LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CALABRIA Sezione 2 Riunita in udienza il 24 ottobre 2023 alle ore 11,30 con la seguente composizione collegiale: Lorelli Quirino, Presidente; Reillo Gabriella Orsola, relatore; Coscarella Francesco, giudice; in data 24 ottobre 2023 ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello n. 71/2023 depositato il 13 gennaio 2023: proposto da: Agenzia Entrate - Direzione provinciale Catanzaro - via Lombardi, s.n.c. - 88100 Catanzaro (CZ) elettivamente domiciliato presso dp.catanzaro@pce.agenziaentrate.it contro: Agenzia Entrate - Riscossione - Catanzaro - via Grezar, 14 - 00142 Roma (RM) difeso da: Francesco Patti - PTTFNC68C21H501J ed elettivamente domiciliato presso francesco.patti@pec.ordineavvocaticatania.it D. N. difeso da: Daniele Brancale - BRNDNL87D08I954K ed elettivamente domiciliato presso daniele.brancale@pec.basilicatanet.it avente ad oggetto l'impugnazione di: pronuncia sentenza n. 1183/2022 emessa dalla Commissione tributaria provinciale Catanzaro - Sezione 2 e pubblicata il 29 giugno 2022 atti impositivi: cartella di pagamento n. IRPEF-altro a seguito di discussione in Camera di consiglio Fatto 1. con ricorso depositato il 13 gennaio 2023, l'Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Catanzaro, Ufficio legale, impugnava la sentenza n. 1183/02/22 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro, depositata il 29 giugno 2022, non notificata, che aveva accolto il ricorso proposto dal sig. N. D. contro la cartella di pagamento n. Si costituiva in giudizio il contribuente, con il patrocinio del dott. D. Brancale, depositando controdeduzioni in data 15 settembre 2023, chiedendo l'estinzione del giudizio e depositando contestualmente la domanda di definizione agevolata delle liti tributarie pendenti di cui all'art. 1, commi da 186 a 202 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nonche' un modello di pagamento F24, recante l'importo quietanzato di euro 371,00. Si costituiva in giudizio, depositando controdeduzioni in data 16 ottobre 2023, l'Agenzia delle entrate - Riscossione, con il patrocinio dell'avv. F. Patti, eccependo il difetto di legittimazione passiva e, comunque, chiedendo l'accoglimento dell'appello. All'udienza del 24 ottobre 2023 la causa passava in decisione. Quindi alla contestuale Camera di consiglio si e' ritenuto di dover sottoporre alla Corte costituzionale la seguente questione. Diritto 1. Questioni di legittimita' costituzionale Preliminarmente e d'ufficio, ritiene questo giudicante di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale: A) dell'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025», in vigore dal 1° gennaio 2023, che cosi' dispone «198. Nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di deposito ai sensi del comma 197, secondo periodo, ["197. Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata. In tal caso il processo e' sospeso fino al 10 ottobre 2023 ed entro la stessa data il contribuente ha l'onere di depositare, presso l'organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata."] il processo e' dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate.»: a) per la parte in cui prevede che nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di deposito ai sensi del comma 197, secondo periodo, il processo e' dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione, per palese contrasto con gli articoli 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU); b) per la parte in cui prevede che la dichiarazione di estinzione opera immediatamente, prima ed in pendenza del termine fissato all'amministrazione impositrice per decidere in ordine all'eventuale diniego alla domanda di definizione agevolata, per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, 6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). B) dell'art. 1, commi 200 (in vigore dal 31 marzo 2023) e 201 (in vigore dal 1° gennaio 2023) della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025», i quali cosi' dispongono: "200. L'eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalita' previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego e' impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia e' richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo' essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest'ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine."; 201. Per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l'eventuale diniego della definizione e' impugnabile dinanzi all'organo giurisdizionale che ha dichiarato l'estinzione. Il diniego della definizione e' motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione e' chiesta congiuntamente all'impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione e' di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200."), per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 2. Rilevanza delle questioni nel giudizio a quo 2.1. Il necessario «nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la decisione del caso concreto» (Corte costituzionale, sentenza n. 77/1983) o la pretesa dedotta nel processo principale (Corte costituzionale, sentenza n. 420/1991) implica, in primo luogo, come nella specie, che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla soluzione delle questioni prospettate sussistendo, pertanto, attinenza piena delle disposizioni-norme che questo giudice e' chiamato ad applicare con la regiudicanda all'esame del Collegio; difatti, a) da un lato, la rilevanza inerisce direttamente il giudizio a quo (Corte costituzionale, sentenza n. 343/1993) e, dunque, questioni aventi ad oggetto norme «applicabili dal rimettente» (in proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 10/1979 ha significativamente affermato che «rilevanza della questione e applicabilita' della legge nel giudizio di merito costituiscono termini inscindibili») - e b) dall'altro, un'eventuale sentenza di accoglimento o di rigetto spiegherebbe un'influenza decisiva sul processo principale (Corte costituzionale, sentenze n. 92/2013 e n. 111/1977), provocando un cambiamento del quadro normativo assunto dal giudice a quo (Corte costituzionale, sentenza n. 390/1996). 2.2. Nel presente giudizio la rilevanza dalla questione sub A) e' data dalla circostanza che dopo il deposito nello stesso, da parte del contribuente appellato, della istanza di adesione al procedimento di definizione agevolata, questo giudice e' stato investito del compito di disporre l'estinzione del processo, come normativamente previsto, salvo poi dover prendere atto che detta estinzione avrebbe definitivamente compromesso, ad avviso del Collegio, a) sia il principio costituzionale generale della tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (arg. ex articoli 53, 81 e 97, comma 1, Cost.), b) sia di quello, piprettamente processuale, di garanzia del giusto processo (art. 111 della Costituzione), c) sia, infine, quello di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), posto che verrebbero ad equipararsi, nel sistema ideato dall'art. 1, commi 186 e seguenti della legge n. 197/2022, le situazioni di chi ha assolto interamente all'onere di versamento, rispetto a chi ha optato per il versamento immediato della sola prima rata. 2.3. Nel presente giudizio poi la rilevanza della questione sub B) e' data dal fatto che ove questo Collegio d'appello si trovasse a dichiarare l'estinzione del presente processo l'eventuale diniego della definizione da parte dell'amministrazione finanziaria, successivamente alla dichiarazione di estinzione, sarebbe direttamente impugnabile dinanzi a questo organo giurisdizionale d'appello che ha dichiarato l'estinzione. Inoltre, il diniego della definizione sarebbe motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198. 3. Impossibilita' di percorrere una interpretazione costituzionalmente orientata della norma Stante quanto sopra rappresentato non esiste alcuna possibilita' di giungere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, posto che la stessa pone una causa di estinzione del processo nuova e legata ad un fatto posto nella esclusiva volonta' di una delle parti processuali, segnatamente il contribuente, rispetto alla cui manifestazione il giudice non ha alcuna possibilita' di interpretazione, stante il carattere autoapplicativo della stessa. In altri termini a fronte della dichiarazione del contribuente di avvalersi della definizione agevolata ed anche a fronte del pagamento di una sola rata, il giudice deve estinguere il giudizio, senza possibilita' di attivare un processo decisionale diverso, basato su una interpretazione diversa della disposizione. Questa adita Corte nella sentenza n. 192 del 26 ottobre 2023, ha in questo senso ricordato come «... l'onere interpretativo viene meno, lasciando il passo all'incidente di costituzionalita', allorche' il giudice rimettente abbia consapevolmente escluso la possibilita' dell'interpretazione adeguatrice in ragione del tenore letterale della disposizione censurata (tra tante, da ultimo, sentenze n. 104 e n. 25 del 2023, n. 193 e n. 96 del 2022)». 4. Fondamento della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025» 4.1. L'art. 1, commi 186 e seguenti della legge 29 dicembre 2022, n. 197, hanno stabilito che: «186. Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e' parte l'Agenzia delle entrate ovvero l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello innanzi alla Corte di cassazione, anche a seguito di rinvio, alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi e' subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia e' stabilito ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 187. In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia puo' essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia. 188. In deroga a quanto previsto dal comma 186, in caso di soccombenza della competente Agenzia fiscale nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore della presente legge, le controversie possono essere definite con il pagamento: a) del 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado; b) del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado. 189. In caso di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e la competente Agenzia fiscale, l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni e' dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta, secondo le disposizioni di cui al comma 188, per la parte di atto annullata. 190. Le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione, per le quali la competente Agenzia fiscale risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia. 191. Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza della competente Agenzia fiscale nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull'ammissibilita' dell'atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore della presente legge, e con il pagamento del 40 per cento negli altri casi. In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non e' dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalita' diverse dalla presente definizione agevolata.». I commi 194 e 195 della disposizione prevedono poi la possibilita' di rateizzare gli importi cosi' determinati. In tal senso viene previsto come: «194. La definizione agevolata si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 195 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi dei commi da 186 a 191 entro il 30 settembre 2023; nel caso in cui gli importi dovuti superino l'ammontare di mille euro e' ammesso il pagamento rateale, con applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni dell'art. 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, in un massimo di venti rate di pari importo, di cui le prime tre da versare, rispettivamente, entro il 30 settembre 2023, il 31 ottobre 2023 e il 20 dicembre 2023 e le successive entro il 31 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 20 dicembre di ciascun anno. A scelta del contribuente, le rate di cui al primo periodo successive alle prime tre possono essere versate in un massimo di cinquantuno rate mensili di pari importo, con scadenza all'ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a decorrere dal mese di gennaio 2024, fatta eccezione per il mese di dicembre di ciascun anno, per il quale il termine di versamento resta fissato al giorno 20 del mese. Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della prima rata. E' esclusa la compensazione prevista dall'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Nel caso di versamento rateale, la definizione agevolata si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 195 e con il pagamento degli importi dovuti con il versamento della prima rata entro il termine previsto del 30 settembre 2023. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda. 195. Entro il 30 settembre 2023 per ciascuna controversia autonoma e' presentata una distinta domanda di definizione agevolata esente dall'imposta di bollo ed effettuato un distinto versamento. Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato.». 4.2. Dato questo impianto normativo, si ricava che il contribuente puo' fare una apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata ed in tal caso il processo e' sospeso fino al 10 ottobre 2023, data entro la quale il contribuente ha l'onere di depositare, presso l'organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata (comma 197). La norma, quindi, equipara, ai fini della sospensione del processo prima e della sua estinzione poi, il caso del contribuente che ha provveduto all'integrale versamento degli importi dovuti a quello di chi ha provveduto al versamento della sola prima rata, stabilendo che il giudice innanzi al quale pende il processo debba unicamente accertarsi dell'avvenuto deposito della domanda di definizione e della esistenza della ricevuta di pagamento. In questo senso il penultimo capoverso del comma 194 ha stabilito che nel caso di versamento rateale, la definizione agevolata si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 195 e con il pagamento degli importi dovuti con il versamento della prima rata entro il termine previsto del 30 settembre 2023. 5. Profili di contrasto con gli articoli 3, 53, 81 e 111 della Costituzione La disposizione di cui all'art. 1, comma 198, della legge n. 197 del 2022 appare cosi' confliggente con quella stabilita al primo cpv. del medesimo comma, posto che il perfezionamento del giudizio (recte, l'estinzione del giudizio) e' figura giuridica unisussistente che non puo' essere irragionevolmente diversificato a seconda se il contribuente abbia o meno optato per un sistema rateale, a pena della lesione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), venendosi ad equiparare due situazioni sostanzialmente disomogenee (chi abbia corrisposto «gli importi dovuti» - e dunque per intero - e chi abbia corrisposto solo «la prima rata»), anche in relazione al principio di diversa capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione) e di equilibrio tendenziale del bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni (art. 81 della Costituzione), per i riflessi, con riferimento a tale ultimo parametro, sulle previsioni annuali di competenza delle entrate erariali che verrebbero certamente decurtate senza che il legislatore abbia provveduto alla previsione di un apposito fondo di bilancio utile a compensare, appunto, le minori entrate derivante da una disposizione nella sostanza qualificabile come «onerosa», poiche' comunque foriera di minori entrate, quanto meno in relazione alle previsioni di bilancio di competenza. Tale equiparazione indifferenziata, ai fini della estinzione del processo, tra chi ha immediatamente assolto per intero ai propri obblighi pecuniari nascenti dalla adesione alla definizione agevolata nei confronti dell'erario e chi ha invece optato per il pagamento rateale di cui al comma 194 della disposizione, appare, dunque, all'evidenza, immediatamente: a) lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione); b) del principio di ragionevolezza custodito dal medesimo art. 3 della Costituzione i) sia per l'indebita evidenziata equiparazione ma anche ii) per lo svilimento della ratio della norma che e' quella di favorire al massimo le ipotesi in cui il contribuente intenda aderire alla definizione agevolata, con scopi di deflazione del contenzioso e di riduzione del numero dei procedimenti tributari innanzi le competenti corti di ogni ordine e grado; c) per la lesione del principio della capacita' contributiva (art. 53), in quanto due diversi contribuenti concorrerebbero a parita' di capacita' contributiva in misura diversa derivante dall'atteggiamento in concreto del contribuente di adesione piena alla pretesa fiscale o di corresponsione soltanto di una prima rata; d) a quello di diritto ad uno svolgimento del processo in condizioni di parita' (art. 111, secondo comma, Cost.). Infatti, a tale ultimo riguardo, in ambedue i casi e prima di una decisione dell'amministrazione sulla ammissibilita' e fondatezza della domanda di definizione agevolata, il giudice deve prima sospendere (fino al 10 ottobre 2023) e poi estinguere il processo, equiparando cosi' (anche in questo caso irragionevolmente, donde la lesione congiunta dell'art. 111 e 3 della Costituzione) le situazioni di chi ha integralmente assolto ai propri doveri e chi lo ha fatto solo in parte. 5.2. Ulteriori profili di contrasto con gli articoli 3, 24, commi 1 e 2 e 111 della Costituzione. La norma denunciata stabilisce poi che il processo e' dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione. 5.2.1. In tal senso la disposizione deroga a quanto stabilito in via generale nel processo tributario dall'art. 46 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere, la quale e' dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della commissione ed il provvedimento presidenziale e' reclamabile a norma dell'art. 28. Anche tale deroga alla regola generale processuale appare irrazionale e priva di giustificazione costituzionale, finendo cosi' per determinare una sostanziale irretrattabilita' del provvedimento di estinzione se dichiarato con ordinanza collegiale. Mentre infatti la eventuale dichiarazione di estinzione resa con sentenza soggiace al principio del doppio grado di giudizio (anche se tale principio non puo' dirsi costituzionalizzato) e del ricorso per cassazione per motivi di legittimita' (art. 50 del decreto legislativo n. 546/1992), sicche' la parte che intenda opporsi alla statuizione di estinzione vanta i rimedi disciplinanti i gravami stabiliti nel decreto legislativo n. 546/1992 e nel codice di rito civile, non altrettanto vale per i casi in cui la dichiarazione di estinzione sia stata delibata con ordinanza in Camera di consiglio, avverso la quale non si applica la previsione del suddetto art. 50 del decreto legislativo n. 546/1992. In concreto e' l'amministrazione finanziaria che puo' avere un interesse, all'esito della mancata ammissione del contribuente alla definizione agevolata, ad esempio in ragione del mancato assolvimento degli obblighi di pagamenti rateali, ad opporsi alla statuizione di estinzione e, nel caso in cui questa sia stata pronunciata con ordinanza collegiale, si troverebbe priva di rimedio. Il che sostanzia una violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3 (per irragionevolezza), 24, commi 1 e 2 e 111 della Costituzione (per vulnerazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo). 5.2.2. Inoltre, mentre ove la dichiarazione di estinzione venisse disposta con decreto presidenziale alla parte opponente rimarrebbe il rimedio del reclamo al collegio, previsto in via generale dall'art. 46, comma 2, ult. cpv. del decreto legislativo n. 546/1992 ed in riferimento alla previsione del precedente art. 28 della disposizione, altrettanto non potrebbe verificarsi nel caso di dichiarazione di estinzione disposta con ordinanza collegiale: sicche' il provvedimento meno garantito sotto il profilo del contraddittorio - cioe' il decreto presidenziale - risulterebbe piu' «garantista» quanto al diritto al giusto processo, rimanendo reclamabile (e quindi riformabile) innanzi al collegio chiamato a provvedere a termini dell'art. 28 del decreto legislativo n. 546/1992. 5.3. Ulteriori profili di contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53 ed 81 della Costituzione e con gli articoli 6, 13 e 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Sennonche' il comma 200 dell'art. 1 (su cui v. successivo punto 5) della medesima legge n. 197/2022 stabilisce che «L'eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalita' previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego e' impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia e' richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo' essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest'ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.». 5.3. Ulteriori profili di contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53 ed 81 della Costituzione Orbene a differenza che in precedenti casi di scelte legislative in materia di definizione agevolata delle liti tributarie pendenti in cui il processo innanzi la giurisdizione tributaria rimaneva sospeso (cfr. commi 5 e 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119), la norma denunciata prevede ex abrupto e sulla base della sola presentazione dell'istanza e del pagamento anche della sola prima rata, l'estinzione del giudizio, senza, quindi attendere, l'esercizio del potere amministrativo di diniego dell'istanza di definizione che lo stesso legislatore differisce al 30 settembre 2024. Sicche' per un verso l'amministrazione finanziaria ha uno spatium deliberandi in ordine all'accettazione dell'istanza di definizione agevolata spostato al 30 settembre 2024, ma, anche nel caso in cui sia parte resistente in un giudizio di primo grado oppure sia stata vittoriosa in primo grado, essa non puo' opporsi all'estinzione del giudizio, salvi gli effetti - invero non disciplinati espressamente - di una eventuale riformulazione dell'atto tributario, ma solo all'esito della definitivita' del provvedimento di diniego della definizione agevolata. Sotto questo profilo l'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, si pone in contrasto, per la ragioni dette, con gli articoli 3, 23, 24, 53 ed 81 della Costituzione. 5.3.1. Quanto all'evidente vulnerazione dell'art. 23 della Costituzione deve rilevarsi che la noma costituzionale per la quale «Nessuna prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge», esigerebbe una stabilitas dell'assetto fisco-contribuente che, indefinitiva, costituisce uno dei fondamenti del patto sociale. Orbene, dismettere attraverso continue e reiterate misure di condono fiscale, qual e' nella sostanza quella all'esame, e al di fuori di situazioni del tutto eccezionali, significa, indebolire irragionevolmente la forza del sistema tributario nel suo complesso che viene ad essere derogato (per effetto della norma di legge in questione) sulla base di una mera dichiarazione di avvalersi della misura citata per di piu' limitata al versamento di una prima rata. 5.3.2. Quanto all'art. 81 della Costituzione, ne appare evidente la sua compromissione ad opera della disposizione oggetto di esame (art. 1, comma 198, legge n. 197/2022) nella misura in cui l'appostamento nel bilancio statale di somme in entrata, diviene evanescente ed aleatorio, rimanendo subordinato, anche per la parte relativa a crediti discendenti da titoli giudiziali (tali le sentenze di primo grado del giudice tributario di rigetto dei ricorsi dei contribuenti avverso atti impositivi tributari), ad una complicata procedura di raggiungimento della definitivita' di un provvedimento amministrativo inerente l'istanza di definizione agevolata; donde, una duplice violazione dell'art. 81 della Costituzione con riferimento: A) all'art. 81, terzo comma, Cost., per gli evidenti riflessi di copertura della legge da qualificare «onerosa» per le minori entrate che da essa deriveranno in mancanza di un fondo di compensazione di minori entrate derivanti dall'agevolazione fiscale (pur a fronte, nelle intenzioni del legislatore, di un possibile incremento delle entrate sul versante della cassa, nel caso di adesione diffusa all'agevolazione, ma sempre con un significato delta rispetto alle previsioni di entrata di competenza, stante la sostanziale rinuncia, sia pure in quota parte, alla pretesa fiscale); B) all'art. 81, primo comma, Cost. (principio dell'equilibrio del bilancio), tenuto conto degli esiti della norma agevolativa sulle previsioni di competenza di entrata di inizio anno, aventi possibili ricadute in termini di peggioramento del saldo netto da finanziare, che, com'e' noto, costituisce un fondamentale saldo di finanza pubblica. 5.3.3. Vi e' poi l'estinzione dei processi tributari sulla scorta della sola dichiarazione di adesione e di pagamento della prima rata, senza che vi sia stata una valutazione della fondatezza della istanza da parte dell'amministrazione, determina una ulteriore situazione di incertezza anche quanto alla formulazione delle previsioni del bilancio di previsione dell'amministrazione pubblica creditrice. 5.3.4. Inoltre tale aggravio del procedimento giurisdizionale tributario (contrario all'art. 111 della Costituzione), pare al Collegio confliggere con il principio del divieto dell'abuso di diritto, canonizzato nell'art. 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per il quale nessuna disposizione della convenzione puo' essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo ad esercitare un'attivita' o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle liberta' riconosciuti nella presente convenzione o di imporre a tali diritti e liberta' limitazioni piampie di quelle previste dalla stessa convenzione. Se infatti il diritto ad un ricorso effettivo di cui all'art. 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali va esteso e riconosciuto anche alle amministrazioni pubbliche impositrici, e' chiaro che stabilire un siffatto aggravio giurisdizionale, esclusivamente a carico e svantaggio della parte pubblica rappresenta un abuso del diritto. 5.4. profili di contrasto con gli articoli 3, 24, 53, 81, 97, comma 1 e 111 della Costituzione Emerge cosi' un ulteriore profilo di contrarieta' delle disposizioni in questione al principio generale di tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (arg. ex articoli 53, 81 e 97, comma 1, Cost.) posto che la norma produce effetti diretti anche su quei giudizi, in specie in grado di appello, nei quali parte ricorrente o appellante sia costituita dall'agente della riscossione o dall'amministrazione finanziaria o dall'ente pubblico che vanta il credito tributario, il quale, quindi, vanta un interesse alla sollecita definizione della controversia stessa al fine di poter definire il credito tributario contestato; in questo caso la semplice e sola dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, proveniente da parte resistente od appellata, viene a determinare una ricaduta negativa sulla parte formalmente ricorrente od appellante, con la conseguenza di compromettere pesantemente il diritto di difesa delle amministrazioni impositrici (violando l'art. 24 della Costituzione) e quello alla parita' delle parti nel processo (violando l'art. 111 della Costituzione). 5.4.1. A rafforzare il convincimento di questo Collegio in ordine alla contrarieta' della disposizione denunciata agli articoli 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, sta la circostanza che nei giudizi in grado di appello l'estinzione comporta le conseguenze processuali di cui all'art. 338 codice di procedura civile per il quale «L'estinzione del procedimento di appello o di revocazione nei casi previsti nei numeri 4 e 5 dell'art. 395 fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto.» Tale norma e' applicabile anche al giudizio tributario (art. 1, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992), non essendo espressamente esclusa in seno alla Sezione V, Capo II del decreto legislativo n. 546/1992 che disciplina i casi di «Sospensione, interruzione ed estinzione del processo». La conseguenza e' che nei procedimenti in fase di appello nei quali il gravame sia stato proposto dall'amministrazione finanziaria l'estinzione dovrebbe comportare immediatamente il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, sfavorevole alle ragioni dell'erario: il che rappresenta una violazione del principio di parita' delle parti nel processo (art. 111 della Costituzione), di quello di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), del giusto processo (art. 111 della Costituzione), del principio di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione pubblica (art. 97, secondo comma, Cost.), del principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), posto che tali conseguenze deleterie per le ragioni dell'erario dipendono solo da una dichiarazione di adesione, senza il pagamento degli importi dovuti e prima che l'amministrazione impositrice abbia esaurito il termine per pronunciarsi in ordine all'accoglibilita' dell'istanza di definizione agevolata. 5.4.2. Tali considerazioni non possono ritenersi superate dalla circostanza - ricordata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29/2018 e nella successiva ordinanza n. 32/2019 - per le quali «l'introduzione della definizione agevolata consegue "alla rilevata necessita', per esigenze di finanza pubblica e per un corretto rapporto tra fisco e contribuente, "di ottimizzare l'attivita' di riscossione adottando disposizioni per la soppressione di Equitalia e per adeguare l'organizzazione dell'Agenzia delle entrate anche al fine di garantire l'effettivita' del gettito delle entrate e l'incremento del livello di adempimento spontaneo degli obblighi tributari e per i fini di cui all'art. 4, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), e all'art. 81, comma 1, della Costituzione"», posto che, nella fattispecie, A) la norma incide sfavorevolmente sui principi costituzionali in materia di giusto processo, di equa durata dello stesso, di parita' delle parti processuali, nonche' sull'istituto processuale della sospensione, B) ma soprattutto per le erratiche conseguenze che discendono dal continuo ricorso a soluzioni del tutto contingenti quali sono le misure di condono tributario che hanno, a ben vedere, l'effetto di consolidare uno «scorretto» (non un «corretto») rapporto tra fisco e contribuente, a tutto svantaggio del cittadino che adempiente. 5.5. profili di contrasto con gli articoli 10, 11, 80, 81, 97 della Costituzione e con l'art. K3 del Trattato sull'Unione europea Un profilo ulteriore inerente la denunciata violazione del principio di parita' delle parti nel processo tributario, e' poi rappresentato dalla possibile lesione, che ne discende direttamente, degli interessi finanziari europea, nei limiti in cui le disposizioni speciali interne, compromettendo la tutela processuale dei crediti erariali attraverso disposizioni impeditive della stessa e, segnatamente, stabilendo ipotesi di estinzione del processo tributario ed all'esito della sola volonta' discrezionale manifestata dal debitore, finiscono con il compromettere i suddetti interessi finanziari. La tutela degli interessi finanziari dell'Unione riguarda non solo la gestione degli stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o che minacci di incidere negativamente sul suo patrimonio e su quello degli Stati membri, nella misura in cui e' di interesse per le politiche dell'Unione. La convenzione elaborata in base all'art. K.3 del Trattato sull'Unione europea, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunita' europee del 26 luglio 1995 e i relativi protocolli del 27 settembre 1996, del 29 novembre 1996 e del 19 giugno 1997, stabiliscono norme minime riguardo alla definizione di illeciti penali e di sanzioni nell'ambito della frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione. Date tali premesse - contenute nella direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale - e' evidente che una compromissione delle ragioni di tutela dei erediti erariali approntata attraverso la introduzione di una ingiustificata lesione della parita' di trattamento delle parti processuali, determina una lesione degli interessi finanziari dell'Unione e delle Comunita' europee nella misura in cui l'Italia ne fa parte (articoli 10, 11 ed 80 della Costituzione), riconoscendo limitazioni alla propria sovranita' e concorrendo alle relative spese (art. 81, commi 1 e 6, ed art. 97, comma 1 Costituzione). 5.6. profili di contrasto con l'art. 113 e seguenti del Trattato sull'Unione europea Un altro profilo di illegittimita' delle denunciate disposizioni, sempre discendente dalla introduzione di una ingiustificata disparita' di trattamento processuale tra le ragioni del credito erariale e quelle del contribuente, risiede nella violazione dell'art. 113 e seguenti del Trattato, laddove il processo tributario verta su questioni inerenti imposte armonizzate (IVA o cifra d'affari, in primis), con conseguente ricaduta sugli obblighi di armonizzazione discendenti dalle suddette disposizioni di Trattato. Poiche' infatti le imposte armonizzate vantano una copertura sovranazionale -incidendo indirettamente sul principio della concorrenza - ogni compromissione delle ragioni erariali ad esse connesse in sede processuale, mediante la adozione di norme nazionali deteriori e che costituiscano impedimenti alla loro effettiva applicazione ed esazione da parte degli Stati nazionali, determina una possibile compromissione del principio di tutela degli interessi finanziari della Comunita', confliggendo con interessi superiori dell'Unione. 6. Fondamento della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 200 e 201 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025» I commi 200 e 201 della legge n. 197/2022 stabiliscono che: «200. L'eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalita' previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego e' impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia e' richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo' essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest'ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine. 201. Per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l'eventuale diniego della definizione e' impugnabile dinanzi all'organo giurisdizionale che ha dichiarato l'estinzione. Il diniego della definizione e' motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione e' chiesta congiuntamente all'impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione e' di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200.». 6.1. profili di contrasto con l'art. 24 della Costituzione Sotto un primo profilo le disposizioni, prevedendo come l'impugnazione dell'eventuale diniego di definizione agevolata avvenga dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia e, quindi, anche eventualmente innanzi il giudice di secondo grado o quello di legittimita', realizza una compressione del diritto di difesa delle parti (art. 24 della Costituzione), nei limiti in cui assegna ad un giudice, eventualmente anche in unica e sola istanza, la valutazione sulla legittimita' del diniego. In questo senso seppur la Corte costituzionale non abbia inteso riconoscere un diritto al doppio grado di giudizio (per tutte Corte costituzionale, ordinanza n. 190/2013), e' pur vero che la garanzia costituita dalla revisione di una decisione giurisdizionale di merito in materia tributaria vada individuata perlomeno nel principio di affidamento di cui all'art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», la quale contiene principi generali dell'ordinamento tributario che possono essere derogati o modificati solo espressamente e mai da leggi speciali. Ne' puo' disconoscersi la natura afflittiva degli atti impositivi e tributari e, quindi, latamente anche del provvedimento di diniego alla definizione agevolata, il che rafforzerebbe la prospettazione di un vero e proprio diritto ad una revisione della prima decisione giurisdizionale anche nel processo tributario, analogamente a quanto accade con riferimento alle misure afflittive penali, in cui tale diritto trova fondamento nell'art. 14 par. 5 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, trattato internazionale, adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 2200A (XXI) del 16 dicembre 1966, entrato internazionalmente in vigore il 23 marzo 1976, ratificato dall'Italia con legge n. 881 del 25 ottobre 1977, vigente per il nostro Paese dal 15 dicembre 1978 ed anche nell'art. 2 del protocollo n. 7 della CEDU. 6.2. profili di contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 111 della Costituzione e con gli articoli 6, 13 e 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Un secondo profilo di incostituzionalita', riguardante il solo comma 201, attiene alla introduzione di un motivo speciale di «revocazione», afferente alla decisione di estinzione del processo resa ai sensi del comma 198 (del quale, parimenti, questo Collegio ha ragione di dubitare). In particolare, v'e' che tradizionalmente la revocazione e' un mezzo di impugnazione con cui si contesta la sentenza formata su presupposti errati. Si tratta di un rimedio a critica vincolata, proponibile solo per i motivi da 1 a 6 elencati all'art. 395 del codice di procedura civile Quando e' fondata sui motivi di cui a numeri 1), 2), 3) e 6) (relativi a fatti o situazioni il cui verificarsi o la cui scoperta puo' compiersi in un qualunque momento successivo all'emanazione della sentenza), la revocazione assume la natura di mezzo di impugnazione straordinario; e', invece, mezzo di impugnazione ordinario quando e' fondata sui motivi di cui ai numeri 4) e 5) (che indicano vizi conoscibili sulla base della sola sentenza). Nel processo tributario la suddetta disposizione del codice di rito civile e' espressamente richiamata dall'art. 64 del decreto legislativo n. 546/1992, secondo cui «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado possono essere impugnate ai sensi dell'articolo 395 del codice di procedura civile.». Nessuna delle disposizioni del surrichiamato decreto legislativo n. 546/1992 prevedono che il rimedio sia esperibile altro che nei confronti delle sentenze, mentre il comma 201 fa riferimento ai provvedimenti di estinzione pronunciati ai sensi del comma 198, quindi al decreto del presidente della sezione ed all'ordinanza in Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione. Sul punto ritiene il Collegio che in questo modo si sia realizzata una violazione non solo del principio del giusto processo (art. 111), ma anche delle disposizioni dell'art. 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in ordine al diritto ad un ricorso effettivo - il quale vale anche per l'amministrazione impositrice - nonche' dell'art. 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che canonizza il divieto dell'abuso di diritto. Infatti, la norma denunciata, estendendo un meccanismo impugnatorio tipico e tassativo relativo alle sentenze, anche a provvedimenti giurisdizionali di rango «inferiore», cioe' non assistiti dalle garanzie e dai crismi procedurali della sentenza, per un verso determina uno squilibrio della posizione dell'amministrazione finanziaria rispetto a quella del contribuente, violando gli art. 3 e 24 della Costituzione - posto che solo quest'ultimo impugnera' il diniego e solo egli potra' accedere al rimedio della revocazione in relazione all'atto definitivo che nega la definizione agevolata, aggravando in tal modo il procedimento impositivo (in lesione dell'art. 97 della Costituzione), come nel caso in cui vi sia stata una prima decisione giurisdizionale sfavorevole al contribuente ed un espresso diniego di definizione agevolata. Anche in questo caso tale aggravio del procedimento tributario (contrario agli articoli 53 e 97 della Costituzione) e di quello giurisdizionale connesso (contrario all'art. 111 della Costituzione), paiono al Collegio confliggere con il principio del divieto dell'abuso di diritto, canonizzato nell'art. 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per il quale nessuna disposizione della convenzione puo' essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un'attivita' o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle liberta' riconosciuti nella presente convenzione o di imporre a tali diritti e liberta' limitazioni piampie di quelle previste dalla stessa convenzione. Se infatti il diritto ad un ricorso effettivo di cui all'art. 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali va esteso e riconosciuto anche alle amministrazioni pubbliche impositrici, e' chiaro che stabilire degli aggravi procedimentali, tanto amministrativi, quanto giurisdizionali, esclusivamente a carico e svantaggio di queste rappresenta un abuso del diritto. 7. Per quanto esposto sopra, nell'impossibilita' di percorrere una diversa interpretazione delle norme citate in senso costituzionalmente orientato, ai sensi dell'art. 23, comma 3, della legge n. 87/1953, si ritiene di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale a) dell'art. 1, comma 198 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025»: per la parte in cui prevede che nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di deposito ai sensi del comma 197, secondo periodo, il processo e' dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione, per palese contrasto con gli articoli 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, 6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU); per la parte in cui prevede che la dichiarazione di estinzione opera immediatamente, prima ed in pendenza del termine fissato all'amministrazione impositrice per decidere in ordine all'eventuale diniego alla domanda di definizione agevolata, per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, 6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU); b) dell'art. 1, commi 200 e 201 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025», per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma 1 e 111 della Costituzione, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).