TRIBUNALE DI BRESCIA Sezione giudice per le indagini preliminari GUP Il Giudice per le indagini preliminari nella persona della dott.ssa Angela Corvi nel procedimento a carico di: L A (difeso dall'avv. Annalisa Abate, del Foro di Como), L J (difeso dagli avv.ti Gianfranco e Federico Abate, del Foro di Brescia), L E (difeso dall'avv. Alessandro Morandi Betta, del Foro di Brescia) e M E (difesa dagli avv.ti Gianfranco e Federico Abate, del Foro di Brescia), tutti sottoposti per questa causa alla misura degli arresti domiciliari; lette le memorie depositate, nelle more dell'odierna udienza, dai difensori degli imputati; sentito il pubblico ministero ed i difensori, che si sono riportati agli atti scritti; nel corso della udienza del 6 novembre 2023, alla presenza delle parti, ha pronunciato la seguente: Ordinanza Ritiene questo Giudice che vi siano i presupposti per sollevare, ex officio, ai sensi dell'art. 23, comma I, II e III I. 87/1953, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, in relazione al comma I, nella parte in cui prevede la pena della reclusione non inferiore agli anni venti, per il soggetto che promuova, costituisca, diriga, organizzi oppure finanzi una associazione finalizzata a commettere uno o piu' delitti previsti dal precedente art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, in luogo della reclusione non inferiore agli anni sette; nonche' in relazione al comma II della medesima disposizione, nella parte in cui prevede che chi partecipi alla associazione sia punito con la reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo della pena della reclusione non inferiore agli anni cinque. E cio', per violazione degli articoli 3 e 27 della Carta Costituzionale, con riferimento ai principi di proporzionalita', ragionevolezza (di cui all'art. 3 Cost.), oltre che del principio di rieducazione (di cui all'art. 27 Cost.) della pena. In punto rilevanza della questione, occorre brevemente sintetizzare la vicenda processuale che vede coinvolti gli odierni imputati. Con decreto di giudizio immediato, emesso dal giudice per le indagini preliminari Tribunale di Brescia il 31 gennaio 2023, costoro erano tratti a giudizio fra l'altro, per avere preso parte ad una associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti connessi al commercio di stupefacenti, quali l'acquisto, il trasporto, la detenzione, il confezionamento, la vendita al dettaglio o all'ingrosso di cocaina, predisponendo i mezzi necessari per l'esecuzione del programma delittuoso ed operando secondo articolata e specifica divisione dei ruoli (cfr. capo 33 della imputazione). Ai fratelli L A e J ed a L E , era contestata la partecipazione c.d. apicale o qualificata (art. 74 comma I decreto del Presidente della Repubblica 309/90). Secondo quanto indicato nel capo di imputazione di riferimento, L A avrebbe svolto il ruolo di capo, promotore ed organizzatore; sovraintendendo alla complessiva attivita' criminosa svolta unitamente agli altri sodali, di cui coordina a l'attivita'; mantenendosi costantemente informato di ogni evenienza; impartendo istruzioni ed indicazioni ai correi, in ordine al compimento dei traffici illeciti; tessendo i contatti con i fornitori e con i principali acquirenti; occupandosi personalmente delle consegne delle partite piu' consistenti di cocaina; ricevendo i proventi economici dei commerci delittuosi. L J avrebbe, parimenti, svolto il ruolo di capo, promotore ed organizzatore, svolgendo attivita' analoga a quella del fratello, ed inoltre occupandosi del "reclutamento" di nuovi adepti; dell'acquisto ed intestazione fittizia di vetture da impiegare per le consegne di droga; dello "smistamento" delle richieste ricevute dalla clientela e della loro assegnazione ai vari corrieri; della tenuta della contabilita' dell'ente; del pagamento del corrispettivo dei legali, in caso di arresto dei sodali. L E , dal canto suo, avrebbe svolto il ruolo di organizzatore, ricevendo le chiamate dei tossicodipendenti in cerca di nuove dosi, programmando le relative consegne ed istruendo i corrieri; tenendo la contabilita' ed i contatti con i fittizi intestatari delle auto nella disponibilita' dell'organizzazione. A M E , invece, la Pubblica Accusa contesta la partecipazione c.d. semplice (art. 74 comma II decreto del Presidente della Repubblica 309/90), per avere rivestito il ruolo di custode della sostanza, di "vedetta" e consigliera del marito, L J , nonche' per avere svolto altre attivita' funzionali alla operativita' della organizzazione criminosa di cui si discute. Occorre specificare che, per questi stessi fatti oltre che per numerosi episodi di detenzione illecita e spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina, e di intestazione fittizia di beni - lo stesso giudice per le indagini preliminari Tribunale di Brescia applicava la misura custodiale nei confronti dei quattro - all'epoca indagati, riconoscendo, per quanto qui di interesse, il requisito della gravita' indiziaria in ordine al reato di cui all'art. 74 comma I e II decreto del Presidente della Repubblica 309/90, rispettivamente loro ascritto; e la misura, sempre in punto di gravita' indiziaria, era confermata dal Tribunale della Liberta' - adito ex art. 309 codice di procedura penale dai difensori dei due L e della M il quale, fra l'altro, condivideva la provvisoria qualificazione, operata dal giudice della cautela, della associazione criminosa, incasellandola nel paradigma di cui ai comma I e II dell'art. 74, in luogo della fattispecie di cui al successivo comma VI. Regolarmente notificati i decreti ex art. 455 c.p.p., i difensori, in forza di procura speciale, chiedevano tempestivamente che nei confronti dei loro assistiti si procedesse nelle forme del giudizio abbreviato; la richiesta era reiterata personalmente dagli imputati, con l'ausilio dei difensori fiduciari, nel corso dell'udienza camerale fissata ex art. 458 comma II c.p.p., del 12 giugno 2023, quando il Giudice ammetteva il rito cartolare, aggiornando dapprima il processo all'udienza del 23 ottobre 2023, per la discussione, e poi all'odierna udienza. Da quanto sopra, emerge la rilevanza della questione, posto che, qualora I' ipotesi accusatoria venisse confermata, in punto fatto e diritto, sulla base delle contestazioni cristallizzate nei capi di imputazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 63/2022, al periodo 2 del "considerato in diritto", con riferimento al vaglio del requisito, sulla base delle contestazioni di cui all'incolpazione), la pena "base", cui questo Giudice dovrebbe fare riferimento, nella commisurazione della pena ai sensi dell'art. 133 c.p., sarebbe pari ad anni venti, per i capi, promotori o organizzatori dell'ente criminoso; e ad anni dieci, per il "mero" partecipe. Su questo minimo edittale dovrebbero, infatti, innestarsi i successivi calcoli, ed in particolare quello relativo alla eventuale continuazione ex art. 81 comma II c.p., la fattispecie associativa risultando indubbiamente, in astratto, il "reato piu' grave". Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, e con riferimento ai parametri costituzionali gia' evocati «si e' detto, articoli 3 e 27 Cost.), si osserva quanto segue. L'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, nella attuale formulazione, punisce con pena non inferiore ai vent'anni chi promuova, costituisca, organizzi, diriga o finanzi una associazione criminale che abbia quale scopo la commissione di una pluralita' di reati di cui al precedente art. 73; mentre pena non inferiore ai dieci anni e' riservata a coloro che facciano parte del sodalizio, senza rivestire uno dei ruoli sopra descritti. E' prevista poi una circostanza aggravante comune «co. III), qualora la compagine sia formata almeno da dieci soggetti o se fra i sodali vi siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, e due aggravanti ad effetto speciale, applicabili in caso di associazione annata (co. IV) o quando le sostanze "maneggiate" dall'ente criminoso siano state adulterate o commiste ad altre, in modo da accentuarne la potenzialita' lesiva (co. V, con riferimento all'art. 80 comma I lettera E). Le scelte sanzionatorie, particolarmente severe, compiute dal legislatore con l'introduzione dell'art. 74, sono state compensate con la previsione di una peculiare figura associativa, disciplinata al comma VI della disposizione, il quale prevede che «Se l'associazione e' costituita per commettere i fatti descritti dal comma V dell'art. 73, si applicano il primo ed il secondo comma dell'art. 416 del codice penale». Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. Cassazione, S.U., 22 settembre 2011, n. 34475) hanno avuto modo di affermare che quella di cui al comma VI costituisce fattispecie autonoma di reato, e non mera ipotesi attenuata del delitto. di cui al precedente comma I (e II); cio', in forza della chiara dizione della norma, espressione di un rinvio quoad factum e non di un meramente quoad poenam, indicativa della volonta' del legislatore di riservare all'ipotesi criminosa in questione, in ragione del minore allarme sociale suscitato dai fatti e della minore pericolosita' degli autori, un regime diverso. Ne deriva che, in questa ipotesi, non si applica la disciplina processual-penalistica e penitenziaria, particolarmente rigorosa, prevista per il fatto di cui all'art. 74 comma I e II: ad esempio, la presunzione di cui all'art. 275 comma III codice di procedura penale non puo' intendersi riferita alla associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di lieve entita'; la fattispecie non rientra fra quelle annoverate dall'art. 51 comma III bis c.p.p., e, dunque, nelle previsioni che richiamano quest'ultima norma, con riferimento, fra l'altro, al raddoppio dei termini di prescrizione ed al divieto di patteggiamento allargato. Quanto al piano della esecuzione della pena, non opera il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena, ne' le restrizioni di cui all'art. 4-bis ordinanza pen. La giurisprudenza e' univoca nel ritenere che la fattispecie associativa prevista dall'art. 74 comma VI sia configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'art. 73 comma V decreto del Presidente della Repubblica 309/90. Non e' tuttavia sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, perche' occorre valutare il momento genetico della associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entita', e le potenzialita' dell'organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo e' in grado di procurarsi. Puo' dunque darsi che l'associazione sia si' finalizzata alla perpetrazione di fatti di cessione che, singolarmente considerati, potrebbero rientrare nell'alveo dell'art. 73 comma V decreto del Presidente della Repubblica 309/90; e che tuttavia la stessa non sia sussumibile nel comma VI dell'art. 74, in forza della complessiva considerazione in concreto dell'attivita' di spaccio in concreto esercitata, che esorbiti, per la molteplicita' degli episodi ed il loro reiterarsi in un apprezzabile lasso di tempo, nonche' per la predisposizione di una idonea organizzazione, dalla previsione di "lieve entita'" (cfr., da ultimo, Cassazione, sez. VI, 9 ottobre 2019, n. 1642; Cassazione, sez. IV, 25 novembre 2021, n. 476). Ebbene, se la qualificazione giuridica della fattispecie associativa "a monte" a norma dei comma I e II dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, in luogo del comma VI - si modella sulle caratteristiche del programma criminoso "a valle" - sia pure con le specificazioni sopra illustrate - e' allora evidente che, in punto ragionevolezza del trattamento sanzionatorio (artt. 3 e 27 Cost.), si ripropongono le censure gia' avanzate nella ordinanza del 17 marzo 2017, della Corte di Appello di Trieste, fatte proprie dal Giudice delle Leggi, con la sentenza n. 40 del 2019. Nel provvedimento si osservata, infatti, che «... mentre la linea di demarcazione "naturalistica" fra le fattispecie "ordinaria" e "lieve" e' talvolta non netta (si pensi alle condotte concernenti quantitativi non particolarmente cospicui, ma non minimi, ovvero connotate da modalita' esecutive caratterizzate da una certa, ma non rilevante pericolosita', quanto al rischio di diffusione della sostanza, suscettibili di escludere comunque la sussumibilita' della fattispecie concreta nell'art. 73 comma V), il "confine sanzionatorio" dell'una e dell'altra incriminazione e', invece estremamente - ed irragionevolmente - distante (intercorrendo ben quattro anni di pena detentiva fra il massimo dell'una e il minimo dell'altra). Il che, nella prassi, spesso induce i giudici a forzature interpretative, tese a rimediare - mediante l'ampliamento dell'ambito applicativo dell'ipotesi "lieve" - l'ingiustificato dislivello edittale tra le due fattispecie incriminatrici [...] le fattispecie concrete presentano talora un confine sfumato tra il fatto di lieve entita' che meriti il massimo della sanzione edittale prevista dall'art. 73 comma V [...] e il fatto "non lieve" che meriti pero' il minimo della pena prevista dall'art. 73 comma I [...]; il peso che il giudice di merito e' chiamato a dare a ogni elemento per una corretta qualificazione giuridica del caso concreto non giustifica pero', il trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso tra le c.d. "fattispecie di confine", che non si pone in ragionevole rapporto con il disvalore della condotta». Il tema si ripropone, inevitabilmente, in relazione alla fattispecie associativa, laddove il Giudice e' chiamato ad una valutazione, per cosi' dire, "sinergica", che tenga conto dei singoli reati scopo - ad esempio di trasporto, vendita o cessione - programmati e/o realizzati; delle condotte dirette all'approvvigionamento della sostanza commerciata; dei mezzi economici e/o le risorse di cui l'ente disponga; della ampiezza, territoriale e temporale, del suo raggio di azione. Pure facendo rigorosa applicazione di questi - multiformi e sfaccettati - criteri, possono darsi casi di confine, in cui l'organizzazione criminosa, pur non possedendo le caratteristiche per essere inquadrata nella ipotesi di minore gravita', presenti, in concreto, una pericolosita' sociale contenuta, o comunque prossima a quella delle associazioni genuinamente sussumibili nella fattispecie di cui al comma VI dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90. Casi che, come osservato dalla Corte costituzionale, nella sentenza 40/2019 a proposito delle fattispecie di cui all'art. 73, comma I e V, si collocano in una "zona grigia", al confine fra le due fattispecie di reato, sicche' non puo' ritenersi giustificabile uno intervallo sanzionatorio di cinque anni (fra la pena massima prevista per la partecipazione "semplice" di cui agli articoli 416 comma II, e la pena minima di cui all'art. 74 comma II decreto del Presidente della Repubblica 309/90) o addirittura di tredici anni (fra il massimo edittale della partecipazione qualificata alla associazione "lieve" ed il minimo previsto per l'apicale di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti "ordinaria"). Si tratta di uno iato evidentemente sproporzionato, sol che si consideri che il minimo edittale del fatto di non lieve entita' e' pari esattamente al doppio del massimo edittale del fatto lieve, per il comma II dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, quando non a poco meno del triplo, per l'art. 74 comma I. Pure in questo caso, quindi, «l'ampiezza del divario sanzionatorio condiziona inevitabilmente la valutazione complessiva che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la lieve entita' del fatto [...], con il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive, in eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli difformita' applicative in un numero rilevante di condotte». D'altra parte, se e' vero che i requisiti di fattispecie dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 sono quelli previsti, in generale, per il reato associativo - ossia la presenza di uno stabile accordo fra almeno tre persone, di un programma criminoso indeterminato (nel caso di specie quanto al numero, e non alla tipologia, dei reati scopo) e di una organizzazione, di uomini e di mezzi, dotata di un minimo di stabilita' - e' altresi' vero che quest'ultimo elemento - quello della "organizzazione" - si modella sugli scopi di volta in volta avuti di mira dall'ente, nel senso che l'armamentario di cui il sodalizio dispone deve renderlo capace, in concreto, di raggiungere e perpetuare i suoi obiettivi criminosi, costituendo una viva e perdurante occasione di commissione di condotte descritte dall'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90. Se e' dunque l'effettiva capacita', in capo alla singola associazione ex art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, di realizzare il suo specifico programma delinquenziale - sia esso costituito, ad esempio, dalla importazione o dalla esportazione di una o piu' sostanze, su scala internazionale o nazionale; dal commercio all'ingrosso o al dettaglio, con un raggio di azione piu' o meno ampio - e' allora evidente che, nell'unico "contenitore" di cui alla disposizione richiamata, rientreranno sodalizi dalle peculiarita' assai disparate, con un ben diverso grado di pericolosita' rispetto ai beni giuridici tutelati dall'ordinamento - in primis, la salute pubblica e, dunque, caratterizzati da gradi di disvalore radicalmente distinti. In questo senso, la Corte costituzionale, nella sentenza 231 del 2011 - con cui dichiarava l'illegittimita' dell'art. 275 comma III c.p.p., nella formulazione all'epoca vigente, nella parte in cui, parificando la disciplina prevista per l'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 con quella di cui all'art. 416-bis c.p., prevedeva una presunzione «assoluta» di adeguatezza della custodia cautelare in carcere - evidenziava proprio la natura "aperta" della fattispecie, cio' che la rendeva nettamente eterogenea rispetto al sodalizio di stampo mafioso, al contrario ben distintamente connotato, sul piano criminologico e sociologico («Il delitto di associazione di tipo mafioso e', infatti, normativamente connotato di riflesso ad un dato empirico-sociologico - come quello in cui il vincolo associativo esprime una forza di intimidazione e condizioni di assoggettamento e di omerta', che da quella derivano, per conseguire determinati fini illeciti. Caratteristica essenziale e' proprio tale specificita' del vincolo, che, sul piano concreto, implica ed e' suscettibile di produrre, da un lato, una solida e permanente adesione tra gli associati, una rigida organizzazione gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e, dall'altro, una diffusivita' dei risultati illeciti, a sua volta produttiva di accrescimento della forza intimidatrice del sodalizio criminoso. Sono tali peculiari connotazioni a fornire una congrua "base statistica" alla presunzione considerata, rendendo ragionevole la convinzione che, nella generalita' dei casi, le esigenze cautelari derivanti dal delitto in questione non possano venire adeguatamente fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea - per valersi delle parole della Corte europea dei diritti de 'uomo - «a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine», minimizzando «il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere ne/frattempo delitti» [...] Altrettanto non puo' dirsi per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Quest 'ultimo si concreta, infatti, in una forma speciale del delitto di associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei reati-fine (i delitti previsti dall'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990). Per consolidata giurisprudenza, essa non postula necessariamente la creazione di una struttura complessa e gerarchicamente ordinata, essendo viceversa sufficiente una qualunque organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di mezzi economici, benche' semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune. Il delitto in questione prescinde, altresi', da radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti personali e soprattutto da qualsivoglia specifica connotazione del vincolo associativo[ ...] Si tratta, dunque, di fattispecie, per cosi' dire, "aperta", che, descrivendo in definitiva solo lo scopo dell'associazione e non anche specifiche qualita' di essa, si presta a qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i piu' diversi ed eterogenei: da un sodalizio transnazionale, forte di una articolata organizzazione, di ingenti risorse finanziarie e rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino ristretto ad un ambito familiare - come nel caso oggetto del giudizio a quo - operante in un'area limitata e con i piu' modesti e semplici mezzi. Proprio per l'eterogeneita' delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi nettamente differenti quanto a contesto, modalita' lesive del bene protetto e intensita' del legame tra gli associati, non e' dunque passibile enucleare una regala di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno [...]». Si profila cosi' una ulteriore ragione di incostituzionalita', sempre per violazione degli articoli 3, 27 Cost., con riguardo al contrasto del trattamento sanzionatorio con il principio di proporzionalita', colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena. Se, infatti, possono darsi casi in cui- in considerazione dell'ampiezza del raggio di azione dell'ente criminoso, della tipologia e quantita' di stupefacente maneggiato, della varieta' ed imponenza dei mezzi strumentali ed economici a disposizione, da un lato, e delle concrete caratteristiche della condotta partecipativa, dall'altro - il disvalore di azione sia tale per cui una pena uguale o prossima al massimo edittale appaia adeguata, oltre che necessaria per permettere il reinserimento sociale del condannato, nelle - probabilmente, ben piu' numerose - ipotesi in cui la pericolosita' della condotta, rispetto al bene giuridico rappresentato dalla salute pubblica, appaia contigua, o comunque non troppo "distante", rispetto a quella della partecipazione in associazione di "lieve entita'" (art. 74 comma VI), l'imposizione di un minimo edittale "astratto" di ben dieci anni si traduce, in concreto, nella scelta obbligata di una pena assolutamente sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto contestato. Il contrasto con il principio costituzionale del finalismo rieducativo si fa ancora piu' "drammatico" in relazione alla partecipazione qualificata, di cui all'art: 74 comma I decreto del Presidente della Repubblica 309/90, laddove la pena base e' pari ad anni venti, sicche' il Giudice si trova, nel caso concreto, pure a fronte della ampia varieta' di condotte astrattamente sussumibili all'interno della fattispecie, a muoversi attraverso una forbice edittale assai angusta (quattro anni), tutta proiettata, fra l'altro, verso il massimo previsto dall'ordinamento per la pena detentiva della reclusione (art. 23 comma I c.p.). Sul punto, l'insegnamento del Giudice delle Leggi (ribadito nella recente pronuncia n. 63/2022, in relazione al trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 12, comma 3, lettera D, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), e' nel senso che, allorche' le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (sent. nn. 236/2016 e 222/2018, fra le altre). I principi di cui agli articoli 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (sent. n. 179/2017), in vista del «progressivo reinserimento armonico della persona nella societa', che costituisce l'essenza della finalita' rieducativa» della pena (sent. n. 149/2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali e', dunque, di ostacolo «l'espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere» (sent. n. 40/2019). Sempre agli ormai consolidati principi espressi dalla Corte costituzionale in materia, nelle pronunce sopra citate, occorre rifarsi ai fini della individuazione del minimo edittale di fattispecie (semplice e qualificata) che possa sostituirsi alla previsione sanzionatoria che qui si assume illegittima. Se e' vero che le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislatore, non sussistono ostacoli all'intervento della Corte costituzionale, quando le scelte sanzionatorie adottate dal primo si siano rivelate manifestamente arbitrarie, o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (sent. nn. 236/2016 e 233/2018). Non e' quindi necessario che esista un'unica soluzione costituzionalmente vincolata, in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima - come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis - essendo sufficiente che il sistema nel suo complesso offra alla Corte "precisi punti di riferimento" e soluzioni gia' esistenti, ancorche' non "costituzionalmente obbligate", che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima (sent. n. 222/2018), garantendo, al contempo, coerenza alla logica perseguita dal legislatore (sentenza n. 233 del 2018). Orbene, ritiene questo Giudice che simile soluzione non possa coincidere - come pure gia' ipotizzato, in eccezioni difensive gia' dichiarate manifestamente infondate dalla Suprema Corte (cfr. Cassazione, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 40903 e Cassazione, sez. VI, 26 settembre 2019, n. 5560) - nella assimilazione, quantomeno nel minimo, del trattamento sanzionatorio della associazione finalizzata al traffico di stupefacenti a quello di una o piu' altre fattispecie associative gia' presenti nel nostro ordinamento (le quali, per inciso, presentano tutte cornici sanzionatorie diverse fra loro). Estendere in toto la disciplina di cui all'art. 416 codice penale si rivelerebbe illogico, irrazionale, contrastante con il principio di eguaglianza (nel senso di trattare situazioni diverse, per gravita', in maniera identica), oltre che certamente contrario alla "logica perseguita dal legislatore" nella repressione del fenomeno criminoso di cui si discute, «... in considerazione del persistente dilagare del fenomeno criminoso e dello scopo di lucro sempre sotteso a tale reato, che comporta la diffusione di sostanze nocive per la salute pubblica e privata» (Cass., sez. IV, n. 40903/2016). Quanto al delitto di cui all'art. 416-bis c.p., basta ricordare le peculiari caratteristiche criminologiche della fattispecie che si traducono nella definizione del requisito del "metodo mafioso", estranee, di per se', al reato associativo di cui all'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (tant'e' che, qualora un sodalizio presenti. in concreto, gli elementi costitutivi previsti da entrambe le nonne, puo' ben darsi concorso formale fra le stesse: Cassazione, sez. VI, 14 maggio 2019, n. 31908; Cassazione, sez. I, 4 maggio 2018, n. 4071). I reati previsti dagli articoli 270 e 270-bis codice penale presentano una oggettivita' giuridica del tutto eterogenea, rispetto alla associazione di cui si discute e lo stesso vale pure per la fattispecie di cui all'art. 291-quater decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri), la quale, ci pare, piu' che salvaguardare la salute pubblica, la vita e l'integrita' fisica di una moltitudine di individui, tutela il monopolio dello Stato sul commercio nel settore merceologico di riferimento. Piuttosto, il "rimedio" conforme ai parametri costituzionali piu' volte evocati, capace di ricondurre a razionalita' il sistema, senza sconfessare le scelte di fondo di natura politico-criminale perseguite dal legislatore nella materia di repressone penale del fenomeno del traffico di sostanze stupefacenti, si ritiene sia quello di ancorare e fare coincidere il minimo edittale della fattispecie associativa di cui all'art. 74 comma I e II decreto del Presidente della Repubblica 309/90, con il massimo della pena rispettivamente previsto dal comma I e II dell'art. 416 c.p., ossia la disposizione cui, come si e' detto, l'art. 74 comma VI, fa rinvio quoad factum. Entrambi i reati associativi (previsti dalla disciplina in materia di stupefacenti), infatti, risultano del tutto identici, riguardo alla condotta punita, l'unica differenza assestandosi sul grado dell'offesa al bene giuridico ritenuto meritevole di tutela dall'ordinamento. Non pare superfluo ricordare che, in un ordinamento penale necessariamente ispirato - in forza del dettato costituzionale (cfr., per tutte, Corte costituzionale sentenza 265/2005) - al principio di necessaria offensivita' (per cui, sul piano della previsione normativa, il legislatore e' vincolato a prevedere fattispecie che esprimano, in astratto, un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale, mentre, sul piano interpretativo, al Giudice e' imposto l'onere di accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato), la ragione per cui la creazione e partecipazione ad un sodalizio finalizzato al traffico di stupefacenti e' punita, sia nel caso in cui lo scopo criminoso non venga raggiunto, sia quando i fatti di produzione, fabbricazione, vendita, cessione etc. siano effettivamente posti in essere (cosi' cumulandosi le rispettive sanzioni penali), non puo' che essere la concreta pericolosita' dell'ente stesso - di per se' ed a prescindere da quanto eventualmente realizzato per il bene giuridico rappresentato dalla salute pubblica. L'associazione di cui all'art. 74 - sia essa finalizzata a realizzare fatti "di lieve entita'" o traffici di maggiore spessore - esiste ed e' punibile quando e' effettivamente capace di realizzare e perpetuare i propri obiettivi, costituendo "centro propulsore" rispetto alla commissione di condotte descritte dall'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90; sicche' non basta punire le singole ''imprese'' dell'ente, ma occorre proprio - in vista della tutela di beni giuridici di rilievo certamente costituzionale (art. 32 Cost.) - sanzionare il solo fatto di partecipare allo stesso, poiche' gia' questa sola condotta determina la probabilita' o la rilevante possibilita' di commissione di nuovi ed ulteriori reati "scopo". E dunque, in questa ottica - e con particolare rigore - il Giudice e' tenuto ad interpretare i requisiti di fattispecie del reato associativo, ossia la presenza di uno stabile accordo fra almeno tre persone, di un programma criminoso indeterminato (nel caso di specie quanto al numero, e non alla tipologia, dei reati scopo) e di una organizzazione - di uomini e di mezzi - dotata di un minimo di stabilita' e idonea al raggiungimento degli scopi criminosi avuti di mira. Al di sotto di questa "soglia minima", non e' dato ravvisare la sussistenza di partecipazione - semplice o qualificata che sia - ad una associazione penalmente rilevante, e l'interprete si trovera' semmai, di fronte ad un concorso di persone, eventualmente continuato, in uno o piu' delitti previsti dal precedente art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, se del caso aggravato ai sensi dell'art. 80 comma I (che richiama, al comma 1 lettera B, l'art. 112 comma I n. 2 c.p., il quale a sua volta contempla la promozione, organizzazione e/o direzione della condotta concorsuale) o del comma III (che prevede, quale aggravante, l'impiego di armi (co. 3). Qualora, al contrario, si ravvisino tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, cio' che varia e' soltanto il grado di offesa, che, per sua natura, integra «un concetto quantitativo, che esprime la progressiva intensificazione della lesione o della messa in pericolo del bene giuridico protetto, senza soluzioni di continuita'» (cfr. ordinanza GUP Tribunale di Rovereto, del 9 marzo 2016). Per tale ragione - fermo restando l'insindacabile potere del legislatore di riservare soltanto alle fattispecie di maggiore "consistenza" offensiva, la disciplina processuale ed esecutiva "speciale" di cui si e' detto, espressa, in particolare, dagli articoli 51 comma III bis c.p,p. e 4-bis ordinanza pen. appare conforme ai principi costituzionali gia' evocati, che il Giudice sia chiamato a determinare - facendo applicazione dei canoni di cui all'art. 133 comma I e II codice penale - la pena proporzionata alla gravita' del fatto commesso, oltre che necessaria e sufficiente a svolgere la sua irrinunciabile funzione rieducativa, scegliendola nell'ambito di una cornice edittale che rappresenti ed esprima quel continuum - il massimo edittale della fattispecie piu' lieve coincidendo con il minimo di quella "ordinaria" che, sul piano della offensivita', sussiste fra i due reati associativi previsti dall'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90. Questo Giudice e' consapevole che, in questo modo, la forbice edittale dei reati di cui al comma I, e soprattutto al comma II, della disposizione risulterebbe particolarmente estesa. Tuttavia, e' questo un tratto che caratterizza pure la disciplina sanzionatoria dei cosiddetti reati scopo, di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, che contempla una risposta sanzionatoria complessivamente assai dilatata: dai sei mesi ai quattro anni di reclusione (oggi cinque, in seguito alla novella di cui all'art. 4 comma III decreto-legge 123/2023), per i fatti di cui all'art. 73 comma V, a prescindere dalla tipologia di stupefacente maneggiato; dai due ai sei anni di reclusione, per i fatti non lievi aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall'art. 14; da sei a venti anni di reclusione - successivamente all'intervento del Giudice delle Leggi, che comportava la reviviscenza della misura della pena minima per i fatti non lievi, introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005 - qualora le condotte individuate dalla disposizione abbiano ad oggetto i preparati di cui alle tabelle I e III). Pure in quel caso, l'ampiezza dell'intervallo sanzionatorio rispecchia la natura di norma "collettore" dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 destinata, cosi' come quella di cui al successivo art. 74, a catalizzare condotte caratterizzate da gradi di offensivita' assai eterogenei; formo restando che, in ogni caso, nella concreta opera di individualizzazione della sanzione, l'interprete sara' chiamato a fare applicazione dei gia' citati criteri di cui all'art. 133 c.p., che ne orientano la discrezionalita' sul punto, offrendo puntuale e rigorosa motivazione. Si da' atto che la presente ordinanza e' stata letta all'udienza del 6 novembre 2023, alla presenza del pubblico ministero, di tutti gli imputati e dei rispettivi difensori di fiducia, cio' che tiene luogo, ai sensi dell'art. 23 comma IV legge 87/1953, della notifica alle medesime parti.