TRIBUNALE DI GROSSETO 
            Ufficio del Giudice dell'udienza preliminare 
 
    Il Giudice dell'udienza preliminare Sergio Compagnucci; 
    nel procedimento penale iscritto ai numeri di cui in epigrafe nei
confronti di: 
      N. S., nato a... il..., residente  a...  in  via...  difeso  di
fiducia dall'avv. Riccardo Lottini del Foro di Grosseto 
    In cui il primo risulta imputato; 
    dei reati di cui agli articoli 81 cpv, 605, comma 2,  612,  comma
2, 614, comma 4, 582, 585, 577 n.  1  c.p.  perche',  con  piu'  atti
esecutivi di un medesimo disegno criminoso, attendeva la moglie B. E.
e il suo nuovo compagno  M.  D.  davanti  la  casa  di  quest'ultimo;
puntando loro la pistola contro  e  minacciando  di  ucciderli  e  di
uccidersi li costringeva ad entrare  dentro  casa,  colpendo  con  un
calcio il telefono che la donna  stava  tentando  di  utilizzare  per
chiamare i soccorsi. Una volta dentro la casa e chiusa con  forza  la
porta, continuava a minacciarli di morte con la pistola, che  puntava
anche nei suoi confronti, li colpiva ripetutamente  con  un  casco  e
colpiva la donna anche con il calcio della pistola, cosi'  privandoli
della loro liberta' personale, non consentendo, per  un  apprezzabile
lasso temporale, di chiamare i soccorsi e cagionando loro le  lesioni
refertate  consistite  per  la  B.  in  «trauma  cranico  lieve   non
commotivo», giudicate guaribili in cinque giorni. 
    Con l'aggravante per l'art. 605 c.p. di avere commesso  il  fatto
ai danni del coniuge. 
    Con l'aggravante per l'art. 614 c.p. di aver  commesso  il  fatto
con violenza alle persone e mediante un'arma. 
    Con le aggravanti per l'art. 582 c.p. di aver commesso  il  fatto
con un'arma e di aver commessa il fatto ai danni del coniuge. 
    In..., il... all'esito della discussione delle parti,  ha  emesso
mediante lettura del dispositivo la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    E' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 605, ultimo  cometa,  c.p.,  in
relazione agli articoli 3 e 76 della Costituzione nei termini  e  per
le ragioni che seguono. 
1. Breve sintesi delle attivita' processuali 
    N. S., chiamato a rispondere delle imputazioni  sopra  descritte,
all'udienza preliminare avanzava  due  istanze:  in  via  principale,
chiedeva di essere ammesso alla prova,  ai  sensi  dell'art.  168-bis
c.p., previa diversa qualificazione del reato di sequestro di persona
in violenza privata; in via subordinata, in  caso  di  rigetto  della
prima istanza, chiedeva di essere ammesso al rito abbreviato secco. 
    Rigettata  da  parte  di  questo  giudice  la  prima   richiesta,
l'imputato era dunque ammesso al rito abbreviato.  Nel  formulare  le
conclusioni, il Pm chiedeva la condanna  dell'imputato  in  ordine  a
tutti i delitti cosi' come contestati.  Il  difensore  dell'imputato,
invece, rinnovava la richiesta di messa alla  prova,  previa  diversa
qualificazione del delitto di  sequestro  di  persona  in  quello  di
violenza privata, invocando a tal riguardo l'interpretazione  fornita
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 131 del 2019 in  merito
alla possibilita' per il giudice - una  volta  avvedutosi,  all'esito
del giudizio abbreviato, dell'erronea  qualificazione  giuridica  dei
fatti contestati all'imputato - di  revocare  il  proprio  precedente
provvedimento di diniego della sospensione  del  processo  con  messa
alla prova per ammettere l'imputato al beneficio. 
    Quindi, all'udienza dell'11 dicembre  2023  e'  stata  emessa  la
presente ordinanza. 
2. Sulla rilevanza della questione 
  2.1. I fatti oggetto del processo. 
    Le condotte in contestazione  sono  state  commesse  dall'odierno
imputato, ispettore di Polizia di Stato in servizio a..., nella tarda
serata del... a danno della propria moglie (con cui lo stesso si  era
separato di fatto da diversi mesi) e del nuovo compagno di lei. 
    Le  principali  fonti   di   prova   sono   rappresentate   dalle
dichiarazioni rese in piu' occasioni dalle  due  persone  offese  nel
corso delle indagini -  pienamente  utilizzabili  in  questa  sede  a
seguito della scelta del  rito  abbreviato  -  che  trovano  ampia  e
tranquillizzante  conferma  negli  altri   elementi   confluiti   nel
fascicolo del Pm. 
    B. E. i, coniuge dell'imputato, ha riferito che  si  era  sposata
con il N. nel... e che dalla loro unione erano nati due figli,  B.  e
D. Le problematiche di salute dei bambini, affetti  entrambi  da  una
forma di ipoacusia, erano state la causa, secondo il racconto di lei,
di tensioni familiari tra i due  genitori,  tanto  che  concordemente
avevano deciso di  sottoporsi  a  un  percorso  psicoterapeutico  per
alcuni mesi, che tuttavia non aveva sortito gli effetti  sperati.  La
B. ha quindi parlato di un  grave  episodio  che  si  era  verificato
nell'... del..., allorche' suo  marito,  dopo  che  avevano  discusso
animatamente per telefono, era tornato a  casa,  l'aveva  spinta  con
forza sul letto e, dopo averla immobilizzata tenendola per il  collo,
l'aveva minacciata con la pistola di ucciderla, salvo poi  desistere,
buttandosi a terra e lasciandosi andare a  un  pianto  disperato.  La
persona  offesa  ha  spiegato  che  quell'episodio  aveva  senz'altro
segnato  un  punto  di  frattura  nella  loro  relazione.  Nei   mesi
successivi lui era caduto in un periodo di depressione, tanto che lei
gli aveva consigliato di rivolgersi a uno psicologo. 
    La persona offesa ha spiegato che a un certo punto  aveva  deciso
di  interrompere  la  relazione,  avviando  le   pratiche   per   una
separazione consensuale e che suo  marito  nell'...  del...,  si  era
trasferito  in  un'altra  casa.  L'interruzione   della   convivenza,
tuttavia, non aveva migliorato i rapporti  tra  di  loro:  lui  aveva
infatti  a  tenere  atteggiamenti  molesti,  dovuti   alla   gelosia,
tempestandola di messaggi  e  telefonandole  piu'  volte  al  giorno,
talvolta  limitandosi  a  fare  battute  ironiche  sulla  sua   nuova
relazione, talaltra usando anche toni aggressivi e minacciosi. 
    Il racconto di lei ha trovato conferma anche nelle  dichiarazioni
rese da M. D., nuovo compagno della  B.  il  quale  ha  riferito  che
quest'ultima,  nel  confidarsi  con  lui  in  merito  alle   molestie
telefoniche ad opera del marito, in qualche occasione gli aveva anche
mostrato dei messaggi dai contenuti minacciosi ed offensivi. 
    L'atteggiamento a tratti persecutorio del  N.  ha  avuto  il  suo
epilogo drammatico nella tarda serata del..., quando  l'imputato,  in
un raptus di rabbia e gelosia, ha compiuto le gravi condotte illecite
oggetto di contestazione. 
    In merito a tali fatti, la B. ha dichiarato che quella sera, dopo
aver cenato in pizzeria con il M., verso le... erano arrivati a  casa
di quest'ultimo, in... 
    Avevano quindi parcheggiato l'auto in strada, lui aveva aperto il
cancello automatico carrabile finche', arrivati davanti alla porta di
casa, si erano ritrovati davanti l'imputato con una pistola in  mano.
La B. ha spiegato che, conoscendo l'arma di ordinanza di suo  marito,
si era subito resa conto che si trattava di una pistola  diversa,  in
quanto piu' piccola e di un altro colore. Ha aggiunto che suo  marito
aveva intimato loro di stare fermi; dopodiche'  il  N.  aveva  in  un
primo momento puntato la pistola contro di loro minacciandoli che  li
avrebbe  ammazzati,  salvo   poi   rivolgerla   contro   se'   stesso
portandosela alla bocca, dicendo che si sarebbe ucciso, senza cessare
di offenderli in vario modo. Ha quindi  aggiunto  che  lei  e  il  M.
comprensibilmente terrorizzati, lo avevano implorato di mettere  giu'
la pistola, precisando che, quando lei aveva tentato di  prendere  il
cellulare per fare una chiamata di emergenza, l'imputato glielo aveva
strappato di mano buttandolo a terra e allontanandolo con la  scarpa.
Subito dopo, l'imputato li aveva costretti, sotto la  minaccia  della
pistola, a entrare in casa, colpendo il M. con il casco  alla  testa.
Il primo a entrare era stato il  M.,  quindi  lei  e  poi  da  ultimo
l'imputato, il quale aveva richiuso la porta  con  forza.  Una  volta
dentro, l'imputato aveva chiesto loro dove si trovasse la  camera  da
letto, perche' voleva vedere il luogo  in  cui  consumavano  rapporti
sessuali, minacciandoli che proprio li' dentro li  avrebbe  uccisi  e
che, subito dopo, si sarebbe sparato anche lui. 
    Dal momento che la qualificazione del fatto in esame e' l'aspetto
di maggiore rilevanza in questo processo, si ritiene utile  a  questo
punto riportare uno  stralcio  del  racconto  fatto  dalla  B.  nella
immediatezza del fatto: «(...) Siamo rimasti nell'atrio  cercando  di
dissuadere S., ma mio marito con il casco colpiva per  due  volte  D.
alla testa e S. si accasciava semi-svenuto su di uno sgabello. Io ero
in preda al panico e ho ricordi confusi. Ricordo che ho soccorso D. e
rivolgendosi a S. gli dicevo che lo stava  ammazzando.  Lui  sembrava
indemoniato e dopo avermi offeso insultandomi ripetutamente  "troia",
mi colpiva con il casco alla fronte e io cadevo sul  pavimento.  Sono
trascorsi diversi minuti in cui mi accusava  di  averlo  tradito,  di
averlo lasciato, mi diceva che la sua vita era finita e continuava ad
offendere me e D. D. aveva un volto  pallido.  Intanto  cercavamo  di
persuadere S. dal non compiere quanto minacciato e riuscivo  anche  a
raggiungere il vicino frigo per prendere una confezione di yogurt che
applicavo alla testa di D. per dargli un momentaneo sollievo. In quei
minuti si altalenavamo momenti  brevi  in  cui  S.  sembrava  che  mi
ascoltasse e momenti in cui puntandoci contro l'arma  ci  minacciava.
Quando D. ha iniziato ad avere conati di vomito ho chiesto  a  S.  di
permettermi di prendere il mio cellulare per chiamare il  118  oppure
il suo amico pediatra P.  B.  D.  connetteva  poco  e  mi  diceva  di
lasciare stare. Poi io ho preso  coraggio  e  dicevo  a  S.  che  era
urgente chiamare i sanitari perche' D. stava male  e  poteva  morire.
Lui era confuso e continuava a non permettermi di chiamare i soccorsi
(...)». 
    Fortunatamente, negli istanti successivi, il N. non ha portato  a
termine quanto minacciato e si e'  lasciato  convincere  dalla  B.  a
desistere. «(...) Avevo preso coraggio e ho detto a S. di permettermi
di chiamare i soccorsi. S., in un momento di fragilita', forse avendo
compreso la gravita' della sua azione, mi ha chiesto cosa avrei detto
ai sanitari. Ho cercato di minimizzare la situazione e falsamente gli
ho promesso che avrei  detto  ai  sanitari  che  D.  era  caduto  dal
motorino e che non lo avremmo mai denunciato.  Sono  passati  intanto
interminabili minuti, sino a quando S. mi ha aperto la porta di  casa
e mi ha permesso di recuperare il mio cellulare.  Sono  rientrata  in
casa e alle... successive ho chiamato il 118, riferendo all'operatore
di inviare urgentemente un'ambulanza (...)». 
    Le dichiarazioni rese dalla B. trovano sostanziale  conferma  nel
racconto dell'altra persona offesa. Il M., infatti, ha  riferito  che
quella sera, di ritorno dalla pizzeria, dopo aver fatto la  rampa  di
ingresso alla sua abitazione e una volta giunti davanti  alla  porta,
si era girato di scatto sentendo la sua compagna urlare. Aveva quindi
visto il N. a cinque metri di distanza da  loro,  che  impugnava  una
pistola con una mano, mentre nell'altra  teneva  un  casco  nero.  Ha
quindi aggiunto che, terrorizzati, entrambi gli  avevano  gridato  di
fermarsi, ma che l'altro aveva a un  certo  punto  caricato  il  cane
della pistola, tanto che la B. lo  aveva  supplicato  di  pensare  ai
figli. Dopodiche' il N. in un primo momento si era portato la pistola
alla gola come per  spararsi,  salvo  poi  puntarla  contro  di  lui,
dicendogli che prima di suicidarsi avrebbe ammazzato anche loro  due.
Ha  confermato  che  l'imputato,  dopo  aver  strappato  di  mano  il
cellulare a sua moglie, lo aveva allontanato con un calcio,  per  poi
costringerli a entrare in  casa  minacciandoli  con  la  pistola.  In
particolare, il M. ha spiegato che, quando lui si  era  rifiutato  di
aprire la porta, l'imputato aveva puntato la pistola  contro  di  lei
minacciando che l'avrebbe ammazzata, tanto che lui a  quel  punto  si
era frapposto, facendo scudo con il proprio corpo, per proteggere  la
sua compagna.  L'imputato  lo  aveva  nuovamente  minacciato  con  la
pistola per farlo entrare dentro, dando al contempo una  spinta  alla
B. per costringerla a entrare in casa. Una volta entrati, il N. aveva
chiuso  la  porta  con  tale  violenza   da   danneggiare   i   vetri
dell'infisso.  Quindi  l'imputato  aveva   chiesto   con   insistenza
dell'acqua, continuando a tenere sotto minaccia  sua  moglie  con  la
pistola, la quale aveva cercato disperatamente di farlo  calmare.  Il
M. ha spiegato che era stato poi colpito altre due volte con il casco
dall'imputato, una prima volta alla spalla  e  l'altra  alla  tempia.
Negli istanti successivi, il N. aveva colpito con il casco  anche  la
B., facendola scivolare a terra, e poi si era avvicinato alla  camera
da   letto   ripetendo   le   solite   minacce   di    compiere    un
pluriomicidio-suicidio, salvo poi tornare verso di loro  per  colpire
nuovamente la B. con la canna della pistola alle dita  per  impedirle
di prestare soccorso al compagno. 
    Questo il testuale racconto del M. in merito alla fase finale del
sequestro: «(...) Da questo momento  E.  cominciava  a  chiedere  con
insistenza di chiamare un'ambulanza cercando di  uscire  fuori  sulla
rampa per recuperare il telefono che S. le aveva  buttato  in  terra.
All'inizio S. non voleva  farla  uscire  a  recuperare  il  telefono,
mettendosi davanti alla porta con pistola in mano e soltanto dopo che
E. gli diceva ripetutamente che "non era una  persona  cattiva",  che
era il "babbo  dei  loro  figli"  e  che  "non  poteva  averlo  sulla
coscienza", lui  si  spostava  dall'uscio,  abbassava  la  pistola  e
permetteva ad E. di uscire e recuperare il telefono. E effettuava una
telefonata, non so a quale numero, ma ricordo che ad un  certo  punto
mi portava il telefono in viva voce ed io sentivo una voce  femminile
che mi chiedeva come mi chiamavo e quanti anni avevo (...).» 
  2.2. L'attendibilita' del racconto delle due persone offese. 
    Vi sono senz'altro ampi e tranquillizzanti elementi per  ritenere
la piena attendibilita' dei racconti delle due persone offese, atteso
che gli stessi risultano esaustivi,  circostanziati  e  tra  di  essi
concordanti. D'altronde, lo stesso imputato,  interrogato  nel  corso
delle indagini,  ha  sostanzialmente  ammesso  di  aver  compiuto  le
condotte illecite in contestazione, sia pure cercando di  alleggerire
la  propria  posizione  sostenendo  che  aveva  solo  minacciato   di
suicidarsi e non anche di ucciderli, e che aveva colpito con il casco
il  M.  una  seconda   volta,   quando   si   trovavano   all'interno
dell'abitazione,  perche'  questi  aveva  tentato  di  togliergli  la
pistola, mentre  le  persone  offese  hanno  fornito  sul  punto  una
versione diversa, spiegando che in realta' il M.  era  stato  colpito
una prima volta fuori dell'abitazione perche'  temporeggiava  davanti
alla porta. 
    La  credibilita'  delle  due  persone  offese  si  desume   anche
dall'assenza di profili soggettivi  idonei  a  inficiarla,  anche  in
relazione al comportamento tenuto  dalle  stesse  successivamente  ai
fatti, avendo entrambe rimesso la  querela  dopo  aver  transatto  le
questioni risarcitorie. Cio' dimostra  l'assenza  da  parte  loro  di
intenti ritorsivi. 
  2.3. I reati diversi dal sequestro di persona. 
    Le  dichiarazioni  delle  due  persone  offese  dimostrano  senza
possibilita' di smentita la consumazione ad opera  dell'imputato  dei
reati di violazione di domicilio e  di  lesioni  personali,  entrambi
aggravati dall'uso delle armi. Le  lesioni  riportate  dalle  persone
offese risultano dai documenti rilasciati dal pronto soccorso e  sono
assolutamente compatibili con  la  ricostruzione  dei  fatti  operata
dalle stesse. 
    Si ritiene invece che il reato di  minaccia,  aggravato  dall'uso
delle armi ex art. 612, comma 2, c.p., cosi' come contestato dal  Pm,
resti assorbito nel delitto di sequestro di persona: le minacce  e  i
gesti di violenza fisica costituivano in concreto l'azione coercitiva
attraverso la quale l'imputato privava le due  persone  offese  della
liberta' personale. 
    I delitti di violazione di domicilio e di lesioni personali  sono
procedibili d'ufficio, in quanto entrambi  aggravati  dall'uso  delle
armi, ai sensi, rispettivamente, degli articoli  614,  ultimo  comma,
seconda parte, e 582, comma secondo, 585, comma primo, c.p. 
    Tuttavia, la procedibilita' ex officio di tali delitti non  rende
procedibile d'ufficio anche quello di sequestro  di  persona,  atteso
che per quest'ultimo reato non e' stata esclusa la  procedibilita'  a
querela  in  caso  di  connessione  con  altro  delitto   procedibile
d'ufficio, come invece la legge prevede espressamente in  altri  casi
(v., a titolo di esempio, la norma ex art. 609-septies, comma  4,  n.
4, c.p., per quanto riguarda i delitti di violenza sessuale). 
    Benvero,  la  questione  piu'  complessa  oggetto  del   presente
giudizio e' senz'altro quella attinente alla qualificazione giuridica
del fatto contestato come sequestro di persona, sulla  quale  infatti
si sono principalmente concentrate tanto l'accusa quanto la difesa. 
  2.4. I reati di sequestro di persona. 
    La difesa dell'imputato ha chiesto che i delitti di sequestro  di
persona contestati dall'accusa siano ricondotti alla fattispecie meno
grave di violenza privata, in quanto le condotte  di  minaccia  e  di
violenza fisica compiute anche tramite l'uso di un'arma non sarebbero
state  finalizzate  in  via  esclusiva  a  impedire  la  liberta'  di
movimento delle  vittime,  bensi'  a  costringerle  ad  assistere  al
suicidio che l'imputato avrebbe avuto in proposito di compiere, e poi
fortunatamente non portato a termine. 
    La tesi difensiva, tuttavia, non e' condivisibile. 
    Qui si ritiene, infatti,  che  il  racconto  delle  due  vittime,
sostanzialmente  concordante  e  dunque  da   ritenere   attendibile,
consenta di considerare integrata la  fattispecie  del  sequestro  di
persona. 
    Secondo  il   costante   e   condivisibile   orientamento   della
Cassazione, il delitto di violenza privata, preordinato  a  reprimere
fatti di coercizione  non  espressamente  contemplati  da  specifiche
disposizioni di legge, ha in comune con il delitto  di  sequestro  di
persona l'elemento materiale della costrizione, ma se ne  differenzia
perche' in esso viene lesa la liberta' psichica di autodeterminazione
del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene  lesa  la
liberta'  di  movimento;  ne  consegue  che,  per  il  principio   di
specialita'  di  cui  all'art.  15  del   codice   penale,   non   e'
configurabile il delitto di violenza  privata  qualora  la  violenza,
fisica o morale, sia stata usata direttamente ed  esclusivamente  per
privare la persona offesa della liberta' di movimento (cfr., Sez.  5,
sentenza n.  44548  dell'8  maggio  2015).  Per  contro,  laddove  la
violenza fisica o morale sia utilizzata, oltre che  per  limitare  la
liberta' di movimento, anche  per  costringere  la  vittima  a  fare,
omettere o tollerare un'azione determinata, sara' configurabile anche
il delitto di violenza privata in concorso con quello di sequestro di
persona (cfr., in tal senso, Cass. Pen., Sez. 5,  sentenza  n.  10543
del  31  ottobre  2014).  In  altre   parole,   secondo   l'indirizzo
giurisprudenziale che qui si condivide, se vi e' stata una privazione
della liberta' di movimento per un tempo giuridicamente apprezzabile,
la violenza privata non puo' assorbire il reato di cui  all'art.  605
c.p., attesa la natura  sussidiaria  del  primo  delitto  rispetto  a
quest'ultimo. Dal momento che i due delitti tutelano  beni  giuridici
diversi - rispettivamente, la liberta' della persona  e  la  liberta'
morale - se vi e' stata limitazione della liberta' di movimento della
vittima per un tempo giuridicamente apprezzabile, il soggetto  attivo
deve rispondere del piu' grave reato  di  sequestro  di  persona,  in
quanto  il   delitto   di   violenza   privata   (punito   con   pena
significativamente inferiore) non esaurisce  l'intero  disvalore  del
fatto concreto. 
    Ebbene, nel caso di specie, la condotta compiuta dall'imputato  -
iniziata fuori dell'abitazione e conclusasi nel  momento  in  cui  lo
stesso, cedendo alle ripetute  richieste  della  B.  permetteva  alla
stessa  di  uscire  per  effettuare  con  il  telefono  la   chiamata
d'emergenza - e' senz'altro idonea  a  integrare  la  fattispecie  di
sequestro di persona, atteso che  entrambe  le  persone  offese  sono
state private della liberta' di  movimento  per  un  lasso  di  tempo
giuridicamente apprezzabile (tra i dieci e i quindici minuti). 
    L'obiezione  difensiva  -  in  base  alla  quale   l'orientamento
giurisprudenziale sopra richiamato finirebbe di fatto con l'escludere
ogni spazio applicativo al delitto  di  violenza  privata,  dato  che
l'azione di costringimento a fare, tollerare o omettere implicherebbe
necessariamente anche una limitazione della liberta' di  movimento  -
non e' condivisibile. 
    Vi sono ipotesi, in realta', in cui la condotta  costrittiva  non
lede la liberta' di movimento, bensi' unicamente la  liberta'  morale
(si pensi al caso in  cui  un  soggetto  venga  minacciato  affinche'
rimetta la querela nei confronti del soggetto attivo; oppure al  caso
in cui alla persona offesa sia impedito di entrare in un  determinato
luogo, ma non gia' di spostarsi liberamente in ogni altra direzione).
Vi sono inoltre dei casi in cui e' configurabile la violenza  privata
in ragione della durata istantanea della privazione della liberta' di
movimento, oltre che della liberta' morale: si pensi alla ipotesi  in
cui a un automobilista venga tagliata la strada  per  costringerlo  a
fermarsi. Per contro, laddove la liberta' di movimento  sia  limitata
per un tempo giuridicamente apprezzabile, sara' configurabile il piu'
grave delitto di sequestro di persona. 
    Nel caso che ci occupa, le due persone offese sono state  private
in modo assoluto della liberta' di movimento per un  lasso  di  tempo
giuridicamente apprezzabile. 
    L'imputato, infatti, in un primo momento impediva alle vittime di
allontanarsi mentre si trovavano fuori dell'abitazione  minacciandole
con   la   pistola;   dopodiche',   le    costringeva    a    entrare
nell'appartamento, colpendo con il casco il M. a fronte del tentativo
di rifiuto da parte di questi e spingendo a forza  la  B.  per  farla
entrare, minacciandoli al contempo con la pistola. Ulteriore elemento
da valorizzare e' la circostanza che l'imputato,  una  volta  entrati
tutt'e tre, chiudeva la porta d'ingresso sbattendola con forza (tanto
da danneggiarne i  vetri,  come  riferito  dal  M.):  gesto,  questo,
altamente sintomatico della volonta' del N. di  impedire  agli  altri
due di uscire dall'abitazione, nonostante le  implorazioni  disperate
da  parte  soprattutto  della  coniuge,  ma  anche   del   M.   Dalle
dichiarazioni di entrambe le  vittime  si  ricava  che  la  B.  aveva
chiesto piu' volte all'imputato di permetterle di chiamare i soccorsi
e che lui all'inizio si era opposto, minacciando il compimento di  un
pluriomicidio-suicidio e colpendo al contempo entrambi (il M. per ben
due volte con il casco, e anche la B.  con  la  canna  della  pistola
allorche' la stessa si era avvicinata al suo compagno  per  toccargli
la fronte). Il M. ha precisato che la  B  aveva  chiesto  piu'  volte
all'imputato di farla uscire, ma che questi si era messo davanti alla
porta per impedirglielo, e che solo dopo diversi  tentativi  lei  era
riuscita a convincerlo. 
    E' dunque dimostrato che le persone  offese  sono  state  private
della  liberta'  personale  per  un  lasso  di  tempo  giuridicamente
apprezzabile. A tal proposito, l'obiezione difensiva secondo  cui  la
durata complessiva  della  privazione  della  liberta'  di  movimento
sarebbe durata meno dei quindici  minuti  determinati  dalla  polizia
giudiziaria sulla base del racconto delle vittime e dell'orario della
telefonata effettuata dalla B. al 118, e' in ogni  caso  ininfluente:
se anche la limitazione si fosse protratta per  dieci,  anziche'  per
quindici minuti,  si  tratterebbe  comunque  di  un  lasso  di  tempo
giuridicamente apprezzabile, idoneo a far configurare il sequestro di
persona. Si richiama, a tal riguardo, l'orientamento  espresso  dalla
Cassazione con la sentenza n. 43713 dei 2002, riguardante un caso  in
cui la limitazione della  liberta'  di  movimento  -  ritenuta  dalla
suprema Corte idonea a configurare il sequestro di persona,  anziche'
la violenza privata - era durata non piu' di sei/sette minuti. 
    La conclusione che qui si sostiene,  opposta  a  quella  invocata
dalla difesa, trova un elemento indiretto  di  conferma  anche  nello
stato d'animo provato dalle vittime in quel momento. La B., risentita
durante le indagini, ha precisato che, nel  ripensare  in  seguito  a
quegli interminabili minuti, si era ricordata che a un  certo  punto,
mentre ancora si trovavano fuori  dall'abitazione,  le  era  balenata
l'idea  di  fuggire:  pensiero,  questo,  che  aveva   pero'   subito
accantonato per paura della reazione dell'imputato. Da cio' si ricava
che le persone offese hanno vissuto quegli interminabili momenti  con
lo stato d'animo di chi sa di non potersi muovere liberamente. 
    A  deporre  contro  la  richiesta  della  difesa  vi   e'   anche
un'ulteriore considerazione. Infatti,  secondo  la  difesa  il  fatto
dovrebbe essere qualificato come violenza privata perche' l'azione di
costringimento fisico dell'imputato era finalizzata a costringere  le
vittime ad assistere al suo suicidio; tale assunto, tuttavia, risulta
smentito dai racconti delle due persone offese, la cui  versione  dei
fatti e'  senz'altro  piu'  credibile  rispetto  a  quella  sostenuta
dall'indagato durante l'interrogatorio. Entrambe  le  persone  offese
hanno  dichiarato  che  l'imputato   sia   nella   fase   antecedente
all'ingresso nell'abitazione sia una volta dentro  aveva  piu'  volte
minacciato che li avrebbe uccisi entrambi, prima di suicidarsi. 
    Cio' dimostra che la privazione della loro liberta' di  movimento
non era finalizzata a costringere le  vittime  ad  assistere  al  suo
suicidio, come sostenuto dalla difesa, ma  semmai  alla  consumazione
del  pluri-omicidio  (che  non  poteva  che   precedere   l'eventuale
suicidio):  di  talche',  avendo   poi   l'imputato   volontariamente
desistito  dal  proposito  omicida,  se  da  un  lato  egli  non   e'
responsabile del tentativo di pluri-omicidio,  dall'altro  lo  stesso
deve invece rispondere  della  condotta  gia'  consumata,  consistita
nella privazione della loro liberta' personale per un lasso di  tempo
giuridicamente apprezzabile, ai sensi dell'art.  56,  comma  3,  c.p.
Sicche', anche per questa ragione si ritiene configurabile il duplice
reato di sequestro di persona. 
    Ricorrono inoltre anche gli altri requisiti soggettivi  necessari
per la configurazione dei reati ex  art.  605  c.p.  In  particolare,
quanto alla imputabilita', non ci sono  elementi  per  sostenere  che
l'imputato ne difettasse in modo assoluto. La difesa ha prodotto  una
consulenza tecnica a firma del dott. R. F., secondo cui il N. avrebbe
agito in quel momento  in  uno  stato  psicopatologico  tale  da  far
scemare grandemente le sue capacita' di intendere  e  di  volere.  Lo
stesso  consulente  della  difesa,  dunque,  ha  concluso   per   una
limitazione parziale della capacita' di intendere e di volere, e  non
gia' totale. Ma e' soprattutto la reazione avuta dall'imputato  nella
fase conclusiva dell'azione delittuosa a dimostrare che lo stesso non
versava in uno stato di totale incapacita' di intendere e di  volere.
Com'e' emerso in sede di ricostruzione del fatto, il N.  nel  momento
in cui decideva di desistere dall'azione delittuosa consentendo  alla
B.  di  effettuare  la  telefonata  per  chiedere  l'intervento   dei
soccorsi, le manifestava i suoi timori per le conseguenze che avrebbe
subito, tanto che la coniuge lo rassicurava che avrebbe  fornito  una
versione  diversa,  a  dimostrazione  del  fatto  che  egli  era  ben
consapevole  che  aveva  appena  inflitto  alle   due   vittime   una
illegittima restrizione della liberta' di movimento,  che  e'  quanto
basta per ravvisare il dolo generico richiesto dal  delitto  ex  art.
605 c.p. 
    Nel  corso  delle  indagini,  l'atteggiamento  del  N.  e'  stato
senz'altro collaborativo, avendo anche provveduto a risarcire i danni
alle due persone offese, le quali hanno entrambe rimesso  la  querela
nei  suoi  confronti.  Vi  sono   dunque   le   condizioni   per   il
riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62  n.  6  c.p.  e  di
quella di cui all'art. 89 c.p., in relazione a  quanto  emerso  dalla
c.t. prodotta dalla difesa. All'esito di una valutazione  complessiva
del fatto e degli elementi che connotano l'intera vicenda, si ritiene
che   tali   attenuanti   possano   essere   dichiarate    prevalenti
sull'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. 
    Tuttavia, ai fini della rilevanza della  presente  questione,  si
osserva che tale esito del bilanciamento ex art. 69 c.p. non  esclude
la procedibilita' d'ufficio del delitto di sequestro  di  persona  in
danno della coniuge, atteso che, secondo un consolidato  orientamento
della giurisprudenza di legittimita', la dichiarazione di  prevalenza
o di equivalenza di un'attenuante sull'aggravante da cui  dipende  la
procedibilita' d'ufficio non muta il  regime  di  procedibilita',  in
quanto il  giudizio  di  bilanciamento  rileva  solo  ai  fini  della
determinazione della pena (cfr., tra le altre, Cass.  Pen.,  Sez.  5,
sentenza n. 4843 del 3 marzo 1980). 
    In  definitiva,  nel   nostro   caso,   anche   all'esito   della
dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche  e  di  quella
di' cui all'art. 89 c.p. sull'aggravante di cui all'art.  605,  comma
2, n. 1, c.p., il reato di sequestro di  persona  commesso  in  danno
della coniuge resterebbe comunque procedibile  d'ufficio;  mentre  il
medesimo reato compiuto in danno di M. D., non essendo ravvisabile in
ordine ad esso l'aggravante specifica, e' oggi procedibile a querela. 
  2.5. L'attuale regime di procedibilita' del sequestro di persona. 
    L'art. 1, del decreto legislativo n. 150 del 2022, ha inserito il
comma sesto nell'art. 605 del codice penale, in  cui  si  prevede  la
punibilita' a querela della persona offesa per le ipotesi di  cui  al
comma primo, salvo il caso in cui il fatto sia commesso in  danno  di
persona incapace, per eta' o  infermita'.  La  nuova  disciplina  del
regime di  procedibilita',  introdotta  dal  decreto  legislativo  n.
150/2022, e'  applicabile  anche  ai  fatti  anteriormente  commessi,
attese  la  natura  sostanziale  della  stessa   e   la   conseguente
applicabilita' del principio di retroattivita' della  normativa  piu'
favorevole ex art. 2, comma  4,  c.p.  Cio'  e'  confermato,  d'altra
parte, dal regime transitorio, che consentiva, nei  casi  di  delitti
punibili d'ufficio prima della novella normativa, alla parte  che  ne
aveva diritto di proporre querela entro novanta  giorni  dall'entrata
in vigore della riforma. 
    Dunque, la nuova disciplina sulla procedibilita'  a  querela  del
sequestro di persona introdotta dall'ultimo comma dell'art. 605  c.p.
e' applicabile anche ai fatti anteriormente commessi, come quelli per
cui si procede. 
    Ora, risulta dagli atti che entrambe le persone offese del  reato
di sequestro di persona hanno dichiarato di rimettere la querela  nei
confronti dell'imputato e all'ultima udienza la difesa ha prodotto la
dichiarazione di accettazione da parte dello stesso. 
    E' utile premettere che la disposizione di cui all'art.  122  del
codice penale - per la quale il  reato  commesso  in  danno  di  piu'
persone e' punibile anche se la querela e' proposta da  una  soltanto
di esse - non e' applicabile nell'ipotesi  in  cui  una  sola  azione
comporti piu' violazioni della stessa  disposizione  penale,  ledendo
distinti soggetti, in quanto  tale  situazione  integra  un  concorso
formale di reati in danno di piu' persone, in  cui  la  «reductio  ad
unum» e' preordinata solo ad un piu'  benevolo  regime  sanzionatorio
che non incide sulla autonomia dei singoli reati, di  guisa  che,  in
tal caso, la procedibilita' di ciascun  reato  e'  condizionata  alla
querela della rispettiva persona offesa (cfr., per tutte, Cass. Pen.,
Sez. 5^, sentenza n. 57027 del 22 ottobre 2018). Ne consegue,  stante
la indicata autonomia dei reati, che ogni delitto resta  soggetto  al
proprio regime di procedibilita', sicche' il delitto di sequestro  di
persona commesso nei confronti di M. D. non essendo aggravato ex art.
605, comma 2, n. 1, c.p., e' oggi punibile a  querela  della  persona
offesa. Ne',  d'altra  parte,  il  reato  de  quo  si  puo'  ritenere
procedibile d'ufficio in quanto connesso con gli altri  reati  a  lui
contestati (violazione di domicilio  e  lesioni  personali,  entrambi
aggravati dall'uso delle armi), dato che, come  gia'  evidenziato  in
precedenza, per il reato di sequestro di persona non e'  prevista  la
procedibilita' d'ufficio in caso di  connessione  con  altri  delitti
procedibili d'ufficio. Si e' pertanto  realizzata  la  estinzione  di
tale delitto nei suoi confronti a seguito della remissione di querela
da parte dell'offeso e  della  accettazione  della  stessa  ad  opera
dell'imputato. 
    Ad analoga conclusione non si puo' invece pervenire in ordine  al
delitto di sequestro di persona in danno di  B.  E.,  nonostante  che
siano state acquisite la dichiarazione di remissione  di  querela  da
parte di lei e di accettazione ad opera dell'imputato, risultando  in
questo caso fondata la contestazione dell'aggravante di cui  all'art.
605, comma 2, n. 1, c.p., che comporta la  procedibilita'  d'ufficio,
atteso che la punibilita' a querela di parte e' stata prevista per la
ipotesi di cui al comma primo, da cui si ricava il chiaro intento del
legislatore delegato  di  escluderla  in  caso  di  ricorrenza  delle
aggravanti di cui ai commi 2 e 3. Per mero scrupolo, si  osserva  che
la circostanza che i due coniugi fossero separati di fatto da diversi
mesi  al   momento   del   delitto   non   esclude   la   sussistenza
dell'aggravante de qua, poiche' il rapporto di coniugio  si  estingue
soltanto con la sentenza di divorzio. L'art. 605, comma 2, n. 1, c.p.
fa riferimento  al  coniuge  senza  operare  alcuna  distinzione  tra
coniuge separato e non. La legge n. 4 del 2018 ha  modificato  l'art.
577 inserendo le  parole  «o  contro  il  coniuge,  anche  legalmente
separato, contro l'altra parte...», mentre analoga  modifica  non  e'
stata apportata all'art. 605, secondo comma, n.  1,  che  continua  a
fare  riferimento  semplicemente   al   «coniuge»   senza   ulteriori
specificazioni. In ogni caso,  secondo  il  consolidato  orientamento
della Cassazione, l'aggravante de qua  sussiste  anche  nel  caso  di
coniuge separato,  in  quanto  la  separazione,  come  e'  noto,  non
estingue il rapporto di coniugio (cfr., Cass. Pen., Sez. 5,  sentenza
n. 13273 del 15 gennaio 2020: in tema di delitti  contro  la  vita  e
rincolumita'   individuale,   ai    fini    della    configurabilita'
dell'aggravante del rapporto di  coniugio,  prevista  dall'art.  577,
comma primo, n. 1, del codice penale,  e'  irrilevante  l'intervenuta
separazione personale tra i coniugi anche con  riferimento  ai  fatti
commessi prima dell'entrata in vigore della legge 11 gennaio 2018, n.
4. Cio' in quanto,  si  e'  precisato  in  motivazione,  la  modifica
legislativa,   che   ha   espressamente    esteso    l'applicabilita'
dell'aggravante anche ai coniugi separati, si e' limitata sul punto a
recepire quanto da  tempo  gia'  affermato  dalla  giurisprudenza  di
legittimita'). Si deve dunque  concludere  che  mentre  il  reato  di
sequestro di persona nei  confronti  di  M.  D.  si  e'  estinto  per
remissione di querela da parte sua ed accettazione  della  stessa  ad
opera dell'imputato, la stessa conclusione non vale per  il  medesimo
delitto commesso in danno della coniuge separata  di  fatto,  sebbene
anche la B. abbiano rimesso la querela nei suoi confronti, in ragione
dell'aggravante di cui  all'art.  605,  comma  2,  n.  1,  c.p.,  che
comporta la procedibilita' d'ufficio. Ne', d'altra parte,  come  gia'
precisato sopra, il regime  di  procedibilita'  potrebbe  cambiare  a
seguito della dichiarazione di prevalenza delle attenuanti. Di qui la
rilevanza  della  presente  questione:  raccoglimento  della   stessa
comporterebbe la dichiarazione  di  estinzione  anche  del  reato  di
sequestro di persona  nei  confronti  di  B.  E.  per  remissione  di
querela, con  la  conseguenza  che  l'istanza  di  messa  alla  prova
formulata in via principale dalla  difesa  potrebbe  essere  accolta,
consentendolo le pene edittali previste per gli altri reati  ritenuti
sussistenti a carico del N. 
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione 
  3.1. In relazione all'art. 3 della Costituzione. 
    La  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  ricordato,  in  linea
generale, che le scelte sanzionatorie del legislatore possono  essere
sindacate soltanto entro i limiti della  manifesta  irragionevolezza,
con l'ulteriore  precisazione  che  tale  standard  vige  -  piu'  in
particolare - anche  rispetto  alle  scelte  relative  al  regime  di
procedibilita' dei singoli reati (sentenza n. 248 del 2020; ordinanza
n. 178 del 2003 e precedenti ivi citati). 
    Cio' detto, si ritiene che nel caso di specie il  regime  attuale
contrasti con il parametro  della  ragionevolezza  ex  art.  3  della
Costituzione. 
    L'ultimo comma dell'art. 605 c.p., introdotto dalla c.d.  riforma
Cartabia, prevede la punibilita' a querela della persona offesa nelle
ipotesi di sequestro di persona di cui al comma primo, salvo il  caso
in cui il fatto sia commesso in danno di persona incapace, per eta' o
infermita'. Dalla  formulazione  di  tale  norma  si  desume  che  il
legislatore ha voluto escludere la punibilita' a querela nei casi  in
cui siano configurabili le aggravanti  di  cui  ai  commi  successivi
dello stesso articolo. 
    Ed e' per tale ragione che, in sede di primo commento,  e'  stato
detto che il delitto ex art.  605  c.p.  e'  divenuto  procedibile  a
querela nei casi di sequestro di persona semplice. Tale  affermazione
potrebbe tuttavia risultare fuorviante,  atteso  che  in  realta'  il
sequestro di persona e' oggi procedibile a querela  non  solo  quando
risulti in nessun modo aggravato, bensi' anche nelle ipotesi  in  cui
ricorrono aggravanti diverse da quelle previste dall'art.  605  c.p.,
tant'e' vero che il legislatore,  probabilmente  anche  sulla  spinta
delle molte voci critiche levatesi dai settori maggiormente impegnati
nella lotta alla criminalita' organizzata,  e'  intervenuto  a  pochi
mesi di distanza dall'entrata in vigore della  riforma  in  questione
emanando la legge 24 maggio 2023, n. 60, recante «Norme in materia di
procedibilita' d'ufficio e di arresto in flagranza», con cui e' stata
prevista  la  procedibilita'  d'ufficio  nei  casi   in   cui   siano
ravvisabili le aggravanti del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.)  o
della finalita' di terrorismo (art. 270-bis.1 c.p.). 
    Pertanto, e' forse piu' corretto affermare che, alla  luce  della
disciplina vigente, il delitto di  sequestro  di  persona  e'  sempre
procedibile a querela della persona offesa, fatta  eccezione  per  le
ipotesi in cui: 
      a) il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per
eta' o infermita' (art. 605, comma primo); 
      b) ricorrano le aggravanti di  cui  all'art.  605,  commi  2-3,
c.p.; 
      c) ricorrano le aggravanti del metodo mafioso o della finalita'
di terrorismo  o  altra  aggravante  diversa  da  quelle  comuni  che
comporti  ex  lege   la   procedibilita'   d'ufficio   (ad   esempio,
l'aggravante ex art. 604 ter c.p.,  che  comporta  la  procedibilita'
d'ufficio ai sensi dell'art.  6,  legge  decreto-legge  n.  122/1993,
convertito nella legge n. 205/1993). 
    Al di fuori di queste ipotesi, il delitto e' sempre procedibile a
querela della persona offesa, anche quando ricorrono piu' circostanze
aggravanti tra quelle indicate dall'art.  61  c.p.  o  una  qualsiasi
altra  aggravante  che  non  comporti  ex  lege   la   procedibilita'
d'ufficio. 
    La ratio della riforma normativa che ha esteso la  procedibilita'
a querela in ordine anche ad alcuni reati contro la persona, tra  cui
quello di cui qui si discute, si desume dalla relazione  illustrativa
del decreto legislativo recante attuazione della legge  27  settembre
2021 n. 134 (delega al governo per l'efficienza del  processo  penale
nonche' in materia di giustizia  riparativa  e  disposizioni  per  la
celere definizione dei  procedimenti  giudiziari).  L'estensione  del
regime di procedibilita' a querela anche ai reati contro  la  persona
e' stato giustificato  come  «un  forte  incentivo  alla  riparazione
dell'offesa nonche'  alla  definizione  anticipata  del  procedimento
penale attraverso la remissione della querela o  l'attivazione  della
causa estintiva di cui all'art.  162  ter  c.p.».  Segnatamente,  per
quanto riguarda la modifica della procedibilita' riguardo al  delitto
di sequestro di persona, si legge nella medesima  relazione  che  «la
dimensione  personale  del  bene  giuridico  tutelato  suggerisce  di
prevedere  la  procedibilita'  a  querela  rispetto  a  ipotesi   non
aggravate che - come manifesta il basso limite minimo edittale  della
pena detentiva comminata (sei mesi) - possono  presentare  e  non  di
rado presentano nella prassi una ridotta offensivita'.»  Come  esempi
di fattispecie concrete di lieve  offensivita',  nella  relazione  si
richiamavano alcuni casi, esaminati dalla giurisprudenza, in  cui  la
privazione della liberta' di movimento aveva avuto una  durata  molto
breve (c.d. sequestri-lampo). 
    Ora, individuata in questi termini  la  ragione  giuridica  della
estensione del regime di procedibilita' a querela, si ritiene che  la
scelta del legislatore di conservare la procedibilita' d'ufficio  nel
caso in cui ricorra l'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n.  1,
c.p.,  sia  contraddittoria  e  comunque  priva  di  una  ragionevole
giustificazione,  percio'   in   contrasto   con   l'art.   3   della
Costituzione. Cio'  in  quanto  l'esigenza  di  favorire  il  bonario
componimento e  la  riappacificazione  tra  le  parti  coinvolte  dal
delitto non ricorre soltanto nei casi in  cui  le  stesse  non  siano
legate da rapporti di parentela, ma  vieppiu'  quando  si  tratti  di
stretti congiunti. 
    Si legge sempre nella  relazione  illustrativa  indicata  che  e'
stata conservata «la procedibilita' d'ufficio nelle  ipotesi  in  cui
viene in rilievo una dimensione sovra-individuale  dell'offesa  (beni
pubblici o a titolarita' diffusa) o vi e' una particolare esigenza di
tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere
nella scelta processuale di presentare una querela». Ora,  quanto  al
primo aspetto, si evidenzia come la circostanza che  il  delitto  sia
stato compiuto in danno di un congiunto non comporta un'offesa a beni
pubblici o di titolarita' diffusa. 
    Tale contraddizione, peraltro, si  desume  proprio  dal  richiamo
operato in sede di relazione illustrativa ai casi di  c.d.  sequestri
lampo. Nel richiamare alcuni precedenti, ritenuti dal legislatore  di
scarsa offensivita' e  dunque  tali  da  giustificare  l'introduzione
della procedibilita' a querela, si e' fatto anche riferimento al caso
esaminato dalla Cassazione nella sentenza n. 18186 del 2009,  in  cui
l'imputato e' stato ritenuto responsabile del delitto de quo per aver
chiuso in terrazzo sua madre per venti  minuti.  Il  richiamo,  nella
relazione illustrativa, di tale specifico  precedente  della  suprema
Corte, lasciava implicitamente intendere l'opportunita'  che  episodi
come quello diventassero procedibili a querela, si  da  offrire  alla
vittima  la  facolta'  di  scegliere  se  dare  avvio   o   meno   al
procedimento, anche al fine di  promuovere  la  bonaria  composizione
della lite. Nell'operare tale richiamo, tuttavia, non ci si  e'  resi
conto che il precedente richiamato  non  e'  toccato  dalla  riforma,
restando   anche   oggi   procedibile   d'ufficio,    in    relazione
all'aggravante  prevista  dal  secondo  comma  dell'art.   605   c.p.
L'attuale disciplina non consente al coniuge (ne' a un ascendente o a
un discendente  vittima  del  reato)  di  rimettere  la  querela  nei
confronti del congiunto e cio' si appalesa in contrasto  sia  con  la
ratio della specifica normativa in questione,  volta  a  favorire  il
piu' possibile  la  bonaria  composizione  tra  soggettivo  attivo  e
persona  offesa,  sia  piu'  in  generale   con   la   finalita'   di
riconciliazione dei  rapporti  familiari,  costituendo  «la  garanzia
dell'unita familiare» un valore  di  rango  costituzionale  (art.  29
della Costituzione). 
    Si potrebbe obiettare che il legislatore ha scelto  di  estendere
il regime di procedibilita' solo alle ipotesi di sequestro di persona
di cui al comma primo, in quanto ritenute di minore  offensivita'.  E
in  effetti  questa  conclusione  parrebbe  trovare  conferma   nella
relazione illustrativa  sopra  citata,  in  cui  si  afferma  che  la
punibilita' a querela viene prevista per l'ipotesi meno grave di  cui
al comma primo, con esclusione dei fatti commessi in danno di persona
incapace.  In  altre  parole,  la  scelta  sui  diverso   regime   di
procedibilita' si giustificherebbe nella  minore  offensivita'  delle
fattispecie riconducibili al primo comma dell'art.  605  c.p.  Ma  e'
agevole replicare  che,  nell'operare  tale  scelta,  il  legislatore
delegato non ha debitamente considerato che l'ambito  applicativo  di
cui al comma  primo  e'  tale  da  ricomprendere  un'ampia  gamma  di
fattispecie  con  gradi  di  offensivita'  anche   significativamente
diversi, come si desume d'altronde dalla cornice edittale che  va  da
un minimo di sei mesi a  un  massimo  di  otto  anni  di  reclusione.
Inoltre, la procedibilita' a querela di parte non  e'  stata  esclusa
neppure nelle ipotesi in cui il sequestro di  persona  ex  art.  605,
primo comma, risulti aggravato da una o  piu'  aggravanti  comuni  ex
art. 61 c.p. o da altre aggravanti, diverse da quelle della finalita'
di terrorismo o  di  agevolazione  mafiosa,  per  le  quali  non  sia
espressamente prevista la procedibilita' d'ufficio.  Dunque,  non  si
puo' ritenere che la procedibilita' a querela sia riservata  soltanto
alle ipotesi minori di  sequestro  di  persona,  essendo  in  realta'
prevista anche in ordine  ad  ipotesi  che  si  possono  rivelare  in
concreto molto piu' offensive di fattispecie aggravate ai  sensi  del
secondo comma dell'art. 605. Valga questo esempio.  Si  pensi  da  un
lato al caso in cui il sequestro di persona sia compiuto di  notte  e
con crudelta' a discapito di una persona anziana, e,  dall'altro,  al
caso di una madre che, stanca del comportamento indolente del  figlio
maggiorenne, lo chiuda a chiave nella sua  camera,  privandolo  della
liberta' personale per una ventina di minuti. Ebbene, nonostante  che
il fatto oggetto del primo esempio, pluriaggravato ai sensi dell'art.
61 nn. 4 e 5, c.p., risulti indubitabilmente piu' grave ed  offensivo
dell'altro, la punibilita' a querela e' riservata solo in  ordine  ad
esso, mentre il sequestro-lampo commesso dalla  madre  della  persona
offesa,  nell'altro  esempio,  e'  procedibile  d'ufficio   per   via
dell'aggravante di cui all'art. 605, comma 2, n. 1, c.p. 
    Si  ritiene,  di  conseguenza,  che  il  discrimine  operato  dal
legislatore delegato sul regime di procedibilita'  del  sequestro  di
persona  si  riveli  palesemente  incongruo,  posto  che  in  realta'
l'ambito applicativo del primo comma e' tale da ricomprendere ipotesi
di reato che possono rivelarsi in concreto molto  piu'  offensive  di
altre fattispecie aggravate ai sensi dell'art. 605, comma  2,  n.  1,
c.p. 
    A conferma di tale conclusione, si evidenzia come l'aggravante di
cui all'art. 605, comma 2, c.p., sia annoverabili tra le  circostanze
indipendenti, ma non  ad  effetto  speciale,  in  quanto  prevede  un
aumento della pena massima  inferiore  a  un  terzo  (aumento  di  un
quarto, per la precisione: da otto a dieci anni di  reclusione).  Per
contro, le aggravanti comuni ex art. 61  consentono  l'aumento  della
pena sino ad un terzo, con la conseguenza che il delitto di sequestro
di  persona  ex  art.  605,  comma  primo,  ove  risulti  applicabile
un'aggravante comune, e' punibile con la pena massima di anni dieci e
mesi otto di reclusione, superiore a quella  prevista  per  l'ipotesi
aggravata di cui al secondo comma. Cio' dimostra che non puo'  essere
il criterio della  diversa  offensivita'  a  giustificare  la  scelta
normativa sul regime di procedibilita'. 
    Ove  invece  si  volesse  giustificare  la  scelta  normativa  in
relazione alla particolare condizione in  cui  potrebbe  trovarsi  il
coniuge, tale da non renderlo  libero  nella  scelta  processuale  di
presentare una querela, la stessa risulterebbe asimmetrica rispetto a
quanto previsto  dallo  stesso  legislatore  delegato  in  ordine  al
delitto di lesioni personali aggravato ai sensi dell'art. 577, n.  1,
c.p. Il decreto legislativo n. 150 del 2022, infatti,  nell'estendere
il regime di procedibilita' a querela in ordine al delitto di lesioni
personali, lo ha previsto anche nel caso in cui ricorra  l'aggravante
del fatto commesso nei confronti del coniuge (legalmente  separato  o
non), in maniera dunque opposta alla  scelta  operata  in  ordine  al
sequestro di persona. Peraltro, l'esigenza  di  tutelare  le  persone
esposte  a  un  rischio  di  condizionamento  non  sarebbe   comunque
ravvisabile nei casi di coniugi non piu' conviventi  al  momento  del
fatto, a seguito di separazione giudiziale o di fatto -come nel  caso
per  cui  si  procede  -  atteso  che  di  norma  la   posizione   di
vulnerabilita'  del  coniuge  e'  legata  proprio  al   rapporto   di
convivenza, mentre la formulazione attuale della disposizione de  qua
non distingue tra coniugi conviventi e non. 
    Proprio alla luce  di  quest'ultima  considerazione,  si  ritiene
necessario  sollevare  la  questione  in  forma   gradata:   in   via
principale, con riferimento al coniuge senza alcuna  distinzione;  in
via subordinata, con riferimento al coniuge non  piu'  convivente  al
momento del fatto. 
  3.2. Sulla non manifesta  infondatezza  in  relazione  all'art.  76
della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 15, della legge delega n. 134 del 2021,  riguardo
alla estensione del regime  di  procedibilita'  ai  reati  contro  il
patrimonio e alla persona, indicava due specifici principi e  criteri
direttivi: 
      a) il limite, costituito dalla pena detentiva non superiore nel
minimo a due anni; 
      b) la previsione che, ai fini della determinazione  della  pena
detentiva, non si tenesse conto delle circostanze, facendo  salva  la
procedibilita' d'ufficio in caso di incapacita' della persona offesa,
per eta' o infermita'. 
    Ebbene, si ritiene che il legislatore delegato, nell'escludere la
procedibilita' a querela in caso di sequestro di persona aggravato ai
sensi dell'art. 605, comma 2, n. 1, c.p., abbia violato il  principio
direttivo di cui sub b). 
    La legge delega, infatti, nell'affidare al  legislatore  delegato
il compito di individuare i reati contro il patrimonio  e  contro  la
persona da rendere punibili a querela di  parte,  fissava  il  limite
della  pena  detentiva  non  superiore  nel  minimo   a   due   anni,
prescrivendo al contempo che ai fini del calcolo della  pena  non  si
tenesse  conto  delle  circostanze  (senza  alcuna  distinzione   tra
circostanze indipendenti e/o ad effetto speciale). La ratio  di  tale
ultima prescrizione era evidentemente quella, oltre che di  estendere
il piu' possibile il regime di procedibilita' a querela, di  impedire
che la contestazione di  un'aggravante  rendesse  automaticamente  il
reato procedibile d'ufficio, anche quando il singolo fatto, tenuto in
ipotesi conto della ricorrenza  di  circostanze  attenuanti,  potesse
risultare  in  concreto  non  piu'  offensivo  di  altre  fattispecie
semplici. 
    Il legislatore delegato, invece, nel riservare la  punibilita'  a
querela soltanto alle ipotesi di cui al comma primo, ha di fatto dato
rilevanza, ai fini della esclusione di tale regime,  alla  ricorrenza
della circostanza aggravante di cui al comma secondo n.  1,  violando
cosi' la specifica prescrizione della legge delega.