Ricorso per conflitto di attribuzioni contro lo Stato ex art. 134 Cost. della Regione autonoma della Sardegna, (c.f. 80002870923), con sede legale in Cagliari, Viale Trento n. 69, in persona del Vice-presidente pro tempore, Giuseppe Meloni, legale rappresentante della regione giusto decreto della presidente della regione 9 aprile 2024, n. 18, prot. n. 6417, autorizzato ad agire in giudizio con deliberazione della giunta regionale 28 febbraio 2025, n. 12/1, rappresentato e difeso, giusto mandato speciale allegato al presente atto, congiuntamente e disgiuntamente, dal prof. avv. Omar Chessa (c.f.: CHSMRO70E30I452L, fax: 0706062418, PEC: ochessa@pec.it), dal prof. avv. Antonio Saitta (c.f.: STTNTN63M13F158C; fax: 0706062418, PEC: antonio.saitta@certmail-cnf.it), del libero Foro, dall'avv. Mattia Pani (c.f.: PNAMTT74P02B354J; fax 0706062418; PEC: mapani@pec.regione.sardegna.it) e dall'avv. Alessandra Putzu (c.f.: PTZLSN73B41F979D; fax: 070/6062418; PEC: aputzu@pec.regione.sardegna.it) dell'Avvocatura dell'ente, elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Sardegna in Roma, Via Lucullo n. 24 e presso gli indirizzi pec dei nominati difensori; Contro lo Stato e per esso contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, e il Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d'appello di Cagliari, in persona del presidente pro tempore, ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme integrative della Corte costituzionale del 22 luglio 2021, e il Ministero della giustizia, nella persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme integrative della Corte costituzionale del 22 luglio 2021; Per la dichiarazione che, ai sensi degli articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 e degli articoli 97, 122 della Costituzione, non spetta allo Stato, e per esso al Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello di Cagliari con le funzioni ex art. 13 della legge del 10 dicembre 1993, n. 515, di imporre «la decadenza dalla carica del candidato eletto» a presidente della regione, e disporre con «ordinanza/ingiunzione al presidente del consiglio regionale ... l'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione Sardegna», nonche' Per l'annullamento dell'ordinanza/ingiunzione adottata, in data 20 dicembre 2024, dalla Corte d'appello di Cagliari - Collegio regionale di garanzia elettorale, depositata in cancelleria il 3 gennaio 2025, notificata in pari data a «Giampiero Comandini ... nella sua qualita' di presidente del consiglio regionale della Sardegna c/o sede istituzionale, Palazzo del consiglio regionale della Regione Sardegna» e all'ing. Alessandra Todde, presidente della Regione autonoma della Sardegna in Cagliari, Via Trento 69 c/o la Presidenza della regione, con cui la riportata lesione e' stata affermata e concretamente esercitata, nella parte in cui «si impone ..., stante l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e trasmissione del provvedimento al presidente del consiglio regionale per la procedura di competenza come previsto dall'art. 15, comma 7, legge n. 515/1993. P.Q.M .... Tenuto conto delle violazioni della normativa, cosi' come suindicate dispone la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al presidente del consiglio regionale per quanto di sua competenza in ordine all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione Sardegna ...». Fatto Il Collegio regionale di garanzia elettorale per la Regione Sardegna, costituito con il decreto del presidente della Corte di appello 19 aprile 2024 per il quadriennio 2024-2027, e' competente, ai sensi del combinato disposto dell'art. 13, legge n. 515/1993 e dell'art. 4, legge regionale n. 1/1994, a effettuare per i candidati al consiglio regionale della Sardegna la verifica della regolarita': delle dichiarazioni concernenti le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l'attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di materiali e di mezzi propagandistici predisposti e messi a disposizione dal partito o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte e dei rendiconti relativi ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute per la campagna elettorale. Il 3 gennaio 2025, tale Collegio regionale di garanzia elettorale, ha notificato al presidente del consiglio regionale della Sardegna un'«ordinanza/ingiunzione in ordine all'adozione del provvedimento di decadenza» dell'ing. Alessandra Todde dalla carica di presidente della Regione Sardegna. La suddetta «ordinanza/ingiunzione» (per usare la stessa terminologia impiegata dal Collegio di garanzia elettorale), a seguito della verifica della dichiarazione e del rendiconto depositati dalla candidata Alessandra Todde, «eletta presidente della Regione Sardegna in esito alle elezioni regionali del 25 febbraio 2024, cui ha fatto seguito, in data 20 marzo 2024, la proclamazione degli eletti», ha premesso che «esaminati gli atti prodotti, vista la delibera adottata nella seduta del 12 novembre 2024 e considerata la decisione adottata dalla maggioranza del Collegio, nel corso della seduta del 16 novembre 2024 - secondo la quale il candidato alla Presidenza della Regione non sarebbe sottoposto ad alcun limite di spesa per la propria campagna elettorale in virtu' dell'insussistenza di una norma che lo preveda - si e' proceduto alla notifica delle contestazioni ... formulate come di seguito riportate: 1) la depositata dichiarazione di spesa e di rendiconto non e' conforme a quanto sancito dall'art. 7, comma 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994 ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 6, legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 2) non risulta essere stato nominato il mandatario, la cui nomina deve ritenersi obbligatoria ai sensi dell'art. 7, comma 3 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 3, legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 3) non risulta essere stato aperto un conto corrente dedicato esclusivamente alla raccolta dei fondi ai sensi dell'art. 7, comma 4 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: .... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 4, legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 4) non risulta l'assegnazione e la sottoscrizione del rendiconto da parte del mandatario che avrebbe dovuto essere nominato ai sensi dell'art. 7, commi 4 e 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, commi 4 e 6, legge n. 515/1993, come richiamati dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 5) non e' stato prodotto l'estratto del conto corrente bancario o postale, come previsto dall'art. 7, comma 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 6, legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 5, comma 3 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 6) non risultano dalla lista movimenti bancari i nominativi dei soggetti che hanno erogato i finanziamenti per la campagna elettorale come previsto dall'art. 7, comma 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994 e qualora i finanziamenti dovessero risultare da societa', anche l'art. 4, comma 3 della legge n. 659/1981 in combinato disposto con l'art. 7, comma 2 della legge n. 195/1974; 7) non risulta su quale conto corrente siano confluite le somme indicata nell'elenco operazioni Paypal prodotto dalla candidata, ai sensi dell'art. 7, commi 3 e 4 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 4, legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; Rilevato che la candidata Todde Alessandra, a seguito delle contestazioni effettuate, ha proceduto al deposito di una memoria ex art. 14, comma IV, legge regionale n. 515/1993, con relativi allegati, ... con la quale ha formalizzato le proprie osservazioni in relazione appunto, alle varie contestazioni formulate nei suoi confronti; .....». Rilevato che «non e' stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto - come previsto dall'art. 15, comma 8 della legge richiamata (diffida e termine di quindici giorni, come specificatamente richiesto dalla norma) - ma l'anomalia derivante dalla non conformita' della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata» (cfr. settima riga dell'ultimo capoverso della pag. 5 dell'ordinanza ingiunzione). Il Collegio di garanzia, con l'atto indicato in epigrafe, concludeva, per quanto di interesse nel presente giudizio, che «Alla luce delle rilevate irregolarita' e violazioni delle norme penali inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e delle anomalie rilevate - come suesposto - si impone la trasmissione di copia degli atti succitati alla Procura della Repubblica in sede per quanto di eventuale competenza, nonche' la comminazione delle sanzioni amministrative e, infine, stante l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e trasmissione del provvedimento al presidente del consiglio regionale per la procedura di competenza come previsto dall'art. 15, comma 7, legge n. 515/1993» (pag. 5, ultimo capoverso). Pertanto, sulla base delle riportate contestazioni, il Collegio di garanzia elettorale comminava a carico della presidente Todde la sanzione amministrativa di 40.000,00 euro e «tenuto conto delle violazioni della normativa, cosi' come suindicate Dispone la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al presidente del consiglio regionale per quanto di sua competenza in ordine all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione Sardegna ...». Il provvedimento, depositato in cancelleria il 3 gennaio 2025, veniva notificato lo stesso giorno a mani proprie della presidente, ing. Alessandra Todde, e al dott. Giampiero Comandini, nella sua qualita' di presidente del consiglio regionale della Sardegna. Diritto 1. Premessa. L'art. 134 Cost. dispone che la Corte costituzionale «giudica sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le regioni». Una specificazione normativa e' offerta dall'art. 39 della legge n. 87 del 1953, il quale dispone che «se la regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad altra regione, lo Stato o la regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza»; e che «del pari puo' produrre ricorso la regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato». Il dettato costituzionale succitato non precisa quali atti possono impugnarsi, ma una giurisprudenza costituzionale ultradecennale ha stabilito che qualsiasi atto puo' essere impugnato (purche' diverso da leggi o atti con forza di legge, nei confronti dei quali il rimedio e' il giudizio, incidentale o principale, di legittimita' costituzionale delle leggi). Infatti, «costituisce atto idoneo ad innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi comportamento significante, imputabile allo Stato o alla regione, che sia dotato di efficacia e rilevanza esterna e che - anche se preparatorio o non definitivo - sia comunque diretto "ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilita' di esercizio della medesima"» (sentenza n. 22 del 2020, che riprende la sentenza n. 332 del 2011; nello stesso senso, vedi le sentt. n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e n. 771 del 1988). Affinche' il rimedio sia esperibile da una regione devono sussistere, tra gli altri, due presupposti fondamentali: a) che l'atto lesivo sia di provenienza statale; e b) che sia lesa «la sfera costituzionale di competenza» della Regione: una lesione che si produce allorquando sono violate norme costituzionali relative ad attribuzioni e prerogative degli organi regionali o la cui violazione determina una «menomazione delle possibilita' di esercizio delle medesime» (sentenza n. 332/2011). E' utile premettere qualche notazione sulla natura giuridica dei Collegi regionali di garanzia elettorale, per poi argomentare l'inerenza allo Stato del Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello di Cagliari. 2. La natura amministrativa e non giurisdizionale dei Collegi regionali di garanzia elettorale. La prima questione e' appurare se l'organo suddetto abbia natura giurisdizionale. Bisogna, infatti, tenere presente che, secondo l'orientamento di questa ecc.ma Corte il conflitto sarebbe «inammissibile se il provvedimento che ne e' oggetto fosse censurato quanto a pretesi errores in iudicando commessi dall'organo giurisdizionale, risolvendosi, in quest'ultima ipotesi, il giudizio di fronte alla Corte costituzionale in un improprio strumento di gravame» (sentenza n. 39 del 2007). In altre parole, questa ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito l'«esigenza che il ricorso non si risolva in un mezzo improprio di censura sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale» (sentenza n. 22 del 2020). Sennonche', la suddetta «strettoia» posta a garanzia del potere giurisdizionale non puo' applicarsi al caso di specie, poiche' e' ormai pacifico che le funzioni del Collegio non siano di natura giurisdizionale, cosi' come non ha natura giurisdizionale l'organo stesso, come risulta chiaramente dalla sentenza di questa ecc.ma Corte n. 387 del 1996, in cui si legge che i Collegi di garanzia elettorale rispondono a «uno schema non certo inedito, che vede in materia elettorale la costituzione di organi amministrativi presso il giudice ordinario». In particolare, essi «operano nell'ambito (...) delle Corti d'appello e della Corte di cassazione. Ma - aggiungono sempre i giudici costituzionali - tale collocazione non comporta che i Collegi medesimi siano inseriti nell'apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono istituiti. Basti notare, con riguardo al primo profilo, che non viene adottato, neppure in parte, il codice di rito e, sotto il secondo profilo, che manca, nonche' l'assoggettamento alla sorveglianza dei capi di detti uffici, un qualunque collegamento col Consiglio superiore della magistratura. Ne', d'altronde, e' stato prospettato, o e' prospettabile - stante il divieto in proposito sancito dalla Costituzione - che si sia in presenza di giudici speciali». E dunque, trattandosi di autorita' amministrative e non giurisdizionali, gli errores in iudicando commessi nelle attivita' di interpretazione e applicazione normativa svolte dai Collegi regionali di garanzia elettorale sono sicuramente scrutinabili in sede di conflitto intersoggettivo tra enti ex art. 134 Cost. e non possono costituire un ostacolo all'ammissibilita' del ricorso. 3. La natura statale del Collegio regionale di garanzia elettorale. Un'altra questione, che ha rilievo decisivo ai fini dell'ammissibilita' del ricorso, e' se il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello di Cagliari abbia natura statale, e cioe' se possa ricondursi alla nozione di «Stato» che assume rilievo ai fini del conflitto intersoggettivo ex art. 134 della Costituzione, nonche' ex art. 39 della legge n. 87 del 1953. A tale proposito nella sentenza n. 31 del 2006 questa ecc.ma Corte si precisa che nel «sistema ordinamentale della Repubblica (...) possono verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali e regionali, agenti rispettivamente per fini unitari o autonomistici, che attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che li originano sono idonei a ledere, per invasione o menomazione, la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita del sistema statale o di quello regionale, anche se non provengono da organi dello Stato o della regione intesi in senso stretto come persone giuridiche». Infatti, in base all'orientamento piu' volte espresso dalla giurisprudenza costituzionale, con riguardo ai conflitti tra enti la nozione di «Stato» ex art. 134 della Costituzione deve interpretarsi in senso ampio cosicche' l'ente statale sia «inteso non come persona giuridica, bensi' come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalita' giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalita' in vista dell'esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali» (sentenza n. 31 del 2006). In altre parole, debbono farsi rientrare nella nozione di «Stato» tutti quegli organi o enti «destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall'art. 5 Cost.» (sentenza n. 31 del 2006), e che svolgono un'attivita' preordinata «alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale» (sentenza n. 173 del 2019). Cio' premesso, e' di palmare evidenza che la vigilanza sul rispetto delle norme in materia di rendiconti elettorali e' una funzione che esprime un'esigenza unitaria dell'ordinamento repubblicano. I poteri di controllo e sanzionatori dei Collegi regionali di garanzia elettorale in ordine allo svolgimento delle campagne elettorali ineriscono strettamente alla tutela di un interesse pubblico unitario e cio' ne qualifica con chiarezza la natura di enti che esercitano funzioni pubbliche imputabili all'apparato statale. Lo prova, altresi', il fatto che i collegi regionali di garanzia elettorale sono istituiti dagli articoli 13-15 della legge statale n. 515 del 1993. Analogamente a quanto precisato dalla Corte costituzionale con riguardo agli ordini professionali (sentenza n. 405 del 2005), non pare percio' dubbio che l'istituzione e la disciplina dei Collegi regionali di garanzia elettorale «risponde all'esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso»: e infatti, e la legge statale ad avere fissato il criterio di composizione dei suddetti Collegi. A conferma inequivocabile dell'appartenenza dei Collegi di garanzia al sistema ordinamentale dello Stato, va tenuto presente che i Collegi sono incardinati in seno all'amministrazione giudiziaria e, nel caso di specie, in seno all'amministrazione giudiziaria della Corte di appello di Cagliari. Potrebbe eccepirsi che l'art. 4, comma primo, della legge regionale sarda n. 1 del 1994 dispone che «le funzioni attribuite ai collegi regionale e centrale di garanzia elettorale, costituiti ai sensi degli articoli 13 e 14 della legge n. 515 del 1993, sono svolte, per le elezioni del consiglio regionale della Sardegna, dai medesimi collegi», traendo da cio' la conclusione, palesemente erronea, che il Collegio cagliaritano sia organo di livello regionale, in quanto svolgente funzioni attribuite da norme legislative della Regione Sardegna. Ma invero dalla suddetta disposizione non puo' certo evincersi che il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello di Cagliari sia organo regionale anziche' statale. E' vero che, con riguardo alle elezioni del consiglio regionale, esercita anche funzioni di vigilanza e sanzionatorie attribuite dal legislatore regionale in luogo di quello statale. Tuttavia, va tenuto presente che il suddetto organo, istituito da legge statale, svolge funzioni di vigilanza e sanzionatori con riguardo alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del Parlamento (come si evince dagli articoli 13 e 14 della legge n. 515 del 1993, Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica): e non e' certo pensabile che un medesimo organo sia statale allorquando vigili sulle campagne elettorali delle elezioni politiche nazionali per poi diventare regionale quando, invece, eserciti le sue funzioni di vigilanza sulle campagne elettorali regionali. Per questo complesso di ragioni occorre imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi dai Collegi regionali di garanzia elettorale nell'esercizio delle funzioni di vigilanza delle norme in materia di campagna elettorale, e cio' anche nelle ipotesi in cui tali norme fossero parzialmente stabilite da norme legislative regionali, come e' il caso dell'ordinamento regionale sardo. 4. L'ordinanza del 20 dicembre 2024 come «menomazione delle possibilita' di esercizio» delle funzioni regionali. Per quanto concerne la lesione della «sfera costituzionale di competenza» della regione, questa ecc.ma Corte ha da lungo tempo affermato e costantemente ribadito che «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sentenza n. 259 del 2019). Sempre questa ecc.ma Corte ha precisato, inoltre, che la «menomazione» si realizza allorquando sono violate direttamente norme costituzionali relative ad attribuzioni e prerogative degli organi regionali o la cui violazione produca una «menomazione delle possibilita' di esercizio delle medesime» (sentenza n. 332 del 2011). Quest'ultima e', precisamente, l'ipotesi che trova realizzazione nel caso di specie. Va da se', infatti, che l'atto del Collegio di garanzia elettorale, imponendo illegittimamente al consiglio regionale di dichiarare la decadenza di Alessandra Todde dalla carica di presidente della regione, menoma le possibilita' di esercizio delle competenze statutariamente attribuite allo stesso organo consiliare, nonche' a tutti gli altri organi di vertice della regione (presidente e giunta regionale). Non soltanto e' leso il diritto costituzionale soggettivo di elettorato passivo di Alessandra Todde (che l'interessata potra' far valere in altra sede), ma risultano altresi' gravemente violate le prerogative e la posizione del presidente della giunta regionale e del consiglio, per come disciplinate da norme di rango costituzionale. Deve peraltro osservarsi che la decadenza del Presidente, se dichiarata conformemente alla ingiunzione disposta del collegio regionale di garanzia elettorale, implicherebbe altresi' la dissoluzione anticipata del consiglio regionale in virtu' del dispositivo aut simul stabunt aut simul cadent, con conseguente indizione di nuove elezioni presidenziale e consiliare e con effetti, percio', irreversibili sulla permanenza in carica di tutti gli altri consiglieri regionali, oltre che del presidente e della giunta regionale. Insomma, con l'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024 si e' realizzato un tipico caso di «cattivo esercizio» o «sviamento del potere», che ha indebitamente interferito nella «sfera di competenza costituzionale» della Regione Sardegna, realizzando con cio' la fattispecie di cui all'art. 39, comma 1, della legge statale n. 87 del 1953. Tutti gli organi regionali di direzione politica (presidente, consiglio e giunta) sarebbero, infatti, travolti per effetto della declaratoria di decadenza disposta secondo l'ingiunzione proveniente dal Collegio di garanzia elettorale: la quale circostanza rappresenterebbe, evidentemente, una grave «menomazione delle possibilita' di esercizio» delle funzioni che integrano la sfera costituzionale di competenza della Regione Sardegna. Non c'e' dubbio che un atto statale illegittimamente volto a interrompere la "vita" degli organi regionali realizzi, nel contempo, una grave compromissione delle funzioni costituzionalmente spettanti alla regione. Inoltre, al consiglio regionale e' indebitamente imposto di attivarsi per esercitare la propria competenza a verificare i titoli di accesso alla carica di consigliere in riferimento alla Pres. Todde con un provvedimento statale (l'ordinanza/ingiunzione in parola) che predetermina gia' l'esito del giudizio consiliare in argomento. Cio' attesta, inoltre, il sicuro «tono costituzionale» della menomazione lamentata. questa ecc.ma Corte ha ritenuto che «per conferire tono costituzionale a un conflitto serve essenzialmente prospettare l'esercizio effettivo di un potere, non avente base legale, in concreto incidente sulle prerogative costituzionali della ricorrente» (sentenze n. 259 del 2019, n. 260 e n. 104 del 2016). Tutto cio' premesso, nel prosieguo si argomentera' funditus: 1) perche' nel caso di specie si sia inverata un'ipotesi di illegittimo esercizio del potere; e 2) perche' cio' abbia determinato la menomazione della sfera di attribuzioni regionali per come definita da norme di rango costituzionale. Come precisato da questa ecc.ma Corte, vanno infatti «distinti i casi in cui la lesione derivi da un atto meramente illegittimo, da quelli in cui l'atto e' viziato per contrasto con le norme attributive di competenza costituzionale» (sentenza n. 10 del 2017). Nel caso dell'ordinanza del Collegio regionale di garanzia elettorale del 20 dicembre 2024 ricorrono congiuntamente i due presupposti: a) l'accertamento della decadenza della presidente Todde, nonche' l'ingiunzione rivolta al consiglio regionale affinche' la dichiari, sono stati disposti al di fuori delle ipotesi legislativamente stabilite; e b) l'illegittimita' di tali condotte, incide concretamente sull'assetto e le prerogative costituzionali degli organi regionali di direzione politica, conferendo un chiaro «tono costituzionale» al conflitto. 5. L'interesse a ricorrere e la lesivita' dell'atto impugnato in riferimento alle prerogative del consiglio regionale previste dagli articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna. A scanso di equivoci, va osservato che sussiste indubbiamente l'interesse regionale a ricorrere, poiche' il ricorso sarebbe senz'altro idoneo a ripristinare l'ordine delle competenze violato. Peraltro, conformemente a quanto richiesto dalla sentenza n. 150 del 2017 di questa ecc.ma Corte, la lesione o la negazione della competenza deriva immediatamente dall'ordinanza/ingiunzione emessa dal Collegio di garanzia, non ripetendo essa il contenuto di atti precedenti (non sottoposti, a loro volta, a ricorso e non piu' «ricorribili»), ne' rappresentandone una mera e necessaria esecuzione. Non vale obiettare che l'ordinanza/ingiunzione non sarebbe inoppugnabile e che, pertanto, la decisione definitiva sulla decadenza di Alessandra Todde spetterebbe solamente all'autorita' giurisdizionale comune: a quest'ultima, infatti, spetta apprestare il rimedio a favore del diritto soggettivo di elettorato passivo della candidata Todde e non gia' vigilare sul rispetto delle attribuzioni costituzionali degli organi regionali. Neanche puo' obiettarsi che l'effetto della decadenza si produrrebbe a seguito della «pronuncia di decadenza» da parte del consiglio regionale (che a sua volta puo' essere impugnata dinanzi all'autorita' giurisdizionale). Difatti, la lesione della sfera di attribuzioni regionali si materializza per il solo fatto di ordinare/ingiungere al consiglio regionale di disporre l'effetto decadenziale, sicche' la concretezza e attualita' dell'interesse a ricorrere sorge gia' nel momento in cui e' trasmessa al consiglio regionale la richiesta di pronunciare la decadenza del presidente di regione. Per quel che attiene alla lesivita' dell'atto, questa sussiste senz'altro e a nulla puo' valere il rilievo secondo cui l'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024 non avrebbe carattere immediatamente produttivo dell'effetto decadenziale, dovendo necessariamente essere integrata dalla dichiarazione di decadenza da parte del consiglio regionale ai sensi dell'art. 5, comma terzo, della legge regionale sarda n. 1 del 1994 (a mente della quale «la comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993 e' indirizzata al presidente del consiglio regionale, che pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento») A tale proposito e' fondamentale quanto si evince dalla sentenza n. 332 del 2011 di questa ecc.ma Corte, ove si legge che «per costante giurisprudenza di questa Corte, costituisce atto idoneo ad innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi comportamento significante, imputabile allo Stato o alla regione, che sia dotato di efficacia e rilevanza esterna e che - anche se preparatorio o non definitivo - sia comunque diretto "ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilita' di esercizio della medesima"» (ex plurimis, sentenze n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e n. 771 del 1988). In coerenza con questo consolidato indirizzo in tema di atti idonei a dar vita a conflitti intersoggettivi merita osservare che questa ecc.ma Corte e' favorevole all'impugnazione persino di note ministeriali ed atti usualmente annoverati tra quelli meramente interni, laddove contenenti una chiara manifestazione di volonta' in ordine alla spettanza della competenza. Si veda a tale proposito la sentenza n. 89 del 2006, che ha ritenuto delle note ministeriali lesive e impugnabili gia' per il solo fatto di contenere «una chiara manifestazione di volonta' dello Stato di riaffermare la propria competenza nel settore in esame e di negare quella regionale», sebbene non costituissero ancora concreto esercizio della competenza indebitamente avocata. Il punto e' stato esemplarmente argomentato in passato da autorevole dottrina, la quale ha puntualizzato che «si ha materia di conflitto costituzionale non quando si denuncia un tipo qualsiasi di vizio del contenuto d'un atto, ma solo quando il vizio dell'atto, in se' e per se' e indipendentemente dal contenuto, costituisce una lesione della posizione costituzionale del ricorrente». In particolare, «si deve sottolineare l'espressione in se' e di per se'. Per aprire la via al conflitto non basta, anzi non rileva, che l'atto sia per qualunque motivo invalido; e' necessario, e sufficiente, ch'esso esprima la pretesa (illegittima) d'un'intromissione in un campo che non spetta a chi l'ha posto in essere. In ipotesi, dal contenuto dell'atto potrebbe anche non derivare alcun effetto concreto e negativo per chi lo subisce. Il conflitto si giustifica comunque in quanto l'atto che ne da' motivo esprime la pretesa d'istituire un rapporto indebito di soggezione o, comunque, di condizionamento tra poteri» (G. Zagrebelsky, V. Marceno', Giustizia costituzionale, II, Bologna, 2007, 284). Nel caso di specie l'atto del Collegio regionale di garanzia elettorale non e' solo invalido in se', in quanto difforme dalle disposizioni legislative vigenti e in contrasto con norme di rango costituzionale, ma lo e' anche di per se', poiche' esprime, per l'appunto, la volonta' e la pretesa di comminare nei confronti della presidente Todde la sanzione della decadenza dalla carica, «imponendo» al consiglio regionale di adottare il relativo provvedimento predeterminando il contenuto, cosi' interferendo nella dinamica della forma di governo sarda. Difatti, nell'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024 si legge (a pag. 9) che «si impone (...), stante l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto» e (a pag. 10) che si «dispone la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al presidente del consiglio regionale per quanto di sua competenza in ordine all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione Sardegna» (enfasi aggiunte, n. d.r.) Ancor piu' chiaramente la natura cogente delle determinazioni assunte si ha dalla lettura del verbale n. 14 della seduta del 20 dicembre 2024 (nel quale fu approvata l'ordinanza/ingiunzione in causa: all. 3) in cui il Collegio «accertata la violazione in modo definitivo delle norme che disciplinano la campagna elettorale, delibera la decadenza dalla carica del candidato eletto Todde Alessandra e la trasmissione dell'ordinanza-ingiunzione al presidente del consiglio regionale per la pronuncia della decadenza dalla carica della candidata» (enfasi aggiunte). In definitiva, anche ritenendo che il provvedimento del Collegio di garanzia non sia immediatamente esecutivo in assenza di una delibera consiliare conforme, resta tuttavia indubbio che l'ordinanza/ingiunzione presume (erroneamente) che la competenza a comminare la sanzione della decadenza della presidente Todde spetti al Collegio regionale di garanzia elettorale e suppone, percio', che il consiglio regionale debba conformarsi al pronunciamento del 20 dicembre 2024, dichiarando la decadenza della presidente in carica (e con cio' provocando l'automatica dissoluzione del consiglio regionale). Non vi possono essere dubbi, pertanto, in ordine all'interesse della Regione Sardegna a tutelare le proprie attribuzioni di autonomia assicurate dallo statuto di autonomia speciale, dagli articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 e degli articoli 97, 122, della Costituzione. 6. Sull'illegittimo esercizio del potere da parte del Collegio di garanzia in violazione delle attribuzioni regionali previste dagli articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 e degli articoli 97 e 122 della Costituzione. Il provvedimento del Collegio regionale di garanzia elettorale palesa evidenti profili di menomazione delle attribuzioni costituzionalmente attribuite alla regione ricorrente. Gli indici di un esercizio sviato dei poteri attribuiti al Collegio di garanzia sono diversi, a volte concorrenti, talvolta collegati. Si concretano nelle seguenti violazioni di legge: a) vizio della comunicazione resa ai sensi del comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993; b) insussistenza dei presupposti per la comminazione della sanzione della decadenza; c) inesatta qualificazione della peculiare posizione del presidente di regione quale consigliere regionale. 6.1. Illegittimita' della comunicazione al presidente del consiglio regionale per violazione indiretta dell'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 1 del 1994, attraverso la violazione dell'art. 15, comma 10, della legge statale n. 515 del 1993 quale norma interposta. La trasmissione al consiglio regionale dell'ordinanza che ingiunge la misura decadenziale a carico della presidente di regione e' stata disposta in base all'art. 5, comma 3, della legge regionale sarda n. 1 del 1994, il quale stabilisce che «la comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993 e' indirizzata al presidente del consiglio regionale, che pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». Tale disposizione non soltanto richiama ma altresi' ricalca, mutatis mutandis, l'art. 15, comma 10, della legge statale n. 515 del 1993, secondo cui «al termine della dichiarazione di decadenza, il Collegio regionale di garanzia elettorale da' comunicazione dell'accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare, la quale pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». In primo luogo, va rilevato che la comunicazione rivolta al presidente del consiglio regionale dal Collegio di garanzia non e' conforme all'art. 5, comma 3, della legge regionale sarda n. 1 del 1994. Come si e' detto, tale disposizione stabilisce che «la comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993 e' indirizzata al presidente del consiglio regionale, che pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». Se ne evince, quindi, che deve trattarsi di una «comunicazione» rispondente ai requisiti che tale atto comunicativo deve possedere ai sensi dell'art. 15, comma 10, della legge n. 515/1993: in particolare, deve essere una «comunicazione dell'accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9» del suddetto art. 15. Deve, pertanto, individuare con precisione le disposizioni dalle quali, nel caso di specie, si trarrebbe la necessita' di applicare la sanzione della decadenza, tenendo presente che non puo' essere sufficiente indicare il solo comma 7 dell'art. 15, il quale si limita a disporre genericamente che «la violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale (...) comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo», e cioe' nei «casi espressamente previsti» dai successivi commi 8 e 9. Il comma 7, in altre parole, non prevede alcuna ipotesi di decadenza, ma, in ossequio a un principio di tassativita' delle ipotesi decadenziali, annuncia che altre disposizioni le prevedranno, e percio' nulla toglie o aggiunge a quanto si puo' trarre dai successivi commi 8 e 9. Orbene, alla luce di tali premesse e' agevole constatare che la comunicazione resa al presidente del consiglio regionale sardo non soddisfa i requisiti richiesti dall'art. 15, comma 10, della legge n. 515/1993, poiche' richiama il solo comma 7 dell'art. 15, senza fare alcun cenno ai commi 8 e 9, e quindi senza indicare nessuno dei due presupposti che devono ricorrere affinche' possa legittimamente comminarsi la sanzione della decadenza. Il suddetto vizio appare strettamente collegato a quello di cui si trattera' dappresso. 6.2. Lesione delle attribuzioni regionali ad opera dell'ordinanza/ingiunzione nella parte in cui prevede la sanzione della decadenza fuori dai casi espressamente previsti dall'art. 15, comma 8 e 9, della legge n. 515 del 1993 Dalla lettura attenta dell'ordinanza/ingiunzione emerge che nessuna delle contestazioni rivolte alla presidente Todde ricade tra i presupposti ai quali i commi 8 e 9 dell'art. 15 della legge statale n. 515 del 1993 (richiamato dall'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 1 del 1994) agganciano l'effetto della decadenza, con cio' dando prova per tabulas del fatto che nel caso di specie non si e' avuta nessuna delle irregolarita' per le quali la legge prevede la misura decadenziale. Infatti, in base ai suddetti commi 8 e 9 sono due le ipotesi in cui si prevede la sanzione della decadenza. La prima ipotesi e' il mancato deposito del rendiconto elettorale, nonostante la diffida ad adempiere: come recita il comma 8, «in caso di mancato deposito nel termine previsto della dichiarazione di cui all'art. 7, comma 6, da parte di un candidato, il Collegio regionale di garanzia elettorale, previa diffida a depositare la dichiarazione entro i successivi quindici giorni, applica la sanzione di cui al comma 5 del presente articolo. La mancata presentazione entro tale termine della dichiarazione da parte del candidato proclamato eletto, nonostante la diffida ad adempiere, comporta la decadenza dalla carica». La seconda ipotesi e' il superamento dei limiti massimi di spesa consentiti: come dispone il comma 9, «il superamento dei limiti massimi di spesa consentiti ai sensi dell'art. 7, comma 1, per un ammontare pari o superiore al doppio da parte di un candidato proclamato eletto comporta, oltre all'applicazione della sanzione di cui al comma 6 del presente articolo, la decadenza dalla carica». Ebbene, nessuna delle due ipotesi di violazione risulta essere contestata nell'ordinanza/ingiunzione. C'e' da dire, per di piu', che con riguardo alla prima ipotesi il Collegio di garanzia elettorale precisa che «non e' stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto - come previsto dall'art. 15, comma 8 della legge richiamata (diffida e termine di 51 giorni, come specificatamente richiesto dalla norma) - ma l'anomalia derivante dalla non conformita' della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata». E', percio', lo stesso Collegio a escludere che sia stato violato il comma 8. Infine, con riguardo all'ipotesi di cui al comma 9, va osservato che nella legge regionale n. 1 del 1994, che e' il parametro dell'attivita' di controllo e sanzionatoria svolta dal Collegio regionale di garanzia elettorale, non e' offerto alcun criterio per determinare i limiti alle spese elettorali dei candidati alla presidenza della regione, essendo il criterio enunciato dall'art. 1 riferibile soltanto ai candidati al consiglio regionale. La quota variabile del limite di spesa e' determinata, infatti, con riferimento al numero degli abitanti della circoscrizione in cui si e' candidati: e', pero', evidente che non esistono delimitazioni circoscrizionali per la candidatura alla carica di presidente della regione. In definitiva, poiche' il Collegio regionale di garanzia elettorale ha richiesto, anzi ingiunto, la decadenza del presidente di regione fuori dai casi per i quali la legislazione vigente prevede la misura decadenziale in questione, emerge in maniera evidente il carattere ultra vires, e quindi illegittimo, dell'atto che e' oggetto di questo ricorso. 6.3. Lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione Sardegna per l'erroneita' del presupposto interpretativo secondo cui la legge regionale n. 1 del 1994 si riferisce, oltre che ai consiglieri regionali elettivi, pure al presidente di regione ricorrente eletto a suffragio universale e diretto. 6.3.1. Deve, altresi', escludersi la legittima possibilita' che la disciplina dei rendiconti elettorali prevista dalla legge regionale n. 1 del 1994 sia correttamente interpretabile come se si riferisse anche al presidente di regione. Va primariamente ricordato che, all'epoca di entrata in vigore della suddetta legge regionale, il previgente art. 36, comma primo, dello statuto speciale della Sardegna, cioe' nella formulazione precedente la novella introdotta con la legge costituzionale n. 2 del 2001, disponeva che «il presidente della giunta regionale (fosse) eletto dal consiglio regionale fra i suoi componenti subito dopo la nomina del presidente del consiglio e dell'Ufficio di presidenza». La disciplina del 1994, pertanto, non contemplava ne' poteva evidentemente contemplare l'ipotesi che il presidente di regione fosse una carica direttamente anziche' indirettamente elettiva, con tutto quel che avrebbe dovuto conseguirne in ordine alla disciplina delle rendicontazioni elettorali. In secondo luogo, va tenuto presente che, a seguito della novita' costituita dall'elezione diretta del presidente di regione, quale risulta dalla disciplina transitoriamente stabilita dall'art. 3, comma secondo, della legge costituzionale n. 2 del 2001 (disciplina, com'e' noto, ancora vigente), la posizione e lo status presidenziale si differenziano non poco da quello dei 'comuni' consiglieri regionali. Difatti, va rimarcato che il presidente non e' consigliere regionale elettivo, cioe' un consigliere che tale diventa in virtu' dell'elezione consiliare, essendo infatti eletto in capo ad altro organo, e cioe' in capo all'organo monocratico denominato «presidente della regione». E' invece consigliere di diritto in forza dell'art. 3, comma 3, della legge costituzionale n. 2 del 2001, il quale dispone che «il presidente della regione fa parte del consiglio regionale». In terzo luogo e quale conseguenza del rilievo precedente, va sottolineato che per il presidente vige un sistema di elezione che e', evidentemente, diverso da quello dei consiglieri regionali sotto diversi profili: dalle modalita' di espressione del voto, alla delimitazione dell'ambito spaziale della candidatura (che infatti coincide con l'intero territorio regionale e non con circoscrizioni, cioe' con porzioni limitate del territorio regionale). Cio' avvalora l'interpretazione secondo cui la disciplina regionale sulla rendicontazione delle spese elettorali, risalente al 1994 e pensata con riguardo ai consiglieri elettivi (categoria della quale faceva parte anche il presidente di regione nella forma di governo a tendenza assembleare vigente allora), non possa ritenersi applicabile pure al caso del presidente elettivo (nella forma di governo vigente oggi), perlomeno nella parte in cui assegna al Collegio di garanzia elettorale il potere di comminare al presidente la sanzione della decadenza. 6.3.2. Peraltro la legge regionale n. 1/1994 non puo' trovare applicazione al candidato eletto alla presidenza della regione anche per espresso disposto dell'art. 22 della legge statutaria n. 1 del 12 novembre 2013. Come gia' evidenziato, infatti, l'art. 15 dello statuto per la Regione Sardegna rinvia all'emanazione di una legge statutaria rinforzata la determinazione dei casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' con le cariche di presidente, consigliere e componente della giunta. Sulle menzionate materie, l'art. 22 della legge statutaria n. 1/2013 dispone che «in materia di ineleggibilita' e incompatibilita', fino all'approvazione di una disciplina regionale ai sensi dell'art. 15 dello statuto speciale per la Sardegna, oltre a quanto previsto dallo stesso statuto, si applicano le leggi statali». E' evidente che, se, fino all'approvazione di una disciplina regionale ai sensi dell'art. 15 dello statuto speciale (con cio' intendendosi una legge regionale futura), i casi di ineleggibilita' sono demandati e rimessi alle sole leggi statali, al sistema elettorale delineato dalla legge statutaria n. 1/2013 non si applica la (pregressa) legge regionale n. 1/1994. Invero, la legge statale n. 515/1993, ove pure ritenuta astrattamente applicabile alla Regione Sardegna, all'art. 20, dispone che «per le elezioni dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo e per le elezioni dei consigli delle regioni a statuto ordinario e, in quanto compatibili, delle regioni a statuto speciale e ... si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 6 e le relative sanzioni previste nell'art. 15 e le disposizioni di cui agli articoli 17, 18 e 19 della presente legge». Ne discende, con ogni evidenza, che l'art. 7 della medesima legge n. 515/1993, unica disposizione contestata e applicata (dal Collegio regionale di garanzia elettorale) con l'ordinanza/ingiunzione al candidato eletto alla carica di presidente della regione, e le conseguenti sanzioni previste dall'art. 15, decadenza inclusa, non possono ritenersi applicabili al sistema elettorale della Regione Sardegna. Di conseguenza, diversamente da quanto disposto con l'atto impugnato, per espressa previsione degli articoli 15 e 35 dello statuto, nonche' dell'art. 1 e, soprattutto, 22 della legge statutaria n. 1 del 12 novembre 2013, al candidato alla carica di presidente della regione non si applicano gli articoli 3 [«1. Si applicano nelle elezioni per il consiglio regionale le norme in materia di pubblicita' e controllo delle spese elettorali recate dai commi 2, 3, 4, 6 e 7 dell'art. 7 e dagli articoli 8, 11, 12 e 14 della legge n. 515 del 1993.»] e 5 [«3. Alle altre violazioni delle norme recate dalla presente legge si applicano le corrispondenti sanzioni previste dai commi 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 14 e 15 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993. La comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993 e' indirizzata al presidente del consiglio regionale, che pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento.»] della legge regionale n. 1/1994 e, in generale, non si applica l'intera legge regionale. 7. Richiesta, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993. 7.1. Sulla rilevanza della questione. In questo ricorso si assume il presupposto interpretativo che la legge n. 515 del 1993 non sia applicabile, cosi' come ha fatto il Collegio regionale di garanzia elettorale, alla presidente della Regione Sardegna e, comunque, che essa preveda espressamente solo due ipotesi di decadenza, quelle stabilite nei commi 8 e 9 dell'art. 15, e che il comma 7 del medesimo articolo non enuclei un'autonoma ipotesi di decadenza. Tale comma si limiterebbe a enunciare un principio di tipizzazione espressa dei casi in cui e' lecito disporre misure decadenziali, rinviando percio' ai successivi commi 8 e 9. La correttezza di questa interpretazione si evince dal chiaro tenore letterale della disposizione de qua, che cosi' recita: «l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo, costituisce causa di ineleggibilita' del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo (...)», ossia nei casi di cui ai commi 8 e 9, come si e' detto. Da quanto sopra discende che, a causa della errata interpretazione e applicazione dell'art. 15, legge n. 515 del 1993, il Collegio regionale di garanzia elettorale ha leso le prerogative costituzionalmente attribuite alla Regione Sardegna. Invece, qualora si ritenesse che la legge n. 515 sia comunque applicabile al caso del presidente della Regione Sardegna e che il Collegio abbia agito applicando un'ipotesi decadenziale autonoma prevista nel suddetto comma 7 dell'art. 15 (diversa e distinta da quelle contemplate nei commi 8 e 9, e non contestate nel provvedimento del Collegio) la lesione delle competenze regionali sarebbe determinata dalla palese incostituzionalita' proprio del comma 7. In tale prospettiva, pertanto, occorrerebbe che codesta ecc.ma Corte sollevasse dinanzi a se' stessa la questione di costituzionalita' dell'art. 15, comma 7, della legge n. 515 del 1993 per i motivi di seguito dedotti, trattandosi di questione sicuramente rilevante nel presente giudizio poiche' dall'annullamento (o meno) della disposizione in parola dipenderebbe l'esito del presente conflitto. Infatti, nel caso in cui la norma in questione fosse dichiarata incostituzionale, risulterebbe acclarato che non spettava allo Stato - e per esso al Collegio regionale di garanzia elettorale - dichiarare la decadenza della ing. Todde dalla carica di presidente della giunta della Regione Sardegna, con conseguente accoglimento del presente ricorso. 7.2. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost. del principio di legalita' ex articoli 25 e 97 Cost., del diritto di difesa ex art. 24 Cost. e del diritto di elettorato passivo (art. 48 Cost.), nonche' dell'art. 117, primo comma, in riferimento all'art. 6 della C.E.D.U. e all'art. 47 della C.D.F.U.E. 7.2.1. La determina del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d'appello di Cagliari del 3 gennaio 2025, oggetto del presente giudizio, oltre ad aver determinato e ingiunto all'interessata la sanzione amministrativa di euro 40.000,00, ha disposto la trasmissione del provvedimento al consiglio regionale «per quanto di sua competenza in ordine all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione Sardegna, nonche' alla Procura della Repubblica stante le anomalie riscontrate nelle dichiarazioni depositate e l'omesso deposito della citata fattura presente nel cassetto fiscale». Il fondamento giuridico sul quale il Collegio fonda tale dispositivo si coglie dalla lettura delle conclusioni della parte motivazionale del provvedimento nel quale cosi' conclude: «rilevate irregolarita' e violazione delle norme penali inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e delle anomalie rilevate - come suesposto - si impone la trasmissione di copia degli atti succitati alla Procura della Repubblica in sede per quanto di eventuale competenza, nonche' la comminazione delle sanzioni amministrative e, infine, stante l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e trasmissione del provvedimento al presidente del consiglio regionale per la procedura di competenza come previsto dall'art. 15, comma 7, legge n. 515/1993». Pertanto, la «comminazione» della «sanzione» della decadenza dalla carica di «presidente» della Regione Sardegna e' frutto della esclusiva applicazione di quanto prescritto dal comma 7 dell'art. 15, legge n. 515 del 1993. 7.2.2. Tuttavia, la corretta lettura del comma 7 dell'art. 15 in questione svela l'errata interpretazione effettuata dal Collegio di garanzia. Infatti, secondo la disposizione in discussione, la «violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale» (ma quali? su cio', infra), comporta due effetti giuridici: a) determina la «ineleggibilita'» del candidato (anche su cio', infra) e b) «comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo...». Pertanto, secondo la disposizione in parola, «l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo» e' causa di decadenza dell'eletto soltanto «nei casi espressamente previsti nel presente articolo» (ossia, per le fattispecie previste e specificamente sanzionate dai successivi commi 8 e 9); invece, negli altri casi, determina l'insorgere di un «causa di ineleggibilita' del candidato». I commi 8 e 9 dell'art. 15 comminano la decadenza dalla carica dei candidati eletti per "la mancata presentazione entro tale termine della dichiarazione da parte del candidato proclamato eletto, nonostante la diffida ad adempiere" (comma 8) e per "il superamento dei limiti massimi di spesa consentiti ai sensi dell'art. 7, comma 1, per un ammontare pari o superiore al doppio" (comma 9). Nessuna di tali due fattispecie, pero', e' stata contestata alla dott.ssa Todde mentre, come sopra notato, la decadenza e' stata "comminata" in base alla asserita violazione del solo precetto ex comma 7 dell'art. 15. Da cio' l'errore in cui e' caduto il Collegio di garanzia che ha ordinato al consiglio regionale di pronunciare la decadenza della candidata Todde per una fattispecie in riferimento alla quale la legge non prevede tale sanzione. L'interpretazione appena prospettata della disposizione in discussione - e che induce a censurare l'erronea decisione cui e' pervenuto il Collegio di garanzia - e' l'unica costituzionalmente possibile. Qualora, invece, si ritenesse che il comma 7 dell'art. 15, non si limiti a rinviare alle fattispecie descritte e sanzionate nei due commi successi, bensi' contenga un'ipotesi decadenziale autonoma (come, invero, sembrerebbe deporre il comma 10 del medesimo art. 15), non ci si potrebbe esimere dal dichiararne l'incostituzionalita' per i molteplici e palesi vizi che la connotano, sicche' si chiede che codesta ecc.ma Corte sollevi dinanzi a se' stessa le relative questioni di legittimita' costituzionale per quanto di seguito. 7.2.3. Infatti, nella denegata ipotesi interpretativa sopra prospettata, ci troveremmo innanzi ad una norma impositiva di una misura sanzionatoria gravissima - perche' incidente sul diritto fondamentale all'elettorato passivo: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 235 del 1988, nonche' n. 539 del 1990, n. 141 del 1996, n. 288 del 2007 - a fronte di una fattispecie descritta dalla norma legislativa in termini assolutamente generici e indeterminati. Com'e' noto, infatti, l'ordinamento contiene una pluralita' di disposizioni volte a disciplinare lo svolgimento delle campagne elettorali, tutte, peraltro, assistite da specifiche sanzioni di ordine patrimoniale e, in numerosi casi, anche penali. Si pensi, solo per fare qualche esempio, alla legge 4 aprile 1956, n. 212 ("Norme per la disciplina della propaganda elettorale"), composta da nove articoli, le varie disposizioni della stessa legge n. 515 del 1993, la legge 14 aprile 1975, n. 103 (art. 4), la legge 24 aprile 1975, n. 130 ("Modifiche alla disciplina della propaganda elettorale ed alle norme per la presentazione delle candidature e delle liste dei candidati nonche' dei contrassegni nelle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali"), la legge 22 febbraio 2000, n. 28 ("Disposizioni per la parita' di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e per la comunicazione politica") di venti articoli, l'intero decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, nonche' gli articoli 93-114 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, contenenti severe ipotesi di reato. La legge n. 515, per tornare al testo legislativo nel quale e' contenuta la disposizione della cui costituzionalita' qui si dubita, disciplina le campagne elettorali (specificamente, per l'elezione della Camera dei deputati e il Senato della Repubblica), avuto riguardo a due diversi aspetti: dapprima, per quanto concerne l'uso dei mezzi di comunicazione di massa (l'accesso ai mezzi di comunicazione, art. 1; della propaganda elettorale a mezzo stampa e televisione e altre forme, articoli 2 e 3); le comunicazioni agli elettori, art. 4; la comunicazione istituzionale, art. 5; i sondaggi, art. 6). Nei successivi articoli (7-15) si occupa, invece, delle forme e dei limiti del finanziamento delle candidature e degli adempimenti da curare per consentirne la verifica. Anche in questo caso, come sopra gia' accennato, e' previsto un corposo apparato punitivo specificamente contenuto nell'art. 15, nel quale sono previste sanzioni pecuniarie e, nei casi ricordati (commi 8 e 9, e, data l'oscura e incongruente fattura della disposizione, non si comprende se anche nel comma 7) ipotesi decadenziali incidenti sull'elettorato passivo. Pertanto, il comma 7 dell'art. 15 in discussione, commina, nella prospettiva ermeneutica qui esplorata (e fatta propria dal Collegio di garanzia nel caso alla mano), la sanzione della decadenza per la violazione di qualsiasi e non meglio individuata norma applicabile allo svolgimento delle campagne elettorali ancorche' le numerosissime leggi in materia (l'enumerazione svolta nei righi precedenti e' solo parziale ed esemplificativa) siano accompagnate gia' da specifiche sanzioni, ora di ordine penale, ora pecuniario, ora incidenti sul diritto all'elettorato. Nell'ipotesi applicativa fatta propria dal Collegio di garanzia, la questione di legittimita' costituzionale di seguito dedotta (al pari di quelle sollevate nei §§ successivi) sarebbe certamente rilevante nell'odierno giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 e dell'art. 1, legge cost. n. 2 del 1948 perche' incidente sulla norma (l'art. 15, comma 7, legge n. 515 del 1993) che costituisce l'unico fondamento del provvedimento mediante il quale il Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d'appello di Cagliari ha invaso la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alla regione ricorrente e, segnatamente, le competenze in materia di verifica dei poteri assegnate dallo statuto di autonomia sardo (approvato con legge cost. n. 26 febbraio 1948, n. 3 e successive modifiche) al consiglio regionale e specificamente disciplinato dal regolamento consiliare (art. 17). 7.2.4. Codesta ecc.ma Corte ha sempre censurato le disposizioni legislative sanzionatorie a fattispecie indeterminata e generica, perche' contrarie al principio di legalita', di responsabilita' personale, del diritto di difesa e del canone generale di ragionevolezza. Nel caso alla mano, si aggiunge anche la gravissima lesione del diritto all'elettorato passivo. Infatti, con la notissima sentenza n. 110 del 2023, codesta ecc.ma Corte ha portato a sintesi (e a piu' avanzati approdi) la precedente, coerente evoluzione giurisprudenziale affermando che «deve piu' in generale ritenersi che disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta, si pongano in contrasto con il canone di ragionevolezza della legge di cui all'art. 3 Cost. L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del significato delle proposizioni normative, e conseguentemente di ragionevole prevedibilita' della loro applicazione, va certo assicurata con particolare rigore nella materia penale, dove e' in gioco la liberta' personale del consociato, nonche' piu' in generale allorche' la legge conferisca all'autorita' pubblica il potere di limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure di prevenzione. Ma sarebbe errato ritenere che tale esigenza non sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalita' dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, ovvero i rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun consociato ha un'ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, si' da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d'azione. Una norma radicalmente oscura, d'altra parte, vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalita' e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le condizioni per un'applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parita' di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell'art. 3 Cost. [...]. Diverso e', pero', il caso in cui il significato delle espressioni utilizzate in una disposizione - nonostante ogni sforzo interpretativo, compiuto sulla base di tutti i comuni canoni ermeneutici - rimanga del tutto oscuro, con il risultato di rendere impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale di ipotesi riconducibili con ragionevole certezza alla fattispecie normativa astratta. Una tale disposizione non potra' che ritenersi in contrasto con quei "requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa" che la poc'anzi menzionata sentenza n. 185 del 1992 ha, in via generale, evocato in funzione della tutela della "liberta' e della sicurezza dei cittadini". [...]. Una disposizione siffatta, in ragione dell'indeterminatezza dei suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite gli strumenti dell'interpretazione, non fornisce alcun affidabile criterio guida alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato, in contrasto con il principio di legalita' dell'azione amministrativa e con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende arduo al privato lo stesso esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio contro l'eventuale provvedimento negativo della pubblica amministrazione, proprio in ragione dell'indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l'uso arbitrario della discrezionalita' amministrativa» (sent. n. 110 del 2023; sulle fattispecie sanzionatorie indeterminate cfr., tra le tantissime, anche Corte costituzionale, n. 34 del 1995 e 96 del 1981). Tali principi trovano, ovviamente, il loro campo precipuo di elezione in materia penale, ma vanno trasposti anche in quello amministrativo quando, come nel caso di specie, le sanzioni pur formalmente amministrative vanno a incidere su diritti fondamentali (qual e', in democrazia, l'elettorato passivo) e, quindi, sono dotate di autentico valore punitivo e afflittivo anche secondo i c.d. criteri Engel. A parte varie riflessioni contenute nella stessa sentenza n. 110 del 2023, alle quali si rinvia, «deve ricordarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia gia' affermato che il principio della legalita' della pena e' "ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in base al quale e' necessario che sia la legge a configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire" (sentenza n. 78 del 1967). Si e' poi precisato, piu' di recente, che dall'art. 25 Cost., data l'ampiezza della sua formulazione, e' desumibile il principio secondo cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto" (sentenza n. 196 del 2010; in identico senso anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014). Vero e' che tali affermazioni sono state formulate, in ragione delle questioni di legittimita' allora proposte, con riferimento a uno dei corollari del principio di legalita', quello dell'irretroattivita' delle norme incriminatrici. Tuttavia, esse sono parimente da riferire ad altro corollario di detto principio, di rilievo nelle odierne questioni: il principio di determinatezza delle norme sanzionatorie. Principio, quest'ultimo, il quale, per un verso, vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l'autorita' amministrativa o "il giudice assuma[no] un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l'illecito" (sentenza n. 327 del 2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non diversamente dal principio d'irretroattivita', intende "garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta" (ancora sentenza n. 327 del 2008). Con riferimento a questo tipo di sanzioni amministrative, il principio di legalita', prevedibilita' e accessibilita' della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall'ordinamento, del resto, non puo', ormai, non considerarsi patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali e' illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di "conoscere", in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceita' della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata» (ord. n. 121 del 2018). Ancor piu' significativamente, si e' affermato che «viene pero' oggi in rilievo un ulteriore e distinto problema: l'estensione, cioe', del campo applicativo della norma censurata - in nome dello stesso principio - con riguardo al tipo di sanzione attinta dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale (non solo la sanzione penale, ma anche la sanzione amministrativa qualificabile come penale ai sensi della CEDU). [...]. Questa Corte ha osservato che l'attrazione di una sanzione amministrativa nella materia penale in virtu' dei 'criteri Engel' trascina con se' tutte e soltanto le garanzie previste dalla CEDU, come elaborate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo: giurisprudenza nella quale non si rinviene l'affermazione di un principio analogo a quello affermato dalla norma censurata (che impedisca, cioe', l'esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale inflitta con sentenza irrevocabile sulla base di una norma poi dichiarata incostituzionale). Il legislatore nazionale, dal canto suo, puo' bene apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle previste dalla Convenzione, riservandole alle sole sanzioni qualificate come penali dall'ordinamento interno. E' vero - si osserva nella citata sentenza - che questa Corte ha "occasionalmente" riferito l'art. 25, secondo comma, Cost. anche a misure diverse dalle pene in senso stretto: ma lo ha fatto limitatamente al «contenuto essenziale» del precetto costituzionale (il principio di irretroattivita' della norma sfavorevole) e "in riferimento a misure amministrative incidenti su liberta' fondamentali che coinvolgono anche i diritti politici del cittadino"» (sent. n. 68 del 2021). Inoltre, poiche' "l'eleggibilita' e' la regola; l'ineleggibilita' l'eccezione" (C. cost., sentenza n. 46 del 1969, "le norme che derogano al principio della generalita' del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi nei limiti di quanto e' necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (v. la sentenza n. 46 del 1969, indi la sentenza n. 166 del 1972, fino alle sentenze nn. 571 del 1989, 344 del 1993, 141 del 1996)" (Cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 364 del 1996). Ne discende l'ulteriore, fondamentale corollario secondo il quale "non vi e' dubbio che le cause di ineleggibilita' devono essere tipizzate dalla legge con sufficiente precisione, al fine di evitare - o quanto meno limitare - le situazioni di incertezza" (sent. n. 364 cit., nonche' Corte costituzionale sentenza n. 166 del 1972). Alla luce di tali principi, non ci sono dubbi in ordine alla illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, per violazione dei parametri di legittimita' costituzionale evocati in rubrica, dal momento che l'indeterminatezza della fattispecie sanzionatoria non consente al destinatario del precetto di avere reale cognizione di quale sia la condotta esigibile per non cadere nell'ipotesi sanzionata. In tal modo, risultano violati in un sol colpo il canone della ragionevolezza, il principio di legalita' e di personalita' della pena (sub specie di sanzione amministrativa punitiva) il principio della separazione dei poteri e lo stesso diritto di difesa, nonche', nel caso alla mano, del diritto all'elettorato passivo, nonche' l'art. 6 della C.E.D.U. e l'art. 47 della C.D.F.U.E. per violazione del diritto ad un ricorso effettivo. 7.3. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, per violazione, sotto un diverso profilo, del principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost. del principio di legalita' ex articoli 25 e 97 Cost., del diritto di difesa ex art. 24 Cost. e del diritto di elettorato passivo (articoli 48 e 2 Cost.) nonche' dell'art. 117, primo comma, in riferimento all'art. 6 della C.E.D.U. e all'art. 47 della C.D.F.U.E. Senza recesso da quanto sopra, il comma 7 dell'art. 15, legge n. 515 del 1993, e' palesemente incostituzionale anche nella parte in cui commina l'effetto (recte, la sanzione) della ineleggibilita' al candidato che abbia violato le norme che disciplinano la campagna elettorale. Basta davvero una prima e superficiale lettura della disposizione in parola per vedere come la categoria della ineleggibilita' sia invocata (ed applicata) non solo a sproposito sotto l'aspetto dommatico, ma del tutto incongruo e irragionevole sotto quello pratico-applicativo. 7.3.1. Per remoto e mai smentito insegnamento, infatti, «la differenza tra ineleggibilita' e incompatibilita' e' data dal fatto che la prima situazione e' idonea a provocare effetti distorsivi nella parita' di condizioni tra i vari candidati nel senso che - avvalendosi della particolare situazione in cui versa il soggetto "non eleggibile" - egli puo' variamente influenzare a suo favore il corpo elettorale. La seconda, invece, e' una situazione che non ha riflessi nella parita' di condizioni tra i candidati, ma attiene alla concreta possibilita', per l'eletto, di esercitare pienamente le funzioni connesse alla carica anche per motivi concernenti il conflitto di interessi nel quale il soggetto verrebbe a trovarsi se fosse eletto. Di qui la conseguenza che il soggetto ineleggibile deve eliminare ex ante la situazione di ineleggibilita' nella quale versa, mentre il soggetto soltanto incompatibile deve optare, ex post, cioe' ad elezione avvenuta, tra il mantenimento della precedente carica e il munus pubblico derivante dalla conseguita elezione» (C. cost., sentenza n. 283 del 2010). L'ineleggibilita', pertanto, deve preesistere all'elezione per avere effetti invalidanti: «sussistenza delle cause di ineleggibilita' qualora le attivita' o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parita' di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati» (cfr. art. 2, comma 1, lettera a), legge 2 luglio 2004, n. 165, contenente "Disposizioni di attuazione dell'art. 122, primo comma, della Costituzione"); di contro, quest'ultima conseguenza non puo' essere l'effetto di una fattispecie concretatasi successivamente al (o anche nel corso del) procedimento elettorale. Infatti, sempre secondo costante insegnamento giurisprudenziale - nonche', invero, anche per espresse previsioni normative: cfr. art. 2, comma 1, lettera c), legge n. 165 del 2004 - il sopravvenire di un'ipotesi di ineleggibilita' si concreta sul piano effettuale in un'ipotesi di incompatibilita' sicche' all'interessato deve essere concesso un termine per poterla rimuovere, diversi essendo, dal punto di vista ontologico, la natura dei valori tutelati dalla due ipotesi limitative dell'elettorato passivo (il rischio di captatio benevolentiae per l'ineleggibilita', il conflitto di interessi per l'incompatibilita': ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 120 del 2013, nonche', n. 42 del 1961, n. 129 del 1975, n. 5 del 1978, n. 78 del 1979, n. 45 del 1977, n. 162 del 1985, n. 344 del 1993 e n. 217 del 2006). 7.3.2. La norma in esame, come gia' osservato, fa un uso del tutto improprio (ergo, irragionevole) della categoria della ineleggibilita' perche' la fattispecie presa in considerazione non e' quella di una condizione personale preesistente all'elezione e, in termini oggettivi, suscettibile di condizionare la libera manifestazione del consenso degli elettori (per metus, ovvero per il rischio di captatio benevolentiae): per il comma 7 dell'art. 15, legge n. 515 del 1993, l'ineleggibilita' e' una sanzione inflitta a causa dell'omesso o erroneo (in tesi) adempimento agli obblighi di pubblicita' sul finanziamento e la gestione delle spese elettorali che, pero', va a incidere ne' sul piano penale ne' su quello amministrativo, bensi' su quello dell'esercizio dei diritti civili e politici. Premesso tale inusitata misura sanzionatoria, gia' di per se' palesemente irragionevole e lesiva dei principi costituzionali richiamati in rubrica, balzano evidenti ulteriori, palesi incongruita' nei quali e' caduto il legislatore. Dalla disposizione in parola, infatti, non si capisce se l'"ineleggibilita'" comminata sia da considerare assoluta (cioe' applicabile a qualsiasi carica elettiva) oppure relativa (cioe', se riferita alla carica per la quale l'eletto non abbia osservato le norme sulla campagna elettorale, ma e' comunque inevitabile ri-domandarsi: quali tra le tante?). Ancora, non si comprende se tale ineleggibilita' sia da considerare pro-futuro (e in tale ipotesi, se usque ad mortem), ovvero pro-praeterito, e, quindi, con efficacia retroattiva, quindi come ineleggibilita' sopravvenuta, ma senza poter essere trattata in tale ultima ipotesi come incompatibilita' secondo la costante configurazione giuridica. Ebbene, poiche' l'ineleggibilita' (usando l'espressione in termini dommaticamente appropriati) non puo' che essere relativa e temporanea (perche', diversamente, da causa limitativa del diritto all'elettorato passivo a presidio di altri e concorrenti principi costituzionali, si tramuterebbe in una inaccettabile misura ablativa del diritto non consentita in nessun caso dalla Costituzione dato che l'art. 48, ultimo comma, Cost., parla di limitazione, non di privazione), appare chiaro come la disposizione in discussione sia lesiva di numerosi parametri di legittimita' costituzionale. Sicuramente verrebbe infranto quello di ragionevolezza, posto che l'uso in chiave "sanzionatoria" dell'istituto ne snaturerebbe la funzione che, invece, e' ontologicamente posta ad anticipato presidio dell'ordinato svolgimento della competizione elettorale, perche' l'acquisizione del consenso non possa essere (o anche solo apparire) viziata in ragione della condizione soggettiva e personale del candidato. La via seguita dal legislatore con la norma qui censurata, invece, stravolge presupposti, fondamento, effetti e funzione della categoria giuridica dell'ineleggibilita' facendola mutare in un'inedita misura ablativa di un diritto fondamentale (applicata in carenza delle garanzie previste dai criteri Engel) dai contorni applicativi indeterminati nello spazio (ineleggibilita' a cosa?) e nel tempo (da quando e fino a quando?) e senza le garanzie del processo dinanzi ad un'autorita' giudiziaria (da cio', quindi, anche la violazione del diritto ad un giusto processo ex art. 6 C.E.D.U. e a un ricorso effettivo ex art. 47 C.D.F.U.E. Tale vizio, peraltro, si coglie ancor piu' evidente ove si ponga mente, quale tertium comparationis, alle ipotesi di ineleggibilita' conosciute dall'ordinamento giuridico (cfr. ad esempio la legge quadro n. 165 del 2004 e, nel caso della Sardegna, la legge 23 aprile 1981, n. 154, alla quale fa rinvio, nelle more dell'approvazione di una specifica legge statutaria, l'art. 22, comma 2 della legge Statutaria sarda 12 novembre 2013, n. 1) alla ratio dell'istituto come sopra tratteggiato (limitazione del diritto all'elettorato in ragione di specifiche condizioni soggettive del candidato). Risulta, altresi', leso il diritto (inviolabile) di elettorato avuto specifico riferimento all'ultimo comma dell'art. 48 Cost., secondo il quale «il diritto di voto non puo' essere limitato se non per incapacita' civile o per effetto di sentenza penale o nei casi di indegnita' morale indicati dalla legge» e considerato che la fattispecie genericamente e incongruamente descritta dal comma 7 in esame non e' riconducibile a nessuna delle fattispecie previste dalla norma costituzionale. 7.4. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, nella parte in cui dispone che la fattispecie ivi prevista «costituisce causa di ineleggibilita' del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo con delibera della Camera di appartenenza» e non «costituisce causa di ineleggibilita' sopravvenuta del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a seguito di contestazione effettuata con delibera della Camera di appartenenza», per violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost. del principio di legalita' ex articoli 25 e 97 Cost., degli articoli 2, 48 e Cost., nonche' dell'art. 2, comma 1, lettera c), legge 2 luglio 2004, n. 165, quale fonte interposta contenente principi generali ex art. 122, primo comma, Cost. In via del tutto subordinata all'eventuale mancato accoglimento delle censure di legittimita' costituzionale sopra dedotte, occorrerebbe, allora, prendere atto dell'illegittimita' costituzionale del comma 7 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993, nella parte in cui dispone che la fattispecie ivi prevista (l'accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale) «costituisce causa di ineleggibilita' del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo con delibera della Camera di appartenenza» e non «costituisce causa di ineleggibilita' sopravvenuta del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a seguito di contestazione effettuata con delibera della Camera di appartenenza». 7.4.1. Infatti, in tale subordinata ipotesi, l'unica possibilita' di ricondurre a conformita' a Costituzione la norma in discussione, sarebbe quella di intervenire con una pronuncia additiva/sostitutiva mediante la quale la categoria dell'ineleggibilita' viene trattata in conformita' ai principi costituzionali in materia, secondo i quali, allorche' un cittadino eletto ad una carica politica si venga a trovare, successivamente all'elezione, in una condizione di ineleggibilita', tale fattispecie venga trattata come ipotesi di incompatibilita'. Cio' comporta che la fattispecie venga contestata all'interessato concedendo allo stesso un congruo e ragionevole termine per rimuovere la causa ostativa al mantenimento del munus publicum. Come sopra ricordato, la legge 2 luglio 2004, n. 165, di attuazione dell'art. 122, primo comma, Cost., impone alla legislazione elettorale regionale, l'«applicazione della disciplina delle incompatibilita' alle cause di ineleggibilita' sopravvenute alle elezioni qualora ricorrano le condizioni previste dall'art. 3, comma 1, lettere a) e b)» (cosi', l'art. 2, comma 1, lettera c). Tale prescrizione ha valore di principio fondamentale, riconducibile agli articoli 3 e 51 Cost. e, pertanto, immediatamente applicabile anche alle regioni ad autonomia speciale: "questa Corte ha affermato che il legislatore regionale siciliano non puo' «sottrarsi, se non laddove ricorrano 'condizioni peculiari locali', all'applicazione dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano espressivi dell'esigenza indefettibile di uniformita' imposta dagli articoli 3 e 51 Cost. Tra tali principi, assume rilievo il vincolo di configurare, a certe condizioni, le ineleggibilita' sopravvenute come cause di incompatibilita'» (sentenza n. 143 del 2010), come stabilito dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'art. 122, primo comma, della Costituzione). Sulla base di questo vincolo, che obbliga tutte le regioni a rispettare il parallelismo tra le ipotesi di illegittimita' e quelle di incompatibilita', e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione Siciliana n. ...»" (C. cost., sentenza n. 294 del 2011). La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte depone proprio nel senso della doverosita' della concessione di un termine a favore dell'interessato per rimuovere la causa di ineleggibilita' sopravvenuta (da valere quale incompatibilita'): "quando si verifica, infatti, la sopravvenienza di una causa di ineleggibilita' o di incompatibilita', vi sarebbe stata offesa ai principi se il legislatore avesse previsto semplicemente l'automatica decadenza dell'eletto. A questi, invece, e' data possibilita' di rimuovere la causa inficiante, ed entro un termine che appare del tutto ragionevole, attesoche' si tratta soltanto di presentare delle dimissioni: com'e' appunto nel caso di specie, dove..." (C. cost., sentenza n. 235 del 1989). Inoltre, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e' dovuta intervenire per correggere una asimmetria originariamente prevista nella legge n. 154 del 1981, secondo la quale, in caso di contestazione di una causa di incompatibilita' in occasione del procedimento amministrativo di verifica dei titoli di ammissione ad un organo elettivo, era riconosciuta all'interessato la possibilita' di rimuovere la causa ostativa al mantenimento dell'ufficio elettorale entro un congruo termine, facolta' non prevista, invece, in caso di contestazione della medesima causa di incompatibilita' per via giudiziaria: "bisogna dunque consentire di rimuovere la causa d'incompatibilita' entro un termine ragionevolmente breve, dopo la notifica del ricorso di cui all'art. 9-bis, per assicurare un equilibrio fra la ratio giustificativa della incompatibilita' e la salvaguardia del diritto di elettorato passivo, senza pregiudizio di un futuro intervento del Parlamento e di un'evoluzione giurisprudenziale che diano compiuta razionalita' al sistema", pertanto "l'art. 9-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 e' quindi illegittimo nella parte in cui prevede che la decadenza possa essere pronunciata in sede giurisdizionale, senza che sia data all'interessato la facolta' di rimuovere utilmente la causa di incompatibilita' entro un congruo termine dalla notifica del ricorso previsto da esso" (C. cost., sentenza n. 160 del 1997; cfr. anche n. 235 del 1989 e n. 294 del 2011). In conclusione, ancorche' in via subordinata al mancato accoglimento delle eccezioni dedotte ai punti precedenti, occorrera' sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 15, comma 7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, per la violazione dei parametri indicati in rubrica, perche' codesta ecc.ma Corte possa dichiararne l'illegittimita' costituzionale e, quindi, accogliere l'odierno ricorso. 8. Conclusioni in ordine al «tono costituzionale» del conflitto e alla lesione della «sfera di competenza costituzionale» della Regione Sardegna. Nel punto 6 e ss. si e' argomentato perche' la disciplina sarda vigente in tema di rendicontazioni elettorali non puo' trovare applicazione con riguardo al presidente di regione elettivo. Tale rilievo apre la strada alle considerazioni finali circa il rapporto tra il quadro competenziale del Collegio di garanzia elettorale e le prerogative costituzionali degli organi regionali di indirizzo politico (presidente, consiglio e giunta), ossia la «sfera di competenza costituzionale» della Regione Sardegna (per riprendere sempre la formula dell'art. 39, comma 1, della legge statale n. 87 del 1953). Proprio prendendo in esame i caratteri della vigente forma di governo della Regione Sardegna si rivela piu' chiaramente la ragione per cui occorre interpretare la legge regionale n. 1/1994 come se non si riferisse al presidente di regione elettivo, nonche' la ragione per cui una diversa interpretazione (quale quella che fa da presupposto all'ordinanza/ingiunzione del Collegio di garanzia) implicherebbe necessariamente la lesione della «sfera di competenza costituzionale» degli organi facenti parte della forma di governo sarda. La forma di governo sarda, come e' noto, si basa sul meccanismo del simul stabunt simul cadent disciplinato dagli articoli 15 e 35 dello statuto speciale, per come novellati dall'art. 3 della legge costituzionale n. 2 del 2001. In particolare, l'art. 15 dello statuto sardo dispone che «le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il consiglio regionale comportano lo scioglimento del consiglio stesso e l'elezione contestuale del nuovo consiglio e del presidente della regione se eletto a suffragio universale». A seguire, l'art. 35, comma secondo, dello statuto prevede che «l'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della regione eletto a suffragio universale e diretto, nonche' la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni dello stesso comportano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio regionale». Come risulta palese, l'elezione e la dissoluzione dei due organi, il presidente e il consiglio, e' sempre contestuale: o stanno assieme o cadono assieme, appunto. Di conseguenza, le vicende che determinano l'interruzione del mandato di un organo producono automaticamente il venir meno pure dell'altro. In particolare, queste vicende, ipotesi dissolutorie, espressamente tipizzate da disposizioni di rango costituzionale, sono le seguenti: sfiducia consiliare, morte, impedimento permanente, dimissioni e rimozione del presidente. A questo elenco, come si e' detto, deve aggiungersi l'ipotesi delle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il consiglio regionale (art. 15 St. Sardegna). Cio' premesso, appare fortemente dubbio che il Collegio di garanzia abbia il potere di comminare la sanzione della decadenza a carico del presidente di regione elettivo e di determinare con cio' l'automatico scioglimento del consiglio regionale. Poiche' le ipotesi di dissoluzione degli organi regionali di direzione politica sono tassativamente stabilite da norme costituzionali e poiche' implicano deroghe al principio democratico di sovranita' popolare, esse sono di stretta interpretazione, sicche' il legislatore non potrebbe legittimamente introdurre ipotesi ulteriori in assenza di esplicita autorizzazione costituzionale. Ne segue l'ulteriore conseguenza che la legge regionale n. 1 del 1994, in virtu' del canone di interpretazione costituzionalmente conforme (su cui si veda il dictum della sentenza n. 356 del 1996 di questa ecc.ma Corte, secondo cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali»), deve armonizzarsi col sistema costituzionale e non puo' interpretarsi come se attribuisse al Collegio regionale di garanzia elettorale il potere di azionare il dispositivo del simul stabunt simul cadent, che sta alla base della forma di governo regionale. Se ne deve dunque concludere che il Collegio di garanzia non puo' accertare, ingiungere, imporre o anche solo proporre la decadenza del presidente di regione elettivo, con cio' disponendo indirettamente l'automatica dissoluzione del consiglio. La sua competenza deve ritenersi circoscritta alle cause di decadenza che colpiscono i soli consiglieri regionali elettivi, con esclusione del presidente di regione/consigliere di diritto. In base all'art. 39, comma 4, della legge n. 87/1953 «il ricorso per regolamento di competenza deve indicare come sorge il conflitto di attribuzione e specificare l'atto dal quale sarebbe stata invasa la sfera di competenza, nonche' le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate». Nel caso di specie il conflitto sorge, evidentemente, per effetto dell'ordinanza/ingiunzione notificata al presidente di regione e al presidente del consiglio regionale il 3 gennaio 2024. Le disposizioni di rango costituzionale che debbono ritenersi violate sono gli articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna, come novellati dall'art. 3 della legge costituzionale n. 2 del 2001, in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 e degli articoli 97, 122, della Costituzione. Non pare dubbio, inoltre, che la loro violazione determini un'invasione o menomazione della sfera regionale di competenza costituzionale, compromettendo la possibilita' di esercizio delle attribuzioni e prerogative spettanti agli organi regionali di direzione politica (presidente, consiglio e giunta). Cio' e' stato diffusamente argomentato nei precedenti §§, al quale dunque si fa rinvio. Qui si rimarca soltanto che la sanzione della decadenza, erroneamente comminata al presidente di regione sulla base di un'altrettanta erronea interpretazione della legge regionale n. 1 del 1994, costituisce «cattivo esercizio del potere», poiche' nell'imporre al consiglio regionale di dichiarare la decadenza della pres. Todde e, quindi, di determinare illegittimamente la contestuale dissoluzione di tutti gli organi regionali compromette la possibilita' che questi possano continuare a esercitare le loro attribuzioni. In base alla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte si ha, infatti, invasione o lesione della sfera costituzionale di competenza regionale, cioe' delle attribuzioni regionali, anche quando l'atto statale determina una «menomazione delle possibilita' di esercizio delle medesime» (sentenza n. 332 del 2011). E non pare dubbio che le libere determinazioni del consiglio regionale (senza predeterminazione del loro contenuto ab extra da parte di organi statali), nonche' la legittima permanenza in carica degli organi regionali rappresenti il presupposto indefettibile affinche' questi possano effettivamente svolgere le funzioni che l'ordinamento attribuisce loro in piena autonomia e senza incostituzionali interferenze statali. Alla luce delle considerazioni teste' svolte, se ne evince senz'altro l'indubbio «tono costituzionale» del conflitto (si vedano almeno le sentt. nn. 137 del 2014, 87 del 2015, 260 del 2026 di questa ecc.ma Corte). Infatti, a seguire la giurisprudenza costituzionale, «il tono costituzionale del conflitto sussiste quando le regioni non lamentino una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali» (sent. n. 10 del 2017). Nel caso di specie l'ordinanza/ingiunzione del Collegio di garanzia elettorale non e' un atto meramente illegittimo, nei confronti del quale valga solo la tutela offerta dalla giurisdizione comune, ma e' un atto altresi' viziato per contrasto con norme attributive di competenza costituzionale. Non e' leso soltanto il diritto soggettivo di elettorato passivo di Alessandra Todde, in quanto cittadina candidata alla carica di presidente della regione, ma sono vulnerate anche le attribuzioni costituzionali degli organi regionali: per il vizio di legittimita' concernente la posizione della persona fisica Alessandra Todde il giudice competente e' la giurisdizione comune; per il vizio di legittimita' e costituzionalita' concernente la sfera di competenza e, prima ancora, la posizione stessa degli organi facenti parte della forma di governo regionale, il giudice competente non puo' che essere la giurisdizione costituzionale, stante il «tono costituzionale» del conflitto.