TRIBUNALE DI GROSSETO Ufficio del Giudice dell'udienza preliminare Il Giudice dell'udienza preliminare Sergio Compagnucci; nel procedimento penale iscritto ai numeri di cui in epigrafe nei confronti di: N. S., nato a... il..., residente a... in via... difeso di fiducia dall'avv. Riccardo Lottini del Foro di Grosseto In cui il primo risulta imputato; dei reati di cui agli articoli 81 cpv, 605, comma 2, 612, comma 2, 614, comma 4, 582, 585, 577 n. 1 c.p. perche', con piu' atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, attendeva la moglie B. E. e il suo nuovo compagno M. D. davanti la casa di quest'ultimo; puntando loro la pistola contro e minacciando di ucciderli e di uccidersi li costringeva ad entrare dentro casa, colpendo con un calcio il telefono che la donna stava tentando di utilizzare per chiamare i soccorsi. Una volta dentro la casa e chiusa con forza la porta, continuava a minacciarli di morte con la pistola, che puntava anche nei suoi confronti, li colpiva ripetutamente con un casco e colpiva la donna anche con il calcio della pistola, cosi' privandoli della loro liberta' personale, non consentendo, per un apprezzabile lasso temporale, di chiamare i soccorsi e cagionando loro le lesioni refertate consistite per la B. in «trauma cranico lieve non commotivo», giudicate guaribili in cinque giorni. Con l'aggravante per l'art. 605 c.p. di avere commesso il fatto ai danni del coniuge. Con l'aggravante per l'art. 614 c.p. di aver commesso il fatto con violenza alle persone e mediante un'arma. Con le aggravanti per l'art. 582 c.p. di aver commesso il fatto con un'arma e di aver commessa il fatto ai danni del coniuge. In..., il... all'esito della discussione delle parti, ha emesso mediante lettura del dispositivo la seguente Ordinanza E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 605, ultimo cometa, c.p., in relazione agli articoli 3 e 76 della Costituzione nei termini e per le ragioni che seguono. 1. Breve sintesi delle attivita' processuali N. S., chiamato a rispondere delle imputazioni sopra descritte, all'udienza preliminare avanzava due istanze: in via principale, chiedeva di essere ammesso alla prova, ai sensi dell'art. 168-bis c.p., previa diversa qualificazione del reato di sequestro di persona in violenza privata; in via subordinata, in caso di rigetto della prima istanza, chiedeva di essere ammesso al rito abbreviato secco. Rigettata da parte di questo giudice la prima richiesta, l'imputato era dunque ammesso al rito abbreviato. Nel formulare le conclusioni, il Pm chiedeva la condanna dell'imputato in ordine a tutti i delitti cosi' come contestati. Il difensore dell'imputato, invece, rinnovava la richiesta di messa alla prova, previa diversa qualificazione del delitto di sequestro di persona in quello di violenza privata, invocando a tal riguardo l'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 131 del 2019 in merito alla possibilita' per il giudice - una volta avvedutosi, all'esito del giudizio abbreviato, dell'erronea qualificazione giuridica dei fatti contestati all'imputato - di revocare il proprio precedente provvedimento di diniego della sospensione del processo con messa alla prova per ammettere l'imputato al beneficio. Quindi, all'udienza dell'11 dicembre 2023 e' stata emessa la presente ordinanza. 2. Sulla rilevanza della questione 2.1. I fatti oggetto del processo. Le condotte in contestazione sono state commesse dall'odierno imputato, ispettore di Polizia di Stato in servizio a..., nella tarda serata del... a danno della propria moglie (con cui lo stesso si era separato di fatto da diversi mesi) e del nuovo compagno di lei. Le principali fonti di prova sono rappresentate dalle dichiarazioni rese in piu' occasioni dalle due persone offese nel corso delle indagini - pienamente utilizzabili in questa sede a seguito della scelta del rito abbreviato - che trovano ampia e tranquillizzante conferma negli altri elementi confluiti nel fascicolo del Pm. B. E. i, coniuge dell'imputato, ha riferito che si era sposata con il N. nel... e che dalla loro unione erano nati due figli, B. e D. Le problematiche di salute dei bambini, affetti entrambi da una forma di ipoacusia, erano state la causa, secondo il racconto di lei, di tensioni familiari tra i due genitori, tanto che concordemente avevano deciso di sottoporsi a un percorso psicoterapeutico per alcuni mesi, che tuttavia non aveva sortito gli effetti sperati. La B. ha quindi parlato di un grave episodio che si era verificato nell'... del..., allorche' suo marito, dopo che avevano discusso animatamente per telefono, era tornato a casa, l'aveva spinta con forza sul letto e, dopo averla immobilizzata tenendola per il collo, l'aveva minacciata con la pistola di ucciderla, salvo poi desistere, buttandosi a terra e lasciandosi andare a un pianto disperato. La persona offesa ha spiegato che quell'episodio aveva senz'altro segnato un punto di frattura nella loro relazione. Nei mesi successivi lui era caduto in un periodo di depressione, tanto che lei gli aveva consigliato di rivolgersi a uno psicologo. La persona offesa ha spiegato che a un certo punto aveva deciso di interrompere la relazione, avviando le pratiche per una separazione consensuale e che suo marito nell'... del..., si era trasferito in un'altra casa. L'interruzione della convivenza, tuttavia, non aveva migliorato i rapporti tra di loro: lui aveva infatti a tenere atteggiamenti molesti, dovuti alla gelosia, tempestandola di messaggi e telefonandole piu' volte al giorno, talvolta limitandosi a fare battute ironiche sulla sua nuova relazione, talaltra usando anche toni aggressivi e minacciosi. Il racconto di lei ha trovato conferma anche nelle dichiarazioni rese da M. D., nuovo compagno della B. il quale ha riferito che quest'ultima, nel confidarsi con lui in merito alle molestie telefoniche ad opera del marito, in qualche occasione gli aveva anche mostrato dei messaggi dai contenuti minacciosi ed offensivi. L'atteggiamento a tratti persecutorio del N. ha avuto il suo epilogo drammatico nella tarda serata del..., quando l'imputato, in un raptus di rabbia e gelosia, ha compiuto le gravi condotte illecite oggetto di contestazione. In merito a tali fatti, la B. ha dichiarato che quella sera, dopo aver cenato in pizzeria con il M., verso le... erano arrivati a casa di quest'ultimo, in... Avevano quindi parcheggiato l'auto in strada, lui aveva aperto il cancello automatico carrabile finche', arrivati davanti alla porta di casa, si erano ritrovati davanti l'imputato con una pistola in mano. La B. ha spiegato che, conoscendo l'arma di ordinanza di suo marito, si era subito resa conto che si trattava di una pistola diversa, in quanto piu' piccola e di un altro colore. Ha aggiunto che suo marito aveva intimato loro di stare fermi; dopodiche' il N. aveva in un primo momento puntato la pistola contro di loro minacciandoli che li avrebbe ammazzati, salvo poi rivolgerla contro se' stesso portandosela alla bocca, dicendo che si sarebbe ucciso, senza cessare di offenderli in vario modo. Ha quindi aggiunto che lei e il M. comprensibilmente terrorizzati, lo avevano implorato di mettere giu' la pistola, precisando che, quando lei aveva tentato di prendere il cellulare per fare una chiamata di emergenza, l'imputato glielo aveva strappato di mano buttandolo a terra e allontanandolo con la scarpa. Subito dopo, l'imputato li aveva costretti, sotto la minaccia della pistola, a entrare in casa, colpendo il M. con il casco alla testa. Il primo a entrare era stato il M., quindi lei e poi da ultimo l'imputato, il quale aveva richiuso la porta con forza. Una volta dentro, l'imputato aveva chiesto loro dove si trovasse la camera da letto, perche' voleva vedere il luogo in cui consumavano rapporti sessuali, minacciandoli che proprio li' dentro li avrebbe uccisi e che, subito dopo, si sarebbe sparato anche lui. Dal momento che la qualificazione del fatto in esame e' l'aspetto di maggiore rilevanza in questo processo, si ritiene utile a questo punto riportare uno stralcio del racconto fatto dalla B. nella immediatezza del fatto: «(...) Siamo rimasti nell'atrio cercando di dissuadere S., ma mio marito con il casco colpiva per due volte D. alla testa e S. si accasciava semi-svenuto su di uno sgabello. Io ero in preda al panico e ho ricordi confusi. Ricordo che ho soccorso D. e rivolgendosi a S. gli dicevo che lo stava ammazzando. Lui sembrava indemoniato e dopo avermi offeso insultandomi ripetutamente "troia", mi colpiva con il casco alla fronte e io cadevo sul pavimento. Sono trascorsi diversi minuti in cui mi accusava di averlo tradito, di averlo lasciato, mi diceva che la sua vita era finita e continuava ad offendere me e D. D. aveva un volto pallido. Intanto cercavamo di persuadere S. dal non compiere quanto minacciato e riuscivo anche a raggiungere il vicino frigo per prendere una confezione di yogurt che applicavo alla testa di D. per dargli un momentaneo sollievo. In quei minuti si altalenavamo momenti brevi in cui S. sembrava che mi ascoltasse e momenti in cui puntandoci contro l'arma ci minacciava. Quando D. ha iniziato ad avere conati di vomito ho chiesto a S. di permettermi di prendere il mio cellulare per chiamare il 118 oppure il suo amico pediatra P. B. D. connetteva poco e mi diceva di lasciare stare. Poi io ho preso coraggio e dicevo a S. che era urgente chiamare i sanitari perche' D. stava male e poteva morire. Lui era confuso e continuava a non permettermi di chiamare i soccorsi (...)». Fortunatamente, negli istanti successivi, il N. non ha portato a termine quanto minacciato e si e' lasciato convincere dalla B. a desistere. «(...) Avevo preso coraggio e ho detto a S. di permettermi di chiamare i soccorsi. S., in un momento di fragilita', forse avendo compreso la gravita' della sua azione, mi ha chiesto cosa avrei detto ai sanitari. Ho cercato di minimizzare la situazione e falsamente gli ho promesso che avrei detto ai sanitari che D. era caduto dal motorino e che non lo avremmo mai denunciato. Sono passati intanto interminabili minuti, sino a quando S. mi ha aperto la porta di casa e mi ha permesso di recuperare il mio cellulare. Sono rientrata in casa e alle... successive ho chiamato il 118, riferendo all'operatore di inviare urgentemente un'ambulanza (...)». Le dichiarazioni rese dalla B. trovano sostanziale conferma nel racconto dell'altra persona offesa. Il M., infatti, ha riferito che quella sera, di ritorno dalla pizzeria, dopo aver fatto la rampa di ingresso alla sua abitazione e una volta giunti davanti alla porta, si era girato di scatto sentendo la sua compagna urlare. Aveva quindi visto il N. a cinque metri di distanza da loro, che impugnava una pistola con una mano, mentre nell'altra teneva un casco nero. Ha quindi aggiunto che, terrorizzati, entrambi gli avevano gridato di fermarsi, ma che l'altro aveva a un certo punto caricato il cane della pistola, tanto che la B. lo aveva supplicato di pensare ai figli. Dopodiche' il N. in un primo momento si era portato la pistola alla gola come per spararsi, salvo poi puntarla contro di lui, dicendogli che prima di suicidarsi avrebbe ammazzato anche loro due. Ha confermato che l'imputato, dopo aver strappato di mano il cellulare a sua moglie, lo aveva allontanato con un calcio, per poi costringerli a entrare in casa minacciandoli con la pistola. In particolare, il M. ha spiegato che, quando lui si era rifiutato di aprire la porta, l'imputato aveva puntato la pistola contro di lei minacciando che l'avrebbe ammazzata, tanto che lui a quel punto si era frapposto, facendo scudo con il proprio corpo, per proteggere la sua compagna. L'imputato lo aveva nuovamente minacciato con la pistola per farlo entrare dentro, dando al contempo una spinta alla B. per costringerla a entrare in casa. Una volta entrati, il N. aveva chiuso la porta con tale violenza da danneggiare i vetri dell'infisso. Quindi l'imputato aveva chiesto con insistenza dell'acqua, continuando a tenere sotto minaccia sua moglie con la pistola, la quale aveva cercato disperatamente di farlo calmare. Il M. ha spiegato che era stato poi colpito altre due volte con il casco dall'imputato, una prima volta alla spalla e l'altra alla tempia. Negli istanti successivi, il N. aveva colpito con il casco anche la B., facendola scivolare a terra, e poi si era avvicinato alla camera da letto ripetendo le solite minacce di compiere un pluriomicidio-suicidio, salvo poi tornare verso di loro per colpire nuovamente la B. con la canna della pistola alle dita per impedirle di prestare soccorso al compagno. Questo il testuale racconto del M. in merito alla fase finale del sequestro: «(...) Da questo momento E. cominciava a chiedere con insistenza di chiamare un'ambulanza cercando di uscire fuori sulla rampa per recuperare il telefono che S. le aveva buttato in terra. All'inizio S. non voleva farla uscire a recuperare il telefono, mettendosi davanti alla porta con pistola in mano e soltanto dopo che E. gli diceva ripetutamente che "non era una persona cattiva", che era il "babbo dei loro figli" e che "non poteva averlo sulla coscienza", lui si spostava dall'uscio, abbassava la pistola e permetteva ad E. di uscire e recuperare il telefono. E effettuava una telefonata, non so a quale numero, ma ricordo che ad un certo punto mi portava il telefono in viva voce ed io sentivo una voce femminile che mi chiedeva come mi chiamavo e quanti anni avevo (...).» 2.2. L'attendibilita' del racconto delle due persone offese. Vi sono senz'altro ampi e tranquillizzanti elementi per ritenere la piena attendibilita' dei racconti delle due persone offese, atteso che gli stessi risultano esaustivi, circostanziati e tra di essi concordanti. D'altronde, lo stesso imputato, interrogato nel corso delle indagini, ha sostanzialmente ammesso di aver compiuto le condotte illecite in contestazione, sia pure cercando di alleggerire la propria posizione sostenendo che aveva solo minacciato di suicidarsi e non anche di ucciderli, e che aveva colpito con il casco il M. una seconda volta, quando si trovavano all'interno dell'abitazione, perche' questi aveva tentato di togliergli la pistola, mentre le persone offese hanno fornito sul punto una versione diversa, spiegando che in realta' il M. era stato colpito una prima volta fuori dell'abitazione perche' temporeggiava davanti alla porta. La credibilita' delle due persone offese si desume anche dall'assenza di profili soggettivi idonei a inficiarla, anche in relazione al comportamento tenuto dalle stesse successivamente ai fatti, avendo entrambe rimesso la querela dopo aver transatto le questioni risarcitorie. Cio' dimostra l'assenza da parte loro di intenti ritorsivi. 2.3. I reati diversi dal sequestro di persona. Le dichiarazioni delle due persone offese dimostrano senza possibilita' di smentita la consumazione ad opera dell'imputato dei reati di violazione di domicilio e di lesioni personali, entrambi aggravati dall'uso delle armi. Le lesioni riportate dalle persone offese risultano dai documenti rilasciati dal pronto soccorso e sono assolutamente compatibili con la ricostruzione dei fatti operata dalle stesse. Si ritiene invece che il reato di minaccia, aggravato dall'uso delle armi ex art. 612, comma 2, c.p., cosi' come contestato dal Pm, resti assorbito nel delitto di sequestro di persona: le minacce e i gesti di violenza fisica costituivano in concreto l'azione coercitiva attraverso la quale l'imputato privava le due persone offese della liberta' personale. I delitti di violazione di domicilio e di lesioni personali sono procedibili d'ufficio, in quanto entrambi aggravati dall'uso delle armi, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 614, ultimo comma, seconda parte, e 582, comma secondo, 585, comma primo, c.p. Tuttavia, la procedibilita' ex officio di tali delitti non rende procedibile d'ufficio anche quello di sequestro di persona, atteso che per quest'ultimo reato non e' stata esclusa la procedibilita' a querela in caso di connessione con altro delitto procedibile d'ufficio, come invece la legge prevede espressamente in altri casi (v., a titolo di esempio, la norma ex art. 609-septies, comma 4, n. 4, c.p., per quanto riguarda i delitti di violenza sessuale). Benvero, la questione piu' complessa oggetto del presente giudizio e' senz'altro quella attinente alla qualificazione giuridica del fatto contestato come sequestro di persona, sulla quale infatti si sono principalmente concentrate tanto l'accusa quanto la difesa. 2.4. I reati di sequestro di persona. La difesa dell'imputato ha chiesto che i delitti di sequestro di persona contestati dall'accusa siano ricondotti alla fattispecie meno grave di violenza privata, in quanto le condotte di minaccia e di violenza fisica compiute anche tramite l'uso di un'arma non sarebbero state finalizzate in via esclusiva a impedire la liberta' di movimento delle vittime, bensi' a costringerle ad assistere al suicidio che l'imputato avrebbe avuto in proposito di compiere, e poi fortunatamente non portato a termine. La tesi difensiva, tuttavia, non e' condivisibile. Qui si ritiene, infatti, che il racconto delle due vittime, sostanzialmente concordante e dunque da ritenere attendibile, consenta di considerare integrata la fattispecie del sequestro di persona. Secondo il costante e condivisibile orientamento della Cassazione, il delitto di violenza privata, preordinato a reprimere fatti di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona l'elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia perche' in esso viene lesa la liberta' psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la liberta' di movimento; ne consegue che, per il principio di specialita' di cui all'art. 15 del codice penale, non e' configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della liberta' di movimento (cfr., Sez. 5, sentenza n. 44548 dell'8 maggio 2015). Per contro, laddove la violenza fisica o morale sia utilizzata, oltre che per limitare la liberta' di movimento, anche per costringere la vittima a fare, omettere o tollerare un'azione determinata, sara' configurabile anche il delitto di violenza privata in concorso con quello di sequestro di persona (cfr., in tal senso, Cass. Pen., Sez. 5, sentenza n. 10543 del 31 ottobre 2014). In altre parole, secondo l'indirizzo giurisprudenziale che qui si condivide, se vi e' stata una privazione della liberta' di movimento per un tempo giuridicamente apprezzabile, la violenza privata non puo' assorbire il reato di cui all'art. 605 c.p., attesa la natura sussidiaria del primo delitto rispetto a quest'ultimo. Dal momento che i due delitti tutelano beni giuridici diversi - rispettivamente, la liberta' della persona e la liberta' morale - se vi e' stata limitazione della liberta' di movimento della vittima per un tempo giuridicamente apprezzabile, il soggetto attivo deve rispondere del piu' grave reato di sequestro di persona, in quanto il delitto di violenza privata (punito con pena significativamente inferiore) non esaurisce l'intero disvalore del fatto concreto. Ebbene, nel caso di specie, la condotta compiuta dall'imputato - iniziata fuori dell'abitazione e conclusasi nel momento in cui lo stesso, cedendo alle ripetute richieste della B. permetteva alla stessa di uscire per effettuare con il telefono la chiamata d'emergenza - e' senz'altro idonea a integrare la fattispecie di sequestro di persona, atteso che entrambe le persone offese sono state private della liberta' di movimento per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile (tra i dieci e i quindici minuti). L'obiezione difensiva - in base alla quale l'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato finirebbe di fatto con l'escludere ogni spazio applicativo al delitto di violenza privata, dato che l'azione di costringimento a fare, tollerare o omettere implicherebbe necessariamente anche una limitazione della liberta' di movimento - non e' condivisibile. Vi sono ipotesi, in realta', in cui la condotta costrittiva non lede la liberta' di movimento, bensi' unicamente la liberta' morale (si pensi al caso in cui un soggetto venga minacciato affinche' rimetta la querela nei confronti del soggetto attivo; oppure al caso in cui alla persona offesa sia impedito di entrare in un determinato luogo, ma non gia' di spostarsi liberamente in ogni altra direzione). Vi sono inoltre dei casi in cui e' configurabile la violenza privata in ragione della durata istantanea della privazione della liberta' di movimento, oltre che della liberta' morale: si pensi alla ipotesi in cui a un automobilista venga tagliata la strada per costringerlo a fermarsi. Per contro, laddove la liberta' di movimento sia limitata per un tempo giuridicamente apprezzabile, sara' configurabile il piu' grave delitto di sequestro di persona. Nel caso che ci occupa, le due persone offese sono state private in modo assoluto della liberta' di movimento per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile. L'imputato, infatti, in un primo momento impediva alle vittime di allontanarsi mentre si trovavano fuori dell'abitazione minacciandole con la pistola; dopodiche', le costringeva a entrare nell'appartamento, colpendo con il casco il M. a fronte del tentativo di rifiuto da parte di questi e spingendo a forza la B. per farla entrare, minacciandoli al contempo con la pistola. Ulteriore elemento da valorizzare e' la circostanza che l'imputato, una volta entrati tutt'e tre, chiudeva la porta d'ingresso sbattendola con forza (tanto da danneggiarne i vetri, come riferito dal M.): gesto, questo, altamente sintomatico della volonta' del N. di impedire agli altri due di uscire dall'abitazione, nonostante le implorazioni disperate da parte soprattutto della coniuge, ma anche del M. Dalle dichiarazioni di entrambe le vittime si ricava che la B. aveva chiesto piu' volte all'imputato di permetterle di chiamare i soccorsi e che lui all'inizio si era opposto, minacciando il compimento di un pluriomicidio-suicidio e colpendo al contempo entrambi (il M. per ben due volte con il casco, e anche la B. con la canna della pistola allorche' la stessa si era avvicinata al suo compagno per toccargli la fronte). Il M. ha precisato che la B aveva chiesto piu' volte all'imputato di farla uscire, ma che questi si era messo davanti alla porta per impedirglielo, e che solo dopo diversi tentativi lei era riuscita a convincerlo. E' dunque dimostrato che le persone offese sono state private della liberta' personale per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile. A tal proposito, l'obiezione difensiva secondo cui la durata complessiva della privazione della liberta' di movimento sarebbe durata meno dei quindici minuti determinati dalla polizia giudiziaria sulla base del racconto delle vittime e dell'orario della telefonata effettuata dalla B. al 118, e' in ogni caso ininfluente: se anche la limitazione si fosse protratta per dieci, anziche' per quindici minuti, si tratterebbe comunque di un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile, idoneo a far configurare il sequestro di persona. Si richiama, a tal riguardo, l'orientamento espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 43713 dei 2002, riguardante un caso in cui la limitazione della liberta' di movimento - ritenuta dalla suprema Corte idonea a configurare il sequestro di persona, anziche' la violenza privata - era durata non piu' di sei/sette minuti. La conclusione che qui si sostiene, opposta a quella invocata dalla difesa, trova un elemento indiretto di conferma anche nello stato d'animo provato dalle vittime in quel momento. La B., risentita durante le indagini, ha precisato che, nel ripensare in seguito a quegli interminabili minuti, si era ricordata che a un certo punto, mentre ancora si trovavano fuori dall'abitazione, le era balenata l'idea di fuggire: pensiero, questo, che aveva pero' subito accantonato per paura della reazione dell'imputato. Da cio' si ricava che le persone offese hanno vissuto quegli interminabili momenti con lo stato d'animo di chi sa di non potersi muovere liberamente. A deporre contro la richiesta della difesa vi e' anche un'ulteriore considerazione. Infatti, secondo la difesa il fatto dovrebbe essere qualificato come violenza privata perche' l'azione di costringimento fisico dell'imputato era finalizzata a costringere le vittime ad assistere al suo suicidio; tale assunto, tuttavia, risulta smentito dai racconti delle due persone offese, la cui versione dei fatti e' senz'altro piu' credibile rispetto a quella sostenuta dall'indagato durante l'interrogatorio. Entrambe le persone offese hanno dichiarato che l'imputato sia nella fase antecedente all'ingresso nell'abitazione sia una volta dentro aveva piu' volte minacciato che li avrebbe uccisi entrambi, prima di suicidarsi. Cio' dimostra che la privazione della loro liberta' di movimento non era finalizzata a costringere le vittime ad assistere al suo suicidio, come sostenuto dalla difesa, ma semmai alla consumazione del pluri-omicidio (che non poteva che precedere l'eventuale suicidio): di talche', avendo poi l'imputato volontariamente desistito dal proposito omicida, se da un lato egli non e' responsabile del tentativo di pluri-omicidio, dall'altro lo stesso deve invece rispondere della condotta gia' consumata, consistita nella privazione della loro liberta' personale per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile, ai sensi dell'art. 56, comma 3, c.p. Sicche', anche per questa ragione si ritiene configurabile il duplice reato di sequestro di persona. Ricorrono inoltre anche gli altri requisiti soggettivi necessari per la configurazione dei reati ex art. 605 c.p. In particolare, quanto alla imputabilita', non ci sono elementi per sostenere che l'imputato ne difettasse in modo assoluto. La difesa ha prodotto una consulenza tecnica a firma del dott. R. F., secondo cui il N. avrebbe agito in quel momento in uno stato psicopatologico tale da far scemare grandemente le sue capacita' di intendere e di volere. Lo stesso consulente della difesa, dunque, ha concluso per una limitazione parziale della capacita' di intendere e di volere, e non gia' totale. Ma e' soprattutto la reazione avuta dall'imputato nella fase conclusiva dell'azione delittuosa a dimostrare che lo stesso non versava in uno stato di totale incapacita' di intendere e di volere. Com'e' emerso in sede di ricostruzione del fatto, il N. nel momento in cui decideva di desistere dall'azione delittuosa consentendo alla B. di effettuare la telefonata per chiedere l'intervento dei soccorsi, le manifestava i suoi timori per le conseguenze che avrebbe subito, tanto che la coniuge lo rassicurava che avrebbe fornito una versione diversa, a dimostrazione del fatto che egli era ben consapevole che aveva appena inflitto alle due vittime una illegittima restrizione della liberta' di movimento, che e' quanto basta per ravvisare il dolo generico richiesto dal delitto ex art. 605 c.p. Nel corso delle indagini, l'atteggiamento del N. e' stato senz'altro collaborativo, avendo anche provveduto a risarcire i danni alle due persone offese, le quali hanno entrambe rimesso la querela nei suoi confronti. Vi sono dunque le condizioni per il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. e di quella di cui all'art. 89 c.p., in relazione a quanto emerso dalla c.t. prodotta dalla difesa. All'esito di una valutazione complessiva del fatto e degli elementi che connotano l'intera vicenda, si ritiene che tali attenuanti possano essere dichiarate prevalenti sull'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. Tuttavia, ai fini della rilevanza della presente questione, si osserva che tale esito del bilanciamento ex art. 69 c.p. non esclude la procedibilita' d'ufficio del delitto di sequestro di persona in danno della coniuge, atteso che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', la dichiarazione di prevalenza o di equivalenza di un'attenuante sull'aggravante da cui dipende la procedibilita' d'ufficio non muta il regime di procedibilita', in quanto il giudizio di bilanciamento rileva solo ai fini della determinazione della pena (cfr., tra le altre, Cass. Pen., Sez. 5, sentenza n. 4843 del 3 marzo 1980). In definitiva, nel nostro caso, anche all'esito della dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche e di quella di' cui all'art. 89 c.p. sull'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., il reato di sequestro di persona commesso in danno della coniuge resterebbe comunque procedibile d'ufficio; mentre il medesimo reato compiuto in danno di M. D., non essendo ravvisabile in ordine ad esso l'aggravante specifica, e' oggi procedibile a querela. 2.5. L'attuale regime di procedibilita' del sequestro di persona. L'art. 1, del decreto legislativo n. 150 del 2022, ha inserito il comma sesto nell'art. 605 del codice penale, in cui si prevede la punibilita' a querela della persona offesa per le ipotesi di cui al comma primo, salvo il caso in cui il fatto sia commesso in danno di persona incapace, per eta' o infermita'. La nuova disciplina del regime di procedibilita', introdotta dal decreto legislativo n. 150/2022, e' applicabile anche ai fatti anteriormente commessi, attese la natura sostanziale della stessa e la conseguente applicabilita' del principio di retroattivita' della normativa piu' favorevole ex art. 2, comma 4, c.p. Cio' e' confermato, d'altra parte, dal regime transitorio, che consentiva, nei casi di delitti punibili d'ufficio prima della novella normativa, alla parte che ne aveva diritto di proporre querela entro novanta giorni dall'entrata in vigore della riforma. Dunque, la nuova disciplina sulla procedibilita' a querela del sequestro di persona introdotta dall'ultimo comma dell'art. 605 c.p. e' applicabile anche ai fatti anteriormente commessi, come quelli per cui si procede. Ora, risulta dagli atti che entrambe le persone offese del reato di sequestro di persona hanno dichiarato di rimettere la querela nei confronti dell'imputato e all'ultima udienza la difesa ha prodotto la dichiarazione di accettazione da parte dello stesso. E' utile premettere che la disposizione di cui all'art. 122 del codice penale - per la quale il reato commesso in danno di piu' persone e' punibile anche se la querela e' proposta da una soltanto di esse - non e' applicabile nell'ipotesi in cui una sola azione comporti piu' violazioni della stessa disposizione penale, ledendo distinti soggetti, in quanto tale situazione integra un concorso formale di reati in danno di piu' persone, in cui la «reductio ad unum» e' preordinata solo ad un piu' benevolo regime sanzionatorio che non incide sulla autonomia dei singoli reati, di guisa che, in tal caso, la procedibilita' di ciascun reato e' condizionata alla querela della rispettiva persona offesa (cfr., per tutte, Cass. Pen., Sez. 5^, sentenza n. 57027 del 22 ottobre 2018). Ne consegue, stante la indicata autonomia dei reati, che ogni delitto resta soggetto al proprio regime di procedibilita', sicche' il delitto di sequestro di persona commesso nei confronti di M. D. non essendo aggravato ex art. 605, comma 2, n. 1, c.p., e' oggi punibile a querela della persona offesa. Ne', d'altra parte, il reato de quo si puo' ritenere procedibile d'ufficio in quanto connesso con gli altri reati a lui contestati (violazione di domicilio e lesioni personali, entrambi aggravati dall'uso delle armi), dato che, come gia' evidenziato in precedenza, per il reato di sequestro di persona non e' prevista la procedibilita' d'ufficio in caso di connessione con altri delitti procedibili d'ufficio. Si e' pertanto realizzata la estinzione di tale delitto nei suoi confronti a seguito della remissione di querela da parte dell'offeso e della accettazione della stessa ad opera dell'imputato. Ad analoga conclusione non si puo' invece pervenire in ordine al delitto di sequestro di persona in danno di B. E., nonostante che siano state acquisite la dichiarazione di remissione di querela da parte di lei e di accettazione ad opera dell'imputato, risultando in questo caso fondata la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., che comporta la procedibilita' d'ufficio, atteso che la punibilita' a querela di parte e' stata prevista per la ipotesi di cui al comma primo, da cui si ricava il chiaro intento del legislatore delegato di escluderla in caso di ricorrenza delle aggravanti di cui ai commi 2 e 3. Per mero scrupolo, si osserva che la circostanza che i due coniugi fossero separati di fatto da diversi mesi al momento del delitto non esclude la sussistenza dell'aggravante de qua, poiche' il rapporto di coniugio si estingue soltanto con la sentenza di divorzio. L'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. fa riferimento al coniuge senza operare alcuna distinzione tra coniuge separato e non. La legge n. 4 del 2018 ha modificato l'art. 577 inserendo le parole «o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte...», mentre analoga modifica non e' stata apportata all'art. 605, secondo comma, n. 1, che continua a fare riferimento semplicemente al «coniuge» senza ulteriori specificazioni. In ogni caso, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, l'aggravante de qua sussiste anche nel caso di coniuge separato, in quanto la separazione, come e' noto, non estingue il rapporto di coniugio (cfr., Cass. Pen., Sez. 5, sentenza n. 13273 del 15 gennaio 2020: in tema di delitti contro la vita e rincolumita' individuale, ai fini della configurabilita' dell'aggravante del rapporto di coniugio, prevista dall'art. 577, comma primo, n. 1, del codice penale, e' irrilevante l'intervenuta separazione personale tra i coniugi anche con riferimento ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge 11 gennaio 2018, n. 4. Cio' in quanto, si e' precisato in motivazione, la modifica legislativa, che ha espressamente esteso l'applicabilita' dell'aggravante anche ai coniugi separati, si e' limitata sul punto a recepire quanto da tempo gia' affermato dalla giurisprudenza di legittimita'). Si deve dunque concludere che mentre il reato di sequestro di persona nei confronti di M. D. si e' estinto per remissione di querela da parte sua ed accettazione della stessa ad opera dell'imputato, la stessa conclusione non vale per il medesimo delitto commesso in danno della coniuge separata di fatto, sebbene anche la B. abbiano rimesso la querela nei suoi confronti, in ragione dell'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., che comporta la procedibilita' d'ufficio. Ne', d'altra parte, come gia' precisato sopra, il regime di procedibilita' potrebbe cambiare a seguito della dichiarazione di prevalenza delle attenuanti. Di qui la rilevanza della presente questione: raccoglimento della stessa comporterebbe la dichiarazione di estinzione anche del reato di sequestro di persona nei confronti di B. E. per remissione di querela, con la conseguenza che l'istanza di messa alla prova formulata in via principale dalla difesa potrebbe essere accolta, consentendolo le pene edittali previste per gli altri reati ritenuti sussistenti a carico del N. 3. Sulla non manifesta infondatezza della questione 3.1. In relazione all'art. 3 della Costituzione. La Corte costituzionale ha piu' volte ricordato, in linea generale, che le scelte sanzionatorie del legislatore possono essere sindacate soltanto entro i limiti della manifesta irragionevolezza, con l'ulteriore precisazione che tale standard vige - piu' in particolare - anche rispetto alle scelte relative al regime di procedibilita' dei singoli reati (sentenza n. 248 del 2020; ordinanza n. 178 del 2003 e precedenti ivi citati). Cio' detto, si ritiene che nel caso di specie il regime attuale contrasti con il parametro della ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione. L'ultimo comma dell'art. 605 c.p., introdotto dalla c.d. riforma Cartabia, prevede la punibilita' a querela della persona offesa nelle ipotesi di sequestro di persona di cui al comma primo, salvo il caso in cui il fatto sia commesso in danno di persona incapace, per eta' o infermita'. Dalla formulazione di tale norma si desume che il legislatore ha voluto escludere la punibilita' a querela nei casi in cui siano configurabili le aggravanti di cui ai commi successivi dello stesso articolo. Ed e' per tale ragione che, in sede di primo commento, e' stato detto che il delitto ex art. 605 c.p. e' divenuto procedibile a querela nei casi di sequestro di persona semplice. Tale affermazione potrebbe tuttavia risultare fuorviante, atteso che in realta' il sequestro di persona e' oggi procedibile a querela non solo quando risulti in nessun modo aggravato, bensi' anche nelle ipotesi in cui ricorrono aggravanti diverse da quelle previste dall'art. 605 c.p., tant'e' vero che il legislatore, probabilmente anche sulla spinta delle molte voci critiche levatesi dai settori maggiormente impegnati nella lotta alla criminalita' organizzata, e' intervenuto a pochi mesi di distanza dall'entrata in vigore della riforma in questione emanando la legge 24 maggio 2023, n. 60, recante «Norme in materia di procedibilita' d'ufficio e di arresto in flagranza», con cui e' stata prevista la procedibilita' d'ufficio nei casi in cui siano ravvisabili le aggravanti del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) o della finalita' di terrorismo (art. 270-bis.1 c.p.). Pertanto, e' forse piu' corretto affermare che, alla luce della disciplina vigente, il delitto di sequestro di persona e' sempre procedibile a querela della persona offesa, fatta eccezione per le ipotesi in cui: a) il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per eta' o infermita' (art. 605, comma primo); b) ricorrano le aggravanti di cui all'art. 605, commi 2-3, c.p.; c) ricorrano le aggravanti del metodo mafioso o della finalita' di terrorismo o altra aggravante diversa da quelle comuni che comporti ex lege la procedibilita' d'ufficio (ad esempio, l'aggravante ex art. 604 ter c.p., che comporta la procedibilita' d'ufficio ai sensi dell'art. 6, legge decreto-legge n. 122/1993, convertito nella legge n. 205/1993). Al di fuori di queste ipotesi, il delitto e' sempre procedibile a querela della persona offesa, anche quando ricorrono piu' circostanze aggravanti tra quelle indicate dall'art. 61 c.p. o una qualsiasi altra aggravante che non comporti ex lege la procedibilita' d'ufficio. La ratio della riforma normativa che ha esteso la procedibilita' a querela in ordine anche ad alcuni reati contro la persona, tra cui quello di cui qui si discute, si desume dalla relazione illustrativa del decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 (delega al governo per l'efficienza del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari). L'estensione del regime di procedibilita' a querela anche ai reati contro la persona e' stato giustificato come «un forte incentivo alla riparazione dell'offesa nonche' alla definizione anticipata del procedimento penale attraverso la remissione della querela o l'attivazione della causa estintiva di cui all'art. 162 ter c.p.». Segnatamente, per quanto riguarda la modifica della procedibilita' riguardo al delitto di sequestro di persona, si legge nella medesima relazione che «la dimensione personale del bene giuridico tutelato suggerisce di prevedere la procedibilita' a querela rispetto a ipotesi non aggravate che - come manifesta il basso limite minimo edittale della pena detentiva comminata (sei mesi) - possono presentare e non di rado presentano nella prassi una ridotta offensivita'.» Come esempi di fattispecie concrete di lieve offensivita', nella relazione si richiamavano alcuni casi, esaminati dalla giurisprudenza, in cui la privazione della liberta' di movimento aveva avuto una durata molto breve (c.d. sequestri-lampo). Ora, individuata in questi termini la ragione giuridica della estensione del regime di procedibilita' a querela, si ritiene che la scelta del legislatore di conservare la procedibilita' d'ufficio nel caso in cui ricorra l'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., sia contraddittoria e comunque priva di una ragionevole giustificazione, percio' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Cio' in quanto l'esigenza di favorire il bonario componimento e la riappacificazione tra le parti coinvolte dal delitto non ricorre soltanto nei casi in cui le stesse non siano legate da rapporti di parentela, ma vieppiu' quando si tratti di stretti congiunti. Si legge sempre nella relazione illustrativa indicata che e' stata conservata «la procedibilita' d'ufficio nelle ipotesi in cui viene in rilievo una dimensione sovra-individuale dell'offesa (beni pubblici o a titolarita' diffusa) o vi e' una particolare esigenza di tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere nella scelta processuale di presentare una querela». Ora, quanto al primo aspetto, si evidenzia come la circostanza che il delitto sia stato compiuto in danno di un congiunto non comporta un'offesa a beni pubblici o di titolarita' diffusa. Tale contraddizione, peraltro, si desume proprio dal richiamo operato in sede di relazione illustrativa ai casi di c.d. sequestri lampo. Nel richiamare alcuni precedenti, ritenuti dal legislatore di scarsa offensivita' e dunque tali da giustificare l'introduzione della procedibilita' a querela, si e' fatto anche riferimento al caso esaminato dalla Cassazione nella sentenza n. 18186 del 2009, in cui l'imputato e' stato ritenuto responsabile del delitto de quo per aver chiuso in terrazzo sua madre per venti minuti. Il richiamo, nella relazione illustrativa, di tale specifico precedente della suprema Corte, lasciava implicitamente intendere l'opportunita' che episodi come quello diventassero procedibili a querela, si da offrire alla vittima la facolta' di scegliere se dare avvio o meno al procedimento, anche al fine di promuovere la bonaria composizione della lite. Nell'operare tale richiamo, tuttavia, non ci si e' resi conto che il precedente richiamato non e' toccato dalla riforma, restando anche oggi procedibile d'ufficio, in relazione all'aggravante prevista dal secondo comma dell'art. 605 c.p. L'attuale disciplina non consente al coniuge (ne' a un ascendente o a un discendente vittima del reato) di rimettere la querela nei confronti del congiunto e cio' si appalesa in contrasto sia con la ratio della specifica normativa in questione, volta a favorire il piu' possibile la bonaria composizione tra soggettivo attivo e persona offesa, sia piu' in generale con la finalita' di riconciliazione dei rapporti familiari, costituendo «la garanzia dell'unita familiare» un valore di rango costituzionale (art. 29 della Costituzione). Si potrebbe obiettare che il legislatore ha scelto di estendere il regime di procedibilita' solo alle ipotesi di sequestro di persona di cui al comma primo, in quanto ritenute di minore offensivita'. E in effetti questa conclusione parrebbe trovare conferma nella relazione illustrativa sopra citata, in cui si afferma che la punibilita' a querela viene prevista per l'ipotesi meno grave di cui al comma primo, con esclusione dei fatti commessi in danno di persona incapace. In altre parole, la scelta sui diverso regime di procedibilita' si giustificherebbe nella minore offensivita' delle fattispecie riconducibili al primo comma dell'art. 605 c.p. Ma e' agevole replicare che, nell'operare tale scelta, il legislatore delegato non ha debitamente considerato che l'ambito applicativo di cui al comma primo e' tale da ricomprendere un'ampia gamma di fattispecie con gradi di offensivita' anche significativamente diversi, come si desume d'altronde dalla cornice edittale che va da un minimo di sei mesi a un massimo di otto anni di reclusione. Inoltre, la procedibilita' a querela di parte non e' stata esclusa neppure nelle ipotesi in cui il sequestro di persona ex art. 605, primo comma, risulti aggravato da una o piu' aggravanti comuni ex art. 61 c.p. o da altre aggravanti, diverse da quelle della finalita' di terrorismo o di agevolazione mafiosa, per le quali non sia espressamente prevista la procedibilita' d'ufficio. Dunque, non si puo' ritenere che la procedibilita' a querela sia riservata soltanto alle ipotesi minori di sequestro di persona, essendo in realta' prevista anche in ordine ad ipotesi che si possono rivelare in concreto molto piu' offensive di fattispecie aggravate ai sensi del secondo comma dell'art. 605. Valga questo esempio. Si pensi da un lato al caso in cui il sequestro di persona sia compiuto di notte e con crudelta' a discapito di una persona anziana, e, dall'altro, al caso di una madre che, stanca del comportamento indolente del figlio maggiorenne, lo chiuda a chiave nella sua camera, privandolo della liberta' personale per una ventina di minuti. Ebbene, nonostante che il fatto oggetto del primo esempio, pluriaggravato ai sensi dell'art. 61 nn. 4 e 5, c.p., risulti indubitabilmente piu' grave ed offensivo dell'altro, la punibilita' a querela e' riservata solo in ordine ad esso, mentre il sequestro-lampo commesso dalla madre della persona offesa, nell'altro esempio, e' procedibile d'ufficio per via dell'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. Si ritiene, di conseguenza, che il discrimine operato dal legislatore delegato sul regime di procedibilita' del sequestro di persona si riveli palesemente incongruo, posto che in realta' l'ambito applicativo del primo comma e' tale da ricomprendere ipotesi di reato che possono rivelarsi in concreto molto piu' offensive di altre fattispecie aggravate ai sensi dell'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. A conferma di tale conclusione, si evidenzia come l'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, c.p., sia annoverabili tra le circostanze indipendenti, ma non ad effetto speciale, in quanto prevede un aumento della pena massima inferiore a un terzo (aumento di un quarto, per la precisione: da otto a dieci anni di reclusione). Per contro, le aggravanti comuni ex art. 61 consentono l'aumento della pena sino ad un terzo, con la conseguenza che il delitto di sequestro di persona ex art. 605, comma primo, ove risulti applicabile un'aggravante comune, e' punibile con la pena massima di anni dieci e mesi otto di reclusione, superiore a quella prevista per l'ipotesi aggravata di cui al secondo comma. Cio' dimostra che non puo' essere il criterio della diversa offensivita' a giustificare la scelta normativa sul regime di procedibilita'. Ove invece si volesse giustificare la scelta normativa in relazione alla particolare condizione in cui potrebbe trovarsi il coniuge, tale da non renderlo libero nella scelta processuale di presentare una querela, la stessa risulterebbe asimmetrica rispetto a quanto previsto dallo stesso legislatore delegato in ordine al delitto di lesioni personali aggravato ai sensi dell'art. 577, n. 1, c.p. Il decreto legislativo n. 150 del 2022, infatti, nell'estendere il regime di procedibilita' a querela in ordine al delitto di lesioni personali, lo ha previsto anche nel caso in cui ricorra l'aggravante del fatto commesso nei confronti del coniuge (legalmente separato o non), in maniera dunque opposta alla scelta operata in ordine al sequestro di persona. Peraltro, l'esigenza di tutelare le persone esposte a un rischio di condizionamento non sarebbe comunque ravvisabile nei casi di coniugi non piu' conviventi al momento del fatto, a seguito di separazione giudiziale o di fatto -come nel caso per cui si procede - atteso che di norma la posizione di vulnerabilita' del coniuge e' legata proprio al rapporto di convivenza, mentre la formulazione attuale della disposizione de qua non distingue tra coniugi conviventi e non. Proprio alla luce di quest'ultima considerazione, si ritiene necessario sollevare la questione in forma gradata: in via principale, con riferimento al coniuge senza alcuna distinzione; in via subordinata, con riferimento al coniuge non piu' convivente al momento del fatto. 3.2. Sulla non manifesta infondatezza in relazione all'art. 76 della Costituzione. L'art. 1, comma 15, della legge delega n. 134 del 2021, riguardo alla estensione del regime di procedibilita' ai reati contro il patrimonio e alla persona, indicava due specifici principi e criteri direttivi: a) il limite, costituito dalla pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; b) la previsione che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si tenesse conto delle circostanze, facendo salva la procedibilita' d'ufficio in caso di incapacita' della persona offesa, per eta' o infermita'. Ebbene, si ritiene che il legislatore delegato, nell'escludere la procedibilita' a querela in caso di sequestro di persona aggravato ai sensi dell'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., abbia violato il principio direttivo di cui sub b). La legge delega, infatti, nell'affidare al legislatore delegato il compito di individuare i reati contro il patrimonio e contro la persona da rendere punibili a querela di parte, fissava il limite della pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, prescrivendo al contempo che ai fini del calcolo della pena non si tenesse conto delle circostanze (senza alcuna distinzione tra circostanze indipendenti e/o ad effetto speciale). La ratio di tale ultima prescrizione era evidentemente quella, oltre che di estendere il piu' possibile il regime di procedibilita' a querela, di impedire che la contestazione di un'aggravante rendesse automaticamente il reato procedibile d'ufficio, anche quando il singolo fatto, tenuto in ipotesi conto della ricorrenza di circostanze attenuanti, potesse risultare in concreto non piu' offensivo di altre fattispecie semplici. Il legislatore delegato, invece, nel riservare la punibilita' a querela soltanto alle ipotesi di cui al comma primo, ha di fatto dato rilevanza, ai fini della esclusione di tale regime, alla ricorrenza della circostanza aggravante di cui al comma secondo n. 1, violando cosi' la specifica prescrizione della legge delega.