LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regionale per la Campania Nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 73565 del registro di segreteria, promosso dal procuratore regionale nei confronti di: 1) T.T. (codice fiscale ...), nato a ... (...), il ... ivi residente alla via ... n. ..., rappresentato e difeso dagli avvocati Eleonora Marzano (pec: elenora.marzano@pec.it) e Francesco Maria Caianiello (pec: francescomaria.caianiello@avvocatismcv.it); 2) V.M. (codice fiscale ...), nato a ..., il ... e residente a ... in ..., non costituito in giudizio; 3) C.V. (codice fiscale ...), nato a ..., il ... e residente a ... in via ..., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimiliano Cicoria (pec: massimilianocicoria@avvocatinapoli.legalmail.it) e dal prof. avv. Gaetano Di Martino (pec: gaetanodimartino@avvocatinapoli.legalmail.it); 4) L.V. (codice fiscale ...), nato a ..., il giorno ... e residente a ..., rappresentato e difeso dall'avv. Arturo Testa (pec: avv.testa@pec.giuffre.it); 5) B.F. (codice fiscale ...), nato a ..., il ... e residente a ... in ... rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marco Tiberii (pec: marcotiberii@avvocatinapoli.legalmail.it); 6) R.S. (codice fiscale ...), nato a ..., il ... e residente a ... in via ... - quartiere ..., rappresentato e difeso dall'avv. Luca Rubinacci (pec: lucarubinacci@legpec.it) e dall'avv. Paolo Rinaldi (pec: av.paolorinaldi@legalmail.it). All'esito dell'udienza collegiale del 16 novembre 2023, udite le parti costituite, ha emesso la seguente ordinanza; Premesso in punto di Fatto A. Con atto di citazione depositato telematicamente il 16 settembre 2022, la procura regionale conveniva in giudizio i soggetti in epigrafe generalizzati per sentirli condannare in favore del Comando legione carabinieri Campania al risarcimento di un danno erariale quantificato in complessivi euro ... (...) per il brigadiere T.T., convenuto in via principale a titolo di dolo, nonche' in euro ... (...) per i restanti soggetti evocati in via sussidiaria a titolo di colpa grave (per condotte omissive e/o commissive), in conseguenza di un ammanco di cassa dovuto a plurime riscossioni, da parte del cassiere T. di ... assegni non autorizzati (ossia non preceduti ne' da un ordine di pagamento, ne' seguiti da un ordine di riscossione) di cui, conseguentemente, non vi era alcuna traccia giustificativa nelle scritture contabili dell'amministrazione danneggiata. L'azione risarcitoria pubblica prendeva le mosse da due denunce, prot. n. ... del ... (prot. Cdc ... del ...) e ... del ... (prot. Cdc ... del ...), a firma del ten. col. S.R. e del ten. col. V.L., entrambi in servizio presso il Comando della legione Carabinieri Campania. In citazione i fatti dannosi venivano cosi' ricostruiti: indagini amministrative avevano portato all'accertamento di una illegittima sottrazione di somme di danaro ai danni del Comando legione carabinieri Campania, realizzata attraverso movimentazioni avvenute a mezzo riscossione assegni non autorizzati in un arco temporale andante dal ... al ... Sulla base dell'attivita' svolta da un'apposita commissione amministrativa d'inchiesta e delle indagini delegate ai Carabinieri del nucleo R.O.N.I. di Napoli dalla competente procura penale militare emergeva che detto ammanco era verosimilmente da attribuirsi alla condotta dolosa posta in essere dal brigadiere T. che, in quegli anni, aveva ricoperto il ruolo di cassiere. La scoperta dell'ammanco era emersa in data ..., in occasione del controllo sulla contabilita' del trimestre, chiusosi al giugno ..., allorquando sia il capo gestione finanziaria (CGF) sia il capo servizio amministrativo (CSA) avevano riscontrato l'esistenza di due ordini di pagamento di importo complessivo pari ad euro ... (distintamente, euro ... ed euro ...) generati con il sistema informatico di contabilita' in uso all'ente (SIGD) in data ... (giorno del passaggio di consegne dal cassiere brigadiere T., che veniva collocato in quiescenza, al nuovo cassiere, mar. D.G.), entrambi a favore della Tesoreria provinciale dello Stato. Ordini rispetto ai quali non risultava essere mai corrisposta un'uscita. Venivano quindi disposti ulteriori controlli sui conti correnti della Legione dei carabinieri: in particolare, sul conto corrente postale n. ... cd. «efficientamento energetico» (vd. infra) risultava un saldo pari ad euro ... in luogo di quello risultante in contabilita', pari ad euro ... Dai controlli effettuati per spiegare tale divergenza tra il saldo giacente sul conto e quello risultante dalle scritture contabili, emergeva come dallo stesso conto corrente fossero stati effettuati - senza alcuna autorizzazione - giroconti per complessivi euro ... nelle seguenti date e per i seguenti importi: per euro ... il ..., e per euro ... il ... Entrambi tali prelievi dal conto «efficientamento energetico» risultavano effettuati a favore del conto corrente postale n. ..., conto ordinario intestato alla Legione carabinieri Campania. Approfondendo l'analisi dei movimenti di fondi tra i tre conti correnti postali intestati alla medesima legione, emergevano ulteriori movimenti non autorizzati anche a carico del conto corrente postale n. ... (cd. «Terra dei fuochi», vd. infra). Su tale ulteriore conto risultava un saldo pari ad euro ... in luogo di quello contabile di euro ... Dagli estratti conto emergevano tre movimenti non autorizzati sempre a favore del conto corrente postale n. ... (conto ordinario della legione): uno in uscita, di euro ... effettuato il ... gli altri due (di euro ..., effettuato il ... e di euro ..., in data ...) in entrata provenienti dallo stesso conto corrente n. ... In sostanza, la somma di euro ...), prima sottratta, risultava essere stata riaccreditata sul conto «Terra dei fuochi». Considerate le movimentazioni non autorizzate fra i tre conti correnti intestati alla legione, si era quindi proceduto alla verifica degli ammanchi. La commissione riportava quanto accertato in una relazione amministrativa d'inchiesta, quantificando il danno in euro ... senza tener conto della somma di euro ..., ammanco ascrivibile a periodi antecedenti all'anno ... e per il quale, stante l'avvenuta distruzione della relativa documentazione nel mese di gennaio ... (cfr. verbale di distruzione degli scarti di archivio del ... gennaio ..., all. 10 alla succitata relazione di inchiesta), non era possibile, per gli ufficiali inquirenti, fornire la prova documentale della condotta sottrattiva. Nell'arco temporale attenzionato, la sottrazione delle somme era avvenuta attraverso negoziazione non autorizzata di ben 78 assegni di vario importo (indicati nella relazione e riportati nell'atto di citazione) tutti riscossi a valere sul conto corrente postale n. ... acceso presso l'ufficio postale n. ..., situato in via ... L'importo di tali assegni, riscossi illecitamente, non era stato poi riversato nelle casse del servizio amministrativo del Comando legione carabinieri Campania, costituendo il danno erariale perseguito innanzi a questa corte. Peraltro le relative uscite di fondi dal conto corrente, effettuate materialmente dal T. mediante le negoziazioni di assegni non autorizzati, non erano precedute ne' dall'emissione di un ordine di pagamento ne', successivamente al prelievo del contante, dalla predisposizione di un ordine di riscossione. Di conseguenza, di tali ... assegni illecitamente negoziati, non vi era alcuna evidenza in contabilita' sicche' il cassiere era sostanzialmente riuscito ad eludere sia le verifiche giornaliere, sia le mensili, nonche' quelle straordinarie svolte nel ... In una prima fase le sottrazioni di somme erano state celate attraverso sistematiche ritardate registrazioni delle somme via via accreditate sul conto corrente, e cioe' mediante la formazione e la registrazione contabile di titoli di riscossione in data (di gran lunga) successiva alla data dell'accredito. Tanto in difformita' con la normativa di riferimento che prevede che gli ordini di riscossione devono essere registrati sotto la stessa data in cui sono state effettuate le relative operazioni in modo che alla chiusura giornaliera vi sia sempre concordanza contabile tra le risultanze del memoriale e quelle del registro giornale. Nella fase finale della condotta sottrattiva, nel periodo ricompreso tra il marzo ... ed il marzo del ..., invece, il T. al fine di immettere liquidita' solo apparente sul conto corrente ordinario intestato al comando - facendolo cosi' risultare in pareggio con le scritture contabili - avrebbe effettuato, con le proprie credenziali informatiche, movimentazioni con altri due conti intestati all'amministrazione: «terra dei fuochi» ed «efficientamento energetico», di cui il Comando carabinieri legione Campania disponeva a partire dal ... Il compendio probatorio versato in atti dalla procura a corredo della citazione includeva anche gli esiti delle investigazioni condotte dai militari del Comando provinciale dei carabinieri di Napoli - R.O.N.I., compendiati nella relazione prot. n. ... del ..., agli atti del giudizio, che avrebbero consentito di accertare ulteriori artifizi e falsificazioni poste in essere dal T. al fine di celare le asserite reiterate condotte sottrattive. Le indagini degli Inquirenti delegati dal giudice penale consentivano, in particolare, di acquisire copia dematerializzata degli assegni fraudolentemente negoziati, mediante accesso e sequestro degli atti presso gli uffici bancari e postali coinvolti. La procura contabile (cfr. decreto del P.M. prot. n. ... dell'... e ... del ...) acquisiva poi copia dematerializzata di tutti gli assegni illecitamente negoziati, con evidenza delle firme di traenza tra cui, in tutte, quella del T., nonche' conoscenza degli operatori privati presso cui risultavano ancora custoditi gli originali dei titoli non andati al macero (prot. Cdc ... del ...). All'esito del compendio probatorio acquisito, la procura regionale riteneva che, oltre alla responsabilita' del cassiere T. (convenuto in via principale per un danno di euro ...., pari all'ammanco subito dal Comando legione carabinieri Campania per effetto della condotta sottrattiva presuntivamente perpetrata negli anni), dovesse essere sottoposta al vaglio giudiziale, per la pregnanza delle funzioni agli stessi intestate (art. 451 del T.U.O.M.), la condotta di quei carabinieri che, nell'ampio periodo in contestazione, avevano svolto il ruolo di capo del servizio amministrativo e di capo della gestione finanziaria, ai quali veniva contestato in via sussidiaria un danno di euro ... Secondo la prospettazione accusatoria, gli ufficiali succedutisi nella carica di capo servizio amministrativo (C.S.A.) e di capo sezione gestione finanziaria (C.G.F.), nonostante la responsabilita' della gestione dei fondi depositati sui conti correnti postali dettagliatamente ricadesse anche su di loro, con condotta gravemente colposa, avevano totalmente e sostanzialmente abdicato alle prerogative, alle funzioni ed alle competenze ad essi attribuite dalla legge, consentendo all'infedele cassiere, anche e soprattutto per il tramite di specifica attivita' commissiva (firma congiunta di assegni), la realizzazione ed indisturbata prosecuzione nel tempo del disegno criminoso. La procura distingueva quindi la contestazione nei confronti del cassiere a titolo di dolo, dalle due contestazioni (commissiva per la firma degli assegni e omissiva per il mancato controllo sulla documentazione contabile e sui conti) a titolo di colpa grave nei confronti dei responsabili del servizio amministrativo e della gestione finanziaria. Veniva a tal uopo richiamato in citazione, il testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare (T.U.O.M.), decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, nel quale sono state trasfuse, nel libro Terzo del citato testo unico (articoli 446 e seguenti), le norme per l'amministrazione e la contabilita' degli organismi della difesa, dettate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 167/2006, nonche' le istruzioni tecnico-applicative al predetto decreto del Presidente della Repubblica (c.d. «I.T.A.»), approvate con decreto del Ministero della difesa del 20 dicembre 2006, ancora operative, che disciplinano con maggior dettaglio compiti, funzioni e tenuta della contabilita'. In dette disposizioni i Comandi di legione territoriale dell'Arma dei carabinieri sono definiti enti amministrativi, cioe' organismi dotati di autonomia amministrativa che hanno la gestione dei fondi iscritti in bilancio. La gestione finanziaria e contabile dei comandi e' affidata al capo del servizio amministrativo (CSA), al capo sezione gestione finanziaria (CGF) e al cassiere secondo quanto stabilito dall'art. 451 del T.U.O.M. (che definisce i compiti del CSA, del CGF e del cassiere) e dalla normativa di rango secondario. In particolare, la procura agente evidenziava come la responsabilita' della gestione dei fondi depositati sul conto corrente postale dovesse essere attribuita al capo del servizio amministrativo, al capo sezione gestione finanziaria e al cassiere, che sono autorizzati a firmare gli assegni con firma congiunta cd. a due a due (v. art. 503 T.U.O.M.). Infatti, per prevenire l'utilizzo indebito degli assegni con i quali e' possibile prelevare dai conti postali, sono previste regole dirette a controllarne il rilascio, la loro conservazione e riscontro sull'utilizzo: per poterne ottenere la riscossione dall'ufficio postale e' sempre necessario che l'assegno sia firmato non solo dal cassiere, ma anche da altro responsabile. La compilazione degli assegni di conto corrente postale spetta al cassiere, ma l'assegno deve trovare giustificazione in un ordine di pagamento, alla cui emissione e formazione necessariamente partecipano gli altri due responsabili. Secondo quanto previsto nelle I.T.A. in merito ai prelevamenti nell'ambito delle operazioni di conto corrente postale, gli organismi, per esigenze di cassa, possono prelevare dal loro conto corrente postale il fabbisogno necessario per i pagamenti da farsi in contanti. I prelevamenti di cui trattasi costituiscono, percio', passaggi di fondi dal conto corrente postale a quello di cassa. Gli ordini di pagamento da compilare a giustificazione dell'operazione di prelevamento sono contabilizzati sul memoriale di cassa in uscita del conto corrente postale e sul registro-giornale in uscita del conto corrente. L'operazione di prelievo di contanti, quindi, presuppone l'esistenza di un fabbisogno della cassa e di un ordine di pagamento, la cui necessita' e relativa predisposizione compete al capo della gestione finanziaria. Nella vicenda portata all'attenzione del collegio non solo sarebbe inesistente l'esigenza di assicurare il fabbisogno, non essendovi stato il successivo versamento nella cassa, ma non sarebbe stato neppure rinvenuto l'ordine di pagamento vagliato dal capo del servizio amministrativo e dal capo sezione gestione finanziaria. Per la procura risulterebbe inspiegabile, pertanto, la seconda sottoscrizione dell'assegno oltre quella fraudolenta del cassiere, dovendo avere gli altri responsabili diretta consapevolezza dell'inesistenza dell'ordine di pagamento. Il capo della gestione finanziaria deve, infatti, eseguire il riscontro delle operazioni della giornata sulla scorta del rapporto giornaliero di cassa che riepiloga e racchiude gli ordini di pagamento e di riscossione eseguiti e i relativi documenti giustificativi (art. 505, comma 7, T.U.O.M.). In virtu' di quanto indicato nelle I.T.A., il cassiere, al termine delle operazioni giornaliere, deve riepilogare nell'apposito modello rapporto giornaliero le riscossioni e i pagamenti effettuati nel corso della giornata, dimostrandovi i valori finali esistenti nella cassa corrente e nel conto corrente postale o bancario, in rispondenza con le rimanenze contabili risultanti dal memoriale di cassa. Detto rapporto, firmato dal cassiere a comprova delle operazioni di pagamento e di riscossione, e' consegnato, con allegati i relativi titoli, al capo della gestione finanziaria al termine dell'orario del servizio di cassa. Il capo della gestione finanziaria, quindi, si accerta della regolarita' delle quietanze e procede alla contabilizzazione dei titoli nel registro-giornale. L'assenza di un aumento e della conseguente movimentazione della cassa avrebbe dovuto, quantomeno, insospettire il sottoscrittore, qualora fosse stato il capo sezione gestione finanziaria, ma cio' non e' avvenuto. Di fronte al rilevato ammanco, ferma restando la responsabilita' a titolo doloso del cassiere, ad avviso della procura, una prima e piu' consistente quota di responsabilita' veniva ricondotta in citazione in capo a coloro che erano stati individuati per aver illecitamente apposto la seconda firma di traenza sugli assegni determinativi delle ingiustificate e dannose fuoriuscite, senza operare le debite verifiche sulla regolarita' e correttezza del procedimento di spesa. Tale contestazione, relativa alla firma di co-traenza, veniva mossa ai seguenti soggetti (cfr. atto di citazione, pag. 33/36, tabelle n. 2 e 3): col. V.: ... assegni per un importo di euro ...; col. V.C.: ... assegni per un importo di euro ...; ten. col. V.L.: ... assegni per un importo di euro ... Una seconda quota di siffatta concorrente responsabilita', di natura gravemente colposa, veniva, invece, ricondotta alla violazione dei peculiari obblighi di controllo disattesi dai responsabili alternatisi nelle due distinte posizioni di garanzia, e segnatamente: quale capo sezione gestione finanziaria (C.G.F.): col. V.C.: assegni ... euro ...; ten. col. V.L.: assegni ... euro ...; magg. F.B.: assegni ... euro ...; ten. col. S.R.: assegni ... euro ...; quale capo servizio amministrativo (C.S.A.): col. M.V.: assegni ... euro ...; col. V.C.: assegni ... euro ...; ten. col. V.L.: assegni ... euro .... Ai fini che qui interessa, nel chiedere la condanna, in via principale (per il T.) e in via sussidiaria di tutti gli altri soggetti convenuti, la procura regionale chiedeva anche di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, in riferimento agli articoli 3, 28, 97, 81 e 103 della Costituzione, in quanto norma di presumibile applicabilita' nella vicenda ma irragionevolmente limitatrice della responsabilita' amministrativa alle sole ipotesi di condotte attive dolose. Evidenziava, infatti, come, nel giudizio cosi' introdotto, la rilevanza della questione si manifestava con evidenza in riferimento alle condotte gravemente colpose ascritte ai convenuti L. e R.: il primo, infatti, in quanto convenuto (anche) a titolo di responsabilita' amministrativa per condotta commissiva (in relazione all'apposizione della seconda firma di traenza sugli assegni illecitamente negoziati) finirebbe, in applicazione della citata normativa, per essere esentato da responsabilita' per il danno erariale connesso alla firma di alcuni assegni in quanto emessi successivamente al 17 luglio 2020, data di entrata in vigore del decreto semplificazioni del luglio 2020; il secondo (R.), invece, sarebbe chiamato a rispondere delle proprie responsabilita' erariali a titolo di colpa grave, per l'intero arco temporale attenzionato e per i medesimi fatti avendo posto in essere ad una condotta (solo) omissiva (omesso controllo in relazione alla formazione ed alla registrazione contabile dei titoli, firmati dal L., illecitamente negoziati). Ad avviso della procura l'applicazione della normativa di cui all'art. 21 del decreto-legge n. 76/2020 alla vicenda oggetto di odierno esame verrebbe a creare una irrazionale disparita' di trattamento, priva di qualsiasi valida giustificazione ed al di fuori della stessa ratio che la disciplina intende perseguire tale da integrare anche la non manifesta infondatezza della sollevata problematica. B. Instauratosi il contraddittorio tutti i convenuti si costituivano in giudizio, ad eccezione del col. M.V., svolgendo ampia attivita' difensiva; alcuni di essi (C. e L.), in particolare, dichiaravano di disconoscere le firme di co-traenza apposte sugli assegni e chiedevano, in via istruttoria, disporsi CTU grafologica. In particolare, nella memoria di costituzione la difesa del convenuto C. - C.G.F. dal ... al ... e C.S.A. dal ... al ... - al quale era contestata la co-firma di traenza di ... assegni (cfr. atto di citazione, tab. 2, pagine da 33 a 36) - osservava, che in considerazione «dell'evidente artefazione documentale ad opera del T. nonche' del rinvenimento di due cliche' pur se relativi ad altro responsabile, non potesse escludersi la falsita' delle firme assertivamente apposte dal dichiarante sugli assegni indicati in citazione, firme che, sebbene apparentemente potessero essere a lui riconducibili, ben potrebbero essere apocrife o apposte mediante strumenti meccanici di riproduzione». Dopo aver riferito di essere impossibilitato a proporre querela di falso nei modi indicati dall'art. 14 c.g.c., non disponendo materialmente degli originali dei titoli recanti la propria firma (infruttuosamente richiesti a mezzo pec del ..., in atti), formulava la seguente richiesta: «previa necessaria acquisizione degli originali dei 78 assegni postali di cui alle pagine 34 e 35 della citazione a giudizio, di disporre la prefissione di un termineex art. 105 CGC entro cui il dichiarante possa proporre innanzi al tribunale ordinario competente la querela di falso, nonche', previo deposito presso la segreteria della sezione dell'avvenuta proposizione della detta querela, di sospendere la decisione fino alla definizione del giudizio di falso». C. Alla pubblica udienza del 16 marzo 2023, dopo la relazione del magistrato, venivano interpellati, limitatamente alle richieste pregiudiziali ed istruttorie pervenute in atti, le parti presenti. Il pubblico ministero, dopo aver osservato che i convenuti, come documentato in atti, non avevano operato alcun disconoscimento di firme nei paralleli procedimenti della Procura della Repubblica e della Procura militare, presso le quali non era stata disposta alcuna operazione peritale, chiedeva il rigetto della richiesta di sospensione del giudizio. L'avvocato difensore del convenuto C. richiamava la necessita' di acquisire gli originali degli assegni ed insisteva nel richiesto incidente di falso,ex articoli 14 e 105 c.g.c., nonche' nelle ulteriori richieste istruttorie. Chiedeva inoltre di poter depositare una ulteriore richiesta di accesso, relativa ai memoriali di cassa, inoltrata all'amministrazione il ... Tutte le restanti difese insistevano nelle richieste pregiudiziali ed istruttorie articolate nei rispettivi libelli introduttivi di lite. D. Con ordinanza n. 142/2023, depositata il 23 giugno 2023, il collegio disponeva: «... omissis ... Ai sensi dell'art. 105, comma 1, cgc: assegna al convenuto V.C., come rappresentato e difeso, il termine di giorni trenta dalla ricezione del presente provvedimento per la proposizione di querela di falso presso la cancelleria del tribunale ordinario competente; ... omissis ...». E. In data 28 luglio 2023 il convenuto C. depositava l'atto di citazione per querela di falso tempestivamente proposto (secondo i termini assegnati dalla richiamata ordinanza) innanzi al Tribunale di Napoli. F. Alla successiva udienza del 16 novembre 2023, in relazione alle questioni pregiudiziali, il pubblico ministero, preso atto della proposizione della querela di falso, chiedeva di limitare la sospensione del giudizioex art. 105, comma 4, c.g.c. alla sola posizione del C. e, solo con riguardo alla contestazione della condotta relativa alla firma degli assegni oggetto della querela. Richiamava a supporto della sostenuta richiesta di sospensione parziale la decisione delle SS.RR. della Corte n. 5/2020. Inoltre il pubblico ministero insisteva nel riproporre la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del decreto-legge n. 76/2020, illustrandone le ragioni e chiedendo al collegio di portare la relativa problematica all'esame del giudice delle leggi. I difensori delle parti contestavano la richiesta di sospensione parziale dell'attore pubblico, ritenendo che il giudizio dovesse essere interamente sospeso senza stralcio della posizione del C. In particolare, il difensore del convenuto L., ribadiva di aver formulato disconoscimento della firma degli assegniex art. 214 del codice di procedura civile, e di aver chiesto l'acquisizione degli originali. Il collegio si ritirava per decidere sulle questioni pregiudiziali sottoposte e, con ordinanza letta e inserita a verbale di udienza disponeva: la separazione della causa relativa alle contestazioni formulate nei confronti del convenuto C. con riferimento alla firma degli assegni oggetto della querela di falso dallo stesso presentata innanzi al Tribunale di Napoli, demandando alla segreteria la formazione di autonomo fascicolo, e, conseguentemente, disponendo la sospensioneex art. 105, comma 4, c.g.c. di tale separato giudizio; la prosecuzione del giudizio nei confronti degli altri convenuti all'esito della decisione sulla sollevata questione di costituzionalita' da effettuarsi con provvedimento riservato da emettersi fuori udienza, assunto in questa sede sulla base delle seguenti considerazioni in punto di Diritto A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 16 novembre 2023, questo collegio ritiene di dovere accogliere la richiesta, formulata dalla procura regionale, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 21, comma 2 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con legge 16 novembre 2020, n. 120, per violazione degli articoli 103, 97, 28, 81 e 3 della Costituzione. Detta questione, peraltro, ben poteva anche essere sollevata d'ufficio rivestendo, ad avviso del collegio, evidenti caratteri di rilevanza nel presente giudizio e di non manifesta infondatezza, cosi' come di seguito esplicitato. 1. Quadro ordinamentale della responsabilita' erariale. Come spiegato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 203/2022) la responsabilita' amministrativa trova fondamento nella disposizione contenuta nell'art. 82, comma 1, regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, secondo la quale «L'impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, e' tenuto a risarcirlo». La relativa giurisdizione e' attribuita alla Corte dei conti ai sensi del successivo art. 83. Con l'entrata in vigore della Costituzione e' stato positivizzato il principio di responsabilita' dei dipendenti pubblici conferendo, quindi, rango costituzionale ad esso attraverso l'art. 28 che afferma la diretta responsabilita' dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici secondo le leggi penali, civili ed amministrative per gli atti illegittimi dagli stessi compiuti. La successiva disciplina positiva in tema di responsabilita' amministrativa si rinviene poi negli articoli 18 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3: in particolare, in base all'art. 18 l'impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e' tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio. In detta norma sulla responsabilita' amministrativa da danno diretto non si faceva riferimento alla colpa grave e al dolo, essendo disposta la responsabilita' tout court per i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio. Con lo stesso decreto del Presidente della Repubblica all'art. 22, si e' imposto al danneggiante il risarcimento dei pregiudizi derivanti a terzi per effetto della propria condotta, stabilendo che l'azione di risarcimento nei suoi confronti puo' essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilita' dello Stato. L'amministrazione, che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale contro quest'ultimo attraverso il giudizio innanzi alla Corte dei conti. Agli effetti dell'art. 22 e' considerato danno ingiusto, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che il pubblico dipendente abbia commesso per dolo o per colpa grave, restando salve le responsabilita' piu' gravi previste dalle leggi vigenti (art. 23). Dunque solo rispetto al danno indiretto, erano stati posti in rilievo il dolo e la colpa grave e tale regime e' rimasto invariato fino alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 che, nel testo originario, ha ridisciplinato l'azione di responsabilita' amministrativa/erariale senza alcuna specifica indicazione sull'elemento soggettivo richiesto. Successivamente, con l'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, si e' modificato l'art. 1, comma 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, prevedendo che la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica sia personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilita' nel merito delle scelte discrezionali. All'interno di un sistema che nel nostro ordinamento in generale fonda la responsabilita' su condotte connotate dall'elemento soggettivo della colpa e del dolo, sia in ambito civilistico sia in ambito penalistico, per la responsabilita' amministrativa/erariale il legislatore ha inteso limitarla indifferentemente a tutte le condotte purche' connotate quanto meno dalla colpa grave. In relazione a tale limitazione della responsabilita', la Corte costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimita' dell'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, ha avuto modo di affermare che «Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l'istituto qui in esame, la disposizione risponde, percio', alla finalita' di determinare quanto del rischio dell'attivita' debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilita' ragione di stimolo, e non di disincentivo» (Corte costituzionale n. 371/1998 e, nello stesso senso, anche Corte costituzionale n. 203/2022, Corte costituzionale n. 123/2023). Secondo tale giurisprudenza, la colpa grave costituisce per la responsabilita' amministrativa il minimum individuato, ovvero il punto di equilibrio in un generale sistema della responsabilita' fondato sulla colpa e sul dolo. Su tale consolidato quadro normativo e giurisprudenziale, e' intervenuto recentemente l'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 e successive modificazioni, prevedendo che «Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica per l'azione di responsabilita' di cui all'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente e' da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilita' prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». Tale norma si colloca all'interno di interventi legislativi di tipo emergenziale volti alla gestione e al superamento dell'emergenza da COVID-19. Nella prima versione della norma il periodo di vigenza dell'esenzione da responsabilita' era stabilito fino al 31 luglio 2021, termine questo prorogato da ultimo fino al 30 giugno 2024. Il comma e' stato cosi' modificato dalla legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120, nonche' dall'art. 51, comma 1, lettera h) del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, dall'art. 1, comma 12-quinquies, lettera a) del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74. La giurisprudenza della Corte dei conti con riferimento a questa norma ha definito «scriminante» l'esenzione ivi prevista e, per fatti verificatisi nel periodo sopra indicato, l'ha applicata, mandando esenti da responsabilita' coloro che avevano con condotte commissive gravemente colpose prodotto un danno erariale (Corte dei conti, sezione Emilia-Romagna n. 72/2022, Corte dei conti, sezione Trentino-Alto Adige, sede Trento, n. 19/2023). Inoltre il giudice contabile ha spiegato che non possono ritenersi di tipo omissivo tutte le condotte colpose. E' evidente che la colpa e' caratterizzata sempre da componenti omissive, perche' sul piano ontologico essa corrisponde alla mancata adozione di cautele necessarie ad evitare l'insorgere dell'evento, per negligenza, imperizia o imprudenza, o alla mancata osservanza di regole cautelari. Ma questo rientra nella struttura dell'elemento soggettivo colpa e non puo' essere confuso con la natura commissiva della condotta posta in essere (Corte dei conti, sezione Trentino-Alto Adige, sede Trento, n. 19/2023). Sono state, dunque, condivise le considerazioni a cui giunge la giurisprudenza penale della Corte di cassazione, in tema di reati, la quale evidenzia che deve essere tenuta distinta la natura omissiva o commissiva del reato e le componenti omissive della colpa. Se un soggetto agente compie un'attivita' positiva, allora la condotta, ancorche' colposa, deve essere qualificata come esclusivamente commissiva (Cassazione, sezione penale IV, n. 32899/2021, Cassazione, sezione penale IV, n. 7597/2014 e Cassazione, sezione penale IV, 2390/2012). In questo senso, di fronte ad una condotta commissiva la giurisprudenza ritiene univocamente di non poterla configurare di per se' omissiva in quanto colposa (nello stesso senso anche Corte dei conti, sezione Sicilia, n. 305/2023) con la evidente conseguenza che in ipotesi del genere, come quella sulla cui valutazione e' chiamato a pronunciarsi questo collegio, non si puo' superare l'esenzione da responsabilita' prevista dalla norma allegata a sospetto di costituzionalita', configurando come omissiva ogni condotta colposa. Ne discende che le condotte attive gravemente colpose, in applicazione della norma in parola, sonoex lege esentate da responsabilita' amministrativa, da oltre tre anni e, ad oggi, fino al 30 giugno 2024. 2. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 e successive modificazioni. L'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 prevede, come visto, una limitazione della responsabilita' alle sole condotte omissive gravemente colpose, mandando in tal modo irragionevolmente esente da responsabilita' coloro che hanno prodotto un danno con condotte commissive gravemente colpose. Nel testo vigente al momento dei fatti oggetto di questo giudizio, dal 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 76/2020) al settembre 2021, era previsto soltanto una diversa durata dell'applicazione della sopra citata norma, prima fino al 31 luglio 2021 e poi, in sede di conversione del decreto-legge (avvenuta con la legge n. 120/2021), fino al 31 dicembre 2021. La disposizione normativa in questione e' rilevante ai fini della decisione di una consistente parte della domanda giudiziale a base del presente giudizio. A tal riguardo occorre effettuare delle doverose premesse in ordine ai termini strutturali della prospettazione contenuta nell'atto di citazione e delle domande formulate. La procura, rispetto alla fattispecie di danno individuata nell'ammanco di circa euro ... per il periodo ..., ha contestato: l'intero danno, in via principale, al cassiere che avrebbe, con una condotta dolosa, sottratto le somme e causato l'ammanco, formando gli assegni per prelevare le somme e alterando le registrazioni contabili; una quota di tale danno, in via sussidiaria, a coloro che, con colpa grave, avrebbero apposto la seconda firma sugli assegni formati dal cassiere, «sulla fiducia», concorrendo a formare i titoli di pagamento, sulla base dei quali il cassiere prelevava le somme; un'altra quota di danno, in via sussidiaria, a coloro che, con colpa grave, avrebbero violato gli obblighi di controllo quali responsabili alternatisi nella posizione di responsabile del servizio amministrativo e responsabile della gestione finanziaria, non avendo fra l'altro effettuato le verifiche sulle disponibilita' dei conti correnti e non avendo cosi' impedito la sottrazione. Si tratta con ogni evidenza di un processo «cumulato» sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Proposta la querela di falso da uno dei convenuti rispetto alla firma di ... assegni, questo collegio ha ritenuto di separare la causa avente ad oggetto la condotta allo stesso contestata consistita in firme di co-traenza degli assegni oggetto della querela, demandando alla segreteria la formazione di autonomo fascicolo, e sospendendo ai sensi dell'art. 105, comma 4, c.g.c. il giudizio cosi' separato. In ossequio al principio di ragionevole durata del processo, la giurisprudenza ritiene che la sussistenza di una causa di sospensione del giudizio, relativamente ad una sola di piu' domande cumulate nello stesso processo, non sia idonea a giustificare la sospensione del processo per tutte le domande cumulate. Il giudice puo' quindi separare le cause, evitando che la continuazione della loro riunione ritardi o renda piu' gravoso il processo (Cassazione civile, sezione 6-2, ordinanza 27 novembre 2018, n. 30738; SS.RR. Corte dei conti n. 5/2020). La separazione delle cause, prevista dall'art. 103, comma 2 del codice di procedura civile, che e' richiamato anche dall'art. 104, comma 2 del codice di procedura civile, ha la funzione di assicurare la ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2 della Costituzione). Ne deriva che l'art. 103, comma 2 del codice di procedura civile, e' considerato espressione di un principio generale e, in quanto tale, ai sensi dall'art. 7 c.g.c. applicabile anche nel processo contabile. Orbene, separata la causa la cui decisione dipende da quella che sara' resa nel giudizio di falso attivato innanzi al giudice civile, il presente giudizio allo stato deve continuare per le altre domande formulate dalla procura. Conseguentemente, dovendo proseguire il giudizio proprio in relazione alla domanda di condanna in via sussidiaria dei convenuti per la condotta commissiva gravemente colposa della firma degli assegni, acquista evidente rilevanza la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020. In particolare, alcuni di questi assegni (...) sono stati firmati in data successiva all'entrata in vigore della suddetta norma di chiara natura sostanziale, cioe' dopo il 17 luglio 2020, sicche' questo giudice, per tali episodi e solo per essi (a differenza di quelli identici perpetrati prima di tale data), dovrebbe applicare l'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020, che prevede un'esenzione da responsabilita' per le condotte commissive gravemente colpose (es. situazione convenuto L.). Appare cosi' evidente il nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma richiamata e la decisione del caso concreto rispetto alla domanda formulata dalla procura, in relazione alla condotta commissiva gravemente colposa commessa nel periodo di vigenza della norma. Infatti, laddove questa venisse dichiarata incostituzionale, il collegio giudicante sarebbe titolato a valutare l'intera condotta commissiva gravemente colposa, accertando se essa abbia concorso alla produzione della quota di danno addebitata e stabilendo, se sussista o meno la responsabilita' erariale e se il convenuto co-firmatario degli assegni debba o meno debba risarcire in via sussidiaria la quota di danno addebitatagli. Altrimenti, allo stato, applicando l'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 non si potrebbe che mandare esente da responsabilita' il suddetto convenuto per la condotta in parola serbata successivamente al 17 luglio 2020 (ma del tutto identica a casi precedenti tale data, egualmente contestati,) per l'imposizione di una sorta di «non liquet» violativo anche del dovere costituzionale di questo giudice naturale di pronunciarsi sui casi sottopostigli ex articoli 24 e 103 della Costituzione. La rilevanza della questione manifesta tutta la sua attualita', non potendo prescindere altrimenti questo collegio da essa nella decisione di una parte del giudizio: le domande aventi analoga contestazione in relazione alla condotta commissiva della firma degli assegni, nell'arco temporale dal ... al ... (al netto degli assegni oggetto di querela di falso), dovrebbero quindi trovare diversa sorte nell'ambito del medesimo giudizio. In altri termini, la valutazione della medesima condotta, anche contestata a convenuti diversi, dovrebbe arrestarsi temporalmente agli assegni firmati prima del 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 76/2020). Non potrebbero dunque trattarsi allo stesso modo condotte uguali, contestate nell'ambito di questo giudizio. Inoltre, dato il chiaro tenore letterale della norma, non e' possibile una sua diversa interpretazione, che consenta di limitare o estendere l'esenzione di responsabilita' sancita dalla norma stessa per le condotte commissive compiute con colpa grave nell'arco temporale a decorre dalla data di entrata in vigore dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020. Conseguentemente, questo collegio ritiene che la questione di costituzionalita' sollevata dalla procura regionale sia assolutamente rilevante anche in considerazione della obiettiva impossibilita' di una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, della norma richiamata. La questione, inoltre, non e' manifestamente infondata per le seguenti ulteriori considerazioni. 3. Violazione dell'art. 103 della Costituzione. Il sistema della responsabilita' nel nostro ordinamento si fonda, quanto all'elemento soggettivo, sul binomio colpa e dolo, al netto di ipotesi di responsabilita' oggettiva. Con riguardo a quella amministrativa/erariale, si e' ritenuto di discostarsi da questo binomio, individuando nella colpa grave il punto di equilibrio del sistema tra la colpa e il dolo, come del resto gia' affermato dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale all'indomani della modifica legislativa che mandava esenti da responsabilita' i dipendenti pubblici per condotte connotate da colpa lieve (sentenza n. 371/1998). La misura individuata (colpa grave) indica il quantum di rischio che deve ricadere sul datore di lavoro amministrazione pubblica per i danni causati dai dipendenti, nell'ottica, da un lato, di non disincentivare l'attivita' eliminando l'inerzia nell'attivita' amministrativa e, dall'altro, di non incentivare condotte foriere di danno. In ragione del sistema delineato dalle norme, tale convinzione e' stata peraltro ribadita, sempre dalla giurisprudenza costituzionale, quando, con legge della Provincia autonoma di Bolzano, si e' cercato di introdurre fattispecie di colpa grave «tipizzate». La Corte al riguardo si e' espressa affermando chiaramente che non e' conforme ai principi dell'ordinamento, quale configurato nell'attuale sistema normativo, attenuare ulteriormente, in via generale, le ipotesi di responsabilita' per colpa grave (Corte costituzionale, n. 340/2001). Cio' considerato, la disposizione dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020, che introduce l'esenzione generalizzata da responsabilita' per le condotte commissive connotate dall'elemento soggettivo della colpa grave, finisce per violare patentemente i principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale anche con riferimento all'art. 103 della Costituzione. La norma e' inserita nell'ambito della legislazione di tipo emergenziale, che aveva come scopo espresso quello di rispondere all'esigenza di gestione e superamento della pandemia da COVID-19. Essa, pero', si pone in contrasto con i principi sopra indicati, perche' la sua portata ampia appare irragionevole nell'attuale sistema di pesi e contrappesi fondato sull'inscindibile binomio potere/responsabilita' tipico anche del diritto euro-unitario. Il suo dichiarato fine era quello di consentire una piu' rapida adozione di provvedimenti amministrativi nell'ottica del rilancio dell'economia del Paese duramente penalizzata dal periodo pandemico, superando la c.d. «paura della firma» e la «burocrazia difensiva», tendenti a bloccare l'azione amministrativa per evitare di essere esposti al risarcimento da danno erariale in caso di errore. Tuttavia, il legislatore non ha limitato l'applicazione della norma all'ambito di attivita' inerente alla gestione dell'emergenza COVID o all'attivita' che poteva consentire un rilancio dell'economia. Come dimostra la fattispecie oggetto del presente giudizio, gia' la originaria portata irragionevolmente ampia della norma ne determina la sua applicazione anche a casi che nulla hanno a che vedere con la sua asserita «ratio», vertendosi qui in materia di sottrazione di somme dell'amministrazione avvenuta in un contesto assolutamente estraneo alle attivita' collegate all'emergenza COVID-19. Nel valutare la legislazione emergenziale la Corte costituzionale, per stabilirne la legittimita' costituzionale, ha del resto verificato rispetto alla singola disposizione normativa la ragionevolezza, la non sproporzione della misura adottata e la funzionalita' alle finalita' perseguite (pronunce su obbligo vaccinale n. 14, n. 15 e n. 16 del 2023). Applicando tali canoni, dunque, la norma in questione nella sua connotazione generalista appare irragionevole, sproporzionata nella misura e non funzionale alla finalita' dichiaratamente perseguita. Innanzitutto la norma e' irragionevole perche' comprende tutti gli ambiti dell'agire dell'amministrazione senza limitarsi a quelli strettamente inerenti o, strettamente influenzati, dall'emergenza COVID-19 realizzando un generalizzato «scudo erariale» incompatibile con la decretazione d'urgenza. E con riguardo a tutti gli ambiti di operativita' dell'amministrazione, a ben vedere, non si e' trattato di spostare la soglia di responsabilita' verso l'alto, ma si e' finito per ridisegnare - si sottolinea con decretazione d'urgenza - tutto il sistema della responsabilita' erariale, sicche', ad esempio, nel caso oggetto del giudizio «a quo», colui che pone in essere attivita' illegittimita' o illecita (non riconducibile assolutamente all'emergenza pandemica) con colpa grave va esente da responsabilita', mentre colui che ha obbligo di controllo su quest'ultimo puo' essere ritenuto responsabile del danno causato per l'omissione del doveroso controllo connotata da colpa grave. Detto in altri termini, per il danno prodotto all'amministrazione con colpa grave da Tizio, paga Caio che doveva «solo» controllarlo. Si fa cosi' ricadere il danno non su chi ha con colpa grave compiuto l'attivita' dannosa, ma sul suo controllore che ha omesso i doverosi controlli. Tale incongrua conseguenza, a cui si giunge applicando la norma censurata, e' con ogni evidenza irragionevole e contraria al comune sentire e l'avere consentito tale conseguenza in tutti gli ambiti di attivita' dell'amministrazione e' sproporzionato rispetto alla finalita' di una disposizione nata nel contesto emergenziale da COVID-19. L'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 finirebbe per trovare dunque applicazione nel caso di specie, avente ad oggetto la sottrazione fraudolenta e per scopi personali di somme dell'amministrazione, senza che eserciti alcuna influenza sui fatti la circostanza che essi si sono succeduti anche durante la pandemia. Nella prospettazione della procura la firma, con colpa grave, degli assegni ha consentito ad un cassiere di appropriarsi di risorse pubbliche e non puo' ragionevolmente pensarsi che tale condotta possa essere «scriminata» in ragione dell'emergenza da COVID-19. Allo stesso tempo, la norma non e' funzionale allo scopo. Infatti, attraverso la volonta' di arginare la c.d. «paura della firma», si e' pero' estensivamente disciplinata l'esenzione da responsabilita', includendo qualunque condotta attiva gravemente colposa. In particolare, scontano l'esenzione da responsabilita' anche le condotte, che non rientrano in quelle di adozione di provvedimenti amministrativi attraverso la loro firma, ovvero sconta l'esenzione qualunque condotta fattuale, come ad esempio la rottura con colpa grave di un macchinario ospedaliero, il danneggiamento con colpa grave di auto dell'amministrazione, il danno indiretto provocato da un medico che dimentica la garza nell'addome dopo un'operazione, etc. Inoltre, se si tiene conto che le finalita' indicate nelle premesse del decreto-legge n. 76/2020, quali necessita' e urgenza di introdurre interventi di semplificazione in materia di responsabilita' del personale delle amministrazioni al fine di fronteggiare le ricadute economiche pregiudizievoli conseguenti all'emergenza epidemiologica da COVID-19, bisogna evidenziare che un conto e' «alleggerire» le conseguenze della lesione dei diritti e interessi dei terzi nell'esercizio dell'attivita' provvedimentale, negoziale, materiale, altro e' abbassare la soglia della «diligentia quam in suis» nei rapporti interni. Non puo' non tenersi a mente la distinzione tra il danno diretto prodotto direttamente all'amministrazione e il danno indiretto, cioe' quello prodotto a terzi che l'amministrazione e' condannata a risarcire. Tale distinzione, quanto all'elemento soggettivo, era presente al legislatore quando disciplinando la responsabilita' amministrativa con il decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 prevedeva differenti disposizioni per il danno diretto e per il danno indiretto (articoli 18, 22 e 23 - gia' sopra richiamati). Per il primo la responsabilita' sussisteva quando si determinava un danno violando obblighi di servizio. Per il secondo invece la responsabilita' sorgeva per il dipendente e l'amministrazione poteva rifarsi sullo stesso, dopo aver risarcito il terzo, solo se erano state poste in essere condotte con colpa grave o dolo. La fattispecie del presente giudizio mostra come nei rapporti interni e nei danni diretti, cioe' provocati direttamente all'amministrazione nella gestione della propria attivita', la soglia di attenzione o diligenza richiesta non puo' essere abbassata e, soprattutto, tale abbassamento non puo' essere giustificato attraverso la necessita' di fronteggiare le conseguenze economiche dell'emergenza COVID-19: trattasi di un ulteriore profilo di irragionevolezza connesso all'eccessiva ampiezza della norma che ricomprende indistintamente tutte le condotte fonte di danno anche quando non siano legate «ictu oculi» al superamento dell'emergenza. L'esenzione, cosi' disciplinata dalla norma, viola l'art. 103 della Costituzione, sottraendo alla giurisdizione della Corte dei conti l'assoggettabilita' a responsabilita' delle condotte attive gravemente colpose a far data dalla sua entrata in vigore. 4. Violazione degli articoli 97, 28 e 81 della Costituzione. Quanto appena detto viene in rilievo anche come violazione dell'art. 97, comma 2 della Costituzione, nel quale e' sancito il principio del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione. Da un lato, la verifica di rispondenza della norma al buon andamento consiste nella verifica della non arbitrarieta' o della non irragionevolezza rispetto allo scopo di assicurare il buon andamento. Dall'altro, la violazione del principio di buon andamento si traduce anche nella violazione di altri principi sanciti in diversi articoli della Costituzione. La valutazione, ai fini del rispetto dell'art. 97, comma 2 della Costituzione, impone che si verifichi anche l'impatto della scelta legislativa sul buon andamento e sul rendimento del lavoro dei dipendenti pubblici. Il buon andamento si declina come buona amministrazione, sia nel senso di assicurare un'attivita' amministrativa nel rispetto della legge, sia nel senso di assicurare l'efficienza e l'adeguatezza dell'agire amministrativo. Considerato lo stretto legame tra il principio di buon andamento e di imparzialita' e il principio di legalita' (Corte costituzionale n. 333/1993), e' evidente che l'esenzione da responsabilita' amministrativa prevista dall'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 e successive modificazioni ed integrazioni, non favorisce la legalita' dell'azione amministrativa. Tale esenzione «rende legittime o lecite» condotte gravemente colpose, con la convinzione in colui che agisce che, in assenza del dolo, non ha alcun rilievo se agisca legittimamente o lecitamente, tanto non sara' tenuto a risarcire i danni prodotti. E' una norma che disincentiva il pubblico dipendente, sia nella fase della continua formazione tesa ad acquisire nuove competenze o conoscenze, sia nella fase dell'adozione di provvedimenti amministrativi, «legalizzando» l'agire a prescindere dal rispetto delle norme minime cautelari e delle regole di prudenza, perizia e diligenza, senza apportare alcun beneficio alla funzionalita' dell'amministrazione, anzi fortemente incidendo sulla stessa come ha evidenziato l'esperienza sin qui maturata sotto il censurato nuovo sistema di responsabilita'. Tali conseguenze, che si pongono in contrasto con l'art. 97, comma 2 della Costituzione, non possono certo trovare giustificazione nell'avere la norma carattere emergenziale e straordinario. Cio' sia in ragione del fatto che proprio nella gestione delle esigenze derivanti da COVID-19, l'agire amministrativo doveva essere semmai piu' attento sia perche', come gia' ripetuto piu' volte, la norma prevede un'esenzione generalizzata a tutta l'attivita' amministrativa, anche non inerente alla gestione dell'emergenza o al rilancio dell'economia, per tutto il lasso di tempo della sua vigenza, ad oggi pari a circa quattro anni. Nel caso portato alla valutazione del collegio, e' evidente che la sottrazione di somme dell'amministrazione, avvenuta nella gestione ordinaria della cassa dell'amministrazione, determina un cattivo andamento, i cui danni non possono essere addebitati, seppur in via sussidiaria, al soggetto che ha concorso a produrli con colpa grave. Inoltre, sotto quest'ultimo profilo, viene in rilievo anche il principio di efficienza dell'amministrazione, come endiadi del buon andamento (Corte costituzionale n. 104/2007), nonche' il principio di cui al primo comma dell'art. 97 della Costituzione, in base al quale la pubblica amministrazione deve assicurare l'equilibrio di bilancio e la sostenibilita' del debito pubblico (unitamente all'art. 81 della Costituzione). Spiega la Corte costituzionale che «il principio di efficienza dell'amministrazione trova esplicazione in una serie di regole, che vanno da quella di una razionale organizzazione degli uffici a quella di assicurarne il corretto funzionamento; a quella di garantire la regolarita' e la continuita' dell'azione amministrativa e, in particolare, dei pubblici servizi, anche al mutare degli assetti politici ... (omissis)» (sentenza n. 104/2007). E' ben chiaro che la sottrazione di risorse, come nel caso di specie anche cospicue, e' sintomo di inefficienza dell'amministrazione, di una irregolarita' dell'attivita' amministrativa e concorre all'inefficienza complessiva del sistema il fatto che l'assetto normativo attuale non consenta all'amministrazione di ricevere adeguato ristoro nel caso di condotte attive causative di danno e connotate da inescusabile imperizia, negligenza, etc. L'errore grave e inescusabile del dipendente pubblico resta a carico dell'amministrazione, se non determinato da un'omissione e rimane frustrato l'interesse pubblico all'azione efficiente ed economica della P.A. L'esenzione da tale responsabilita', che aveva come scopo quello di evitare rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell'attivita' amministrativa, si rivela invece produttivo di ulteriore inefficienza per una sorta di «eterogenesi dei fini» finendo per cagionare il rischio concreto di un complessivo abbassamento della soglia di «attenzione amministrativa» per una gestione oculata delle risorse pubbliche, di cui si sente estremamente bisogno. Senza contare che, anche ove la norma fosse stata limitata all'attivita' amministrativa legata alla gestione emergenziale del COVID-19, comunque non sarebbe accettabile la dispersione di risorse o il loro utilizzo senza l'adozione delle regole minime di prudenza, perizia, diligenza o delle regole cautelari. La sottrazione di risorse significa sottrarre risorse che l'amministrazione puo' utilizzare nell'interesse pubblico al cui perseguimento e' deputata. Infine il principio del buon andamento e' collegato anche al principio di responsabilita' dei pubblici dipendenti, sancito dall'art. 28 della Costituzione, laddove si stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. Se il legislatore puo' perimetrare discrezionalmente tale responsabilita', dando contenuto all'art. 28 della Costituzione attraverso la legge, non puo' eliminarla tout court per le condotte colpose, svuotandola di gran parte del suo contenuto riferibile ai danni erariali, che non poco contribuiscono ai deficit dei bilanci pubblici. Con riferimento poi ai c.d. danni indiretti, si consideri che l'amministrazione, nei confronti dei terzi, e' tenuta al risarcimento del danno, alla luce delle regole civilistiche del dolo e della colpa. Risarcito il danno al terzo, la stessa pero' non puo' rifarsi nei confronti del dipendente che ha provocato il danno se la condotta attiva di questi era colposa (lievemente e gravemente). Si ottiene cosi' il risultato di deresponsabilizzare il pubblico dipendente in modo non congruo rispetto al sistema della responsabilita' fondato nel nostro ordinamento essenzialmente sull'elemento soggettivo della colpa e del dolo. L'errore del dipendente gravemente inescusabile, si ribadisce, resta irragionevolmente e totalmente a carico dell'amministrazione se la condotta e' attiva. Peraltro, in difformita' dal settore privato, ne deriva l'impossibilita' per il datore di lavoro pubblico di attenuare le lesioni subite in caso di condotte colpose. Se e' pur vero che il legislatore puo' operare scelte discrezionali nella disciplina della responsabilita' dei pubblici dipendenti, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, quanto meno, sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle differenziazioni introdotte (Corte costituzionale n. 1032/1988). E per le ragioni indicate sopra, non appare ragionevole la deresponsabilizzazione dei dipendenti pubblici tout court per le condotte attive gravemente colpose. Alla luce di quanto detto appare evidente la violazione dell'art. 97, commi 1 e 2 della Costituzione e dello stesso articolo unitamente agli articoli 81 e 28 della Costituzione. 5. Violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto plurimi profili. Ultimo aspetto da mettere in evidenza e' la violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella misura in cui con l'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020 si crea una evidente discriminazione, risultando la norma irragionevolmente ampia nel suo comprendere qualunque condotta commissiva gravemente colposa che esula dalle finalita' per le quali la norma era stata prevista. Ai sensi dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020, come gia' detto, nel periodo dall'entrata in vigore del decreto-legge e fino, nel testo attuale della norma, al 30 giugno 2024, per i fatti commessi dai soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile l'azione di responsabilita' e' limitata alle condotte commissive compiute con dolo e alle condotte omissive compiute con dolo o colpa grave. L'applicazione di tale norma comporta che questo giudice nell'ambito del medesimo giudizio possa giudicare sussistente o meno la responsabilita' erariale solo per le condotte commissive gravemente colpose poste in essere fino al 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto). Appare evidente la discriminazione che si verrebbe a creare, poiche' nell'ambito del giudizio, rispetto al medesimo soggetto o anche a soggetti diversi, la stessa reiterata condotta fino al 17 luglio 2020 assurge a presupposto di (allo stato presunta) responsabilita' erariale e da quella data in poi e' sicuramente esenteex lege da essa. La discriminazione creata deve essere vagliata secondo i parametri di ragionevolezza, congruita' della misura e della non contraddittorieta'. Il collegio e' conscio della discrezionalita' di cui gode il legislatore nel determinare che da un certo momento in poi una condotta sia rilevante o meno ai fini della tutela dell'interesse pubblico all'utilizzo corretto delle risorse di un'amministrazione, tuttavia, la ratio della norma in contestazione, evincibile anche dall'originario arco temporale limitato di vigenza della relativa disciplina, come in questa ordinanza e' stato gia' ribadito, e' rinvenibile nel dover essere una disposizione esclusivamente inerente alla gestione dell'emergenza pandemica da COVID-19. L'intento del legislatore e' stato quello di voler agevolare il rilancio dell'economia, in crisi a causa della pandemia, ponendo un rimedio alla ormai nota c.d. «paura della firma» e consentendo ai pubblici dipendenti di poter cosi' adottare provvedimenti senza alcuna eccessiva preoccupazione. La ratio della norma appare quindi collegata a migliorare o escludere l'inefficienza della pubblica amministrazione nel rispondere a bisogni contingenti del Paese, consentendo l'adozione dei provvedimenti a cio' utili. Considerata tale ratio, il caso di specie oggetto del giudizio mostra chiaramente la portata irragionevolmente ampia della norma, tale da comprendere e mandare esente da responsabilita' erariale anche situazioni, per le quali, con ogni evidenza, non sarebbe giustificabile detta esenzione. In relazione alla condotta commissiva connotata da colpa grave consistente nell'ingiustificata apposizione della firma su assegni per prelevare fondi in favore di un cassiere, non puo' dirsi che la esenzioneex lege da responsabilita' per l'autore della stessa possa giustificarsi alla luce della necessita' di sopperire alle esigenze di celerita' ed efficienza dell'amministrazione, che doveva approntare con la propria attivita' una pronta risposta all'emergenza COVID. L'esenzione da responsabilita' per colpa grave nella vicenda oggetto del giudizio per le condotte successive al 17 luglio 2020 non trova alcuna giustificazione nell'esigenza di garantire un'attivita' piu' celere e snella dell'amministrazione nel gestire l'emergenza COVID-19: con la firma degli assegni si e' consentito ad altro soggetto di commettere un reato e nessuna esenzione da responsabilita' penale e' stata prevista in ragione dell'emergenza da COVID-19. Alla luce di quanto detto, la norma nella sua irragionevole ampia portata crea una discriminazione non razionale in violazione dell'art. 3 della Costituzione, che e' ravvisabile anche sotto altro profilo. La contestazione sull'ammanco di danaro effettuata dalla procura riguarda, da un lato, la condotta dolosa del cassiere che formava i titoli di pagamento, ovvero gli assegni e, dall'altro, riguarda le condotte gravemente colpose dei responsabili del servizio amministrativo e della gestione finanziaria che hanno presumibilmente contribuito alla causazione del danno con la rispettiva condotta: a) omissiva per non avere effettuato le verifiche e i controlli dei documenti contabili e dei conti correnti, in violazione degli stessi obblighi a loro intestati dalle norme; b) commissiva gravemente colposa consistita nell'apposizione della firma sugli assegni formando in questo modo, unitamente al cassiere, i titoli di pagamento che consentivano a questi di incassare le somme dell'amministrazione e poi trattenerle per se'. Orbene, nella prospettazione dell'attore pubblico, distinguendo per periodi di tempo e importi, alla produzione del danno accertato ha concorso sia l'omissione dei controlli addebitabile ad alcuni soggetti, sia la formazione dei titoli di pagamento addebitabile a quelli che hanno sottoscritto gli assegni. Si e' gia' argomentato in ordine al dubbio di costituzionalita' per tale ultima situazione ma esso costituisce solo una parte dell'intera problematica connessa all'applicazione dell'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020: detta norma, infatti, fa si' che rispetto al danno costituito dall'ammanco delle somme subito dall'amministrazione, questo giudice contabile sarebbe sempre abilitato a valutare la sussistenza o meno della prospettata responsabilita' erariale di coloro che hanno omesso la doverosa attivita' di controllo ad essi commessa, mentre nei confronti di coloro che hanno posto in essere il titolo di pagamento, co-firmando gli assegni, potrebbe valutarla solo per il periodo anteriore al 17 luglio 2020. Si coglie con tutta evidenza, anche sotto questo profilo soggettivo, la discriminazione irragionevole operata dalla norma fra coloro che nell'ambito dell'amministrazione hanno obblighi di controllo e vigilanza e coloro che hanno la gestione attiva e i compiti di predisporre i provvedimenti amministrativi. In altri termini, va esente da responsabilita' colui che con colpa grave pone in essere l'atto illegittimo ovvero l'attivita' illecita per i fatti commessi dopo l'entrata in vigore della norma censurata, e invece non e' esente da responsabilita' per gli identici fatti commessi antecedentemente nonche' chi aveva «solo» il compito di controllare/vigilare sullo stesso. Da ultimo, in relazione all'art. 3 della Costituzione non puo' che sottolinearsi anche la discriminazione che si verrebbe ad acuire tra lavoratori del settore privato e lavoratori del settore pubblico (anche privatizzato) perche', rispetto ai primi, i secondi, che gia' godono di un'esenzione per colpa lieve, nell'attualita' sono ancora piu' avvantaggiati essendo responsabili nel periodo di vigenza della norma solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose. Ne risulta svantaggiata irragionevolmente la pubblica amministrazione, quale datore di lavoro pubblico. Pertanto, anche sotto quest'ultimo profilo si rileva un'ingiustificata discriminazione di trattamento. 6. Conclusioni. Alla luce delle suesposte considerazioni, il collegio reputa che l'art. 21, comma 2 del decreto-legge n. 76/2020, convertito nella legge n. 120/2020 e successive modificazioni ed integrazioni, sia costituzionalmente illegittimo per violazione degli articoli 103, 3, 97, 28 e 81 della Costituzione, nella parte in cui prevede che dal periodo di entrata in vigore del decreto-legge l'azione di responsabilita' di cui all'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sia limitata ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente e' da lui dolosamente voluta e tale limitazione di responsabilita' prevista dal primo periodo non si applichi solo per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.