale» (art. 3, lettera c], dello Statuto) puo' riguardare l'esercizio dei compiti di polizia amministrativa, ma non estendersi fino alla disciplina delle «funzioni di investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi. Codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare che la competenza a riconoscere la qualifica di agente di polizia giudiziaria e' «riservata a leggi e regolamenti che debbono essere, in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di fonte statale" (sentenza n. 185 del 1999)» (sentenze n. 82 del 2018 e n. 167 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011); cio', perche' le funzioni in esame ineriscono all'ordinamento processuale penale, che configura la polizia giudiziaria «come soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero)» (cosi', in particolare, le sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011). Ne deriva quindi, che solo leggi dello Stato possono attribuire funzioni di polizia giudiziaria agli appartenenti ad enti e istituzioni all'uopo indicate (come in termini esemplificativi e non esaustivi prevede l'art. 57 del codice di procedura penale ). Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati, l'art. 87 della legge regionale in argomento, nella parte in cui attribuisce al Corpo forestale e di vigilanza ambientale della regione funzioni di polizia giudiziaria, appare illegittimo per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h) e lettera l), della Costituzione, sia in via autonoma e sia in relazione ai parametri interposti offerti dagli articoli 55 e 57, commi 1 e 2, codice di procedura penale, dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall'art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS e per inosservanza dei limiti all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia di «polizia locale urbana e rurale» sanciti dall'art. 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. In riferimento al punto sub b), che il legislatore regionale ha inteso porre come norma di chiusura rispetto alle attribuzioni del Corpo forestale regionale, si osserva che l'estensione delle funzioni del soppresso Corpo forestale dello Stato al Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione sarda non puo' avere una connotazione di esclusivita', in quanto le funzioni del Corpo forestale dello Stato sono state acquisite dall'Arma dei carabinieri, ai sensi del decreto legislativo n. 177 del 2016 (e conseguentemente attribuite ai propri reparti di specialita', presenti nella Regione Sardegna, come il Centro anticrimine natura di Cagliari ed il relativo Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale, il Nucleo CITES di Cagliari e i distaccamenti di tali strutture presso altri comuni del territorio regionale). Inoltre, non tutte le funzioni del soppresso Corpo forestale dello Stato, ancorche' esercitate dai Reparti di specialita' dell'Arma dei carabinieri, sono attribuibili tramite legge regionale al Corpo forestale regionale, avuto riguardo ai limiti delle potesta' legislativa, previsti dallo Statuto della Regione Sardegna, di cui ai citati articoli 3 e 4 della legge Costituzionale n. 3 del 1948. In particolare, non puo' essere compresa tra queste, l'insieme delle funzioni di controllo previste per il disciolto Corpo forestale dello Stato, dalla legge n. 150 del 1992 in tema di contrasto al commercio illegale, nonche' di controllo del commercio internazionale e della detenzione di esemplari di fauna e di flora minacciati di estinzione, ai sensi della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, piu' comunemente conosciuta come CITES, ora attribuite, ai sensi dell'art. 7, comma 2 del decreto legislativo 177 del 2016, all'Arma dei carabinieri, trattandosi di funzioni in materia di tutela ambientale nella quale la Regione Sardegna non e' titolare di competenze legislative in base agli articoli 3 e 4 del proprio Statuto approvato con legge costituzionale n. 3 del 1948. La tutela dell'ambiente, intesa anche come conservazione di specie animali e vegetali in pericolo di estinzione, rientra infatti tra le materie di competenza esclusiva dello Stato a mente dell'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. e non e' prevista dallo Statuto della Regione Sardegna tra le discipline in cui il legislatore regionale puo' intervenire. Quindi, solo una legge statale puo' eventualmente disporre sul tema dei controlli CITES, in modifica di altra precedente legge di pari rango (nello specifico caso, la citata legge n. 150 del 1992 che, tra l'altro, gia' coinvolge, nel proprio impianto generale i Corpi Forestali regionali, cfr. art. 5 comma 1). E' evidentemente inutile, poi, discettare di eventuali competenze legislative Statutarie, come quelle previste dall'art. 3, comma 1, lettera c): «polizia locale urbana e rurale» e lettera d): «agricoltura e foreste» laddove, come nel caso di specie, il ricorso del Governo muova «da una prospettiva di radicale esclusione di qualsivoglia competenza regionale statutaria» (Corte cost., sentenza 21 giugno 2019, n. 153) in ragione del contenuto della norma impugnata e della natura del parametro evocato (sentenza n. 103 del 2017), riconducibile, nel caso di specie, alla tutela dell'ambiente ai sensi dell'art. 117, comma 2 lettera s), Cost., risolvendosi l'eventuale eccezione della regione in un profilo che attiene non gia' all'aspetto preliminare della questione, bensi' a quello successivo del merito (Corte cost., sentenza, 16 luglio 2014, n. 199). La medesima legge n. 150 del 1992 dando attuazione alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, ed al regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, si pone, poi, come esecuzione di obblighi assunti a livello internazionale rispetto ai quali, sempre in relazione all'art. 117, comma 2, lettera a) della Costituzione, lo Stato ha competenza esclusiva. Infine, si evidenzia che l'attribuzione delle funzioni svolte dal disciolto Corpo forestale dello Stato a quello della Regione Sardegna presuppone il possesso della qualifica di ufficiali/agenti di polizia giudiziaria del relativo personale, che, come gia' argomentato in relazione al punto sub a) del presente motivo, non puo' essere concessa con legge regionale, in quanto l'ambito di autonomia legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla la possibilita' di legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale penale, nel cui novero si inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, la quale, per contro, e' attribuita in termini di esclusivita', ex art. 117, comma 2, lettera h), e lettera l), allo Stato (in ragione della sua essenzialita', per garantire unitarieta' all'ordinamento giuridico nazionale). Alla stregua di quanto sopra, va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 87 della legge regionale n. 9 del 2023 per violazione: dell'art. 117, comma 2, lettera a) Cost. in relazione ai parametri interposti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, ed al regolamento (CEE) n. 3626/82; dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost. in relazione ai parametri interposti di cui alla legge n. 150 del 1992, e al decreto legislativo 177 del 2016; dell'art. 117, comma 2, lettera h) e lettera l) Cost. in relazione ai parametri interposti di cui agli articoli 55 e 57, commi 1 e 2, codice di procedura penale, dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall'art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS; e per inosservanza dei limiti all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia di «polizia locale urbana e rurale» e «agricoltura e foreste» sanciti dall'art. 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto degli obblighi internazionali, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale e dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. X Art. 91, commi 1 e 2 della legge regionale 9 del 2023 L'art. 91, commi 1 e 2, della legge regionale in oggetto, nel modificare l'art. 5 della legge 31 ottobre 2007, n. 12, in materia di bacini di accumulo di competenza regionale: proroga dal 30 giugno 2018 al 30 settembre 2024 il termine per ottenere, da parte del proprietario o del gestore, l'autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio degli sbarramenti esistenti alla data di entrata in vigore della legge; consente ai proprietari o ai gestori degli sbarramenti esistenti che, a seguito di controllo da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale, risultino sprovvisti di autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio, di presentare la suddetta istanza, secondo quanto previsto dall'allegato A, entro sessanta (e non piu' trenta) giorni dalla notifica del verbale di accertamento della violazione, aggiungendo che detta istanza, oltre ad avere effetto sospensivo dell'ordine di demolizione, comporta anche una riduzione della sanzione pecuniaria al 10% e puo' essere presentata anche qualora la sanzione sia gia' stata applicata entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della disposizione. In sostanza, l'art. 91 della legge regionale 9 del 2023, disponendo la proroga al 30 settembre 2024 della possibilita' di presentare istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio degli sbarramenti esistenti, permette di sanare le violazioni commesse da parte dei proprietari o dei gestori degli sbarramenti che risultino sprovvisti di autorizzazione e di presentare detta istanza, anche a seguito di controllo da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale, entro sessanta giorni dalla notifica del verbale di accertamento della violazione e persino qualora la sanzione sia gia' stata applicata (in tal caso entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della disposizione), con effetto sospensivo dell'ordine di demolizione e di riduzione al 10% della sanzione pecuniaria irrogata. Tale disposizione opera estensivamente rispetto alla precedente legge regionale del 2007, introducendo cosi' delle ipotesi di sanatoria di opere realizzate in difformita' dagli atti di assenso e, in particolare, di sbarramenti realizzati in mancanza delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione, ovvero in difformita' rispetto ai progetti approvati. La regione non puo' invocare le competenze legislative attribuite dallo Statuto, in particolare l'art. 3, primo comma, lettera d) in materia di «agricoltura e foreste, piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario» e l'art. 4, primo comma, lettera c), in materia di «opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria», in quanto la prima (esclusiva) e' sottoposta al rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (art. 3, comma 1) e la seconda (concorrente) deve, comunque, attenersi ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 4, comma 1). I limiti cui e' subordinato il legittimo esercizio della potesta' legislativa (esclusiva e concorrente) della Regione Sardegna, sopra richiamati e sanciti dallo Statuto stesso, appaiono nella specie violati in relazione al parametro interposto di cui all'art. 167 del codice dei beni culturali. A tale riguardo giova richiamare la sentenza n. 201 del 28 settembre 2021 con la quale codesta ecc.ma Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 11 della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 23 che, nel disciplinare la regolarizzazione degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo di competenza regionale esistenti e realizzati in assenza delle prescritte autorizzazioni, aveva previsto la facolta' di presentare istanza di regolarizzazione entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge. Codesta ecc.ma Corte ha evidenziato nella richiamata sentenza che «Con tale disposizione, il legislatore veneto ha consentito che le opere di cui al precedente art. 10 - vale a dire le opere che "non siano state denunciate ovvero siano state realizzate in difformita' dai progetti approvati" - siano regolarizzate previa presentazione, da parte del proprietario o del gestore, del progetto esecutivo completo dello stato di fatto e comprensivo della certificazione di idoneita' statica. L'approvazione del progetto e' riservata alla Giunta regionale, che vi provvede all'esito del procedimento gia' descritto nello scrutinio delle precedenti censure. Il dubbio di legittimita' costituzionale discende dal fatto che, disciplinando la norma impugnata opere esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale, la stessa si porrebbe in contrasto con l'art. 167 del codice beni culturali, che dispone un generale divieto di sanatoria per gli interventi non autorizzati su beni paesaggistici, salvi i limitati casi di cui al comma 4, estranei alla presente fattispecie e che necessitano, comunque, del previo parere vincolante della soprintendenza». Conseguentemente, richiamato l'orientamento di codesta ecc.ma Corte secondo cui «l'autorizzazione paesaggistica ..., deve essere annoverata tra gli "istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale"» (sentenze n. 238 del 2013 e n. 101 del 2010), la cui osservanza si impone anche alla potesta' legislativa (esclusiva e concorrente) della Regione autonoma della Sardegna, in forza dei limiti sopra richiamati, l'art. 91 della legge regionale impugnata va ritenuto costituzionalmente illegittimo in quanto, derogando alla normativa statale in materia di regolarizzazione delle opere, anche sotto il profilo paesistico, invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». Alla stregua di quanto sopra indicato, la disposizione in esame appare illegittima per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione al parametro interposto di cui all'art. 167 del codice dei beni culturali, e per inosservanza dei limiti all'esercizio della potesta' legislativa della regione sanciti dall'art. 3 primo comma, e dall'art. 4, primo comma dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, nonche' dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato. XI Art. 120 della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 120 della legge regionale in oggetto apporta modifiche alla legge regionale n. 7 del 2021 che regola il nuovo assetto territoriale delle province e delle citta' metropolitane. La norma della legge regionale n. 9 del 2023, in particolare, al comma 1, lettera a], modifica la denominazione della «Provincia del Nord-Est Sardegna» in «Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna», al comma 1, lettera c], punto 2, e lettera d], punto 2, conferma la circoscrizione territoriale della Provincia di Oristano determinando la composizione dei comuni, e alla lettera f] disciplina, sostituendo l'art. 23 della legge regionale n. 7 del 2021, gli «adempimenti inerenti all'istituzione della Citta' metropolitana di Sassari e delle Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano, alla conferma della circoscrizione territoriale di Oristano, e alle modifiche delle circoscrizioni territoriali della Citta' metropolitana di Cagliari e della Provincia di Nuoro», la successione tra gli enti interessati e la relativa fase transitoria. Con la norma del collegato alla finanziaria il legislatore regionale e' intervenuto, cosi', nuovamente sul procedimento per l'istituzione e il funzionamento delle sei province (Oristano, Nuoro, Ogliastra, Sulcis Iglesiente, Medio Campidano, Gallura-Nord Est Sardegna) e delle due citta' metropolitane (oltre a Cagliari, la Citta' metropolitana di Sassari che sostituisce la Rete metropolitana di Sassari) sostituendo interamente l'art. 23 della legge regionale n. 7 del 2021 che riguarda la fase transitoria e di successione dai vecchi ai nuovi enti, e stabilendo tempi, modalita' e procedure nel passaggio al nuovo assetto. La disciplina apportata dall'art. 120 riguarda sostanziali variazioni dell'assetto territoriale, senza prevedere il coinvolgimento delle popolazioni interessate alla riforma delle circoscrizioni territoriali delle province sarde e cio' in violazione delle norme di seguito indicate: art. 43, comma 2, dello Statuto speciale (legge costituzionale n. 3/1948) che dispone: «Con legge regionale possono essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle province, in conformita' alla volonta' delle popolazioni di ciascuna delle province interessate espressa con referendum»; art. 133 Cost. che al comma 2 prescrive «La regione, sentite le popolazioni interessate, puo' con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni»; art. 15 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) che dispone «A norma degli articoli 117 e 133 della Costituzione, le regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale ...». Non puo' invocarsi, invece, da parte della regione la potesta' legislativa esclusiva di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», in quanto la modifica della circoscrizione delle province e' regolata dalla norma speciale di cui all'art. 43 dello Statuto medesimo e, comunque, la potesta' legislativa della regione deve essere esercitata nel rispetto delle sopra richiamate norme dell'ordinamento nazionale che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica (art. 3, comma 1, dello Statuto). Codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata con sentenza n. 68/2022 sul ricorso governativo proposto in relazione all'art. 6 della precedente legge regionale n. 7/2021 e ha dichiarato inammissibili, per contraddittorieta' ed inidoneita' dell'intervento invocato, le questioni di legittimita' costituzionale, promosse dal Governo in riferimento all'art. 43, secondo comma, dello Statuto speciale, dell'art. 6 della legge regionale Sardegna n. 7/2021 che, nello stabilire un nuovo assetto complessivo degli enti di area vasta attraverso l'istituzione o la soppressione di taluni, prevede un referendum solo successivamente all'entrata in vigore della riforma e prevede un referendum consultivo quando una delibera consiliare sia intervenuta ma non abbia raggiunto l'unanimita'. Nella predetta pronuncia codesta ecc.ma Corte ha evidenziato che ogni considerazione di merito era preclusa dalla circostanza che il ricorso ha omesso di estendere la censura all'intera legge regionale, approvata in asserita lesione del procedimento rinforzato, limitandosi in modo contraddittorio a impugnare il solo art. 6. Nel disciplinare, a distanza di due anni, mediante l'art. 120 della legge regionale n. 9/2023, le nuove circoscrizioni provinciali (comma 1, lettera a], che modifica la denominazione della «Provincia del Nord-Est Sardegna» in «Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna», comma 1, lettera c], punto 2, e lettera d], punto 2, che conferma la circoscrizione territoriale della Provincia di Oristano determinando la composizione dei comuni), gli adempimenti inerenti all'istituzione della Citta' metropolitana di Sassari e delle Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano, alla conferma della circoscrizione territoriale di Oristano, e alle modifiche delle circoscrizioni territoriali della Citta' metropolitana di Cagliari e della Provincia di Nuoro, la successione tra gli enti interessati e la relativa fase transitoria (comma 1, lettera f], che sostituisce l'art. 23, legge n. 7 del 2021), il legislatore regionale ha proceduto ad una novazione normativa che risulta idonea a rendere nuovamente attuale la lesione del parametro di legittimita' rappresentato dall'art. 43 dello Statuto sardo e tempestivo l'interesse ad un pronunciamento di codesta ecc.ma Corte costituzionale. Tanto piu' avuto riguardo al pregresso pronunciamento referendario della popolazione sarda avvenuto nel 2012, mediante il quale era stata espressa la volonta' di abrogare: (a) la legge regionale n. 4/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, recante disposizioni in materia di «Riassetto generale delle Province e procedure ordinarie per l'istituzione di nuove Province e la modificazione delle circoscrizioni provinciali»; (b) la legge regionale 10/2002, recante disposizioni in materia di «Adempimenti conseguenti alla istituzione di nuove Province, norme sugli amministratori locali e modifiche alla legge regionale 2 gennaio 1997, n. 4»; (c) la deliberazione del Consiglio regionale della Sardegna del 31 marzo 1999, contenente la «Previsione delle nuove circoscrizioni provinciali della Sardegna, ai sensi dell'art. 4 della legge regionale 2 gennaio 1997, n. 4»; (d) la legge regionale sarda 12 luglio 2001, n. 9 recante disposizioni in materia di «Istituzione delle Province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia Tempio»; (e) nonche' le quattro province «storiche» della Sardegna (ossia: Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano). Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati, va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 120 della legge regionale in oggetto, in particolare del comma 1 lettera a], lettera c] punto 2, e lettera d] punto 2, nonche' lettera f], per violazione dell'art. 133, comma 2, della Costituzione, anche con riferimento al parametro interposto dell'art. 15 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e per violazione dell'art. 43, comma 2, dello Statuto speciale della Regione Sardegna (legge costituzionale n. 3/1948), in quanto non e' stata sentita la popolazione interessata alle variazioni apportate agli assetti territoriali dalle disposizioni in esame. XII Articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2, 3, 4, 125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1 lettere a) e b), 133, della legge regionale n. 9 del 2023 Gli articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2, 3, 4, 125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1 lettere a) e b), e 133 del capo XI «Norme in materia di recupero del patrimonio edilizio e urbanistica» della legge regionale in oggetto, sono illegittimi per i motivi di seguito indicati. In primo luogo non si puo' trascurare che l'art. 3, primo comma, lettera f), dello Statuto riconosce alla Regione Sardegna potesta' legislativa primaria nella materia dell'«edilizia ed urbanistica», entro la quale si collocano le disposizioni sopra indicate. Occorre, tuttavia, rammentare che la potesta' legislativa primaria della regione deve esplicarsi «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica», secondo quanto stabilito dal citato art. 3, comma 1, dello Statuto regionale. Di seguito, pertanto verranno evidenziati i profili di illegittimita' costituzionale che assumono rilievo - anche attraverso il richiamo a norme statali interposte - in quanto integrano violazioni dei parametri statutari sopra ricordati. Cio' premesso, con specifico riferimento alla legge in oggetto si evidenzia quanto segue. L'art. 123, comma 5, ai fini dell'ammissibilita' degli interventi di cui ai commi 2 e 3 (riuso dei sottotetti esistenti per scopo abitativo), specifica la definizione di «sottotetti» di cui al comma 1 («...gli spazi e i volumi compresi tra l'estradosso della chiusura orizzontale superiore, anche non calpestabile, dell'ultimo livello agibile e l'intradosso delle falde della copertura a tetto, localizzati all'interno della sagoma dell'edificio») e al comma 4 («in presenza di un unico livello agibile») stabilendo che «... costituiscono quindi sottotetti: a) gli spazi e i volumi delimitati inferiormente dall'ultimo solaio di chiusura di un volume urbanisticamente rilevante (residenziale o con altra destinazione compatibile con la destinazione della zona omogenea) e il solaio di copertura dell'immobile o dell'unita' immobiliare, indipendentemente dall'attuale destinazione di tale spazio o volume come desumibile dall'ultimo titolo edilizio rilasciato per lo stesso; b) le terrazze coperte e aperte su uno, due, tre o quattro lati, non rilevanti ai fini volumetrici dalle vigenti disposizioni di legge regionali e regolamenti comunali; c) gli spazi e i volumi delimitati da altezza di imposta delle falde nulla.». Le previsioni di cui alle lettere b) e c) consentono di considerare sottotetti e, quindi, di «chiudere» spazi che possono anche non essere limitati lateralmente, cioe' completamente aperti, sebbene coperti. In questo caso, appare evidente come la chiusura (laterale) determini un aumento di cubatura residenziale prima non esistente, di imprevedibile e incontrollabile consistenza, con un possibile e generalizzato aumento di carico urbanistico conseguente a nuova cubatura residenziale e abitanti insediabili, con possibilita' di squilibrare gli standard minimi urbanistici degli strumenti di pianificazione generale. Il comma 6 del medesimo articolo consente ulteriori ampliamenti volumetrici, anche esterni all'involucro geometrico del sottotetto esistente, realizzabili anche in zona A (territorio con agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale) ai sensi del comma 7. Il successivo comma 11 prevede che il volume urbanistico, determinato dal volume geometrico del sottotetto, misurato all'esterno delle pareti perimetrali e all'intradosso del solaio di copertura, e' ammesso anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali. Analoghe deroghe agli standards urbanistici sono previste per gli interventi di riuso dei seminterrati e dei piani pilots negli immobili destinati ad uso abitativo dall'art. 124, commi 1, 2, 3, 4; a tal fine il comma 1, lettere a) e b), definisce «a) seminterrati: i piani siti alla base dell'edificio e realizzati parzialmente fuori terra, quando la superficie delle pareti perimetrali comprese al di sopra della linea di terra e' superiore al 50 per cento della superficie totale delle stesse pareti perimetrali; b) piani pilotis: le superfici aperte, a piano terra o piano rialzato, delimitate da colonne portanti, la cui estensione complessiva e' non inferiore ai due terzi della superficie coperta;». L'art. 125, comma 7 stabilisce che «In caso di realizzazione di spazi di grande altezza in edili esistenti, mediante la demolizione parziale di solaio intermedio, e' escluso il ricalcolo del volume urbanistico dell'edificio o della porzione di edificio, anche in caso di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non realizzano cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti nella sagoma dell'edificio o nella porzione di edificio», non considerando come cubatura il riutilizzo di sottotetti che precedentemente non costituivano volume urbanistico. L'art. 126, comma 1, prevede, per le strutture ricettive alberghiere esistenti, la possibilita' di chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande e tettoie coperte gia' legittimamente autorizzate, per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni; la disposizione appare ampliativa e in contrasto con l'art. 6, comma 1, lettera e-bis) del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (testo unico dell'edilizia), che per le opere temporanee prevede, invece, un periodo massimo di centottanta giorni. L'art. 127, rubricato «Disposizioni edilizie in favore dei portatori di handicap gravi», consente interventi funzionali di ampliamento volumetrico realizzati in continuita' all'unita' immobiliare interessata per un massimo di centoventi metri cubi, anche in deroga alle norme previste negli strumenti urbanistici vigenti, purche' nel rispetto delle disposizioni del codice civile; anche in questo caso, stante la genericita' e indeterminatezza della previsione, valgono le considerazioni sopra espresse in ordine agli ampliamenti volumetrici in deroga agli strumenti urbanistici generali. L'art. 128 indica le condizioni di non ammissibilita' degli interventi di cui agli articoli da 123 a 127. La fattispecie descritta alla lettera a) del comma 1, che considera ammissibili gli ampliamenti volumetrici di cui agli articoli da 123 a 127 anche qualora le unita' immobiliari siano difformi da quanto assentito con regolare titolo abilitativo ma condonate o condonabili, ripropone, nella sostanza, la disposizione di cui all'art. 11, comma 1, lettera a), della precedente legge regionale 18 gennaio 2021, n. 1, disposizione dichiarata incostituzionale con sentenza n. 24 del 28 gennaio 2022. Si segnala peraltro, sul punto, che, se e' vero che e' espressamente previsto dalla norma in commento che gli interventi dagli articoli da 123 a 127 (ampliamenti volumetrici) non sono ammessi negli immobili privi di titolo abilitativo, la medesima norma ammette ampliamenti, nei casi di difformita' rispetto al titolo abilitativo originario, anche nell'ipotesi di immobili oggetto di condono edilizio (oltre quindi i casi di accertamento di conformita'), possibilita' questa espressamente esclusa da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 24/2022) nei casi di ampliamento volumetrico in deroga. Infatti, mentre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell'abuso a prescindere dalla conformita' delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformita' alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto). Discende da cio' «il carattere generale del divieto di concessione di premialita' volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative» (sentenza n. 24/2022). Inoltre, la lettera b) del comma 1 del medesimo art. 128 prevede che la disposizione, ampiamente derogatoria e straordinaria per quanto sopra specificato, sia applicabile a tutti gli immobili esistenti alla data di entrata in vigore della legge, escludendo solo quelli «completati successivamente»: in tal modo risultano assentibili cubature aggiuntive per una vastissima platea di immobili senza alcun riferimento alla pianificazione generale e alla dotazione minima degli standard minimi urbanistici. L'art. 133 della legge in oggetto disciplina la «Valorizzazione degli immobili della borgata di pescatori di Marceddi'» attraverso un programma integrato di riordino urbano di cui all'art. 40 della legge regionale n. 8 del 2015. Nonostante la borgata in questione risulti caratterizzata dalla presenza di edificazioni abusive non sanabili, la disposizione prevede che - a seguito dell'approvazione del richiamato programma integrato - l'Assessorato regionale competente in materia di patrimonio «procede, nel rispetto della normativa vigente, all'avvio delle procedure di regolarizzazione dell'assetto occupativo degli immobili». Infatti, i programmi integrati di cui all'art. 40 della legge regionale n. 8 del 2015 consentono ampliamenti volumetrici del quaranta per cento, incrementabili ulteriormente del trenta per cento nei casi espressamente previsti. Si ritiene che tale previsione confermi, ancora una volta, i gravi effetti di un ampliamento di volumetrie tanto rilevante e generalizzato sull'ordinato ed equilibrato sviluppo del territorio, al di fuori dalle logiche della pianificazione generale ed unitaria voluta dal legislatore nazionale ed il cui rispetto anche da parte delle regioni ad autonomia speciale e' stato, a piu' riprese, richiamato dalla giurisprudenza costituzionale. In relazione all'art. 133, peraltro, fermo restando che del programma integrato di cui all'art. 40 della legge regionale n. 8/2015 non potra' fare parte «l'edilizia spontanea» e quindi abusiva, residuano i profili di illegittimita' della disposizione riguardanti la possibilita' di ampliamenti volumetrici, nella fattispecie fino al 40%, senza che vengano esclusi gli immobili regolarizzati attraverso condoni edilizi (non di accertamento di conformita'), come affermato nella sopra citata sentenza n. 24/2022, ed il mero rimando al generico «incremento» della dotazione degli standards urbanistici e non al pieno rispetto di quelli minimi previsti dalla normativa statale (decreto ministeriale n. 1444/1968). Dalle disposizioni sopra richiamate emerge come gli interventi ivi previsti possano causare una distorsione e, comunque, una profonda alterazione degli standard urbanistici, previsti dalla normativa nazionale (decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444), ponendosi in contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio e del suo necessario rispetto la cui osservanza si impone, in forza dell'art. 3, comma 1, dello Statuto, anche alla potesta' legislativa primaria della regione autonoma in materia di «edilizia e urbanistica». Questo principio fondamentale trova espressione nell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 che, nel prevedere l'osservanza di limiti inderogabili nella formazione degli strumenti urbanistici, presuppone la necessaria sussistenza del sistema della pianificazione del territorio; corollario di detto principio e' che tutti i singoli interventi di trasformazione devono rinvenire la loro base in un presupposto atto di pianificazione (limitato dagli standard urbanistici di cui agli articoli 3, 4, 5, 7 e 8 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968) e devono rispettarne le prescrizioni. Solo attraverso una visione integrata di una determinata porzione di territorio e' infatti possibile garantirne un ordinato sviluppo. Quanto precede non implica che le previsioni dei piani urbanistici siano assolutamente inderogabili. Infatti, lo stesso testo unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 disciplina, all'art. 14, un complesso procedimento di rilascio del permesso di costruire in deroga, per particolari e specifici interventi, la cui realizzazione e' diretta a soddisfare un interesse pubblico che si ritiene prevalente, a determinate condizioni, rispetto all'assetto generale definito dal piano. Inoltre, l'ordinamento nazionale riconosce ipotesi di deroghe generali, relative a determinate tipologie di interventi edilizi (art. 2-bis del testo unico), deroghe che anche le regioni possono introdurre con legge, nell'esercizio della loro competenza concorrente in materia di «governo del territorio». Interventi regionali di questo tipo, tuttavia, sono ammissibili soltanto nel rispetto del citato principio fondamentale della materia e, dunque, solo in quanto essi presentino i caratteri dell'eccezionalita' e della temporaneita' e siano diretti a perseguire obiettivi specifici, senza tuttavia che assurgano a disciplina stabile, vanificando il principio del necessario rispetto della pianificazione urbanistica. Con riferimento agli articoli sopra indicati e, in particolare, all'obbligo di rispettare il dettato normativo nazionale di cui al citato art. 7 del decreto ministeriale n. 1444/1968 in tema di incrementi volumetrici (recepiti in Sardegna dall'art. 4 del decreto dell'Assessore regionale 22 dicembre 1983 n. 2266/U, rubricato «Limiti di densita' edilizia per le diverse zone»), si osserva che i limiti di densita' edilizia delle diverse zone territoriali omogenee sono posti a presidio del «primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano» (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 5 novembre 2018, n. 6250). Inoltre, come ribadito da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 217/2020), i limiti fissati dal decreto ministeriale n. 1444/1968 (compresi densita', altezze, distanze), trovano il proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), ed hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore delle regioni autonome (Corte cost., sentenza n. 232 del 2005), salvo quanto previsto oggi dall'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo principi fondamentali della materia. Il richiamato art. 2-bis del testo unico dell'edilizia prevede, al comma 1, che le leggi regionali possano derogare al decreto ministeriale n. 1444/1968, ma solo «nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali» (requisito nel caso di specie non rispettato dalla regione). Lo stesso legislatore statale, al successivo comma 1-bis, prevede, poi, che tale principio debba orientare i comuni nella definizione dei limiti di densita' edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del territorio. Si tratta di una norma che recepisce gli assunti della giurisprudenza costituzionale, secondo cui le leggi regionali possono derogare alle limitazioni fissate nel decreto ministeriale n. 1444/1968, ma solo a condizione che le deroghe siano recepite da strumenti urbanistici attuativi (funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio) e non riguardino singoli edifici (per tutte, sentenze n. 41 del 2017 e n. 231 del 2016) come, del resto, gia' previsto dall'art. 9, ultimo comma, del decreto ministeriale n. 1444/1968. Codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 217/2020, nel ribadire i suesposti principi, ha aggiunto, altresi', che «se gli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 fossero derogabili, le leggi regionali potrebbero prevedere ampliamenti senza limiti percentuali determinati, salvo il controllo di ragionevolezza (dato che i limiti posti dall'art. 5, comma 14, del decreto-legge n. 70 del 2011 riguardano il caso di assenza di leggi regionali, e cio' sarebbe in evidente contrasto con la segnalata finalita' di tutela del primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano presidiato dal principio fondamentale della legge statale». Le norme in commento, al contrario, prevedono una deroga alle densita' massime, che prescinde del tutto da una pianificazione attuativa e si collega solo ai titoli edilizi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, violando l'art. 2-bis, comma 1, del testo unico. Il principio del primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano presidiato dal principio fondamentale della legge statale non e' rispettato nel caso di iniziative singole, puntuali scoordinate nel territorio, che incrementano senza alcun controllo ed a regime le cubature urbanistiche esistenti anche oltre i limiti massimi previsti dalla pianificazione territoriale e dal decreto ministeriale n. 1444/1968. Solo attraverso una revisione di strumenti urbanistici, come richiesto dall'art. 2-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, si ha la possibilita' di valutare limiti dimensionali, effetti sul territorio, cubature preesistenti e incrementi volumetrici per il perseguimento di obiettivi di riduzione di consumo di suolo e di rigenerazione urbana, in ambiti predefiniti e compiutamente disciplinati anche attraverso differenziati limiti di densita' edilizia, ancorche' superiori a quelli massimi o attraverso sistemi di perequazione o di rivalutazione delle possibilita' edificatorie previste nel territorio in base agli incrementi volumetrici prevedibili. Soddisfare fabbisogni abitativi con il recupero volumetrico e il suo ampliamento impone una riconsiderazione della edificabilita' in aree libere o non completamente sature al fine di perseguire riduzioni del consumo di suolo; cio' e' possibile solo attraverso una revisione della pianificazione che, per un verso, puo' incrementare i limiti di densita' edilizia massimi ove ritenuti compatibili anche per finalita' di rigenerazione urbana e, contestualmente, ridurre o annullare quelli di aree ancora non edificate. Ne consegue pertanto che, nella realizzazione degli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio in cui si intendano utilizzare anche incrementi volumetrici, occorre tenere in considerazione i seguenti principi: diretta precettivita' delle disposizioni contenute all'art. 7 del decreto ministeriale n. 1444/1968, la cui verifica compete in primo luogo al progettista abilitato che, ai sensi dell'art. 20, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, deve asseverare la conformita' del progetto alla normativa incidente sulla disciplina dell'attivita' edilizia; possibilita' di derogare a tali disposizioni, non attraverso interventi puntuali ma unicamente nell'ambito di strumenti urbanistici attuativi in cui siano approvate anche specifiche previsioni volumetriche. Per quanto concerne poi l'art. 126 della legge regionale in oggetto, relativo agli «Interventi nelle strutture destinate all'esercizio di attivita' turistico-ricettive» si aggiunge quanto segue in ordine alla temporaneita' degli interventi consentiti dalla disposizione regionale in questione. In particolare, sul punto, si rammenta che gli unici interventi realizzabili temporaneamente, previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, sono disciplinati dall'art. 6, comma 1, lettera e-bis), che disciplina le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, come nel caso espressamente previsto dalla norma in questione. Detti interventi, ai sensi dell'art. 6, comma 1, lettera e-bis, sopra citato, del testo unico, sono di edilizia libera, in quanto non di particolare rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio e devono essere rimossi entro un termine non superiore a centottanta giorni. Decorso tale termine, l'opera non puo' piu' considerarsi stagionale o temporanea e rientra nelle diverse tipologie di interventi, per i quali non e' prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 la temporaneita' e per i quali vige l'osservanza di tutti i limiti urbanistici ed edilizi previsti, indipendentemente dal titolo necessario (sia esso SCIA o permesso di costruire). Invero, diversamente opinando, potrebbero individuarsi tempistiche per il mantenimento temporaneo degli interventi soggetti a permesso di costruire o SCIA anche per anni e disimpegnarli dal rispetto dei parametri previsti dalle norme solo perche', comunque, si tratta di una permanenza temporanea. Si fa d'altro canto presente che la disposizione regionale in esame non prevede che gli interventi siano soggetti a SCIA o altro titolo abilitativo richiesto ne', tantomeno, disciplina gli effetti dell'eventuale mantenimento delle opere oltre il termine temporale indicato. Tutte le sopraindicate disposizioni si pongono, dunque, in contrasto con i criteri relativi agli standard urbanistici, previsti dalla normativa nazionale (decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444) ed in contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio e del suo necessario rispetto. Sotto distinto ma concorrente parametro codesta ecc.ma Corte ha poi rilevato che «Nel consentire i richiamati interventi edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo indefinito, per effetto delle reiterate proroghe ... le citate previsioni finiscono per danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale, in violazione dell'art. 9 Cost.» (sentenza n. 219 del 23 novembre 2021). Lo stesso principio e' stato recentemente ribadito con sentenza n. 229 del 15 novembre 2022 secondo la quale «reiterate proroghe di una disciplina eccezionale e transitoria, volta ad apportare deroghe alla pianificazione urbanistica al fine di consentire interventi edilizi di carattere straordinario, possono compromettere l'imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.)». Alla stregua di tutto quanto sopra, ed in considerazione dei rilievi esposti, gli articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2, 3, 4, 125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1 lettere a) e b), 133, appaiono illegittimi in ragione della violazione degli articoli 9 comma 2, 117, secondo comma lettera s), e comma terzo (principi fondamentali della materia «governo del territorio») della Costituzione anche in relazione ai parametri interposti sopra indicati (art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, decreto ministeriale n. 1444/1968, art. 14, 2-bis e 6 comma 1 lettera e-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001) che rilevano quali principi dell'ordinamento giuridico e norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica il cui rispetto si impone alla regione autonoma ai sensi dell'art. 3, comma 1, dello Statuto. Inoltre, le medesime disposizioni confliggono con il principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost., per mancata osservanza dell'obbligo della pianificazione concertata e condivisa, prescritta dalle norme statali in quanto idonea a garantire l'ordinato sviluppo urbanistico e ad individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del codice dei beni culturali e del paesaggio. XIII Articolo 130 della legge regionale n. 9 del 2023 L'art. 130 (Modifica dell'art. 39 della legge regionale n. 8 del 2015 in materia di demolizione e ricostruzione) introduce una modifica alla disciplina degli interventi di ricostruzione nelle fasce costiere tutelate ope legis, inserendo l'inciso al comma 15 dell'art. 39 della legge regionale n. 8 del 2015 volto a precisare che gli stessi sono assentibili, qualora si tratti di aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, «anche senza il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente». In particolare, la disposizione prevede che la ricostruzione dell'intera volumetria e' assentibile unicamente ove il nuovo fabbricato determini un minore impatto paesaggistico secondo le indicazioni impartite dall'amministrazione regionale con apposite linee guida adottate dalla Giunta regionale con deliberazione n. 18/15 del 5 aprile 2016 e, qualora l'edificio ricada in ipotesi di esclusione o in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del decreto legislativo n. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), «anche senza il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente». Come noto, analoga norma, l'art. 14, comma 1, lettera h), della L.R. Sardegna n. 1/2021, e' stata dichiarata illegittima con la sentenza n. 24/2022 nella parte in cui aggiungeva all'art. 39, comma 15, della L.R. Sardegna n. 8/2015 (la medesima disposizione che oggi si intende modificare) l'inciso «senza l'obbligo del rispetto dell'ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire». Su tale inciso vertono le censure proposte nell'odierno giudizio, riferite alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell'ambiente e dei beni culturali, oltre che alla violazione sostanziale dell'art. 9, comma 2, Cost. che affida alla «Repubblica» (e, quindi, anche alla regione, ex art. 114 Cost.) la «tutela del paesaggio» e del giudicato costituzionale. L'art. 130 della legge regionale n. 9 del 2023 riguarda interventi di demolizione e ricostruzione di edifici nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, peraltro tutelata in maniera pregnante ai sensi dell'art. 142, lettera a), del decreto legislativo n. 42/2004, oltre che alla stregua del vigente piano paesaggistico regionale. La previsione in esame esenta gli interventi disciplinati dal novellato art. 39, comma 15, della legge regionale n. 8/2015, dall'obbligo del rispetto dell'ubicazione, della sagoma, delle caratteristiche planivolumetriche e della forma del fabbricato da demolire. Ne' pone rimedio al vulnus arrecato ai valori tutelati la precisazione che il nuovo fabbricato deve determinare «un minore impatto paesaggistico secondo le indicazioni impartite dall'amministrazione regionale con apposite linee guida adottate dalla Giunta regionale con atto n. 18 del 5 aprile 2016». Il legislatore regionale ha travalicato i limiti della potesta' legislativa sancita dallo Statuto speciale in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f), modificando unilateralmente - e per di piu' in senso deteriore - la disciplina della fascia costiera, bene paesaggistico assoggettato a rigorosa tutela, per la peculiarita' delle caratteristiche naturali e ambientali. Con tale previsione normativa, pertanto, la regione: non rispetta i limiti fissati dal decreto ministeriale n. 1444/1968 in tema di incrementi volumetrici, che trovano il proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica) ed hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore delle regioni autonome costituendo principi fondamentali della materia posti a presidio del «primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano» (Cons. di Stato, Sez. IV, sentenza 5 novembre 2018, n. 6250), salvo quanto previsto dall'art. 2-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che ammette deroghe da parte delle leggi regionali al decreto ministeriale n. 1444/1968, ma solo «nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali» (condizione nel caso di specie non rispettata); interviene autonomamente e unilateralmente a dettare la disciplina di beni soggetti a tutela paesaggistica, materia nella quale, e' utile precisare, la Regione Sardegna non ha alcuna competenza legislativa. Conclusivamente, le modifiche apportate dall'art. 130 della legge regionale in esame all'art. 39, comma 15, della legge regionale n. 8 del 2015, nella misura in cui consentono la demolizione e la ricostruzione, anche senza il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche di beni soggetti a tutela paesaggistica, oltre a violare gli articoli 9, comma 2, e 117, comma secondo, lettera s) e comma terzo (principi fondamentali della materia «governo del territorio») della Costituzione, in relazione ai parametri interposti dell'art. 41-quinquies, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e del decreto ministeriale n. 1444/1968, art. 2-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 che rilevano quali principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e norme fondamentali di riforma economico-sociale il cui rispetto si impone alla regione autonoma ai sensi dell'art. 3, comma 1, dello Statuto, appaiono in palese contrasto, altresi', anche con la pronuncia della Corte costituzionale n. 24/2022, tanto da determinare un vizio di violazione del giudicato costituzionale ex art. 136 della Costituzione. XIV Art. 131 della legge regionale n. 9 del 2023 La novella introdotta dall'art. 131, della legge regionale n. 9 del 2023, aggiunge all'elenco degli interventi soggetti ad «edilizia libera», previsti dall'art. 15, comma 1 della legge regionale n. 23 del 1985, la lettera f-bis (pergole bioclimatiche). L'introduzione, da parte del legislatore sardo, delle pergole bioclimatiche nel medesimo regime dell'edilizia libera di cui all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, non appare legittimo per le seguenti considerazioni. Sul punto, infatti, occorre far riferimento alle disposizioni di cui al decreto ministeriale 2 marzo 2018, recante «Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attivita' edilizia libera, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222». Il richiamato decreto ministeriale: alla voce n. 46, qualifica il «pergolato» come arredo delle aree di pertinenza degli edifici per cui e' consentita installazione, a condizione che sia di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo; alla voce n. 50, qualifica la «pergola» come arredo delle aree di pertinenza degli edifici; e' consentita installazione (non sono indicati termini quantitativi e qualitativi). Le «pergole» e i «pergolati» hanno la funzione di supportare piante rampicanti, per fornire soltanto ombreggiamento allo spazio sottostante, senza pero' offrire riparo dalle precipitazioni piovose, ed hanno struttura di sostegno puntiforme, cioe' senza elementi strutturali a pareti; riprendendo la definizione adottata dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., sul punto, Consiglio di Stato n. 5541 del 2018 e n. 4001 del 2018) si tratta, in buona sostanza, di «(...) un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola e' configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti (...)». Un'ulteriore sentenza del Consiglio di Stato (n. 4177 del 2018), che sembrerebbe liberalizzare le «pergole bioclimatiche», riguarda, in realta', strutture metalliche aperte su tutti i lati, e soprastante protezione a «carattere retrattile delle lamelle di alluminio»; tale configurazione qualifica l'opera come qualcosa di diverso da una tettoia perche' l'opera e' aperta su tutti i lati. Le «pergole bioclimatiche», quindi, non risultano menzionate nel Glossario per l'edilizia libera di cui al decreto ministeriale 2 marzo 2018, ma la legge regionale n. 9 del 2023, qualifica le medesime come «(...) pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell'apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate». Tuttavia, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza amministrativa (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenza n. 5645 del 2019), quando una pergola non e' aperta su tutti i lati, e' qualificabile come «tettoia» e, di norma, come tale, richiede il permesso di costruire, in quanto costruzione comportante trasformazione permanente del suolo. Per tale motivo, la definizione di «pergola bioclimatica», quale opera rientrante nell'edilizia libera secondo l'impostazione datane dal novellato art. 15 della legge regionale Sardegna n. 23 del 1985, ad opera dell'art. 131 della legge regionale n. 9 del 2023, non risulterebbe coerente con la normativa nazionale recata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e con l'interpretazione della giurisprudenza. A supporto di tale tesi, si puo' citare il caso di una struttura frangisole costituita da lamelle in alluminio poggiante su travi in legno ancorate al muro, sanzionata dal giudice penale per assenza di permesso di costruire (cfr., sul punto, Cassazione penale, sentenza n. 27575 del 2015). Devesi rappresentare che nel Glossario per l'edilizia libera sono puntualmente menzionate, altresi', le «pergotende» che, notoriamente, sono costituite da strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche non modesta, formate da elementi montanti verticali ed elementi orizzontali di raccordo, sormontate da una copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando in tal modo la fruibilita' della struttura e della superficie da essa coperta (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenza n. 306 del 2017, da cui e' desunta tale definizione). Tali «pergotende» si distinguono dalle «tettoie» perche' presentano una struttura alquanto piu' leggera; infatti, nella medesima voce n. 50 del Glossario per l'edilizia libera sono menzionate, pure, le installazioni di «tende» e di «coperture leggere di arredo», a loro volta non puntualmente identificabili con la tipologia delle «tettoie» (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenza n. 5645 del 2019). Ad ogni modo, le «pergole bioclimatiche» non possono essere assimilabili alle «pergotende» in quanto non si servono di «tende» (ossia di un materiale leggero), finendo col ricadere, pertanto, nella tipologia della «tettoia», che, per l'appunto, non compare nel glossario. In giurisprudenza la definizione di «tettoia», e' quella di una copertura sostenuta da pilastri o comunque da strutture verticali discontinue, aderente o meno al muro di un edificio, in grado di assolvere sempre e comunque alla funzione di riparare e proteggere l'area di cui costituisce copertura (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenza n. 5645 del 2019 e n. 825 del 2015); la mancata menzione di «tettoia» nel Glossario per l'edilizia libera lascia forzatamente, a tutt'oggi, al giudice il potere-dovere di accertare, caso per caso, la riconducibilita' della realizzazione di tale tipologia di manufatto al regime del permesso di costruire di cui all'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, oppure ai regimi della segnalazione certificata d'inizio di attivita' (SCIA) normati dall'art. 22 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, sebbene appaia scontato ritenere che per la sua realizzazione risulti, comunque, necessario un qualche titolo abilitante, non ricadendo, essa, nell'ambito dell'edilizia libera. Ad ogni modo, si' e' affermata una giurisprudenza che ritiene che le «tettoie», consistendo nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, modifichino il suo prospetto, e percio' la loro costruzione necessiti del preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo assentibile con semplice denuncia d'inizio di attivita', anche in ragione della perdurante modifica dello stato dei luoghi e del loro utilizzo durevole nel tempo, diretto a soddisfare esigenze di carattere permanente (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenze n. 5645 del 2019 e n. 319 del 2015). Pertanto, non sussiste dubbio in merito al fatto che la previsione di aggiungere le suddette «pergole bioclimatiche» al novero delle fattispecie riconducili all'ambito dell'edilizia libera da parte della Regione Sardegna invada le competenze statali di cui all'art. 117, comma 3, Cost., in materia di «governo del territorio», ponendosi in contrasto con i principi fondamentali della materia desumibili dalla normativa statale interposta recata dall'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Le disposizioni regionali introdotte, peraltro, non trovano copertura nello Statuto speciale sardo che prevede la potesta' legislativa esclusiva della regione, tra l'altro, in materia di «edilizia ed urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f). Giova, a tal fine, rammentare che, ai sensi del menzionato art. 3, comma 1, dello Statuto speciale della Regione Sardegna, la potesta' legislativa regionale deve svolgersi, pur sempre «[...] in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto ... delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Codesta ecc.ma Corte ha piu' volte chiarito (da ultimo, sentenza n. 24/2022) che a queste norme fondamentali «devono essere anzitutto ricondotte - nei limiti e per i motivi che saranno illustrati - le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)". Come piu' volte affermato dalla Corte, "[...] le norme fondamentali di riforma economico-sociale sono tali, infatti, per il loro "contenuto riformatore" e per la loro "attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza" (sentenza n. 229 del 2017)». Gli interessi sottesi alla relativa disciplina postulano, giocoforza, una uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale (sentenze n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; sentenza n. 229 del 2017), circostanza che sarebbe frustrata nel caso in cui ogni singola regione assoggettasse a titolo abilitativo diverso le stesse tipologie di manufatti. Ad amplius, si osserva che la Regione Sardegna ha ampie zone costiere ed una forte vocazione turistica, ed in tale contesto una previsione come quella proposta dalla novella introdotta dall'art. 131 della legge regionale n. 9 del 2023 potrebbe comportare il rischio di incidere fortemente sul paesaggio urbano alterando marcatamente i prospetti degli edifici; se le pergole bioclimatiche verranno collocate in aderenza agli edifici, ne cambieranno il prospetto e, pertanto, non potranno giocoforza ricadere nell'ambito dell'edilizia libera. Anche le «pergole bioclimatiche» aperte su tutti i lati non potranno ricadere nell'ambito dell'edilizia libera quando coperte da lamelle «anche orientabili», in quanto possono costituire stabilmente un piano chiuso, configurandosi, di fatto, come una tettoia. Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131 della legge regionale in oggetto per contrasto con l'art. 117, comma 3 Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio» (per il tramite del parametro interposto del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 - testo unico dell'edilizia, art. 6) che rilevano quali principi dell'ordinamento giuridico e norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica il cui rispetto si impone alla regione autonoma ai sensi dell'art. 3, comma 1, dello Statuto.