TRIBUNALE DI AREZZO 
                Sezione penale - ufficio dibattimento 
 
    Il giudice Michele Nistico',  letti  gli  atti  del  procedimento
sopra indicato a carico  di  P.  M.,  imputato  del  delitto  di  cui
all'art. 635, comma 2, n. 1 codice penale, ha pronunciato la seguente
ordinanza. 
    Sussistono, ad avviso del  tribunale,  tutti  i  presupposti  per
promuovere questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  635,
commi 2 e 5, codice penale,  nel  testo  risultante  dall'entrata  in
vigore dell'art. 2, comma 2, n. 1, lettera n), decreto legislativo n.
150/2022, nella parte in cui  prevede  la  procedibilita'  d'ufficio,
anziche'  a  querela,  del  reato  di  danneggiamento  ove  l'oggetto
materiale  della  condotta  siano  beni   esposti   per   necessita',
consuetudine  o  destinazione  alla  pubblica  fede,  per  violazione
dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della manifesta irragionevolezza. 
    In  punto  anzitutto  di  rilevanza,   va   precisato   che   nel
procedimento sopra indicato all'imputato e' stata elevata la seguente
contestazione,  come  da  capo  di  imputazione  che  di  seguito  si
trascrive: 
        del reato di cui all'art. 635, 2° comma n. l codice penale in
relazione all'art.  625  n.  7  codice  penale,  perche'  danneggiava
deteriorandola, praticando dei graffi con un oggetto acuminato  sulla
fiancata  laterale  destra  e  sinistra,  parte   della   carrozzeria
dell'autovettura ... tg ... di proprieta' di X. E.  che  si'  trovava
parcheggiata sulla pubblica via. 
    Con l'aggravante del fatto commesso su cose espose per necessita'
e consuetudine alla pubblica fede. 
    In ... il ... 
    Con la recidiva ex art. 99 codice penale. 
    All'imputato  e'  dunque  contestato   un   delitto   procedibile
d'ufficio. 
    Il  decreto  legislativo  n.  150/2022,  infatti,  ha  come  noto
allargato notevolmente il novero dei  delitti  contro  il  patrimonio
procedibili  a  querela,  nel  chiaro  tentativo  di  valorizzare   e
stimolare condotte risarcitorie e latamente riparative dell'imputato.
Detta operazione di ampliamento delle ipotesi di reato procedibili  a
querela non ha interessato,  tuttavia,  il  danneggiamento  dei  beni
esposti alla pubblica  fede;  le  uniche  ipotesi  di  danneggiamento
infatti rese procedibili a querela sono quelle previste nel  comma  l
dell'art. 635 codice penale, relative a fatti commessi  con  violenza
alla persona o minaccia (art. 635, comma 5, codice penale). 
    La  legge  vigente,  dunque,  certamente  distingue  ipotesi   di
danneggiamento procedibili a querela ed ipotesi in  cui,  invece,  il
medesimo delitto e' procedile d'ufficio; tra queste vi  e'  anche  il
caso del danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede, che viene
in rilievo nel caso di specie. 
    Va tuttavia osservato che, all'udienza dell'8  novembre  2023  la
persona offesa ha rimesso la querela a suo tempo sporta per  i  fatti
indicati nel capo di imputazione,  espressamente  affermando  che  la
volonta' di punizione del colpevole e' oggi venuta meno. 
    L'imputato, invece, legittimamente  non  ha  mai  partecipato  al
procedimento a suo carico, che si sta celebrando in sua assenza. Cio'
comporta, ad avviso del tribunale, un'ipotesi in cui  deve  ritenersi
che la remissione  della  querela  sia  implicitamente  accettata,  o
meglio che vi sia assenza di ricusa; dopo l'entrata in  vigore  della
legge n. 67/2014, infatti, la  vigente  disciplina  del  processo  in
assenza garantisce che l'imputato  sia  effettivamente  a  conoscenza
dell'esistenza di un procedimento penale a proprio carico e,  quindi,
assicura che lo stesso sia sempre posto a conoscenza della remissione
della querela o, comunque, che sia  posto  in  grado  di  conoscerla.
D'altronde,  opinare   diversamente   e   sostenere   che   l'assenza
consapevole di cui al novellato  art.  420-bis  codice  di  procedura
penale non integri un'ipotesi di assenza di ricusa  della  remissione
di querela necessaria per la declaratoria di  estinzione  del  reato,
porterebbe a conseguenze paradossali e certamente  irragionevoli:  si
arriverebbe per questa via a disconoscere un effetto  favorevole  per
l'imputato (ovvero l'estinzione del reato) a  fronte  della  medesima
situazione di fatto che consente, invece, di  procedere  in  giudizio
senza la sua attiva partecipazione, ed eventualmente  di  pronunciare
contro di lui, in sua assenza, una condanna in sede penale. 
    Ove quindi il delitto contestato all'imputato fosse procedibile a
querela,  e  dunque  in  caso  di  accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale proposta con la presente ordinanza,  esso
dovrebbe ritenersi estinto (art.  152,  comma  1,  codice  penale)  e
dunque, non risultando dagli atti a disposizione del giudice elementi
per una  pronuncia  ai  sensi  dell'art.  129,  comma  2,  codice  di
procedura penale,  dovrebbe  pronunciarsi  sentenza  di  non  doversi
procedere ai sensi dell'art. 531 codice di procedura penale. 
    A simile esito, invece, evidentemente non  puo'  giungersi  sulla
base della legge vigente; la conservata procedibilita' d'ufficio  del
danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede, infatti, rende  la
remissione di querela avvenuta nel caso che occupa priva di immediati
effetti processuali e sostanziali. 
    Evidente  appare,  dunque,  la  rilevanza  della   questione   di
legittimita' costituzionale che si propone; l'art. 635, commi 2 e  5,
codice penale  deve  senz'altro  trovare  applicazione  nel  processo
pendente di fronte al giudice rimettente,  trattandosi  di  norma  di
necessaria applicazione nel percorso argomentativo che  conduce  alla
decisione  del  processo  principale.  Tanto  basta,   peraltro,   ad
integrare  il  requisito   della   rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale (cfr., da ultimo, Corte costituzionale n.
30  del  2022),  ancorche'  nel  caso   di   specie   il   nesso   di
pregiudizialita' tra il giudizio  a  quo  e  quello  di  legittimita'
costituzionale sia reso ancor piu' evidente dalla portata che,  sugli
esiti del giudizio principale, avrebbe l'eventuale  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge indubbiate;
nel caso di specie, infatti, dall'esito della decisione  della  Corte
costituzionale, infatti, dipende  direttamente  quello  del  giudizio
comune, giacche' ove  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
fosse accolta lo stesso dovrebbe essere definito  immediatamente  con
sentenza di non doversi procedere. Se e' vero dunque che la rilevanza
si configura come  semplice  necessita'  di  applicare  nel  giudizio
principale la disposizione censurata, (cfr. Corte  costituzionale  n.
19 del 2022), essa ancor  piu'  nettamente  risulta  sussistente  nei
casi, come quello che occupa, in cui e' del tutto  palese  l'utilita'
concreta per una  delle  parti  del  giudizio  a  quo  dell'eventuale
pronuncia di accoglimento della Corte, «anche nella prospettiva di un
piu' diffuso accesso al sindacato di costituzionalita' e di una  piu'
efficace garanzia della conformita'  della  legislazione  alla  Carta
fondamentale» (cfr. Corte costituzionale n. 183 del 2022). 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  che  si  propone
all'attenzione  della  Corte  costituzionale   risulta,   oltre   che
rilevante, anche non manifestamente infondata. 
    Sul punto si deve anzitutto osservare che  il  danneggiamento  di
beni esposti alla pubblica fede, allo stato procedibile d'ufficio, e'
certamente un delitto meno  grave  del  furto  avente  ad  oggetto  i
medesimi beni, che invece e' come noto divenuto,  dopo  l'entrata  in
vigore del decreto legislativo n. 150/2022, procedibile a querela: il
furto, infatti, priva il detentore del bene mobile sottratto in  modo
potenzialmente definitivo, mentre il danneggiamento ne  implica  solo
una riduzione di valore e/o di funzionalita', che peraltro e', non di
rado, minima; del tutto ragionevolmente, dunque, la legge prevede per
il furto di beni esposti alla pubblica  fede  una  pena  maggiormente
afflittiva rispetto a quella invece prevista  per  il  danneggiamento
dei medesimi beni. 
    Pur a fronte, dunque, di condotte - come quelle di furto di  beni
esposti alla pubblica fede - che il  legislatore  stesso,  non  senza
ragioni,  reputa  significativamente  piu'   gravi   di   quelle   di
danneggiamento dei medesimi  beni,  le  recenti  e  sopra  richiamate
riforme hanno previsto un regime di  procedibilita'  a  querela  che,
invece, non e' stato esteso al delitto di  cui  all'art.  635  codice
penale quando l'oggetto materiale della  condotta  siano  i  medesimi
beni esposti alla pubblica fede. 
    La perdurante procedibilita' d'ufficio del danneggiamento di beni
esposti alla pubblica fede, a fronte della procedibilita'  a  querela
del furto dei medesimi beni, determina un trattamento  sostanziale  e
processuale ingiustificatamente deteriore dell'imputato  del  delitto
di cui all'art. 635, comma 2, n. l codice penale  rispetto  a  quello
invece riservato all'imputato del delitto di cui agli articoli 624  e
625, comma 2, n. 7 dello stesso codice. Nel  caso  in  cui,  infatti,
l'agente sia chiamato a rispondere del furto  di  beni  esposti  alla
pubblica fede, egli dovra' essere prosciolto in caso di remissione di
querela da parte della persona offesa e potra' accedere  alle  misure
deflattive e di giustizia latamente riparatoria previste dalla  legge
per i reati  procedibili  a  querela  soggetta  a  remissione,  quali
l'estinzione ai sensi dell'art. 162-ter codice penale;  possibilita',
queste,  invece  precluse   ove   l'agente   debba   rispondere   del
danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede. 
    Evidente, dunque, il trattamento  differenziato  riservato  dalla
legge vigente ai due delitti (il danneggiamento ed  il  furto)  anche
quando l'oggetto materiale della condotta del reo sia il medesimo. 
    Detto  trattamento  differenziato,  di  per  se'  ovviamente  non
illegittimo, appare invece del tutto inammissibile quando,  come  nel
caso di specie, non trovi nessuna plausibile giustificazione ne'  sul
piano  logico  ne'  su  quello  tecnico-giuridico,  con   conseguente
evidente  irragionevolezza  della  disciplina  vigente   e,   dunque,
violazione dell'art. 3 Cost. 
    Detta  violazione  infatti  si  verifica,  e  ad  essa  la  Corte
costituzionale  e'  chiamata  a  porre  rimedio,  quando   situazioni
sostanzialmente    identiche    sono     disciplinate     in     modo
ingiustificatamente  diverso,  e   non   (ovviamente)   quando   alla
diversita' di disciplina corrispondano  situazioni  non  assimilabili
(cfr. Corte cost. numeri 171 del 2022, 71 del 2021, 85 del  2020,  13
del 2018, 71 del 2015). 
    Naturalmente, poi, la violazione appare ancor piu'  netta  quando
ad essere ingiustificatamente deteriore e', come nel caso di  specie,
il trattamento riservato alla fattispecie (che il legislatore  stesso
qualifica come) meno grave. 
    Sul punto merita di essere osservato che  appare  sostanzialmente
impossibile identificare quali possano essere le valutazioni  sottese
all'opzione  normativa,  accolta  con  il  decreto   legislativo   n.
150/2022, di eliminare la procedibilita' d'ufficio del furto di  beni
esposti alla  pubblica  fede  e  di  mantenere,  invece,  quella  del
danneggiamento degli stessi beni. 
    Peraltro le ragioni che hanno ispirato la scelta del  legislatore
di rendere procedibile a  querela  il  furto  di  beni  esposti  alla
pubblica fede sono evidentissime e risiedono, nella  buona  sostanza,
nella  ritenuta  opportunita'  di  subordinare  alla  volonta'  della
persona offesa  la  reazione  dell'ordinamento  penale  a  fronte  di
condotte la cui lesivita' rimane confinata nella  sfera  privatistica
della persona; i beni esposti alla pubblica fede, infatti, non  hanno
alcuna  necessaria  connotazione   pubblicistica,   se'   sul   piano
dominicale (non sono, cioe', beni  di  titolarita'  diffusa)  ne'  su
quello  funzionale  (non  sono,  cioe',  beni   destinati   a   scopi
extraindividuali): si pensi, ad esempio,  ai  casi  -  molto  diffusi
nella prassi applicativa - della merce esposte sugli scaffali  di  un
esercizio commerciale o del  furto  di  una  bicicletta  parcheggiata
sulla pubblica via, in cui evidentemente la condotta lesiva del  bene
giuridico protetto dalla norma incriminatrice  non  incide  in  alcun
modo  sulla  sfera  giuridica  di  soggetti  diversi  dal   legittimo
detentore della res. Conseguentemente, come si legge nella  relazione
illustrativa del decreto legislativo n.  150/2022,  «si  e'  ritenuto
opportuno conservare  la  procedibilita'  d'ufficio  [...],  rispetto
all'ampio catalogo  di  circostanze  previsto  dall'art.  625  codice
penale,  solo  in  relazione  a  quelle  che  connettono  il  maggior
disvalore penale del  fatto  all'offesa  al  patrimonio  pubblico  e,
comunque, a una dimensione pubblicistica dell'oggetto materiale della
condotta. Il furto resta procedibile d'ufficio, pertanto, se il fatto
e' commesso su cose esistenti in uffici o  stabilimenti  pubblici,  o
sottoposte a sequestro  o  a  pignoramento  o  destinate  a  pubblico
servizio o a pubblica utilita', difesa o reverenza (art.  625,  n.  7
codice  penale);  ovvero  se  il  fatto  e'  commesso  su  componenti
metalliche o altro materiale sottratto  ad  infrastrutture  destinate
all'erogazione   di   energia,   di   servizi   di   trasporto,    di
telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite  da  soggetti
pubblici o da privati in regime di concessione pubblica (art. 625, n.
7-bis). Una dimensione  pubblicistica  dell'oggetto  materiale  della
condotta e dell'offesa patrimoniale non  e'  necessariamente  propria
della mera esposizione della res alla pubblica fede - situazione  per
la quale si prevede la procedibilita' a querela. 
    Se queste sono dunque, le ragioni che hanno ispirato la  novella,
davvero appare del  tutto  arbitrario  conservare  la  procedibilita'
d'ufficio del delitto di cui all'art. 635,  comma  2,  n.  l,  codice
penale; se l'oggetto materiale della  condotta,  nel  furto  di  beni
esposti  alla  pubblica  fede,  e'  effettivamente   privo   di   una
significativa dimensione pubblicistica, non si vede come  esso  possa
riacquistare  tale  dimensione   quando   -   come   nel   caso   del
danneggiamento - la  cosa  non  venga  sottratto  ma  appunto  (solo)
danneggiata. 
    Non condivisibile appare, dunque, la pur fugace  spiegazione  che
al mantenimento della procedibilita' d'ufficio del danneggiamento  di
beni esposti alla pubblica fede viene fornita nella sopra  richiamata
relazione  illustrativa,  nella  quale  si  afferma  che  nei   commi
dell'art. 635 successivi al primo  «vengono  in  rilievo  ipotesi  di
danneggiamento di beni pubblici o, comunque, di interesse o  utilita'
pubblica»; almeno limitatamente all'ipotesi,  che  qui  interessa  in
modo particolare, dei beni esposti alla pubblica fede,  la  relazione
illustrativa   appare   infatti   caratterizzata   da   un'insanabile
contraddittorieta', nella misura in cui qualifica come beni  pubblici
ovvero beni di interesse o utilita' pubblica quelle stesse cose  che,
nel contesto normativa delineato dagli  articoli  624  e  625  codice
penale, erano  ben  identificate  come  del  tutto  prive  di  simili
connotati. 
    Vieppiu', dopo l'entrata in vigore  del  decreto  legislativo  n.
150/2022 e' divenuto procedibile a querela anche il  furto  aggravato
dalla violenza sulle cose (art. 625, comma l, n. 2,  codice  penale),
circostanza questa che rende ancor piu'  evidente  l'irragionevolezza
derivante  dal  mantenimento  della  procedibilita'   d'ufficio   del
danneggiamento di beni esposti alla  pubblica  fede.  Il  delitto  di
furto aggravato dalla violenza sulle cose infatti, pacificamente  non
concorre con il danneggiamento delle stesse cose in tutti i  casi  in
cui la violenza sia  stata  esercitata  in  rapporto  funzionale  con
l'esecuzione della condotta  furtiva  (cfr.,  da  ultimo,  Cassazione
pen., sez. 5, sentenza n. 25953 del 28 febbraio 2022), sicche' oggi -
essendo il furto con violenza sulle cose procedibile a querela  -  si
verifica la paradossale situazione per cui l'agente che si  limiti  a
danneggiare la res si  vedra'  imputato  di  un  delitto  procedibile
d'ufficio, mentre quello che,  proseguendo  nell'azione  criminosa  e
cosi' realizzando una piu' significativa lesione del  bene  giuridico
tutelato, se ne appropri, sara' chiamato a rispondere di  un  delitto
procedibile a querela,  con  tutte  le  evidenti  e  piu'  favorevoli
ripercussioni processuali e sostanziali  che  il  diverso  regime  di
procedibilita' implica. 
    L'esigenza, peraltro, di adeguare il regime di procedibilita' del
danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede a quello  del  piu'
grave reato di furto dei medesimi beni e', a quanto consta,  ritenuta
tale anche dal  legislatore.  Nello  schema  di  decreto  legislativo
recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo
n. 150/2022 e da adottare ai sensi dell'art. l,  comma  4,  legge  n.
134/2021 si prevede (art. l, comma  1,  lettera  b  dello  schema  di
decreto), infatti, un intervento  sul  testo  dell'art.  635,  codice
penale che estenda la procedibilita' a  querela  anche  alle  ipotesi
previste dallo stesso art. 635, comma  2,  n.  1  codice  penale  con
riferimento proprio ai fatti commessi su cose esposte per  necessita'
o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede.  Si  tratta
naturalmente di  uno  schema  di  decreto  legislativo  ad  oggi  non
vigente, del quale dunque non si puo' certo tener  conto  in  termini
operativi, ma che pur sempre rileva, da un lato,  come  testimonianza
della avvertita necessita' di eliminare l'irragionevole disparita' di
trattamento normativa  gia'  sopra  evidenziata,  e  dall'altro  come
elemento che rafforza ulteriormente la convinzione che la persistente
procedibilita' d'ufficio del  danneggiamento  di  beni  esposti  alla
pubblica fede non corrisponda ad alcuna vera  e  propria  scelta  del
legislatore, ma piuttosto  risulti  da  un  piu'  banale  difetto  di
coordinamento o comunque da un non sorvegliato utilizzo  delle  buone
tecniche di redazione degli atti normativi. 
    E' opportuno poi anche precisare che il risultato  cui  la  Corte
costituzionale potrebbe  giungere  ove  ritenesse  di  accogliere  la
presente questione di legittimita'  costituzionale  non  puo'  essere
invece assicurato dal giudice per via interpretativa. 
    Il tenore testuale dell'art.  635,  comma  5,  codice  penale  e'
infatti effettivamente insuperabile con gli strumenti a  disposizione
dell'interprete, poiche'  esso  -  ad  avviso  del  tribunale  -  non
consente  in  alcun  modo  di  ritenere  procedibile  a  querela   il
danneggiamento  di  beni  esposti  alla  pubblica   fede,   ed   anzi
testualmente ed espressamente lo esclude. Non  e'  dunque  possibile,
per il giudice comune, praticare un'interpretazione della legge  che,
consentendo di ritenere sulla base della legge vigente procedibile  a
querela il danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede, escluda
l'intervento della Corte costituzionale, per la banale ma  assorbente
ragione che simile interpretazione si risolverebbe in una surrettizia
disapplicazione  della  legge  vigente,  in  quanto  tale  certamente
preclusa al giudice ordinario. 
    Non sfugge infine al rimettente il fatto che gia'  altri  giudici
comuni  abbiano,  ad  oggi,  sollevato  la  medesima   questione   di
legittimita' costituzionale che si propone con la presente ordinanza.
Tale circostanza, tuttavia, non osta alla proposizione di  una  nuova
ed ulteriore  questione  di  legittimita'  costituzionale,  ne'  deve
invitare ad adottare soluzioni  attendiste  basate  sul  c.d.  rinvio
tecnico, da effettuarsi cioe' in attesa della decisione  della  Corte
costituzionale. 
    Simile soluzione, ancorche' largamente diffusa nella prassi,  non
sembra infatti a questo giudice corretta. Essa,  infatti,  priverebbe
da  un  lato  la  Corte  costituzionale  del  patrimonio  conoscitivo
derivante per l'appunto dal contenuto  dell'ordinanza  di  rimessione
stessa, e, soprattutto, priverebbe le parti del  giudizio  principale
della possibilita', invece loro riconosciuta dalla  legge  (art.  25,
legge n. 87/1953), di presentare le proprie tempestive deduzioni alla
Corte costituzionale. 
    Tutto quanto sopra esposto impone di ritenere sussistenti tutti i
presupposti in presenza dei quali e' doverosa, per il giudice a  quo,
la proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    Il processo principale deve dunque essere sospeso, con  immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;  alla  cancelleria
va ordinata la notificazione della presente ordinanza  al  Presidente
del Consiglio  dei  ministri  e  la  comunicazione  della  stessa  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; non occorre,  invece,  la
notificazione alle parti  del  processo  principale,  giacche'  della
presente ordinanza e' stata data lettura in pubblico dibattimento.