TRIBUNALE DI ORISTANO 
                        Sezione unica penale 
 
    Il giudice, dott.ssa Cristiana Argiolas, 
        letti gli atti del procedimento penale a carico di P.S., nato
a ... (...) il ..., imputato: 
          1. del reato di  cui  all'art.  75,  comma  1  del  decreto
legislativo  n.  159/2011,  poiche',  sottoposto   alla   misura   di
prevenzione della Sorveglianza speciale  di  pubblica  sicurezza  per
anni uno, con decreto n. ... del Tribunale  di  Oristano  datato  ...
violava l'obbligo inerente il divieto di allontanarsi  dalla  propria
abitazione dalle ore  20,00  fino  alle  ore  06,00  (non  trovandosi
all'interno della predetta abitazione alle ore  ...  dell'...)  senza
aver  previamente  avvisalo  l'Autorita'  di  PS  e  avere   ricevuto
autorizzazione. 
    In ... (...) il ...; 
          2. in ordine al reato p. e p. dall'art.  75,  comma  1  del
decreto legislativo n. 159/2011 poiche', sottoposto  alla  misura  di
prevenzione della Sorveglianza speciale  di  pubblica  sicurezza  per
anni uno, con decreto n. ... del Tribunale  di  Oristano  datato  ...
violava l'obbligo inerente il divieto di allontanarsi  dalla  propria
abitazione dalle ore  20,00  fino  alle  ore  06,00  (non  trovandosi
all'interno della predetta abitazione alle ore  ...  del  ...)  senza
aver  previamente  avvisato  l'Autorita'  di  PS  e  avere   ricevuto
autorizzazione. 
    In ... (...) il ...; 
          3. del reato p. e p. dall'art.  75,  comma  1  del  decreto
legislativo n. 159 del 5 settembre 2011 perche',  pur  essendo  stato
sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale  di
pubblica sicurezza per la durata di un anno (disposta con decreto  n.
... del ...  dal  Tribunale  -  Sezione  unica  penale  di  Oristano,
notificatagli il ...) con l'obbligo di  non  rincasare  dopo  le  ore
20,00 e di non uscire di casa prima delle ore 06,00, in autunno e  in
inverno, contravveniva alla prescrizione «di non  rincasare  dopo  le
ore 20,00», essendo rientrato in casa alle ore ... 
    Accertato in ... il ...; 
          4. del reato di  cui  all'art.  75,  comma  1  del  decreto
legislativo  n.  159/2011  perche',   sottoposto   alla   misura   di
prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di  Pubblica   sicurezza,
disposta con decreto  del  Tribunale  di  Oristano  n.  ...  del  ...
(esecutivo  dal  ...  per  la  durata  di  anni  uno),   violava   la
prescrizione di non rincasare piu' tardi delle ore 21,00 in primavera
e in estate e delle ore 22,00 in autunno e in inverno, di non  uscire
mai di casa  prima  delle  ore  ...  senza  comprovate  necessita'  o
comunque  senza  averne  dato  tempestiva  notizia  all'Autorita'  di
pubblica sicurezza e averne ricevuto  autorizzazione:  infatti,  alle
ore ... del ... risultava assente dal proprio domicilio. 
    Commesso in ..., il ...; 
          5. del reato p. e p. dall'art.  75,  comma  1  del  decreto
legislativo n. 159/2011 perche', pur essendo  stato  sottoposto  alla
misura  di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza per la durata di un anno (disposta con decreto n.  ...  del
... dal Tribunale di Oristano, notificato il ...) con l'obbligo,  tra
gli altri, di non rincasare dopo le ore 20 in autunno  e  in  inverno
nella  propria  abitazione  sita  in   ...   contravveniva   a   tale
prescrizione in quanto veniva trovato dai carabinieri alle ore ...  a
... in piazza ... ubriaco. 
    Accertata in ... l'...; 
        nel decidere sull'eccezione di illegittimita'  costituzionale
dell'art.  14,  comma  2ter  del  decreto  legislativo  n.  159/2011,
sollevata dal difensore di  fiducia  dell'imputato,  con  riferimento
agli articoli 3, commi 1 e 2, 13 e 27, comma 3 della Costituzione; 
        sentito il pubblico ministero; 
 
                              Rilevato 
 
    che, secondo la prospettazione difensiva, l'art. 14, comma  2-ter
del decreto legislativo n. 159/2011, nella parte in cui  prevede  che
«l'esecuzione della sorveglianza speciale resta  sospesa  durante  il
tempo in cui l'interessato e' sottoposto a detenzione per  espiazione
pena. Dopo la cessazione dello stato di detenzione,  se  esso  si  e'
protratto  per  almeno  due  anni,  il  tribunale   verifica,   anche
d'ufficio,  sentito  il  pubblico  ministero  che  ha  esercitato  le
relative  funzioni,  nel  corso  della   trattazione   camerale,   la
persistenza della pericolosita' sociale  dell'interessato,  assumendo
le necessarie informazioni presso l'amministrazione  penitenziaria  e
l'autorita' di pubblica  sicurezza,  nonche'  presso  gli  organi  di
polizia   giudiziaria»,   presenterebbe   un   primo    profilo    di
illegittimita' costituzionale rispetto all'art. 3, commi 1 e 2  della
Costituzione,  poiche'  introdurrebbe  una   ingiustificata   e   non
ragionevole disparita' di trattamento tra  soggetti  sottoposti  alla
misura  di  prevenzione  personale  (nella  specie  la  misura  della
sorveglianza speciale di  pubblica  sicurezza)  e  soggetti,  invece,
sottoposti a misura di' sicurezza (pur trattandosi di  misure  aventi
analoga ratio e finalita' di tutela), prevedendo - in relazione  alla
sola  ipotesi  della  sospensione  dell'esecuzione  delle  misure  di
prevenzione in caso di  detenzione  per  espiazione  pena  -  che  la
pericolosita' sociale del  destinatario  della  misura  debba  essere
rivalutata  al  momento  della  concreta  e  successiva  applicazione
allorche' lo stato detentivo  -  e  la  conseguente  sospensione  del
provvedimento restrittivo della liberta' personale e di  movimento  -
si siano protratte  per  almeno  due  anni,  diversamente  da  quanto
disposto per le misure di sicurezza dall'art. 679, comma 1 del codice
di procedura penale,  ai  sensi  del  quale  «quando  una  misura  di
sicurezza diversa dalla confisca e' stata, fuori  dei  casi  previsti
dall'art.  312,  ordinata  con  sentenza,  o  deve  essere   ordinata
successivamente, il magistrato  di  sorveglianza,  su  richiesta  del
pubblico ministero o di ufficio, accerta se l'interessato e'  persona
socialmente  pericolosa  e  adotta   i   provvedimenti   conseguenti,
premessa,  ove   occorra,   la   dichiarazione   di   abitualita'   o
professionalita' nel reato [...]»; 
    che un secondo profilo  di  illegittimita'  costituzionale  della
disposizione in esame si delineerebbe rispetto all'art. 13,  comma  1
della Costituzione poiche', secondo quanto rilevato dal difensore  di
S. la censurata previsione normativa pretende  di  dare  applicazione
alla misura di prevenzione della sorveglianza  speciale  di  pubblica
sicurezza (misura fortemente restrittiva della liberta' personale)  -
la cui  esecuzione  sia  rimasta  sospesa  in  ragione  dello  status
detentivo del destinatario - senza verificare  se,  all'esito  di  un
periodo di detenzione per espiazione pena di durata inferiore ai  due
anni, siano rimasti inalterati i presupposti di pericolosita' sociale
necessari per addivenire alla sua esecuzione; 
    che,  da  ultimo,  secondo  quanto   emerge   dall'argomentazione
difensiva, un terzo profilo di  illegittimita'  costituzionale  della
disposizione indicata si debba ravvisare rispetto all'art. 27,  comma
3 della Costituzione, atteso che il citato art. 14, comma  2-ter  del
decreto legislativo n. 159/2011, nel prevedere che  la  rivalutazione
della pericolosita' sociale al momento dell'applicazione della misura
di prevenzione della sorveglianza speciale di  pubblica  sicurezza  -
rimasta  sospesa  durante  la  detenzione  per  espiazione  pena  del
prevenuto - debba avvenire solo quando  lo  stato  detentivo  si  sia
protratto oltre il  biennio,  implica  -  nelle  diverse  ipotesi  di
detenzione infra-biennale - un'indebita  presunzione  di  persistenza
della  pericolosita'  sociale  del  destinatario  della  sorveglianza
speciale di P.S.  e,  conseguentemente,  di  inidoneita'  della  pena
detentiva di durata inferiore ai due anni a  perseguire  la  funzione
rieducati va prevista dalla disposizione costituzionale richiamata; 
 
                               Osserva 
 
I. Sullo svolgimento del processo. 
    Con decreto del ..., nel procedimento n.  ...,  il  Tribunale  di
Oristano ha  applicato  a  P.L.S.  la  misura  di  prevenzione  della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di un anno.
Tale  provvedimento  e'  stato  notificato  all'odierno  imputato  il
successivo ..., quando egli si trovava  ristretto  presso  l'istituto
penitenziario  di  ...  in  esecuzione  dell'ordine  di  carcerazione
disposto  dal  procuratore  della  Repubblica  presso   il   presente
tribunale con provvedimento  di  cumulo  pene  del  ...  (seguito  da
successivo provvedimento del  ...  di  determinazione  dell'ulteriore
pena da scontare in regime di restrizione carceraria). 
    Secondo quanto disposto dall'art.  14,  comma  2-ter  del  codice
penale, l'esecuzione della  sorveglianza  speciale  disposta  con  il
provvedimento menzionato e' rimasta sospesa fino  alla  scarcerazione
di S. avvenuta il ... giorno in cui  e'  stato  convocato  presso  la
Questura di ... per la sottoscrizione del verbale  di  sottoposizione
alla misura di prevenzione della sorveglianza  speciale  di  pubblica
sicurezza per la durata di un anno  che,  a  partire  da  tale  data,
diveniva efficace ed esecutiva  fino  al  ...  (come  si  evince  dal
verbale  di  sottoposizione  alla   misura   di   prevenzione   della
sorveglianza  speciale  di  P.S.  redatto  dall'Ufficio   misure   di
prevenzione e sicurezza della Questura di ... in atti). 
    Con decreto di citazione a giudizio, emesso il 25  marzo  2021  e
regolarmente notificato, P.L.S. e' stato chiamato  davanti  a  questo
tribunale per rispondere del reato di cui all'art. 75,  comma  1  del
decreto legislativo n. 159/2011 per aver violato  -  sottoposto  alla
misura  di  prevenzione  della  Sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza per anni uno, con il citato decreto n. ... del Tribunale di
Oristano datato ... -  la  prescrizione  di  non  allontanarsi  dalla
propria abitazione nell'orario compreso fra le ore 20,00 e  le  6,00,
commessa il giorno ... (procedimento  penale  n.  342/21  R.G.).  Con
successivi decreti di  citazione  del  31  marzo  2021  (procedimento
penale n. 374/21 R.G.), ... (procedimento penale n. 226/22 R.G.), ...
(procedimento penale n. 238/22) e ... (procedimento penale n.  259/22
R.G.) sono state contestate al medesimo imputato analoghe  violazioni
dell'art. 75, comma 1 del decreto legislativo  n.  159/2011  commesse
rispettivamente il ..., ..., ... e  ...,  sopra  meglio  precisate  e
tutte commesse mentre egli  si  trovava  sottoposto  alla  misura  di
prevenzione personale della sorveglianza  speciale  di  P.S.  per  la
durata di  un  anno,  disposta  con  il  decreto  del  ...,  divenuto
esecutivo il successivo ... 
    In ragione dell'istanza di riunione presentata  dal  difensore  e
ritenuti sussistenti i presupposti di cui all'art. 17 del  codice  di
procedura penale, i procedimenti n. 374/21, n. 226/22, n. 259/22,  n.
238/22 venivano riuniti al  procedimento  piu'  risalente  n.  342/21
R.G., pendente dinanzi a questo giudice. 
    L'imputato, tramite il suo difensore munito di procura  speciale,
ha  chiesto  di  essere   giudicato   nelle   forme   dell'abbreviato
condizionato a produzioni documentali  e,  ai  sensi  dell'art.  441,
comma 5 del codice di procedura penale, e' stata disposta una perizia
psichiatrica (1) . Nella successiva udienza, fissata per l'esame  del
perito e la  discussione,  il  difensore  ha  chiesto  un  rinvio  di
cortesia perche' intenzionato a sollevare la  presente  questione  di
legittimita' costituzionale mediante deposito di memoria scritta. 
    II.   Sulla   rilevanza   della   questione   di   illegittimita'
costituzionale nel caso sottoposto all'attenzione del giudice a quo. 
    Le richiamate  circostanze,  verificatesi  nel  caso  di  specie,
consentono di apprezzare la rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale  sollevata  dalla  difesa  per  la   definizione   del
procedimento   penale   pendente,   dovendo   il   presente   giudice
necessariamente fare  applicazione  della  disposizione  della  quale
viene contestata la legittimita' costituzionale  per  pervenire  alla
decisione in ordine alla responsabilita' penale di P.L.S. per i reati
di cui all'art. 75, comma 1 del decreto legislativo n. 159/2011 a lui
ascritti. 
    E, invero, sebbene il  decreto  applicativo  della  misura  della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di un  anno
sia stato emesso il ..., in quel momento S. si trovava ristretto (per
effetto di un provvedimento di  carcerazione  del  procuratore  della
Repubblica presso questo tribunale del precedente ...)  ed  e'  stato
scarcerato solo il successivo ... (avendo peraltro  egli  beneficiato
della liberazione anticipata concessagli con le ordinanze del  ...  e
... del magistrato di sorveglianza di  Cagliari),  quando  era  stato
convocato presso  gli  uffici  della  Questura  di  Oristano  per  la
notifica del verbale di sottoposizione  alla  misura  di  prevenzione
precedentemente disposta per la durata di un anno; misura che da tale
momento diveniva esecutiva. Dunque,  a  distanza  di  oltre  un  anno
dall'emanazione del provvedimento  applicati  v  o  della  misura  di
prevenzione  personale  della  sorveglianza  speciale   di   pubblica
sicurezza (che peraltro era stata disposta per la durata di  un  solo
anno), senza alcuna rivalutazione della pericolosita' sociale -  alla
stregua  della  disposizione  in  contestazione  -   la   misura   di
prevenzione della sorveglianza  speciale  di  pubblica  sicurezza  ha
acquisito efficacia  esecutiva  mediante  la  sola  sottoscrizione  -
contestualmente alla scarcerazione  dell'odierno  imputato  -  di  un
verbale  di  effettiva  sottoposizione  alla  misura  originariamente
disposta, meramente riepilogativo  delle  prescrizioni  previste  dal
provvedimento genetico. 
    E'  del  tutto  evidente  che  se  la   presente   questione   di
legittimita'  costituzionale   venisse   accolta,   con   conseguente
pronuncia di illegittimita' dell'art. 14,  comma  2-ter  del  decreto
legislativo n. 159/2011 nella parte in cui  limita  la  rivalutazione
d'ufficio della pericolosita' sociale  ai  soli  casi  -  diversi  da
quello in esame - in cui la detenzione per  espiazione  pena  si  sia
protratta per almeno  due  anni,  dovrebbe  trovare  retroattivamente
applicazione la disciplina che  attualmente  impone  (analogamente  a
quanto previsto per le  misure  di  sicurezza)  la  rivalutazione  ex
officio da parte del  tribunale  -  con  assunzione  di  informazioni
presso l'amministrazione  penitenziaria  e  l'autorita'  di  pubblica
sicurezza, nonche' presso gli organi di polizia giudiziaria  -  della
pericolosita' sociale del destinatario della sorveglianza speciale di
P.S. preliminarmente all'esecuzione della misura disposta, quando  la
sospensione dell'esecuzione per espiazione pena si sia protratta  per
almeno due anni, secondo quanto disposto dall'art. 14,  comma  2-ter,
penultimo  inciso  (2)  .  In  altri  termini,  l'accoglimento  della
questione priverebbe la decisione adottata  in  sede  applicativa  di
efficacia esecutiva perche' inidonea, da se' sola, a giustificare  la
permanenza  della  pericolosita'  sociale,  rendendo  necessario   un
ulteriore accertamento  da  compiere  indefettibilmente  e  d'ufficio
perche' la misura possa essere concretamente posta in esecuzione. 
    Cio' non potrebbe che  spiegare  i  propri  effetti,  dunque,  in
ordine alla sussistenza delle fattispecie incriminatrici contestate a
S., rappresentate da plurimi episodi di violazione  della  misura  di
prevenzione  personale  della  sorveglianza  speciale   di   pubblica
sicurezza  commessi  in  seguito  alla  notifica   del   verbale   di
sottoposizione alle prescrizioni imposte dal provvedimento originario
(la cui esecuzione e' rimasta sospesa per un tempo inferiore  ai  due
anni) senza che si sia proceduto  alla  verifica  in  concreto  della
persistenza della pericolosita'  sociale  del  medesimo.  Persistenza
della quale, a ben guardare, si sarebbe potuto dubitare nel  caso  di
specie ove, non solo la misura di prevenzione era stata disposta  per
la durata di un solo anno (gia' interamente decorso  nel  momento  in
cui la misura ha trovato differita esecuzione), ma S. aveva  altresi'
beneficiato - nel corso della carcerazione  medio  tempore  subita  -
della liberazione anticipata e di permessi premio  con  provvedimenti
attestanti la partecipazione all'opera rieducativa e  la  correttezza
della condotta intramuraria (3) . 
    Ma, anche a voler prescindere dall'ipotetico esito  di  una  tale
verifica,  e'  la  radicale  omissione  della   rivalutazione   della
pericolosita' sociale secondo il procedimento invece previsto per  le
ipotesi di detenzione protrattasi per un periodo di almeno due anni a
condurre   ad   escludere   -   nell'ipotesi   di   declaratoria   di
illegittimita'  costituzionale  della  norma   citata   nella   parte
censurata - l'efficacia della  misura  di  prevenzione  disposta  nei
confronti di S. ed a far venir meno il presupposto della  fattispecie
incriminatrice contestata nel presente procedimento. 
    Se la questione di legittimita' costituzionale  venisse  accolta,
infatti, in assenza  di  una  rivalutazione  della  pericolosita'  in
origine stabilita, la sospensione  dell'esecuzione  della  misura  di
prevenzione non potrebbe dirsi cessata in maniera automatica  per  il
solo cessare dell'esecuzione della pena  detentiva  -  mediante  mera
notifica del provvedimento applicativo originario -, ma  si  dovrebbe
ritenere persistente fino a quando il giudice competente non  proceda
a  verificare  nuovamente  la  pericolosita'  sociale  della  persona
sottoposta alla misura e  ad  emettere,  se  del  caso,  il  relativo
provvedimento  debitamente  notificato   all'interessato:   solo   il
rispetto di tale iter costituirebbe  condizione  di  efficacia  della
misura di prevenzione. 
    Del  resto,  con  riferimento  alle  conseguenze  della   mancata
verifica dell'attualita' della pericolosita' sociale della misura  di
prevenzione all'esito di una detenzione di lunga durata - nel diverso
caso concernente la rivalutazione della  pericolosita'  dei  soggetti
indiziati  di  appartenere  ad  associazioni   mafiose,   contemplati
dall'art. 4 del decreto legislativo n. 159/2011 - ha  avuto  modo  di
pronunciarsi anche la Corte di cassazione, sezioni unite 13  novembre
2018,  n.  51407,  affermando  che  «Nei  confronti  di  un  soggetto
destinatario  di  una  misura  di  sorveglianza  speciale,   la   cui
esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione  di  lunga
durata, in assenza di una rivalutazione dell'attualita' e persistenza
della  sua  pericolosita'  sociale  ad  opera   del   giudice   della
prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla  misura,  non
e' configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti  alla
sorveglianza speciale, previsto dall'art. 75 del decreto  legislativo
6 settembre 2011, n. 159 (4) ». 
    Con tale pronuncia,  infatti,  la  Suprema  Corte  ha  sanato  il
contrasto giurisprudenziale  venutosi  a  delineare  in  ordine  alla
permanenza o meno della sospensione dell'esecuzione della  misura  di
prevenzione  in  caso  di  cessazione  di  uno  stato  detentivo  per
espiazione pena o sottoposizione alla misura cautelare della custodia
in carcere, quando non vi sia ancora  stata  la  rivalutazione  della
pericolosita'    sociale    d'ufficio.     Secondo     l'orientamento
interpretativo (Cassazione, sezione 1, n. 6878 del 5  dicembre  2014,
dep. 2015, ...) avallato dalle sezioni unite citate, «nell'ipotesi di
sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della legge n.  1423  del
1956 ovvero del decreto  legislativo  n.  159  del  2011,  il  quale,
successivamente all'adozione della misura, sia assoggettato a  misura
cautelare personale ovvero alla espiazione di pena detentiva  per  un
apprezzabile periodo  temporale  potenzialmente  idoneo  ad  incidere
sullo stato di pericolosita' in precedenza delibato, la misura stessa
deve considerarsi sospesa  nella  sua  efficacia  fino  a  quando  il
giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l'attualita'  alla
luce di quanto desumibile in favore del sottoposto  dalla  esperienza
di carcerazione patita: con la conseguenza che, fino  a  quando  tale
nuova valutazione non venga effettuata dal giudice della prevenzione,
anche alla luce del comportamento tenuto  nel  corso  dell'esecuzione
della pena,  non  puo'  considerarsi  sussistente  il  reato  di  cui
all'art. 75, comma 2 del  decreto  legislativo  n.  159/2011  (ovvero
quello di cui all'art. 9, comma 2 della legge n. 1423 del 1956),  dal
momento che tale illecito consiste nell'inadempimento ad  obblighi  e
prescrizioni  la  cui  esecuzione  e'  sospesa».   In   sintesi,   la
valutazione   di   attualita'   della   pericolosita'   sociale   del
destinatario della misura in questione, compiuta  dal  giudice  della
prevenzione al termine del periodo  di  differimento  dell'esecuzione
della misura stessa determinato da  detenzione  per  espiazione  pena
costituisce presupposto di sussistenza per l'integrazione  dei  reati
previsti dall'art. 75 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (5) . 
III. Sulla non manifesta infondatezza. 
    1. L'art. 4 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, ha inserito, nel
testo dell'art. 14 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159,
rubricato «decorrenza e cessazione della sorveglianza  speciale»,  il
comma  2-ter,  secondo  il  quale  «l'esecuzione  della  sorveglianza
speciale resta sospesa durante  il  tempo  in  cui  l'interessato  e'
sottoposto a detenzione per espiazione pena. Dopo la cessazione dello
stato di detenzione, se esso si e' protratto per almeno due anni,  il
tribunale verifica, anche d'ufficio, sentito  il  pubblico  ministero
che ha esercitato le relative funzioni, nel corso  della  trattazione
camerale,    la    persistenza    della     pericolosita'     sociale
dell'interessato,  assumendo  le   necessarie   informazioni   presso
l'amministrazione penitenziario e l'autorita' di pubblica  sicurezza,
nonche'  presso  gli  organi  di  polizia  giudiziaria.  Al  relativo
procedimento si applica, in quanto compatibile, il disposto dell'art.
7. Se persiste la pericolosita' sociale il tribunale  emette  decreto
con cui ordina l'esecuzione  della  misura  di  prevenzione,  il  cui
termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui  il  decreto
stesso e' comunicato  all'interessato,  salvo  quanto  stabilito  dal
comma 2 del presente articolo. Se invece la pericolosita' sociale  e'
cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il  provvedimento
di applicazione della misura di prevenzione». 
    Tale previsione e' stata introdotta dal  legislatore  in  seguito
alla pronuncia della Corte costituzionale n. 291 del 2 dicembre  2013
con la quale  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 12 della legge 27  dicembre  1956,  n.  1423,  laddove  non
prevede  che,  nel  caso  in  cui  l'esecuzione  di  una  misura   di
prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione
per espiazione pena della persona ad essa sottoposta, l'organo che ha
adottato il  provvedimento  di  applicazione  debba  valutare,  anche
d'ufficio,    la    persistenza    della    pericolosita'     sociale
dell'interessato nel momento dell'esecuzione della  misura;  nonche',
in applicazione dell'art. 27  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto  legislativo
6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure
di  prevenzione,   nonche'   nuove   disposizioni   in   materia   di
documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13
agosto 2010, n. 136) - disposizione nella  quale  e'  stato  trasfuso
quanto disposto dall'art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 -,
nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui  l'esecuzione  di
una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato
di  detenzione  per  espiazione  di  pena  della  persona   ad   essa
sottoposta, l'organo che ha adottato il provvedimento di applicazione
debba valutare, an??? d'ufficio, la persistenza  della  pericolosita'
sociale dell'interessato nel momento dell'esecuzione della misura (6)
. 
    Partendo dalla  questione  del  rapporto  di  compatibilita'  fra
sottoposizione alla misura di prevenzione e detenzione per espiazione
pena  e  dall'orientamento  allora  maggioritario,   avallato   dalla
Cassazione, sezioni unite, del 25  marzo  1993,  n.  2491,  ...  (che
riteneva passibile, in caso di destinatario di misura di  prevenzione
detenuto in espiazione pena, la sua  applicazione  sulla  base  della
valutazione  di  pericolosita'  sociale  (7)  espressa   al   momento
deliberativo    della    stessa,    nonostante     la     sospensione
dell'applicazione e il conseguente  decorso  del  tempo  rispetto  al
successivo momento esecutivo, posto  che  la  disciplina  in  materia
faceva salva l'iniziativa del prevenuto volta alla  rivalutazione  di
una pericolosita' altrimenti presunta), il  giudice  delle  leggi  ha
ritenuto sussistente la violazione del principio di  uguaglianza  con
riferimento alla diversa disciplina delle misure di sicurezza, per le
quali l'art. 679, comma 1 del codice di procedura  penale  -  secondo
cui «quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca e'  stata,
fuori dai casi di cui previsti dall'art. 312, ordinata con  sentenza,
o  deve   essere   ordinata   successivamente,   il   magistrato   di
sorveglianza, su richiesta  del  pubblico  ministero  o  di  ufficio,
accerta se l'interessato e' persona socialmente pericolosa e adotta i
provvedimenti conseguenti [...]» - prevede un diverso  meccanismo  di
necessaria doppia  valutazione  anche  di  ufficio,  e  non  solo  su
iniziativa del destinatario, della pericolosita'  sociale.  In  altri
termini, la richiamata disciplina delle misure di sicurezza prevede -
e prevedeva gia' al tempo di tale arresto della  Consulta  -  che  la
pericolosita' debba essere valutata  due  volte:  dal  giudice  della
cognizione   al   momento   della   pronuncia   della   sentenza   e,
successivamente,  dal  magistrato  di  sorveglianza  per   verificare
l'attualita' della pericolosita' sociale  al  momento  dell'effettiva
applicazione della misura. 
    Ebbene, secondo quanto  ulteriormente  chiarito  dalla  pronuncia
citata,  solo  tale  ultimo  modello  risulta  conforme  ai  principi
costituzionali  e,  atteso  che  misure  di  sicurezza  e  misure  di
prevenzione hanno identita' di ratio e costituiscono  species  di  un
medesimo genus (8) , deve intendersi irragionevole tale disparita' di
trattamento fra i destinatari delle  une  e  delle  altre.  Con  tale
pronuncia la Corte costituzionale ha quindi censurato  la  disciplina
dettata in materia di  misure  di  prevenzione  personali  laddove  -
contrariamente a  quanto  previsto  per  le  misure  di  sicurezza  -
limitava la rivalutazione della pericolosita' sociale  del  prevenuto
al momento dell'esecuzione della misura della  sorveglianza  speciale
di P.S. alle sole ipotesi in cui ci  fosse  stata  un'iniziativa  del
prevenuto a tal fine diretta. 
    In altri termini, e' stata ritenuta intollerabile dalla  Consulta
una presunzione, sia pure solo iuris tantum - perche' superabile  con
l'attivazione da parte  del  prevenuto  di  un  procedimento  teso  a
verificare, in  negativo,  l'inesistenza  della  pericolosita'  -  di
persistenza della pericolosita' sociale del destinatario della misura
di prevenzione, malgrado fra il momento di deliberazione della stessa
e la sua esecuzione egli  sia  stato  sottoposto  ad  un  trattamento
costituzionalmente  teso  alla  sua  risocializzazione.  In   maniera
particolarmente incisiva il giudice  delle  leggi  ha  precisato  che
«gia' in linea generale, il  decorso  di  un  lungo  lasso  di  tempo
incrementa    la    possibilita'    che    intervengano     modifiche
nell'atteggiamento  del  soggetto  nei  confronti  dei  valori  della
convivenza civile: ma a maggior ragione civile quando si  discuta  di
persona che, durante  tale  lasso  temporale,  e'  sottoposta  ad  un
trattamento specificamente volto alla sua  risocializzazione.  Se  e'
vero, in effetti, che non puo' darsi per scontato  a  priori  l'esito
positivo di detto trattamento, per quanto lungo esso sia, meno ancora
puo' giustificarsi, sul fronte opposto, una presunzione  -  sia  pure
solo iuris  tantum  -  di  persistenza  della  pericolosita'  sociale
malgrado il trattamento, che equivale alla negazione della sua stessa
funzione: presunzione  che  risulta,  per  converso,  sostanzialmente
insita  in  un  assetto   che   attribuisca   alla   verifica   della
pericolosita' operata in  fase  applicativa  un'efficacia  sine  die,
salvo che non intervenga una sua vittoriosa  contestazione  da  parte
dell'interessato». 
    Ebbene,  l'art.  14,  comma  2-ter  del  decreto  legislativo  n.
159/2011 interviene in seguito a  tale  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale degli articoli 12, legge 27 dicembre 1956, n.  1423  e
15 del decreto legislativo n. 159/2011, prevedendo - nel tentativo di
adeguarsi al principio  ivi  espresso  (9)  -  che,  nell'ipotesi  di
sospensione  dell'esecuzione  della  misura  di   prevenzione   della
sorveglianza  speciale  di  P.S.  per  lo  stato  di  detenzione  del
prevenuto  dovuto  ad  espiazione   pena,   la   verifica   d'ufficio
dell'attualita' della pericolosita' sociale al momento della concreta
esecuzione della misura debba avvenire solo quando  tale  descrizione
si sia protratta per almeno due anni. 
    2. Nel diritto vivente, peraltro, si e' affermata una sempre piu'
evidente   valorizzazione   del   requisito   dell'attualita'   della
pericolosita' sociale  al  momento  dell'applicazione  di  misure  di
prevenzione restrittive della  liberta'  personale,  giungendosi  per
tale via  al  progressivo  superamento  di  presunzioni  -  sia  pure
relative - di pericolosita' sociale dei  soggetti  che  ne  risultino
destinatari. Si  pensi,  a  titolo  meramente  esemplificativo,  alla
recente sentenza della Corte di  cassazione,  sezione  VI,  9  luglio
2020, n. 20577, secondo la quale «Ai fini dell'applicazione di misure
di  prevenzione  nei  confronti  di  indiziati  di   appartenere   ad
associazioni di tipo mafioso e'  necessario  accertare  il  requisito
della "attualita'" della pericolosita' e, laddove sussistano elementi
sintomatici  di  una  "partecipazione"  del  proposto  al   sodalizio
mafioso, e' possibile applicare la presunzione semplice relativa alla
stabilita' del vincolo  associativo  purche'  la  sua  validita'  sia
verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal
caso concreto e la  stessa  non  sia  posta  quale  unico  fondamento
dell'accertamento di attualita' della pericolosita'. (Fattispecie  in
cui la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato,  sul
rilievo della omessa valutazione, da parte della  corte  di  appello,
del lungo periodo di permanenza del ricorrente  in  stato  detentivo,
della confessione resa e della simulazione da parte sua di un'offerta
reale alle persone offese dei reati, a fini risarcitori, elementi  di
cui era necessario accertare se denotassero l'abbandono delle logiche
criminali  in  precedenza   condivise   all'interno   del   sodalizio
camorristico)», nonche' all'ulteriore recente  pronuncia  di  analogo
tenore in forza della quale «Ai fini dell'applicazione  della  misura
di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di indiziati
di  appartenere  ad  associazioni  di  tipo  mafioso  e'   necessario
accertare il requisito della  "attualita'"  della  pericolosita'  del
proposto,  sicche',  a  fronte   di   elementi   positivi   denotanti
l'abbandono di logiche criminali  di  appartenenza  all'associazione,
l'applicazione della misura nei confronti di soggetti  gia'  detenuti
per  lunghi  periodi  temporali  non  puo'   essere   fondata   sulla
presunzione di permanenza  desunta  dalla  condotta  precedente  alla
pronuncia  di  condanna  emessa   nel   separato   giudizio   penale.
(Fattispecie in cui la Corte  ha  annullato  con  rinvio  il  decreto
impugnato, rilevando l'omessa valutazione da  parte  della  corte  di
appello di  una  nota  della  D.I.A.  attestante  che  il  ricorrente
svolgeva  regolare  attivita'  lavorativa  e  che   non   risultavano
circostanze successive alla sua scarcerazione idonee ad  evidenziarne
la pericolosita' sociale) (cfr. Cass. Pen., sezione II, 3 marzo 2020,
n. 8541). 
    L'affermazione  di  tale  orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita' - incentrato sul superamento  della  presunzione  «semel
mafioso, semper mafioso» trae fondamento della nota  pronuncia  della
Suprema corte a Sezioni unite, 30 novembre  2017,  n.  111,  ...,  la
quale perviene al  superamento  della  presunzione  di  pericolosita'
anche  nei  confronti  di   soggetti   portatori   di   pericolosita'
qualificata ai sensi dell'art. 4, comma 1,  lettera  a)  del  decreto
legislativo n. 159/2011, affermando che  «non  puo'  dimenticarsi  la
considerazione della progressiva erosione  dell'attendibilita'  della
richiamata valutazione presuntiva, ed  il  connesso  costante  monito
sull'importanza della valutazione del  singolo  caso,  desumibile  in
particolare dalla pronuncia della Corte  costituzionale  n.  291  del
2013 che ha posto in  discussione  la  natura  insuperabile  di  tale
presunzione dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,
comma 1 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nella parte
in cui non prevede che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di
prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione
per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l'organo che
ha adottato il provvedimento di applicazione  debba  valutare,  anche
d'ufficio,    la    persistenza    della    pericolosita'     sociale
dell'interessato nel momento dell'esecuzione della misura.  Con  tale
pronuncia si e' imposta la considerazione della detenzione intercorsa
medio tempore, come elemento di fatto  di  possibile  modifica  dello
status qua ante, precisandosi che tale accadimento  non  puo'  essere
considerato indifferente  rispetto  alle  possibili  modifiche  delle
scelte di fondo dell'interessato, proprio in  ragione  del  principio
rieducativo  sotteso  alla  potesta'  statuale  di  applicazione   ed
esecuzione della  pena,  la  cui  esclusione  minerebbe  i  connotati
essenziali del patto sociale in argomento e la cui  portata  generale
impone la considerazione di tale elemento di fatto anche nell'ipotesi
di pericolosita' derivante da elementi di  appartenenza  a  strutture
associative. La connessione  con  tale  accadimento  intermedio,  nel
corso dell'esecuzione della misura, ha quindi imposto una valutazione
in concreto della persistenza della pericolosita', anche nell'ipotesi
di vincolo associativo accertato in precedenza». 
    E' ben evidente che tali ultime pronunce si collocano sul diverso
piano dell'attualita' della pericolosita'  sociale  del  destinatario
della misura di  prevenzione  al  momento  deliberativo,  applicativo
della stessa, (non potendo quindi la  misura  trovare  fondamento  in
elementi sintomatici di una pericolosita'  certamente  pregressa,  ma
non  necessariamente  persistente),  ma  risultano  fondamentali  per
comprendere   come   l'attualita'   della    pericolosita'    sociale
rappresenti, e debba necessariamente rappresentare, il  fulcro  della
prevenzione personale: le misure di prevenzione  -  limitative  della
liberta' personale, di circolazione e di movimento -  si  inseriscono
nel sistema  costituzionale  solo  se  finalisticamente  orientate  a
contrastare una condizione di pericolosita' attualmente esistente. In
altri termini, la  pericolosita'  -  nel  sistema  della  prevenzione
personale - non e' solo  presupposto  applicativo  delle  misure,  ma
anche fondamento della  loro  perduranza,  specie  nelle  ipotesi  di
sospensione o differimento dell'esecuzione delle medesime. 
    Tale indirizzo  trova  peraltro  conforto  in  un'interpretazione
conforme alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  poiche'  la
Corte EDU - con la nota pronuncia della Grande camera  del  6  aprile
2000, ... c. Italia -  ha  espresso  il  principio  della  necessaria
verifica della permanenza della pericolosita' del destinatario di  un
misura di prevenzione affinche' possano dirsi garantite le condizioni
di compatibilita' della disciplina per le stesse dettata dal  diritto
interno con la liberta' di movimento sancita  dall'art.  2,  prot.  4
CEDU (10) . 
    3. Alla luce delle considerazioni finora svolte, si  ritiene  che
debba essere condivisa la prospettazione difensiva secondo  la  quale
l'art. 14, comma 2-ter del decreto legislativo n.  159/2011  -  nella
parte in cui limita la valutazione d'ufficio della  permanenza  della
pericolosita'  sociale  del  prevenuto  nei   casi   di   sospensione
dell'esecuzione  della  misura  di  prevenzione  della   sorveglianza
speciale di P.S. dovuta a detenzione per espiazione pena che  si  sia
protratta per almeno due anni - si pone in contrasto  con  l'art.  3,
comma 1 della Costituzione, che prescrive di trattare in modo  eguale
situazioni  eguali  e  in  modo  diverso  situazioni  diverse,  cosi'
introducendo  nel  nostro  ordinamento  un  canone  di   coerenza   e
ragionevolezza  alla  stregua  del   quale   riguardare   le   scelte
legislative individuandone la ratio sottesa per  comprendere  se  una
determinata disparita' di trattamento possa  dirsi  ragionevole  alla
stregua della disposizione costituzionale citata. 
    Assumendo  quale  tertium  comparationis  rispetto   alla   norma
censurata il gia' citato art. 679 del codice di procedura penale, che
regola il differimento  dell'esecuzione  delle  misure  di  sicurezza
introducendo un meccanismo di doppia valutazione della  pericolosita'
(al momento della deliberazione con la sentenza emessa all'esito  del
giudizio di cognizione e, successivamente, al momento dell'esecuzione
in concreto della misura), a parere  della  scrivente,  la  censurata
previsione  legislativa  -  introdotta  per  dare   esecuzione   alla
precedente pronuncia della Consulta  n.  291/2013  -  non  supera  il
vaglio  di  ragionevolezza,  perche'   mantiene   un   ingiustificato
trattamento differenziato fra soggetti che si  trovano  in  posizioni
analoghe. Difatti, misure di sicurezza e misure di prevenzione  hanno
analoga ratio e sono parimenti orientate a prevenire  la  commissione
di reati da parte di soggetti valutati come pericolosi e a  favorirne
il loro recupero  verso  l'ordinato  vivere  sociale  e,  sotto  tale
profilo,  gia'   la   Consulta   si   era   pronunciata   in   ordine
all'illegittimita'  di  una  disparita'  di  trattamento,   ritenendo
conforme ai principi costituzionali la sola disciplina  delle  misure
di sicurezza che prevede la necessaria attualita'  della  valutazione
di pericolosita' dell'imputato al momento della sua esecuzione. 
    E' l'introduzione  di  un  lasso  temporale  rigido  (2  anni  di
sospensione dell'esecuzione della misura di  prevenzione  determinata
da detenzione per espiazione pena), al di  sotto  del  quale  non  e'
possibile verificare se la pericolosita' sociale del prevenuto sia  o
meno in concreto rimasta inalterata (con conseguente mantenimento  di
una  presunzione  iuris  tantum  di  permanenza  della  pericolosita'
sociale) a  porsi  in  contrasto  con  la  previsione  costituzionale
citata, perche' non e'  dato  ravvisare  ragioni  per  introdurre  un
simile trattamento differenziato per le sole misure  di  prevenzione.
Difatti, il  soggetto  a  cui  sia  stata  applicata  una  misura  di
sicurezza con sentenza verra' sempre sottoposto ad una  rivalutazione
della sua  pericolosita'  al  momento  della  concreta  e  successiva
esecuzione della misura (anche  quando  tale  momento  sia  differito
rispetto a quello deliberativo per un periodo inferiore ai due anni e
pur non ravvisandosi in concreto ragioni per dubitare dell'inalterata
permanenza), mentre in quelle stesse ipotesi e in maniera  del  tutto
irragionevole - analogamente a quanto accadeva prima della  pronuncia
della Consulta che ha inteso parificare i regimi delle due  tipologie
di misure sotto tale profilo - restera'  rimessa  all'iniziativa  del
destinatario della  misura  di  prevenzione  personale  l'attivazione
della   procedura   di   valutazione   dell'attualita'   della    sua
pericolosita' sociale; e cio' anche in ipotesi come quella venuta  in
rilievo nel caso di specie in cui risulta evidente l'irragionevolezza
della scelta legislativa, giacche' la misura di prevenzione e'  stata
disposta ab origine per la durata di un solo anno  e,  ciononostante,
e' divenuta automaticamente esecutiva oltre tale previsione temporale
originaria e sebbene all'odierno imputato sia stato riconosciuto  dal
magistrato di  sorveglianza  -  in  ragione  della  sua  adesione  al
percorso  rieducativo  per  lui  predisposto  -  il  beneficio  della
liberazione anticipata. 
    E, del resto, la stessa pronuncia della Consulta  aveva  chiarito
la necessita' di una  parificazione  piena  fra  le  due  discipline,
prevedendo   che   fosse   rimesso    «all'applicazione    giudiziale
l'individuazione delle ipotesi  nelle  quali  la  reiterazione  della
verifica della pericolosita' sociale  potra'  essere  ragionevolmente
omessa,  a  fronte  della  brevita'  del  periodo   di   differimento
dell'esecuzione della misura di prevenzione (si pensi al caso  limite
in cui la persona alla quale la misura e' stata applicata si trovi  a
dover scontare solo pochi giorni di pena detentiva)». 
    Proprio in ragione di tale monito finale  della  pronuncia  della
Consulta deve pervenirsi alla conclusione che la  previsione  di  una
soglia temporale ex lege - due anni - al  di  sotto  della  quale  la
rivalutazione della pericolosita' sociale continua ad essere  rimessa
all'iniziativa del prevenuto, tesa ad introdurre un  procedimento  di
verifica in negativo  dell'attuale  inesistenza  della  pericolosita'
(presupposta  dal   provvedimento   applicativo   rimasto   sospeso),
determini un ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  dell'art.  14,
comma  2-ter  del  decreto  legislativo  n.  159/2011  rispetto  alla
disciplina dalla  medesima  previsione  dettata  per  le  ipotesi  di
detenzione per  espiazione  pena  protrattesi  per  almeno  due  anni
(conforme a quella prevista per le misure di sicurezza  e  improntata
alla necessaria doppia valutazione d'ufficio). 
    Non si comprende la ragione di un simile  differente  trattamento
di situazioni evidentemente analoghe, che non puo'  essere  ravvisata
nella sola circostanza che la detenzione  e  conseguente  sospensione
della misura di prevenzione si sia o meno protratta per un periodo  -
comunque non  breve  -  rigidamente  fissato.  L'irragionevolezza  si
desume dal fatto che tale meccanica esclusione dalla rivalutazione ex
officio non consente di tener conto  di  quelle  ipotesi  in  cui  la
detenzione, pur breve,  abbia  attenuato  o  addirittura  escluso  la
concreta pericolosita' del  soggetto  destinatario  della  misura  di
prevenzione diversamente da talune ipotesi di detenzione  prolungata,
ove il percorso rieducativo e di recupero al corretto vivere  sociale
puo' risultare ben piu' ostico. Peraltro, tale rigida soglia  risulta
iniqua anche sotto il  profilo  della  mancata  considerazione  della
durata della misura di  prevenzione  originariamente  disposta  cosi'
precludendo in radice la rivalutazione anche nelle ipotesi in  cui  -
come quella in esame - il differimento dell'esecuzione  della  misura
della sorveglianza  speciale  di  P.S.  si  sia  protratto  oltre  la
complessiva  durata  della  misura  disposta  con  il   provvedimento
genetico. 
    1.2. Deve ritenersi condivisibile anche la  lamentata  violazione
dell'art. 13, comma 1  della  Costituzione,  derivante  dalla  scelta
legislativa di cui all'art. 14, comma 2-ter del  decreto  legislativo
n.  159/2011  di  sottrarre  alla   rivalutazione   d'ufficio   della
pericolosita' sociale le ipotesi in  cui  l'esecuzione  della  misura
della sorveglianza speciale di P.S. sia rimasta sospesa in ragione di
una detenzione per espiazione pena  protrattasi  per  un  periodo  di
tempo inferiore ai due anni. 
    Difatti,  ai  sensi  dell'art.  6  del  decreto  legislativo   n.
159/2011, la possibilita' di ricondurre  il  proposto  in  una  delle
categorie tipizzate di pericolosita' sociale (generica o qualificata)
previste dall'art. 4 e' condizione necessaria ma non sufficiente  per
l'applicazione di una  misura  di  prevenzione  personale,  dovendosi
riscontrare in concreto la sussistenza di tale condizione.  La  norma
richiamata prevede, infatti, al comma 1, che «alle  persone  indicate
nell'art. 4, quando siano pericolose per la sicurezza pubblica,  puo'
essere applicata, nei modi  stabiliti  negli  articoli  seguenti,  la
misura  di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza.». In altri termini, il codice antimafia postula una doppia
operazione valutativa: da un lato va realizzato  l'inquadramento  del
soggetto in una delle categorie tipiche di cui all'art. 4, dall'altro
occorre apprezzare in concreto la condizione di pericolosita' attuale
del destinatario della misura di prevenzione personale. 
    E' quindi la  necessita'  di  contenere  la  concreta  e  attuale
pericolosita' sociale a rappresentare il  fulcro  del  sistema  delle
misure di prevenzione personale  e  a  costituire  la  ragione  delle
limitazioni alla liberta' personale che  con  esse  vengono  imposte,
nonche' calibrate in ragione del  fine  di  tutelare  beni  giuridici
primari minacciati dalle condotte che - alla stregua della valutata e
concreta pericolosita' - il soggetto  destinatario  della  misura  di
prevenzione potrebbe con tutta probabilita' porre in essere. 
    La Corte costituzionale, fin dalle sue prime sentenze in materia,
ha  sempre  ritenuto  che  le   misure   di   prevenzione   personali
comportassero una restrizione della liberta'  tutelata  dall'art.  13
della Costituzione in ragione della  tipologia  di  prescrizioni  che
ineriscono alla sorveglianza speciale di  pubblica  sicurezza  e  che
comportano, ad esempio, - anche laddove non sia disposto l'obbligo 
    o il divieto di soggiorno  -  l'obbligo  di  fissare  la  propria
dimora e di non allontanarsene senza preventivo avviso all'autorita',
nonche' il divieto di uscire o rincasare al di fuori di certi  orari.
Conseguentemente,  le  misure   in   questione   in   tanto   possono
considerarsi legittime, in quanto rispettino i requisiti  cui  l'art.
13 della Costituzione subordina la liceita' di ogni restrizione  alla
liberta'   personale,   tra   i   quali   rientra    la    necessaria
proporzionalita' della misura  rispetto  ai  legittimi  obiettivi  di
prevenzione dei reati (proporzionalita' che e' requisito  di  sistema
nell'ordinamento costituzionale italiano, in relazione  a  ogni  atto
dell'autorita' suscettibile  di  incidere  sui  diritti  fondamentali
dell'individuo) (11) . 
    Ebbene,  l'art.  14,  comma  2-ter  del  decreto  legislativo  n.
159/2011 comporta una violazione del requisito della proporzionalita'
del    provvedimento    limitativo    rispetto     alla     finalita'
special-preventiva presidiata (sulla base delle  esigenze  di  tutela
della liberta' personale di  cui  all'art.  13  della  Costituzione),
nella parte in cui pretende di far discendere l'esecuzione di  misure
di prevenzione personali e delle prescrizioni  fortemente  limitative
ad esse correlate dal solo provvedimento deliberativo della misura  e
in assenza di una rivalutazione d'ufficio della pericolosita' sociale
che ne deve  costituire  il  fondamento,  non  solo  applicativo,  ma
esecutivo e legittimarne la perduranza in ipotesi  di  sospensione  o
differimento della sua esecuzione. 
    Tale violazione parrebbe ancor pio' ravvisarsi in ipotesi - quale
quella in esame - in cui  la  misura  di  prevenzione  era  stata  in
origine disposta per la durata di un solo anno  e  che,  per  effetto
della sospensione determinata dallo stato detentivo del destinatario,
abbia visto differita la sua esecuzione oltre un  anno  dopo  la  sua
deliberazione; circostanza in cui, in maniera ancora  piu'  evidente,
emerge la sproporzione della misura limitativa imposta in assenza  di
una rivalutazione dell'attualita'  della  pericolosita'  sociale  del
proposto. 
    La possibilita' attualmente prevista dalla norma censurata -  per
le ipotesi di sospensione o differimento dell'esecuzione della misura
della sorveglianza speciale  di  pubblica  sicurezza  determinata  da
detenzione per espiazione pena di durata inferiore ai due anni -  che
sia l'iniziativa del prevenuto  a  sollecitare  l'attivazione  di  un
procedimento teso alla rivalutazione dell'attualita' del  presupposto
non  vale  a  sanare  tale  contrasto  perche'  alta  base  di   ogni
provvedimento limitativo della liberta' personale - che  deve  sempre
costituire extrema ratio - deve  essere  prevista  in  automatico  la
rivalutazione   dell'attualita'    dei    presupposti    legittimanti
l'applicazione della misura. 
    Deve ritenersi  quindi  non  manifestamente  infondata  anche  la
questione relativa al contrasto dell'art. 14, comma 2-ter, con l'art.
13,  comma  1  della  Costituzione,  perche'  l'introduzione  di  una
presunzione di permanenza della  pericolosita'  sociale,  nonche'  di
perdurante  e  presunta  sussistenza  del  presupposto   legittimante
l'applicazione  della  misura  di  prevenzione   della   sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza - in assenza di una  sua  concreta  ed
attuale valutazione - si pone in contrasto con la  citata  previsione
costituzionale  laddove  sancisce  l'inviolabilita'  della   liberta'
personale. 
    1.3. Questo giudice, traendo spunto dal principio enunciato dalla
Consulta nella richiamata  pronuncia  n.  291/2013,  ritiene  che  la
disposizione in commento  si  ponga  altresi'  in  contrasto  con  la
previsione di  cui  all'art.  27,  comma  3  della  Costituzione  che
sancisce  che  «le  pene  devono  tendere   alla   rieducazione   del
condannato». Ebbene l'introduzione di una soglia temporale  rigida  -
coincidente con una detenzione protrattasi per un periodo  di  almeno
due anni - al di sotto della quale non e'  mai  necessario  procedere
alla rivalutazione  della  pericolosita'  sociale  per  applicare  la
misura di prevenzione personale equivale necessariamente a  sostenere
che in tale arco temporale l'espiazione della  pena  non  possa  aver
sortito alcun effetto in termini di risocializzazione del condannato. 
    E' vero che la pena deve tendere alla rieducazione e che il  mero
fatto della detenzione  carceraria  non  puo'  in  se'  rappresentare
sicuro  indice  dell'avvenuta  risocializzazione,  ma  nemmeno   puo'
affermarsi il contrario e cioe' - come accade nel caso  di  specie  -
che una detenzione protrattasi per un periodo inferiore ai  due  anni
non possa aver sortito alcun effetto in termini di risocializzazione.
Cio',  infatti,  equivarrebbe  ad  introdurre  una   presunzione   di
inidoneita' delle pene detentive che abbiano una durata inferiore  ai
due anni  a  tendere  alla  funzione  rieducativa,  aprioristicamente
esclusa dalla norma contestata. 
    Come  incisamente   affermato   dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale, infatti, «Gia' in linea generale  il  decorso  di  un
lungo lasso di tempo  incrementa  la  possibilita'  che  intervengano
modifiche nell'atteggiamento del soggetto nei  confronti  dei  valori
della convivenza civile: ma a maggior ragione  cio'  vale  quando  si
discuta di persona che, durante tale lasso temporale, sia  sottoposta
ad un trattamento specificamente volto alla sua risocializzazione. Se
e' vero, in effetti, che non puo' darsi per scontato a priori l'esito
positivo di detto trattamento, per quanto lungo esso sia, meno ancora
puo' giustificarsi, sul fronte opposto, una presunzione  -  sia  pure
solo iuris tantum - di persistenza della  pericolosita'  malgrado  il
trattamento, che equivale alla negazione della sua  stessa  funzione:
presunzione che risulta, per converso, sostanzialmente insita  in  un
assetto che attribuisca alla verifica della pericolosita' operata  in
fase applicativa una efficacia sine die, salvo che non intervenga una
sua vittoriosa contestazione da parte dell'interessato». 
    Ne consegue che il  mantenimento  di  uno  spazio  di  permanenza
dell'immediata eseguibilita' della misura di prevenzione  in  ragione
di una presunzione  iuris  tantum  di  perdurante  pericolosita'  del
proposto, che pure abbia espiato una pena di durata inferiore ai  due
anni, si pone altresi' in contrasto con  l'art.  27,  comma  3  della
Costituzione che riconosce  a  qualsiasi  pena  detentiva  -anche  di
durata inferiore ai due anni - preminentemente funzione rieducativa. 
    In conclusione, con riferimento  all'art.  14,  comma  2-ter  del
decreto  legislativo  n.  159/2011,  la  questione  di   legittimita'
costituzionale appare rilevante in rapporto alla fattispecie concreta
all'attenzione del tribunale  e  non  manifestamente  infondata,  per
violazione degli articoli 3, comma 1, 13, comma  1,  e  27,  comma  3
della Costituzione. 

(1) Il  perito  ha  ritenuto  che  P.L.S.,  all'epoca  dei  fatti  in
    contestazione, fosse parzialmente  incapace  di  intendere  e  di
    volere,  che  sia  capace  di   partecipare   coscientemente   al
    procedimento penale e, da ultimo, si e' espresso  in  termini  di
    attuale pericolosita' in senso psichiatrico-forense dell'imputato
    che, sia pure attenuata, deve ritenersi comunque esistente. 

(2) Ai sensi del quale «se  persiste  la  pericolosita'  sociale,  il
    tribunale emette decreto con cui ordina l'esecuzione della misura
    di prevenzione, il cui termine continua a decorrere dal giorno in
    cui il decreto stesso e' comunicato all'interessato, salvo quanto
    disposto dal comma 2 del presente articolo». 

(3) Ne' risulta  che  nel  periodo  di  riferimento  vi  siano  state
    rivalutazioni, sia pur incidentali, della pericolosita'  (nemmeno
    in  senso  psichiatrico-forense)  dell'imputato  posto   che   la
    relazione di perizia psichiatrica  prodotta  dalla  difesa  (resa
    nell'ambito del  procedimento  penale  n.  659/2017  R.G.)  aveva
    ritenuto S. pienamente capace di intendere e di volere. 

(4) Piu' precisamente,  la  questione  di  diritto  -  rilevante  per
    valutare la portata nel caso di specie  di  un  provvedimento  di
    accoglimento della questione di legittimita' sollevata -  per  la
    quale il ricorso e'  stato  rimesso  alle  sezioni  unite  e'  la
    seguente: «Se sia configurabile  il  reato  di  violazione  degli
    obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto  dall'art.
    75  del  decreto  legislativo  6  settembre  2011,  n.  159,  nei
    confronti di soggetto  destinatario  di  misura  di  sorveglianza
    speciale, la cui esecuzione sia  stata  sospesa  per  effetto  di
    detenzione di consistente durata, anche qualora al momento  della
    risottoposizione alla misura non si sia proceduto di  ufficio  ad
    una  rivalutazione  dell'attualita'  e  persistenza   della   sua
    pericolosita' sociale ad opera del giudice della prevenzione,  in
    base ai principi affermati da Corte  costituzionale  n.  291  del
    2013,  e  tale  rivalutazione  non   sia   stata   dallo   stesso
    sollecitata». 

(5) Un contrapposto orientamento (Cassazione, sezione 1, n. 2790  del
    9 marzo 2017, ...) riteneva, invece, che la mancata rivalutazione
    della pericolosita' sociale non determinasse una  sospensione  ex
    lege della misura di prevenzione, con la conseguenza che il nuovo
    esame della pericolosita' sociale del  destinatario  era  rimesso
    alla competenza funzionale «del  giudice  della  misura  stessa»,
    senza che la mancanza di tale rivalutazione potesse equivalere ad
    automatica inesistenza (originaria  o  sopravvenuta)  del  titolo
    genetico o determinarne una sospensione  ex  lege.  Secondo  tale
    ricostruzione, infatti, il presupposto di pericolosita'  sociale,
    che trae genesi  dal  titolo  originario,  continua  ad  esistere
    perche' adottato nel concorso delle  condizioni  legittimanti  ed
    all'esito della verifica  giurisdizionale  e  mantiene  efficacia
    finche' il giudice  funzionalmente  competente  non  provveda  ad
    operare una rivalutazione di segno contrario.  Tale  orientamento
    ermeneutico  troverebbe  supporto  normativo  nella  disposizione
    dell'art. 10 del decreto  legislativo  n.  159,  che  prevede  la
    immediata esecutivita' dei provvedimenti che applicano le  misure
    di prevenzione e che non sono sospesi neanche  in  caso  di  loro
    impugnazione. In passato un ulteriore  orientamento  (Cassazione,
    sezione 2, n. 12915 del 5 marzo 2015, ...)  aveva  effettuato  un
    distinguo, ribadendo che quando l'esecuzione  della  sorveglianza
    speciale resta sospesa per lo stato  detentivo  dell'interessato,
    «unica interpretazione costituzionalmente orientata e' quella  di
    considerare la  sospensione  dell'esecuzione  della  misura  come
    destinata a risolversi solo  a  seguito  della  rivalutazione  da
    parte del  giudice,  non  dell'esecuzione,  bensi'  dal  medesimo
    giudice  che  ha  applicato  la  misura,  ovvero   il   tribunale
    competente a norma  degli  articoli  5  e  seguenti  del  decreto
    legislativo n. 159 del 2011. Tali pronunce avevano  pero'  tenuto
    distinta l'ipotesi in cui  la  sospensione  dipendesse  da  stato
    detentivo   per   espiazione   pena   da    quella    determinata
    dall'applicazione di una misura  cautelare.  Infatti,  mentre  la
    detenzione per espiazione di pena di chi sia sottoposto a  misura
    di prevenzione personale incrementa la possibilita', favorita dal
    trattamento  rieducativo   individualizzato   «che   intervengano
    modifiche nell'atteggiamento del soggetto nei confronti di valori
    della convivenza civile», la sottoposizione  a  misura  cautelare
    personale, sia essa detentiva o non detentiva,  non  consente  di
    ritenere superata o attenuata la presunzione di attualita'  della
    pericolosita' sociale emessa in sede di applicazione, ma si pone,
    in realta', come indiretta  conferma  della  valutazione  stessa,
    avuto riguardo alla ritenuta sussistenza  di  esigenze  cautelari
    riferibili anche alla personalita' dell'indagato  e  al  concreto
    rischio di commissione di gravi reati». 

(6) Prima  della  pronuncia  di  illegittimita'   costituzionale   la
    seguente  materia  era  regolata  dall'art.  12  della  legge  27
    dicembre 1956, n. 1423 (il cui testo era poi confluito  nell'art.
    15 del decreto legislativo n. 159/2011),  secondo  il  quale  «La
    persona sottoposta all'obbligo del soggiorno  in  un  determinato
    comune che contravviene alle relative prescrizioni e' punito  con
    l'arresto da tre mesi ad un anno. Il tempo trascorso in  custodia
    preventiva seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva,
    anche se per effetto di conversione di pena  pecuniaria,  non  e'
    computato  nella  durata  dell'obbligo  del   soggiorno   in   un
    determinato comune. L'obbligo del soggiorno cessa di  diritto  se
    la  persona  obbligata  e'  sottoposta  a  misura  di   sicurezza
    detentiva.  Se  alla  persona  obbligata  a  soggiornare  in   un
    determinato comune e' applicata la liberta' vigilata, la  persona
    stessa vi  e'  sottoposta  dopo  la  cessazione  dell'obbligo  di
    soggiorno» e dall'art. 7 del medesimo testo legislativo, ai sensi
    del quale «il  provvedimento  di  applicazione  delle  misure  di
    prevenzione di cui all'art.  3  e'  comunicato  al  questore  per
    l'esecuzione.    Il    provvedimento    stesso,    su     istanza
    dell'interessato e sentita l'autorita' di pubblica sicurezza  che
    lo propose, puo' essere revocato  o  modificato  dall'organo  dal
    quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo  ha
    determinato. Il ricorso contro il provvedimento di  revoca  o  di
    modifica non ha effetto sospensivo». 

(7) Intesa come concreta probabilita'  di  riproposizione  di  quelle
    condotte  devianti  che  hanno  determinato  l'iscrizione  di  un
    soggetto in una delle categorie tipizzate dalle previsioni di cui
    agli articoli 1 e 4 del decreto legislativo n. 159/2011. 

(8) La comune finalita' delle misure di sicurezza e delle  misure  di
    prevenzione, tese entrambe a prevenire la commissione di reati da
    parte  di  soggetti  socialmente  pericolosi  e  a  favorirne  il
    recupero all'ordinato vivere civile,  e'  stata  a  piu'  riprese
    ribadita dal  giudice  delle  leggi  -  Corte  costituzionale  n.
    177/1980, n. 419/1994, n. 69/1995, n. 124/2004 e n. 291/2013 - e,
    peraltro, trova indiretta e positiva  conferma  nella  previsione
    dell'art. 13 del decreto legislativo n. 159/2011  (che  riproduce
    quanto disposto dall'art. 10 della legge n.  1423/1956),  secondo
    la quale «quando sia stata  applicata  una  misura  di  sicurezza
    detentiva o la liberta' vigilata, durante la loro esecuzione  non
    si puo' far luogo alla sorveglianza speciale; se questa sia stata
    pronunciata,   ne   cessano   gli   effetti»,   con   conseguente
    assorbimento  della  comune  esigenza  special  preventiva  nella
    esecuzione della sola prevalente misura di  sicurezza,  tanto  da
    far venir meno la necessita' di una successiva  esecuzione  della
    misura di prevenzione. 

(9) E' bene precisare che la Corte costituzionale, dopo aver espresso
    il principio secondo cui «nel caso in  cui  l'esecuzione  di  una
    misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato
    di detenzione per  espiazione  di  pena  della  persona  ad  essa
    sottoposta, l'organo  che  aveva  adottato  il  provvedimento  di
    applicazione debba  valutare,  anche  d'ufficio,  la  persistenza
    della  pericolosita'   sociale   dell'interessato   nel   momento
    dell'esecuzione  della  misura»,  afferma   conclusivamente   che
    «restera' rimessa  all'applicazione  giudiziale  l'individuazione
    delle ipotesi nelle quali la reiterazione  della  verifica  della
    pericolosita' sociale potra'  essere  ragionevolmente  omessa,  a
    fronte della brevita' del periodo di differimento dell'esecuzione
    della misura di prevenzione (si pensi al caso limite  in  cui  la
    persona alla quale la misura e' stata applicata si trovi a  dover
    scontare solo pochi giorni di pena detentiva)». 

(10) Al riguardo, infatti, ai paragrafi  193-197,  la  Grande  camera
     della Corte di Strasburgo ha precisato che non vi  e'  contrasto
     fra le misure di misure di prevenzione e l'art. 2, prot. 4 della
     Convenzione, che sancisce la liberta' di movimento,  atteso  che
     l'applicazione  di  tali  misure  limitative  nei  confronti  di
     soggetti  indiziati  di  appartenere  ad  associazioni   mafiose
     assolve  alla  ragionevole   funzione   di   prevenzione   dalla
     commissione di delitti. Tuttavia, la  violazione  del  principio
     convenzionalmente tutelato emerge allorche' - a  fronte  di  una
     sopravvenuta sentenza di assoluzione e  del  decorso  del  tempo
     rispetto al momento deliberativo della misura -  non  sia  stata
     rivalutata la concreta e attuale  sussistenza  di  elementi  dai
     quali desumere il  permanere  della  pericolosita'  sociale  del
     preposto.  In  particolare,  al  paragrafo  196,  la  Corte  EDU
     sottolinea che la misura di prevenzione personale disposta  «nei
     confronti del sig.  ...  fu  decisa  il  ...  quando  esistevano
     effettivamente gli indizi della sua appartenenza alla mafia,  ma
     fu applicata solo a  partire  dal  ...,  vale  a  dire  dopo  il
     proscioglimento pronunciato dal Tribunale di Trapani.  (...)  In
     conclusione, e senza  sottovalutare  la  minaccia  rappresentata
     dalla mafia, la Corte conclude che le restrizioni alla  liberta'
     di circolazione del sig. ...  non  potevano  essere  considerate
     come "necessarie in una societa' democratica". C'e' stata dunque
     violazione dell'art. 2 del protocollo n. 4». 

(11) Corte costituzionale 24 gennaio 2019, n. 24.