Ricorso per conflitto di attribuzioni contro lo  Stato  ex  art.
134 Cost. della Regione autonoma della Sardegna, (c.f.  80002870923),
con sede legale in Cagliari, Viale  Trento  n.  69,  in  persona  del
Vice-presidente pro tempore, Giuseppe Meloni,  legale  rappresentante
della regione giusto decreto della presidente della regione 9  aprile
2024, n. 18, prot. n. 6417, autorizzato  ad  agire  in  giudizio  con
deliberazione della giunta  regionale  28  febbraio  2025,  n.  12/1,
rappresentato e difeso, giusto mandato speciale allegato al  presente
atto, congiuntamente e disgiuntamente, dal  prof.  avv.  Omar  Chessa
(c.f.: CHSMRO70E30I452L, fax: 0706062418, PEC:  ochessa@pec.it),  dal
prof. avv. Antonio Saitta (c.f.: STTNTN63M13F158C;  fax:  0706062418,
PEC:  antonio.saitta@certmail-cnf.it),  del  libero  Foro,  dall'avv.
Mattia   Pani   (c.f.:   PNAMTT74P02B354J;   fax   0706062418;   PEC:
mapani@pec.regione.sardegna.it) e dall'avv. Alessandra  Putzu  (c.f.:
PTZLSN73B41F979D;          fax:           070/6062418;           PEC:
aputzu@pec.regione.sardegna.it)      dell'Avvocatura       dell'ente,
elettivamente domiciliata presso l'Ufficio  di  rappresentanza  della
Regione Sardegna in Roma, Via Lucullo n. 24 e  presso  gli  indirizzi
pec dei nominati difensori; 
    Contro lo Stato e per esso contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri, in  persona  del  Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, 
    e 
    il Collegio regionale di  garanzia  elettorale  presso  la  Corte
d'appello di Cagliari, in persona  del  presidente  pro  tempore,  ai
sensi dell'art. 27, comma 2,  delle  norme  integrative  della  Corte
costituzionale del 22 luglio 2021, 
    e 
    il Ministero della giustizia,  nella  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e  difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme  integrative
della Corte costituzionale del 22 luglio 2021; 
    Per la dichiarazione che, ai sensi degli articoli  15,  35  e  50
dello statuto speciale per la Regione Sardegna in combinato  disposto
con gli articoli 1 e 22 della legge statutaria regionale 12  novembre
2013, n. 1 e degli articoli 97, 122 della  Costituzione,  non  spetta
allo Stato, e per esso al Collegio regionale di  garanzia  elettorale
istituito presso la Corte d'appello di Cagliari con  le  funzioni  ex
art. 13 della legge del 10 dicembre 1993,  n.  515,  di  imporre  «la
decadenza dalla carica  del  candidato  eletto»  a  presidente  della
regione, e disporre  con  «ordinanza/ingiunzione  al  presidente  del
consiglio regionale ... l'adozione del provvedimento di decadenza  di
Todde Alessandra dalla carica di presidente della Regione  Sardegna»,
nonche' 
    Per l'annullamento dell'ordinanza/ingiunzione adottata,  in  data
20 dicembre 2024,  dalla  Corte  d'appello  di  Cagliari  -  Collegio
regionale di garanzia elettorale,  depositata  in  cancelleria  il  3
gennaio 2025, notificata in pari  data  a  «Giampiero  Comandini  ...
nella sua  qualita'  di  presidente  del  consiglio  regionale  della
Sardegna c/o sede  istituzionale,  Palazzo  del  consiglio  regionale
della Regione Sardegna» e all'ing. Alessandra Todde, presidente della
Regione autonoma della Sardegna in Cagliari, Via  Trento  69  c/o  la
Presidenza della regione, con  cui  la  riportata  lesione  e'  stata
affermata e concretamente esercitata, nella parte in cui  «si  impone
..., stante l'accertata violazione delle norme  che  disciplinano  la
campagna elettorale, la decadenza dalla carica del candidato eletto e
trasmissione del provvedimento al presidente del consiglio  regionale
per la procedura di competenza come previsto dall'art. 15,  comma  7,
legge n. 515/1993. P.Q.M .... Tenuto  conto  delle  violazioni  della
normativa,  cosi'  come  suindicate  dispone  la  trasmissione  della
presente ordinanza/ingiunzione al presidente del consiglio  regionale
per quanto di sua competenza in ordine all'adozione del provvedimento
di decadenza di Todde Alessandra dalla  carica  di  presidente  della
Regione Sardegna ...». 
 
                                Fatto 
 
    Il Collegio regionale  di  garanzia  elettorale  per  la  Regione
Sardegna, costituito con il decreto del  presidente  della  Corte  di
appello 19 aprile 2024 per il quadriennio 2024-2027,  e'  competente,
ai sensi del combinato disposto dell'art. 13,  legge  n.  515/1993  e
dell'art. 4, legge regionale n. 1/1994, a effettuare per i  candidati
al consiglio regionale della Sardegna la verifica della regolarita': 
        delle dichiarazioni  concernenti  le  spese  sostenute  e  le
obbligazioni   assunte   per   la   propaganda   elettorale    ovvero
l'attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di  materiali  e  di
mezzi propagandistici predisposti e messi a disposizione dal  partito
o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte  e  dei
rendiconti relativi ai contributi e servizi ricevuti  ed  alle  spese
sostenute per la campagna elettorale. 
    Il  3  gennaio  2025,  tale  Collegio   regionale   di   garanzia
elettorale, ha notificato al presidente del consiglio regionale della
Sardegna  un'«ordinanza/ingiunzione  in   ordine   all'adozione   del
provvedimento di decadenza» dell'ing. Alessandra Todde  dalla  carica
di presidente della Regione Sardegna. 
    La  suddetta  «ordinanza/ingiunzione»  (per   usare   la   stessa
terminologia  impiegata  dal  Collegio  di  garanzia  elettorale),  a
seguito  della  verifica  della  dichiarazione   e   del   rendiconto
depositati dalla candidata Alessandra Todde, «eletta presidente della
Regione Sardegna in esito alle elezioni  regionali  del  25  febbraio
2024, cui ha fatto seguito, in data 20 marzo 2024,  la  proclamazione
degli eletti», ha premesso che «esaminati gli atti prodotti, vista la
delibera adottata nella seduta del 12 novembre 2024 e considerata  la
decisione adottata dalla maggioranza del Collegio,  nel  corso  della
seduta del 16 novembre 2024 - secondo  la  quale  il  candidato  alla
Presidenza della Regione non sarebbe sottoposto ad  alcun  limite  di
spesa per la propria campagna elettorale in virtu' dell'insussistenza
di una norma che lo preveda - si e'  proceduto  alla  notifica  delle
contestazioni ... formulate come di seguito riportate: 
        1) la depositata dichiarazione di spesa e di  rendiconto  non
e' conforme a quanto sancito dall'art. 7,  comma  6  della  legge  n.
515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge  regionale
Sardegna n. 1/1994 ... - si e' contestata la violazione dell'art.  7,
comma 6, legge n. 515/1993, come  richiamato  dall'art.  3,  comma  1
della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 
        2) non risulta essere stato nominato il  mandatario,  la  cui
nomina deve ritenersi obbligatoria ai  sensi  dell'art.  7,  comma  3
della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma  1  della
legge regionale Sardegna  n.  1/1994:  ...  -  si  e'  contestata  la
violazione dell'art. 7, comma 3, legge n. 515/1993,  come  richiamato
dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 
        3) non risulta essere stato aperto un conto corrente dedicato
esclusivamente alla raccolta dei fondi ai sensi dell'art. 7, comma  4
della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma  1  della
legge regionale Sardegna n.  1/1994:  ....  -  si  e'  contestata  la
violazione dell'art. 7, comma 4, legge n. 515/1993,  come  richiamato
dall'art. 3, comma 1 della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 
        4)  non  risulta  l'assegnazione  e  la  sottoscrizione   del
rendiconto da parte del mandatario che avrebbe dovuto essere nominato
ai sensi dell'art. 7, commi 4 e  6  della  legge  n.  515/1993,  come
richiamato dall'art. 3, comma 1 della  legge  regionale  Sardegna  n.
1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, commi  4  e
6, legge n. 515/1993, come richiamati  dall'art.  3,  comma  1  della
legge regionale Sardegna n. 1/1994; 
        5) non  e'  stato  prodotto  l'estratto  del  conto  corrente
bancario o postale, come previsto dall'art. 7, comma 6 della legge n.
515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge  regionale
Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7,
comma 6, legge n. 515/1993, come  richiamato  dall'art.  5,  comma  3
della legge regionale Sardegna n. 1/1994; 
        6) non risultano dalla lista movimenti bancari  i  nominativi
dei soggetti che  hanno  erogato  i  finanziamenti  per  la  campagna
elettorale  come  previsto  dall'art.  7,  comma  6  della  legge  n.
515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge  regionale
Sardegna n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7,
comma 6 della legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1
della legge regionale Sardegna n. 1/1994 e  qualora  i  finanziamenti
dovessero risultare da societa', anche l'art. 4, comma 3 della  legge
n. 659/1981 in combinato disposto con l'art. 7, comma 2  della  legge
n. 195/1974; 
        7) non risulta su quale conto  corrente  siano  confluite  le
somme  indicata  nell'elenco   operazioni   Paypal   prodotto   dalla
candidata, ai sensi dell'art. 7, commi 3 e 4 della legge n. 515/1993,
come richiamato dall'art. 3, comma 1 della legge  regionale  Sardegna
n. 1/1994: ... - si e' contestata la violazione dell'art. 7, comma 4,
legge n. 515/1993, come richiamato dall'art. 3, comma 1  della  legge
regionale Sardegna n. 1/1994; 
    Rilevato che la  candidata  Todde  Alessandra,  a  seguito  delle
contestazioni effettuate, ha proceduto al deposito di una memoria  ex
art.  14,  comma  IV,  legge  regionale  n.  515/1993,  con  relativi
allegati, ... con la quale ha formalizzato le proprie osservazioni in
relazione  appunto,  alle  varie  contestazioni  formulate  nei  suoi
confronti; .....». 
    Rilevato che «non e'  stato  affatto  contestato  alla  Todde  il
mancato deposito della dichiarazione di spesa  e  rendiconto  -  come
previsto dall'art. 15, comma 8  della  legge  richiamata  (diffida  e
termine di quindici giorni,  come  specificatamente  richiesto  dalla
norma)  -  ma  l'anomalia  derivante  dalla  non  conformita'   della
dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa  presentata»  (cfr.
settima  riga  dell'ultimo  capoverso  della  pag.  5  dell'ordinanza
ingiunzione). 
    Il  Collegio  di  garanzia,  con  l'atto  indicato  in  epigrafe,
concludeva, per quanto di interesse nel presente giudizio, che  «Alla
luce delle rilevate irregolarita' e  violazioni  delle  norme  penali
inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e  delle  anomalie
rilevate - come suesposto - si impone la trasmissione di copia  degli
atti succitati alla Procura della Repubblica in sede  per  quanto  di
eventuale  competenza,  nonche'  la   comminazione   delle   sanzioni
amministrative e, infine, stante l'accertata violazione  delle  norme
che disciplinano la campagna elettorale, la  decadenza  dalla  carica
del candidato eletto e trasmissione del provvedimento  al  presidente
del consiglio regionale per la procedura di competenza come  previsto
dall'art. 15, comma 7, legge n. 515/1993» (pag. 5, ultimo capoverso). 
    Pertanto, sulla base delle riportate contestazioni,  il  Collegio
di garanzia elettorale comminava a carico della presidente  Todde  la
sanzione amministrativa di  40.000,00  euro  e  «tenuto  conto  delle
violazioni  della  normativa,  cosi'  come  suindicate   Dispone   la
trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al  presidente  del
consiglio  regionale  per  quanto  di  sua   competenza   in   ordine
all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla
carica di presidente della Regione Sardegna ...». 
    Il provvedimento, depositato in cancelleria il  3  gennaio  2025,
veniva notificato lo stesso giorno a mani proprie  della  presidente,
ing. Alessandra Todde, e al  dott.  Giampiero  Comandini,  nella  sua
qualita' di presidente del consiglio regionale della Sardegna. 
 
                               Diritto 
 
1. Premessa. 
    L'art. 134 Cost. dispone che la Corte costituzionale «giudica sui
conflitti  di  attribuzione  tra  lo  Stato  e   le   regioni».   Una
specificazione normativa e' offerta dall'art. 39 della  legge  n.  87
del 1953, il quale dispone che «se la regione invade con un suo  atto
la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero
ad altra regione, lo Stato o la regione  rispettivamente  interessata
possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento
di competenza»; e che «del pari puo' produrre ricorso la  regione  la
cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da  un  atto  dello
Stato». 
    Il  dettato  costituzionale  succitato  non  precisa  quali  atti
possono   impugnarsi,   ma    una    giurisprudenza    costituzionale
ultradecennale ha stabilito che qualsiasi atto puo' essere  impugnato
(purche' diverso da leggi o atti con forza di  legge,  nei  confronti
dei quali il rimedio e' il giudizio,  incidentale  o  principale,  di
legittimita' costituzionale delle leggi). Infatti, «costituisce  atto
idoneo ad innescare  un  conflitto  intersoggettivo  di  attribuzione
qualsiasi comportamento significante, imputabile allo  Stato  o  alla
regione, che sia dotato di efficacia e  rilevanza  esterna  e  che  -
anche se preparatorio o non definitivo -  sia  comunque  diretto  "ad
esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di  esercitare  una
data competenza, il cui svolgimento possa determinare  una  invasione
nella altrui sfera  di  attribuzioni  o,  comunque,  una  menomazione
altrettanto attuale delle possibilita' di esercizio della  medesima"»
(sentenza n. 22 del 2020, che riprende la sentenza n. 332  del  2011;
nello stesso senso, vedi le sentt. n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e
n. 771 del 1988). 
    Affinche'  il  rimedio  sia  esperibile  da  una  regione  devono
sussistere, tra gli  altri,  due  presupposti  fondamentali:  a)  che
l'atto lesivo sia di provenienza statale; e b) che sia lesa «la sfera
costituzionale di competenza»  della  Regione:  una  lesione  che  si
produce allorquando sono violate  norme  costituzionali  relative  ad
attribuzioni e prerogative degli organi regionali o la cui violazione
determina una «menomazione  delle  possibilita'  di  esercizio  delle
medesime» (sentenza n. 332/2011). 
    E' utile premettere qualche notazione sulla natura giuridica  dei
Collegi  regionali  di  garanzia  elettorale,  per  poi   argomentare
l'inerenza allo Stato del Collegio regionale di  garanzia  elettorale
istituito presso la Corte d'appello di Cagliari. 
2.  La  natura  amministrativa  e  non  giurisdizionale  dei  Collegi
regionali di garanzia elettorale. 
    La prima questione e' appurare se l'organo suddetto abbia  natura
giurisdizionale.  Bisogna,  infatti,  tenere  presente  che,  secondo
l'orientamento  di  questa  ecc.ma   Corte   il   conflitto   sarebbe
«inammissibile se il provvedimento che ne e' oggetto fosse  censurato
quanto  a  pretesi  errores   in   iudicando   commessi   dall'organo
giurisdizionale, risolvendosi, in quest'ultima ipotesi,  il  giudizio
di fronte alla Corte costituzionale  in  un  improprio  strumento  di
gravame» (sentenza n. 39 del 2007). In altre  parole,  questa  ecc.ma
Corte ha piu' volte  ribadito  l'«esigenza  che  il  ricorso  non  si
risolva in un mezzo improprio di censura sul modo di esercizio  della
funzione giurisdizionale» (sentenza n. 22 del 2020). 
    Sennonche', la suddetta «strettoia» posta a garanzia  del  potere
giurisdizionale non puo' applicarsi al caso  di  specie,  poiche'  e'
ormai pacifico che le funzioni  del  Collegio  non  siano  di  natura
giurisdizionale, cosi' come non ha  natura  giurisdizionale  l'organo
stesso, come risulta chiaramente  dalla  sentenza  di  questa  ecc.ma
Corte n. 387 del 1996, in cui si legge  che  i  Collegi  di  garanzia
elettorale rispondono a «uno schema non certo inedito,  che  vede  in
materia elettorale la costituzione di organi amministrativi presso il
giudice ordinario». In particolare, essi «operano  nell'ambito  (...)
delle Corti d'appello e della Corte di cassazione.  Ma  -  aggiungono
sempre i giudici costituzionali - tale collocazione non comporta  che
i Collegi medesimi siano inseriti nell'apparato giudiziario, evidente
risultando la carenza, sia sotto  il  profilo  funzionale  sia  sotto
quello  strutturale,  di  un  nesso   organico   di   compenetrazione
istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni
specializzate degli uffici  giudiziari  presso  cui  sono  istituiti.
Basti notare, con riguardo al primo profilo, che non viene  adottato,
neppure in parte, il codice di rito e, sotto il secondo profilo,  che
manca, nonche' l'assoggettamento alla sorveglianza dei capi di  detti
uffici, un  qualunque  collegamento  col  Consiglio  superiore  della
magistratura.  Ne',  d'altronde,   e'   stato   prospettato,   o   e'
prospettabile  -  stante  il  divieto  in  proposito  sancito   dalla
Costituzione - che si sia in presenza di giudici speciali». 
    E  dunque,  trattandosi  di  autorita'   amministrative   e   non
giurisdizionali, gli errores in iudicando commessi nelle attivita' di
interpretazione e applicazione normativa svolte dai Collegi regionali
di garanzia elettorale  sono  sicuramente  scrutinabili  in  sede  di
conflitto intersoggettivo tra enti ex art. 134 Cost.  e  non  possono
costituire un ostacolo all'ammissibilita' del ricorso. 
3. La natura statale del Collegio regionale di garanzia elettorale. 
    Un'altra   questione,   che   ha   rilievo   decisivo   ai   fini
dell'ammissibilita' del ricorso,  e'  se  il  Collegio  regionale  di
garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello  di  Cagliari
abbia natura statale, e cioe' se possa  ricondursi  alla  nozione  di
«Stato» che assume rilievo ai fini del conflitto  intersoggettivo  ex
art. 134 della Costituzione, nonche' ex art. 39 della legge n. 87 del
1953. 
    A tale proposito nella sentenza n.  31  del  2006  questa  ecc.ma
Corte si precisa che  nel  «sistema  ordinamentale  della  Repubblica
(...) possono verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali  e
regionali, agenti rispettivamente per fini unitari  o  autonomistici,
che attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti
che li originano sono idonei a ledere, per invasione  o  menomazione,
la sfera di attribuzioni  costituzionalmente  garantita  del  sistema
statale o di quello regionale, anche  se  non  provengono  da  organi
dello Stato o della regione intesi  in  senso  stretto  come  persone
giuridiche». Infatti, in base all'orientamento  piu'  volte  espresso
dalla giurisprudenza costituzionale, con riguardo  ai  conflitti  tra
enti la nozione di  «Stato»  ex  art.  134  della  Costituzione  deve
interpretarsi in senso ampio cosicche' l'ente statale sia «inteso non
come persona giuridica, bensi' come sistema  ordinamentale  (sentenza
n. 72 del 2005) complesso e articolato, costituito da organi,  con  o
senza personalita' giuridica, ed enti distinti dallo Stato  in  senso
stretto, ma con esso posti in rapporto  di  strumentalita'  in  vista
dell'esercizio,  in  forme  diverse,  di  tipiche  funzioni  statali»
(sentenza n. 31 del 2006). In altre parole, debbono  farsi  rientrare
nella nozione di «Stato» tutti quegli organi  o  enti  «destinati  ad
esprimere, nel confronto dialettico  con  il  sistema  regionale,  le
esigenze unitarie imposte dai valori  supremi  tutelati  dall'art.  5
Cost.» (sentenza  n.  31  del  2006),  e  che  svolgono  un'attivita'
preordinata  «alla  tutela  di   pregnanti   interessi   di   rilievo
costituzionale» (sentenza n. 173 del 2019). 
    Cio' premesso, e'  di  palmare  evidenza  che  la  vigilanza  sul
rispetto delle norme in  materia  di  rendiconti  elettorali  e'  una
funzione   che   esprime   un'esigenza   unitaria    dell'ordinamento
repubblicano. I  poteri  di  controllo  e  sanzionatori  dei  Collegi
regionali di garanzia elettorale in  ordine  allo  svolgimento  delle
campagne  elettorali  ineriscono  strettamente  alla  tutela  di   un
interesse pubblico unitario e cio'  ne  qualifica  con  chiarezza  la
natura  di  enti  che  esercitano   funzioni   pubbliche   imputabili
all'apparato statale. 
    Lo prova, altresi', il fatto che i collegi regionali di  garanzia
elettorale sono istituiti dagli articoli 13-15 della legge statale n.
515  del  1993.  Analogamente  a   quanto   precisato   dalla   Corte
costituzionale con riguardo agli ordini  professionali  (sentenza  n.
405 del 2005),  non  pare  percio'  dubbio  che  l'istituzione  e  la
disciplina dei Collegi regionali  di  garanzia  elettorale  «risponde
all'esigenza di tutelare  un  rilevante  interesse  pubblico  la  cui
unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici
requisiti di accesso»: e infatti, e la legge statale ad avere fissato
il criterio di composizione dei suddetti Collegi. 
    A  conferma  inequivocabile  dell'appartenenza  dei  Collegi   di
garanzia al sistema ordinamentale dello Stato, va tenuto presente che
i Collegi sono incardinati in seno all'amministrazione giudiziaria e,
nel caso di specie, in  seno  all'amministrazione  giudiziaria  della
Corte di appello di Cagliari. 
    Potrebbe  eccepirsi  che  l'art.  4,  comma  primo,  della  legge
regionale sarda n. 1 del 1994 dispone che «le funzioni attribuite  ai
collegi regionale e centrale di garanzia  elettorale,  costituiti  ai
sensi degli articoli 13 e 14  della  legge  n.  515  del  1993,  sono
svolte, per le elezioni del consiglio regionale della  Sardegna,  dai
medesimi  collegi»,  traendo  da  cio'  la  conclusione,  palesemente
erronea,  che  il  Collegio  cagliaritano  sia  organo   di   livello
regionale,  in  quanto  svolgente  funzioni   attribuite   da   norme
legislative  della  Regione  Sardegna.  Ma  invero   dalla   suddetta
disposizione non puo' certo evincersi che il  Collegio  regionale  di
garanzia elettorale istituito presso la Corte d'appello  di  Cagliari
sia organo regionale anziche' statale. E' vero che, con riguardo alle
elezioni  del  consiglio  regionale,  esercita  anche   funzioni   di
vigilanza e sanzionatorie attribuite  dal  legislatore  regionale  in
luogo di quello statale. Tuttavia, va tenuto presente che il suddetto
organo, istituito da legge statale, svolge funzioni  di  vigilanza  e
sanzionatori con riguardo alle elezioni della Camera dei  deputati  e
del Senato della Repubblica del  Parlamento  (come  si  evince  dagli
articoli 13 e 14 della  legge  n.  515  del  1993,  Disciplina  delle
campagne elettorali per l'elezione alla  Camera  dei  deputati  e  al
Senato della Repubblica): e non e' certo pensabile  che  un  medesimo
organo sia statale allorquando vigili sulle campagne elettorali delle
elezioni politiche nazionali  per  poi  diventare  regionale  quando,
invece,  eserciti  le  sue  funzioni  di  vigilanza  sulle   campagne
elettorali regionali. 
    Per questo complesso  di  ragioni  occorre  imputare  al  sistema
ordinamentale statale  gli  atti  emessi  dai  Collegi  regionali  di
garanzia elettorale nell'esercizio delle funzioni di vigilanza  delle
norme in materia di campagna elettorale, e cio' anche  nelle  ipotesi
in cui tali norme fossero parzialmente stabilite da norme legislative
regionali, come e' il caso dell'ordinamento regionale sardo. 
4.  L'ordinanza  del  20  dicembre  2024  come   «menomazione   delle
possibilita' di esercizio» delle funzioni regionali. 
    Per quanto concerne la lesione  della  «sfera  costituzionale  di
competenza» della regione, questa ecc.ma  Corte  ha  da  lungo  tempo
affermato e costantemente ribadito che «la figura  dei  conflitti  di
attribuzione non si restringe  alla  sola  ipotesi  di  contestazione
circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno  dei  soggetti
contendenti rivendichi per se', ma  si  estende  a  comprendere  ogni
ipotesi  in  cui  dall'illegittimo  esercizio  di  un  potere  altrui
consegua   la   menomazione   di   una    sfera    di    attribuzioni
costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sentenza n. 259 del
2019). 
    Sempre  questa  ecc.ma  Corte  ha  precisato,  inoltre,  che   la
«menomazione» si realizza allorquando sono violate direttamente norme
costituzionali relative ad attribuzioni e  prerogative  degli  organi
regionali  o  la  cui  violazione  produca  una  «menomazione   delle
possibilita' di esercizio delle medesime» (sentenza n. 332 del 2011).
Quest'ultima e', precisamente, l'ipotesi che trova realizzazione  nel
caso di specie. 
    Va  da  se',  infatti,  che  l'atto  del  Collegio  di   garanzia
elettorale, imponendo  illegittimamente  al  consiglio  regionale  di
dichiarare  la  decadenza  di  Alessandra  Todde  dalla   carica   di
presidente della regione, menoma le possibilita' di  esercizio  delle
competenze statutariamente attribuite allo stesso organo  consiliare,
nonche' a tutti gli altri organi di vertice della regione (presidente
e giunta regionale). Non soltanto e' leso il  diritto  costituzionale
soggettivo  di  elettorato   passivo   di   Alessandra   Todde   (che
l'interessata potra' far valere in altra sede), ma risultano altresi'
gravemente violate le prerogative e la posizione del presidente della
giunta regionale e del consiglio, per come disciplinate da  norme  di
rango costituzionale. Deve peraltro osservarsi che la  decadenza  del
Presidente, se dichiarata conformemente alla ingiunzione disposta del
collegio regionale di garanzia elettorale, implicherebbe altresi'  la
dissoluzione  anticipata  del  consiglio  regionale  in  virtu'   del
dispositivo aut simul  stabunt  aut  simul  cadent,  con  conseguente
indizione di nuove elezioni presidenziale e consiliare e con effetti,
percio', irreversibili sulla permanenza in carica di tutti gli  altri
consiglieri regionali,  oltre  che  del  presidente  e  della  giunta
regionale. 
    Insomma, con l'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024  si  e'
realizzato un tipico caso di «cattivo  esercizio»  o  «sviamento  del
potere», che ha indebitamente interferito nella «sfera di  competenza
costituzionale» della  Regione  Sardegna,  realizzando  con  cio'  la
fattispecie di cui all'art. 39, comma 1, della legge  statale  n.  87
del  1953.  Tutti  gli  organi  regionali   di   direzione   politica
(presidente, consiglio e giunta)  sarebbero,  infatti,  travolti  per
effetto   della   declaratoria   di   decadenza   disposta    secondo
l'ingiunzione proveniente dal Collegio  di  garanzia  elettorale:  la
quale  circostanza   rappresenterebbe,   evidentemente,   una   grave
«menomazione delle possibilita'  di  esercizio»  delle  funzioni  che
integrano  la  sfera  costituzionale  di  competenza  della   Regione
Sardegna. Non c'e' dubbio che un atto statale illegittimamente  volto
a  interrompere  la  "vita"  degli  organi  regionali  realizzi,  nel
contempo, una grave compromissione delle funzioni  costituzionalmente
spettanti  alla  regione.  Inoltre,   al   consiglio   regionale   e'
indebitamente  imposto  di  attivarsi  per  esercitare   la   propria
competenza  a  verificare  i  titoli  di  accesso  alla   carica   di
consigliere in riferimento alla  Pres.  Todde  con  un  provvedimento
statale (l'ordinanza/ingiunzione in  parola)  che  predetermina  gia'
l'esito del giudizio consiliare in argomento. 
    Cio' attesta, inoltre,  il  sicuro  «tono  costituzionale»  della
menomazione lamentata. questa  ecc.ma  Corte  ha  ritenuto  che  «per
conferire tono costituzionale a  un  conflitto  serve  essenzialmente
prospettare l'esercizio effettivo  di  un  potere,  non  avente  base
legale, in concreto incidente sulle prerogative costituzionali  della
ricorrente» (sentenze n. 259 del 2019, n. 260 e n. 104 del 2016). 
    Tutto cio' premesso, nel prosieguo si argomentera'  funditus:  1)
perche' nel caso di specie si sia inverata un'ipotesi di  illegittimo
esercizio  del  potere;  e  2)  perche'  cio'  abbia  determinato  la
menomazione della sfera di attribuzioni regionali per  come  definita
da norme di rango costituzionale. Come  precisato  da  questa  ecc.ma
Corte, vanno infatti «distinti i casi in cui la lesione derivi da  un
atto meramente illegittimo, da quelli in cui l'atto  e'  viziato  per
contrasto con le  norme  attributive  di  competenza  costituzionale»
(sentenza n. 10 del  2017).  Nel  caso  dell'ordinanza  del  Collegio
regionale di garanzia  elettorale  del  20  dicembre  2024  ricorrono
congiuntamente i due presupposti: a) l'accertamento  della  decadenza
della presidente Todde, nonche' l'ingiunzione  rivolta  al  consiglio
regionale affinche' la dichiari, sono  stati  disposti  al  di  fuori
delle ipotesi legislativamente stabilite; e  b)  l'illegittimita'  di
tali condotte, incide concretamente  sull'assetto  e  le  prerogative
costituzionali  degli  organi  regionali   di   direzione   politica,
conferendo un chiaro «tono costituzionale» al conflitto. 
5. L'interesse a ricorrere e  la  lesivita'  dell'atto  impugnato  in
riferimento alle prerogative del consiglio regionale  previste  dagli
articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione Sardegna. 
    A scanso di equivoci, va  osservato  che  sussiste  indubbiamente
l'interesse  regionale  a  ricorrere,  poiche'  il  ricorso   sarebbe
senz'altro idoneo a ripristinare l'ordine delle  competenze  violato.
Peraltro, conformemente a quanto richiesto dalla sentenza n. 150  del
2017 di  questa  ecc.ma  Corte,  la  lesione  o  la  negazione  della
competenza deriva  immediatamente  dall'ordinanza/ingiunzione  emessa
dal Collegio di garanzia, non ripetendo essa  il  contenuto  di  atti
precedenti (non sottoposti, a  loro  volta,  a  ricorso  e  non  piu'
«ricorribili»),  ne'   rappresentandone   una   mera   e   necessaria
esecuzione. 
    Non  vale  obiettare  che  l'ordinanza/ingiunzione  non   sarebbe
inoppugnabile  e  che,  pertanto,  la  decisione   definitiva   sulla
decadenza di Alessandra  Todde  spetterebbe  solamente  all'autorita'
giurisdizionale comune: a quest'ultima, infatti, spetta apprestare il
rimedio a favore del diritto soggettivo di elettorato  passivo  della
candidata Todde e non gia' vigilare sul rispetto  delle  attribuzioni
costituzionali degli organi regionali. Neanche  puo'  obiettarsi  che
l'effetto della decadenza si produrrebbe a seguito  della  «pronuncia
di decadenza» da parte del consiglio regionale (che a sua volta  puo'
essere impugnata dinanzi all'autorita' giurisdizionale). Difatti,  la
lesione della sfera di attribuzioni regionali si materializza per  il
solo fatto di ordinare/ingiungere al consiglio regionale di  disporre
l'effetto  decadenziale,  sicche'   la   concretezza   e   attualita'
dell'interesse a ricorrere sorge gia' nel momento in cui e' trasmessa
al consiglio regionale la richiesta di pronunciare la  decadenza  del
presidente di regione. 
    Per quel che attiene alla lesivita'  dell'atto,  questa  sussiste
senz'altro  e  a  nulla  puo'   valere   il   rilievo   secondo   cui
l'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024  non  avrebbe  carattere
immediatamente   produttivo   dell'effetto   decadenziale,    dovendo
necessariamente essere integrata dalla dichiarazione di decadenza  da
parte del consiglio regionale ai  sensi  dell'art.  5,  comma  terzo,
della legge regionale sarda n. 1 del 1994 (a mente  della  quale  «la
comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515  del
1993 e'  indirizzata  al  presidente  del  consiglio  regionale,  che
pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento») 
    A tale proposito e' fondamentale quanto si evince dalla  sentenza
n. 332 del 2011 di  questa  ecc.ma  Corte,  ove  si  legge  che  «per
costante giurisprudenza di questa Corte, costituisce atto  idoneo  ad
innescare un  conflitto  intersoggettivo  di  attribuzione  qualsiasi
comportamento significante, imputabile allo Stato o alla regione, che
sia dotato di  efficacia  e  rilevanza  esterna  e  che  -  anche  se
preparatorio o non definitivo - sia comunque diretto "ad esprimere in
modo  chiaro  ed  inequivoco  la  pretesa  di  esercitare  una   data
competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione  nella
altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto
attuale  delle  possibilita'  di  esercizio  della   medesima"»   (ex
plurimis, sentenze n. 382 del 2006, n. 211 del  1994  e  n.  771  del
1988). 
    In coerenza con questo consolidato  indirizzo  in  tema  di  atti
idonei a dar vita a conflitti intersoggettivi  merita  osservare  che
questa ecc.ma Corte e' favorevole all'impugnazione  persino  di  note
ministeriali ed  atti  usualmente  annoverati  tra  quelli  meramente
interni, laddove contenenti una chiara manifestazione di volonta'  in
ordine alla spettanza della competenza. Si veda a tale  proposito  la
sentenza n. 89 del 2006, che  ha  ritenuto  delle  note  ministeriali
lesive e impugnabili gia' per il solo fatto di contenere «una  chiara
manifestazione di volonta' dello  Stato  di  riaffermare  la  propria
competenza nel settore  in  esame  e  di  negare  quella  regionale»,
sebbene non costituissero ancora concreto esercizio della  competenza
indebitamente avocata. 
    Il  punto  e'  stato  esemplarmente  argomentato  in  passato  da
autorevole dottrina, la quale ha puntualizzato che «si ha materia  di
conflitto costituzionale non quando si denuncia un tipo qualsiasi  di
vizio del contenuto d'un atto, ma solo quando il vizio dell'atto,  in
se' e per se' e  indipendentemente  dal  contenuto,  costituisce  una
lesione  della   posizione   costituzionale   del   ricorrente».   In
particolare, «si deve sottolineare l'espressione in se' e di per se'.
Per aprire la via al conflitto non basta, anzi non rileva, che l'atto
sia per qualunque motivo  invalido;  e'  necessario,  e  sufficiente,
ch'esso esprima la pretesa  (illegittima)  d'un'intromissione  in  un
campo che non spetta a chi l'ha posto  in  essere.  In  ipotesi,  dal
contenuto  dell'atto  potrebbe  anche  non  derivare  alcun   effetto
concreto e negativo per chi lo subisce. Il  conflitto  si  giustifica
comunque in quanto l'atto  che  ne  da'  motivo  esprime  la  pretesa
d'istituire un  rapporto  indebito  di  soggezione  o,  comunque,  di
condizionamento tra poteri» (G. Zagrebelsky, V.  Marceno',  Giustizia
costituzionale, II, Bologna, 2007, 284). 
    Nel caso di specie l'atto  del  Collegio  regionale  di  garanzia
elettorale non e' solo invalido in  se',  in  quanto  difforme  dalle
disposizioni legislative vigenti e in contrasto con  norme  di  rango
costituzionale, ma lo e' anche  di  per  se',  poiche'  esprime,  per
l'appunto, la volonta' e la pretesa di comminare nei confronti  della
presidente  Todde  la  sanzione   della   decadenza   dalla   carica,
«imponendo»  al  consiglio  regionale   di   adottare   il   relativo
provvedimento predeterminando il contenuto, cosi' interferendo  nella
dinamica della forma di governo sarda. 
    Difatti, nell'ordinanza/ingiunzione del 20 dicembre 2024 si legge
(a pag. 9) che «si impone (...), stante l'accertata violazione  delle
norme che disciplinano la campagna  elettorale,  la  decadenza  dalla
carica del candidato eletto»  e  (a  pag.  10)  che  si  «dispone  la
trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al  presidente  del
consiglio  regionale  per  quanto  di  sua   competenza   in   ordine
all'adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla
carica di presidente della Regione  Sardegna»  (enfasi  aggiunte,  n.
d.r.) 
    Ancor piu' chiaramente la  natura  cogente  delle  determinazioni
assunte si ha dalla lettura del verbale n. 14  della  seduta  del  20
dicembre 2024 (nel  quale  fu  approvata  l'ordinanza/ingiunzione  in
causa: all. 3) in cui il Collegio «accertata la  violazione  in  modo
definitivo delle  norme  che  disciplinano  la  campagna  elettorale,
delibera  la  decadenza  dalla  carica  del  candidato  eletto  Todde
Alessandra e la trasmissione dell'ordinanza-ingiunzione al presidente
del consiglio regionale per la pronuncia della decadenza dalla carica
della candidata» (enfasi aggiunte). 
    In definitiva, anche ritenendo che il provvedimento del  Collegio
di garanzia non  sia  immediatamente  esecutivo  in  assenza  di  una
delibera   consiliare   conforme,   resta   tuttavia   indubbio   che
l'ordinanza/ingiunzione presume (erroneamente) che  la  competenza  a
comminare la sanzione della decadenza della presidente  Todde  spetti
al Collegio regionale di garanzia elettorale e suppone, percio',  che
il consiglio regionale debba conformarsi  al  pronunciamento  del  20
dicembre 2024, dichiarando la decadenza della presidente in carica (e
con  cio'  provocando   l'automatica   dissoluzione   del   consiglio
regionale). 
    Non vi possono essere dubbi, pertanto,  in  ordine  all'interesse
della  Regione  Sardegna  a  tutelare  le  proprie  attribuzioni   di
autonomia assicurate  dallo  statuto  di  autonomia  speciale,  dagli
articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la  Regione  Sardegna
in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge  statutaria
regionale 12 novembre 2013, n. 1 e  degli  articoli  97,  122,  della
Costituzione. 
6. Sull'illegittimo esercizio del potere da  parte  del  Collegio  di
garanzia in violazione delle attribuzioni  regionali  previste  dagli
articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la  Regione  Sardegna
in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge  statutaria
regionale 12 novembre 2013, n. 1 e degli  articoli  97  e  122  della
Costituzione. 
    Il provvedimento del Collegio regionale  di  garanzia  elettorale
palesa   evidenti   profili   di   menomazione   delle   attribuzioni
costituzionalmente attribuite alla regione ricorrente. 
    Gli indici di  un  esercizio  sviato  dei  poteri  attribuiti  al
Collegio di garanzia sono  diversi,  a  volte  concorrenti,  talvolta
collegati. 
    Si concretano nelle seguenti violazioni di legge: 
        a) vizio della comunicazione  resa  ai  sensi  del  comma  10
dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993; 
        b) insussistenza dei presupposti per  la  comminazione  della
sanzione della decadenza; 
        c) inesatta  qualificazione  della  peculiare  posizione  del
presidente di regione quale consigliere regionale. 
    6.1.  Illegittimita'  della  comunicazione  al   presidente   del
consiglio regionale per violazione indiretta dell'art.  5,  comma  3,
della legge  regionale  n.  1  del  1994,  attraverso  la  violazione
dell'art. 15, comma 10, della legge statale n.  515  del  1993  quale
norma interposta. 
    La  trasmissione  al  consiglio  regionale   dell'ordinanza   che
ingiunge la misura decadenziale a carico della presidente di  regione
e' stata disposta in base all'art. 5, comma 3, della legge  regionale
sarda n. 1 del 1994, il quale stabilisce che «la comunicazione di cui
al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993  e'  indirizzata
al presidente del consiglio regionale, che pronuncia la decadenza  ai
sensi  del  proprio  regolamento».  Tale  disposizione  non  soltanto
richiama ma altresi' ricalca, mutatis mutandis, l'art. 15, comma  10,
della legge statale n. 515 del 1993, secondo cui  «al  termine  della
dichiarazione  di  decadenza,  il  Collegio  regionale  di   garanzia
elettorale  da'  comunicazione  dell'accertamento  definitivo   delle
violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 al  Presidente  della  Camera  di
appartenenza del parlamentare, la quale  pronuncia  la  decadenza  ai
sensi del proprio regolamento». 
    In primo luogo, va  rilevato  che  la  comunicazione  rivolta  al
presidente del consiglio regionale dal Collegio di  garanzia  non  e'
conforme all'art. 5, comma 3, della legge regionale sarda  n.  1  del
1994.  Come  si  e'  detto,  tale  disposizione  stabilisce  che  «la
comunicazione di cui al comma 10 dell'art. 15 della legge n. 515  del
1993 e'  indirizzata  al  presidente  del  consiglio  regionale,  che
pronuncia la decadenza ai  sensi  del  proprio  regolamento».  Se  ne
evince, quindi, che deve trattarsi di una «comunicazione» rispondente
ai requisiti che tale  atto  comunicativo  deve  possedere  ai  sensi
dell'art. 15, comma 10, della legge n. 515/1993: in particolare, deve
essere  una   «comunicazione   dell'accertamento   definitivo   delle
violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9»  del  suddetto  art.  15.  Deve,
pertanto, individuare con precisione le disposizioni dalle quali, nel
caso di specie, si trarrebbe la necessita' di applicare  la  sanzione
della decadenza, tenendo presente che  non  puo'  essere  sufficiente
indicare il solo comma 7 dell'art. 15, il quale si limita a  disporre
genericamente che «la violazione  delle  norme  che  disciplinano  la
campagna elettorale (...) comporta  la  decadenza  dalla  carica  del
candidato  eletto  nei  casi  espressamente  previsti  nel   presente
articolo», e cioe' nei «casi espressamente previsti»  dai  successivi
commi 8 e 9. Il comma 7, in altre parole, non prevede alcuna  ipotesi
di decadenza, ma, in ossequio a un principio  di  tassativita'  delle
ipotesi decadenziali, annuncia che altre disposizioni le prevedranno,
e percio' nulla toglie  o  aggiunge  a  quanto  si  puo'  trarre  dai
successivi commi 8 e 9. 
    Orbene, alla luce di tali premesse e' agevole constatare  che  la
comunicazione resa al presidente del consiglio  regionale  sardo  non
soddisfa i requisiti richiesti dall'art. 15, comma 10, della legge n.
515/1993, poiche' richiama il solo comma 7 dell'art. 15,  senza  fare
alcun cenno ai commi 8 e 9, e quindi senza indicare nessuno  dei  due
presupposti  che  devono  ricorrere  affinche'  possa  legittimamente
comminarsi la sanzione della decadenza. 
    Il suddetto vizio appare strettamente collegato a quello  di  cui
si trattera' dappresso. 
    6.2.   Lesione   delle   attribuzioni    regionali    ad    opera
dell'ordinanza/ingiunzione nella parte in  cui  prevede  la  sanzione
della decadenza fuori dai casi espressamente previsti  dall'art.  15,
comma 8 e 9, della legge n. 515 del 1993 
    Dalla  lettura  attenta  dell'ordinanza/ingiunzione  emerge   che
nessuna delle contestazioni rivolte alla presidente Todde ricade  tra
i presupposti ai quali i commi 8 e 9 dell'art. 15 della legge statale
n. 515 del  1993  (richiamato  dall'art.  5,  comma  3,  della  legge
regionale n. 1 del 1994) agganciano l'effetto  della  decadenza,  con
cio' dando prova per tabulas del fatto che nel caso di specie non  si
e' avuta nessuna delle irregolarita' per le quali la legge prevede la
misura decadenziale. Infatti, in base ai suddetti commi 8  e  9  sono
due le ipotesi in cui si prevede la sanzione della decadenza. 
    La  prima  ipotesi  e'  il  mancato   deposito   del   rendiconto
elettorale, nonostante la diffida ad adempiere: come recita il  comma
8,  «in  caso  di  mancato  deposito  nel  termine   previsto   della
dichiarazione di cui all'art. 7, comma 6, da parte di  un  candidato,
il Collegio  regionale  di  garanzia  elettorale,  previa  diffida  a
depositare la  dichiarazione  entro  i  successivi  quindici  giorni,
applica la sanzione di cui al  comma  5  del  presente  articolo.  La
mancata presentazione entro tale termine della dichiarazione da parte
del candidato proclamato eletto, nonostante la diffida ad  adempiere,
comporta la decadenza dalla carica». 
    La seconda ipotesi e' il superamento dei limiti massimi di  spesa
consentiti: come dispone il  comma  9,  «il  superamento  dei  limiti
massimi di spesa consentiti ai sensi dell'art. 7,  comma  1,  per  un
ammontare pari o  superiore  al  doppio  da  parte  di  un  candidato
proclamato eletto comporta, oltre all'applicazione della sanzione  di
cui al comma 6 del presente articolo, la decadenza dalla carica». 
    Ebbene, nessuna delle due ipotesi di  violazione  risulta  essere
contestata nell'ordinanza/ingiunzione. 
    C'e' da dire, per di piu', che con riguardo alla prima ipotesi il
Collegio di garanzia elettorale precisa che  «non  e'  stato  affatto
contestato alla Todde il  mancato  deposito  della  dichiarazione  di
spesa e rendiconto - come previsto dall'art. 15, comma 8 della  legge
richiamata (diffida e termine di  51  giorni,  come  specificatamente
richiesto  dalla  norma)  -  ma  l'anomalia   derivante   dalla   non
conformita' della dichiarazione di spesa e rendiconto da  lei  stessa
presentata». E', percio', lo stesso  Collegio  a  escludere  che  sia
stato violato il comma 8. 
    Infine, con riguardo all'ipotesi di cui al comma 9, va  osservato
che nella legge  regionale  n.  1  del  1994,  che  e'  il  parametro
dell'attivita' di  controllo  e  sanzionatoria  svolta  dal  Collegio
regionale di garanzia elettorale, non e' offerto alcun  criterio  per
determinare  i  limiti  alle  spese  elettorali  dei  candidati  alla
presidenza della regione, essendo il criterio enunciato  dall'art.  1
riferibile soltanto ai candidati al  consiglio  regionale.  La  quota
variabile  del  limite  di  spesa  e'   determinata,   infatti,   con
riferimento al numero degli abitanti della circoscrizione in  cui  si
e' candidati: e', pero',  evidente  che  non  esistono  delimitazioni
circoscrizionali per la candidatura alla carica di  presidente  della
regione. 
    In  definitiva,  poiche'  il  Collegio  regionale   di   garanzia
elettorale ha richiesto, anzi ingiunto, la decadenza  del  presidente
di regione fuori dai casi per i quali la legislazione vigente prevede
la misura decadenziale in questione, emerge in  maniera  evidente  il
carattere ultra vires, e quindi illegittimo, dell'atto che e' oggetto
di questo ricorso. 
    6.3. Lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla
Regione Sardegna  per  l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo
secondo cui la legge regionale n. 1 del 1994 si riferisce, oltre  che
ai consiglieri regionali elettivi,  pure  al  presidente  di  regione
ricorrente eletto a suffragio universale e diretto. 
    6.3.1. Deve, altresi', escludersi la legittima  possibilita'  che
la  disciplina  dei  rendiconti  elettorali  prevista   dalla   legge
regionale n. 1 del 1994 sia correttamente interpretabile come  se  si
riferisse anche al presidente di regione. 
    Va primariamente ricordato che, all'epoca di  entrata  in  vigore
della suddetta legge regionale, il previgente art. 36,  comma  primo,
dello statuto  speciale  della  Sardegna,  cioe'  nella  formulazione
precedente la novella introdotta con la legge costituzionale n. 2 del
2001, disponeva che «il presidente  della  giunta  regionale  (fosse)
eletto dal consiglio regionale fra i suoi componenti subito  dopo  la
nomina del presidente del consiglio e dell'Ufficio di presidenza». La
disciplina  del  1994,   pertanto,   non   contemplava   ne'   poteva
evidentemente contemplare l'ipotesi  che  il  presidente  di  regione
fosse una carica direttamente anziche' indirettamente  elettiva,  con
tutto quel che avrebbe dovuto conseguirne in ordine  alla  disciplina
delle rendicontazioni elettorali. 
    In secondo luogo, va tenuto presente che, a seguito della novita'
costituita dall'elezione diretta del  presidente  di  regione,  quale
risulta dalla  disciplina  transitoriamente  stabilita  dall'art.  3,
comma secondo, della legge costituzionale n. 2 del 2001  (disciplina,
com'e' noto, ancora vigente), la posizione e lo status  presidenziale
si  differenziano  non  poco  da  quello  dei  'comuni'   consiglieri
regionali. Difatti, va rimarcato che il presidente non e' consigliere
regionale elettivo, cioe' un consigliere che tale diventa  in  virtu'
dell'elezione consiliare, essendo infatti eletto  in  capo  ad  altro
organo, e cioe' in capo all'organo monocratico denominato «presidente
della regione». E' invece consigliere di diritto in  forza  dell'art.
3, comma 3, della legge  costituzionale  n.  2  del  2001,  il  quale
dispone che «il presidente  della  regione  fa  parte  del  consiglio
regionale». 
    In terzo luogo e quale conseguenza  del  rilievo  precedente,  va
sottolineato che per il presidente vige un sistema  di  elezione  che
e', evidentemente, diverso da quello dei consiglieri regionali  sotto
diversi profili:  dalle  modalita'  di  espressione  del  voto,  alla
delimitazione dell'ambito spaziale  della  candidatura  (che  infatti
coincide con l'intero territorio regionale e non con  circoscrizioni,
cioe' con porzioni limitate del territorio regionale). 
    Cio'  avvalora  l'interpretazione  secondo  cui   la   disciplina
regionale sulla rendicontazione delle spese elettorali, risalente  al
1994 e pensata con riguardo ai consiglieri elettivi (categoria  della
quale faceva parte anche il presidente  di  regione  nella  forma  di
governo a tendenza assembleare vigente allora), non  possa  ritenersi
applicabile pure al caso del  presidente  elettivo  (nella  forma  di
governo vigente oggi),  perlomeno  nella  parte  in  cui  assegna  al
Collegio di garanzia elettorale il potere di comminare al  presidente
la sanzione della decadenza. 
    6.3.2. Peraltro la legge regionale n.  1/1994  non  puo'  trovare
applicazione al candidato eletto alla presidenza della regione  anche
per espresso disposto dell'art. 22 della legge statutaria n. 1 del 12
novembre 2013. 
    Come gia' evidenziato, infatti, l'art. 15 dello  statuto  per  la
Regione  Sardegna  rinvia  all'emanazione  di  una  legge  statutaria
rinforzata  la  determinazione  dei  casi  di  ineleggibilita'  e  di
incompatibilita'  con  le  cariche  di  presidente,   consigliere   e
componente della giunta. 
    Sulle menzionate materie, l'art. 22  della  legge  statutaria  n.
1/2013 dispone che «in materia di ineleggibilita' e incompatibilita',
fino all'approvazione di una disciplina regionale ai sensi  dell'art.
15 dello statuto speciale per la Sardegna, oltre  a  quanto  previsto
dallo stesso statuto, si applicano le leggi statali». 
    E' evidente che, se,  fino  all'approvazione  di  una  disciplina
regionale ai sensi dell'art. 15  dello  statuto  speciale  (con  cio'
intendendosi una legge regionale futura), i casi  di  ineleggibilita'
sono  demandati  e  rimessi  alle  sole  leggi  statali,  al  sistema
elettorale delineato dalla legge statutaria n. 1/2013 non si  applica
la (pregressa) legge regionale n. 1/1994. 
    Invero,  la  legge  statale  n.  515/1993,  ove   pure   ritenuta
astrattamente applicabile alla Regione Sardegna, all'art. 20, dispone
che «per  le  elezioni  dei  rappresentanti  italiani  al  Parlamento
europeo e per le  elezioni  dei  consigli  delle  regioni  a  statuto
ordinario e, in quanto compatibili, delle regioni a statuto  speciale
e ... si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 6 e le
relative sanzioni previste nell'art. 15 e le disposizioni di cui agli
articoli 17, 18 e 19 della presente legge». 
    Ne discende, con ogni evidenza, che l'art. 7 della medesima legge
n. 515/1993, unica disposizione contestata e applicata (dal  Collegio
regionale di  garanzia  elettorale)  con  l'ordinanza/ingiunzione  al
candidato eletto alla  carica  di  presidente  della  regione,  e  le
conseguenti sanzioni previste dall'art. 15,  decadenza  inclusa,  non
possono ritenersi applicabili al  sistema  elettorale  della  Regione
Sardegna. 
    Di  conseguenza,  diversamente  da  quanto  disposto  con  l'atto
impugnato, per espressa previsione  degli  articoli  15  e  35  dello
statuto,  nonche'  dell'art.  1  e,  soprattutto,  22   della   legge
statutaria n. 1 del 12 novembre 2013, al  candidato  alla  carica  di
presidente della regione non si applicano  gli  articoli  3  [«1.  Si
applicano nelle elezioni per  il  consiglio  regionale  le  norme  in
materia di pubblicita' e controllo delle spese elettorali recate  dai
commi 2, 3, 4, 6 e 7 dell'art. 7 e dagli articoli  8,  11,  12  e  14
della legge n. 515 del 1993.»] e 5 [«3. Alle altre  violazioni  delle
norme recate dalla presente  legge  si  applicano  le  corrispondenti
sanzioni previste dai commi 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 14 e 15 dell'art.
15 della legge n. 515 del 1993. La comunicazione di cui al  comma  10
dell'art. 15 della legge n. 515 del 1993 e' indirizzata al presidente
del consiglio regionale, che pronuncia  la  decadenza  ai  sensi  del
proprio  regolamento.»]  della  legge  regionale  n.  1/1994  e,   in
generale, non si applica l'intera legge regionale. 
7. Richiesta, in  via  subordinata,  di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, della legge n. 515
del 1993. 
    7.1. Sulla rilevanza della questione. 
    In questo ricorso si assume il presupposto interpretativo che  la
legge n. 515 del 1993 non sia applicabile, cosi'  come  ha  fatto  il
Collegio regionale di  garanzia  elettorale,  alla  presidente  della
Regione Sardegna e, comunque, che essa preveda espressamente solo due
ipotesi di decadenza, quelle stabilite nei commi 8 e 9 dell'art.  15,
e che il comma  7  del  medesimo  articolo  non  enuclei  un'autonoma
ipotesi di decadenza.  Tale  comma  si  limiterebbe  a  enunciare  un
principio di tipizzazione espressa dei casi in cui e' lecito disporre
misure decadenziali, rinviando percio' ai successivi commi 8 e 9.  La
correttezza di questa interpretazione si  evince  dal  chiaro  tenore
letterale della disposizione de qua, che cosi'  recita:  «l'accertata
violazione delle  norme  che  disciplinano  la  campagna  elettorale,
dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale  in  modo  definitivo,
costituisce causa di ineleggibilita'  del  candidato  e  comporta  la
decadenza dalla carica del candidato eletto  nei  casi  espressamente
previsti nel presente articolo (...)», ossia nei casi di cui ai commi
8 e 9, come si e' detto. 
    Da  quanto   sopra   discende   che,   a   causa   della   errata
interpretazione e applicazione dell'art. 15, legge n. 515  del  1993,
il Collegio regionale di garanzia elettorale ha leso  le  prerogative
costituzionalmente attribuite alla Regione Sardegna. 
    Invece, qualora si ritenesse che la legge  n.  515  sia  comunque
applicabile al caso del presidente della Regione Sardegna  e  che  il
Collegio abbia  agito  applicando  un'ipotesi  decadenziale  autonoma
prevista nel suddetto comma 7 dell'art. 15  (diversa  e  distinta  da
quelle  contemplate  nei  commi  8  e  9,  e   non   contestate   nel
provvedimento del Collegio) la  lesione  delle  competenze  regionali
sarebbe determinata  dalla  palese  incostituzionalita'  proprio  del
comma 7. 
    In tale prospettiva, pertanto, occorrerebbe  che  codesta  ecc.ma
Corte   sollevasse   dinanzi   a   se'   stessa   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 15, comma 7, della legge n. 515 del  1993
per i motivi di seguito dedotti, trattandosi di questione sicuramente
rilevante nel presente giudizio poiche'  dall'annullamento  (o  meno)
della  disposizione  in  parola  dipenderebbe  l'esito  del  presente
conflitto. 
    Infatti, nel caso in cui la norma in questione  fosse  dichiarata
incostituzionale, risulterebbe acclarato che non spettava allo  Stato
-  e  per  esso  al  Collegio  regionale  di  garanzia  elettorale  -
dichiarare la decadenza della ing. Todde dalla carica  di  presidente
della giunta della Regione Sardegna, con conseguente accoglimento del
presente ricorso. 
    7.2. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma
7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, per violazione  del  principio  di
ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost. del principio  di  legalita'
ex articoli 25 e 97 Cost., del diritto di difesa ex art. 24  Cost.  e
del diritto di elettorato passivo (art. 48 Cost.), nonche'  dell'art.
117, primo comma, in riferimento all'art. 6 della C.E.D.U. e all'art.
47 della C.D.F.U.E. 
    7.2.1. La determina del Collegio regionale di garanzia elettorale
presso la Corte d'appello di Cagliari del 3 gennaio 2025, oggetto del
presente   giudizio,   oltre   ad   aver   determinato   e   ingiunto
all'interessata la sanzione  amministrativa  di  euro  40.000,00,  ha
disposto la trasmissione del  provvedimento  al  consiglio  regionale
«per  quanto  di  sua   competenza   in   ordine   all'adozione   del
provvedimento di  decadenza  di  Todde  Alessandra  dalla  carica  di
presidente  della  Regione  Sardegna,  nonche'  alla  Procura   della
Repubblica  stante  le  anomalie  riscontrate   nelle   dichiarazioni
depositate e l'omesso deposito  della  citata  fattura  presente  nel
cassetto fiscale». Il fondamento  giuridico  sul  quale  il  Collegio
fonda tale dispositivo si  coglie  dalla  lettura  delle  conclusioni
della parte motivazionale del provvedimento nel quale cosi' conclude:
«rilevate irregolarita' e violazione delle norme penali  inerenti  il
deposito di dichiarazioni contrastanti e delle  anomalie  rilevate  -
come suesposto - si  impone  la  trasmissione  di  copia  degli  atti
succitati alla  Procura  della  Repubblica  in  sede  per  quanto  di
eventuale  competenza,  nonche'  la   comminazione   delle   sanzioni
amministrative e, infine, stante l'accertata violazione  delle  norme
che disciplinano la campagna elettorale, la  decadenza  dalla  carica
del candidato eletto e trasmissione del provvedimento  al  presidente
del consiglio regionale per la procedura di competenza come  previsto
dall'art. 15, comma 7, legge n. 515/1993». 
    Pertanto, la  «comminazione»  della  «sanzione»  della  decadenza
dalla carica di «presidente» della Regione Sardegna e'  frutto  della
esclusiva applicazione di quanto prescritto dal comma 7 dell'art. 15,
legge n. 515 del 1993. 
    7.2.2. Tuttavia, la corretta lettura del comma 7 dell'art. 15  in
questione svela l'errata interpretazione effettuata dal  Collegio  di
garanzia.  Infatti,  secondo  la  disposizione  in  discussione,   la
«violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale»  (ma
quali? su cio', infra), comporta due effetti giuridici: 
        a) determina la «ineleggibilita'»  del  candidato  (anche  su
cio', infra) e b) «comporta la decadenza dalla carica  del  candidato
eletto nei casi espressamente previsti nel presente articolo...». 
    Pertanto,  secondo  la  disposizione  in   parola,   «l'accertata
violazione delle  norme  che  disciplinano  la  campagna  elettorale,
dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo» e'
causa di  decadenza  dell'eletto  soltanto  «nei  casi  espressamente
previsti nel presente articolo» (ossia, per le fattispecie previste e
specificamente sanzionate dai successivi commi 8 e 9); invece,  negli
altri casi, determina l'insorgere di un «causa di ineleggibilita' del
candidato». 
    I commi 8 e 9 dell'art. 15 comminano la  decadenza  dalla  carica
dei candidati eletti per "la mancata presentazione entro tale termine
della  dichiarazione  da  parte  del  candidato  proclamato   eletto,
nonostante la diffida ad adempiere" (comma 8) e per  "il  superamento
dei limiti massimi di spesa consentiti ai sensi dell'art. 7, comma 1,
per un ammontare pari o superiore al doppio" (comma  9).  Nessuna  di
tali due fattispecie, pero', e' stata contestata alla dott.ssa  Todde
mentre, come sopra notato, la decadenza e' stata "comminata" in  base
alla asserita violazione del solo precetto ex comma 7  dell'art.  15.
Da cio' l'errore in cui e' caduto il  Collegio  di  garanzia  che  ha
ordinato al consiglio regionale di  pronunciare  la  decadenza  della
candidata Todde per una fattispecie  in  riferimento  alla  quale  la
legge non prevede tale sanzione. 
    L'interpretazione  appena  prospettata  della   disposizione   in
discussione - e che induce a censurare  l'erronea  decisione  cui  e'
pervenuto il Collegio di garanzia  -  e'  l'unica  costituzionalmente
possibile. Qualora, invece, si ritenesse che il comma 7 dell'art. 15,
non si limiti a rinviare alle fattispecie descritte e sanzionate  nei
due commi successi, bensi' contenga un'ipotesi decadenziale  autonoma
(come, invero, sembrerebbe deporre il comma 10 del medesimo art. 15),
non ci si potrebbe esimere dal dichiararne l'incostituzionalita'  per
i molteplici e palesi vizi che la connotano, sicche'  si  chiede  che
codesta ecc.ma  Corte  sollevi  dinanzi  a  se'  stessa  le  relative
questioni di legittimita' costituzionale per quanto di seguito. 
    7.2.3.  Infatti,  nella  denegata  ipotesi  interpretativa  sopra
prospettata, ci troveremmo innanzi ad una  norma  impositiva  di  una
misura sanzionatoria  gravissima  -  perche'  incidente  sul  diritto
fondamentale  all'elettorato  passivo:  cfr.  Corte   costituzionale,
sentenza n. 235 del 1988, nonche' n. 539 del 1990, n. 141  del  1996,
n. 288 del 2007 - a fronte di una fattispecie descritta  dalla  norma
legislativa in termini assolutamente generici e indeterminati. Com'e'
noto, infatti, l'ordinamento contiene una pluralita' di  disposizioni
volte a disciplinare lo svolgimento delle campagne elettorali, tutte,
peraltro, assistite da specifiche sanzioni di ordine patrimoniale  e,
in numerosi casi, anche penali.  Si  pensi,  solo  per  fare  qualche
esempio, alla legge 4 aprile 1956, n. 212 ("Norme per  la  disciplina
della propaganda elettorale"), composta da nove  articoli,  le  varie
disposizioni della stessa legge n. 515 del 1993, la legge  14  aprile
1975, n. 103 (art. 4), la legge 24 aprile 1975,  n.  130  ("Modifiche
alla disciplina della propaganda elettorale  ed  alle  norme  per  la
presentazione delle candidature e delle liste dei  candidati  nonche'
dei contrassegni nelle elezioni politiche, regionali,  provinciali  e
comunali"), la legge 22 febbraio 2000, n. 28  ("Disposizioni  per  la
parita' di accesso ai  mezzi  di  informazione  durante  le  campagne
elettorali e per  la  comunicazione  politica")  di  venti  articoli,
l'intero decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235,  nonche'  gli
articoli 93-114 del decreto del Presidente della Repubblica 30  marzo
1957, n. 361, contenenti severe ipotesi di reato. 
    La legge n. 515, per tornare al testo legislativo  nel  quale  e'
contenuta la disposizione della cui costituzionalita' qui si  dubita,
disciplina le campagne  elettorali  (specificamente,  per  l'elezione
della Camera dei  deputati  e  il  Senato  della  Repubblica),  avuto
riguardo a due diversi aspetti: dapprima, per quanto  concerne  l'uso
dei  mezzi  di  comunicazione  di  massa  (l'accesso  ai   mezzi   di
comunicazione, art. 1; della propaganda elettorale a mezzo  stampa  e
televisione e altre forme, articoli 2 e  3);  le  comunicazioni  agli
elettori, art. 4; la comunicazione istituzionale, art. 5; i sondaggi,
art. 6). Nei successivi articoli  (7-15)  si  occupa,  invece,  delle
forme e dei  limiti  del  finanziamento  delle  candidature  e  degli
adempimenti da curare per consentirne la verifica.  Anche  in  questo
caso, come sopra gia' accennato,  e'  previsto  un  corposo  apparato
punitivo  specificamente  contenuto  nell'art.  15,  nel  quale  sono
previste sanzioni pecuniarie e, nei casi ricordati (commi 8 e  9,  e,
data l'oscura e  incongruente  fattura  della  disposizione,  non  si
comprende se  anche  nel  comma  7)  ipotesi  decadenziali  incidenti
sull'elettorato passivo. 
    Pertanto, il comma 7 dell'art. 15 in discussione, commina,  nella
prospettiva ermeneutica qui esplorata (e fatta propria  dal  Collegio
di garanzia nel caso alla mano), la sanzione della decadenza  per  la
violazione di qualsiasi e non meglio  individuata  norma  applicabile
allo svolgimento delle campagne elettorali ancorche' le numerosissime
leggi in materia (l'enumerazione svolta nei righi precedenti e'  solo
parziale ed esemplificativa) siano accompagnate  gia'  da  specifiche
sanzioni, ora di ordine penale, ora  pecuniario,  ora  incidenti  sul
diritto all'elettorato. 
    Nell'ipotesi applicativa fatta propria dal Collegio di  garanzia,
la questione di legittimita' costituzionale di  seguito  dedotta  (al
pari di  quelle  sollevate  nei  §§  successivi)  sarebbe  certamente
rilevante nell'odierno giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge  n.
87 del 1953 e  dell'art.  1,  legge  cost.  n.  2  del  1948  perche'
incidente sulla norma (l'art. 15, comma 7, legge n. 515 del 1993) che
costituisce l'unico fondamento del provvedimento mediante il quale il
Collegio regionale di garanzia elettorale presso la  Corte  d'appello
di Cagliari ha invaso la  sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente
garantita alla regione ricorrente e, segnatamente, le  competenze  in
materia di verifica dei poteri assegnate dallo statuto  di  autonomia
sardo (approvato con  legge  cost.  n.  26  febbraio  1948,  n.  3  e
successive  modifiche)  al  consiglio  regionale   e   specificamente
disciplinato dal regolamento consiliare (art. 17). 
    7.2.4. Codesta ecc.ma Corte ha sempre censurato  le  disposizioni
legislative sanzionatorie a  fattispecie  indeterminata  e  generica,
perche' contrarie  al  principio  di  legalita',  di  responsabilita'
personale,  del  diritto  di  difesa  e  del   canone   generale   di
ragionevolezza. Nel caso alla mano, si aggiunge anche  la  gravissima
lesione del diritto all'elettorato passivo. 
    Infatti, con la notissima  sentenza  n.  110  del  2023,  codesta
ecc.ma Corte ha portato a sintesi (e  a  piu'  avanzati  approdi)  la
precedente,  coerente  evoluzione  giurisprudenziale  affermando  che
«deve piu' in generale ritenersi che  disposizioni  irrimediabilmente
oscure, e pertanto foriere di  intollerabile  incertezza  nella  loro
applicazione concreta, si pongano  in  contrasto  con  il  canone  di
ragionevolezza della legge di cui all'art. 3 Cost. 
    L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del
significato  delle  proposizioni  normative,  e  conseguentemente  di
ragionevole  prevedibilita'  della  loro   applicazione,   va   certo
assicurata con particolare rigore nella materia penale,  dove  e'  in
gioco la liberta' personale del consociato, nonche' piu' in  generale
allorche' la legge conferisca all'autorita'  pubblica  il  potere  di
limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure
di prevenzione. Ma sarebbe errato  ritenere  che  tale  esigenza  non
sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalita'  dei
rapporti tra la pubblica amministrazione  e  i  cittadini,  ovvero  i
rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun
consociato ha un'ovvia aspettativa a che la legge definisca ex  ante,
e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti  entro  i  quali  i
suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare  tutela,  si'  da
poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d'azione. 
    Una norma radicalmente oscura, d'altra parte, vincola in  maniera
soltanto  apparente  il  potere  amministrativo  e  giudiziario,   in
violazione del principio di legalita' e della stessa separazione  dei
poteri; e crea  inevitabilmente  le  condizioni  per  un'applicazione
diseguale della legge, in violazione di quel principio di parita'  di
trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia
consacrata nell'art. 3 Cost. [...]. 
    Diverso  e',  pero',  il  caso  in  cui  il   significato   delle
espressioni utilizzate in una disposizione - nonostante  ogni  sforzo
interpretativo,  compiuto  sulla  base  di  tutti  i  comuni   canoni
ermeneutici - rimanga del tutto oscuro, con il risultato  di  rendere
impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale
di ipotesi riconducibili con ragionevole  certezza  alla  fattispecie
normativa astratta. Una tale disposizione non potra' che ritenersi in
contrasto con quei  "requisiti  minimi  di  razionalita'  dell'azione
legislativa" che la poc'anzi menzionata sentenza n. 185 del 1992  ha,
in via generale, evocato in funzione della tutela della  "liberta'  e
della sicurezza dei cittadini". [...]. 
    Una disposizione siffatta, in ragione  dell'indeterminatezza  dei
suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite  gli  strumenti
dell'interpretazione, non fornisce alcun  affidabile  criterio  guida
alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire  o  meno
un dato  intervento  richiesto  dal  privato,  in  contrasto  con  il
principio di legalita'  dell'azione  amministrativa  e  con  esigenze
minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende  arduo
al privato lo stesso esercizio  del  proprio  diritto  di  difesa  in
giudizio contro l'eventuale  provvedimento  negativo  della  pubblica
amministrazione,  proprio  in   ragione   dell'indeterminatezza   dei
presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l'uso
arbitrario della discrezionalita' amministrativa» (sent. n.  110  del
2023; sulle fattispecie  sanzionatorie  indeterminate  cfr.,  tra  le
tantissime, anche Corte costituzionale, n.  34  del  1995  e  96  del
1981). 
    Tali principi trovano, ovviamente,  il  loro  campo  precipuo  di
elezione in materia  penale,  ma  vanno  trasposti  anche  in  quello
amministrativo quando, come nel  caso  di  specie,  le  sanzioni  pur
formalmente amministrative vanno a incidere su  diritti  fondamentali
(qual e', in democrazia, l'elettorato passivo) e, quindi, sono dotate
di autentico valore  punitivo  e  afflittivo  anche  secondo  i  c.d.
criteri Engel. A  parte  varie  riflessioni  contenute  nella  stessa
sentenza n. 110 del 2023, alle quali si rinvia, «deve ricordarsi come
la giurisprudenza  di  questa  Corte  abbia  gia'  affermato  che  il
principio della legalita' della pena  e'  "ricavabile  anche  per  le
sanzioni  amministrative   dall'art.   25,   secondo   comma,   della
Costituzione, in base al quale e'  necessario  che  sia  la  legge  a
configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie,  i  fatti  da
punire" (sentenza n. 78 del 1967).  Si  e'  poi  precisato,  piu'  di
recente,  che  dall'art.  25  Cost.,  data   l'ampiezza   della   sua
formulazione, e' desumibile il principio secondo cui «tutte le misure
di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima
disciplina della sanzione penale in senso stretto" (sentenza  n.  196
del 2010; in identico senso anche le sentenze n. 276 del  2016  e  n.
104 del 2014). 
    Vero e' che tali affermazioni sono state  formulate,  in  ragione
delle questioni di legittimita' allora proposte,  con  riferimento  a
uno   dei   corollari   del   principio    di    legalita',    quello
dell'irretroattivita' delle norme incriminatrici. Tuttavia, esse sono
parimente da riferire ad altro  corollario  di  detto  principio,  di
rilievo nelle odierne questioni: il principio di determinatezza delle
norme sanzionatorie. Principio, quest'ultimo, il quale, per un verso,
vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione  dei
poteri, l'autorita' amministrativa o "il giudice assuma[no] un  ruolo
creativo, individuando, in luogo del legislatore, i  confini  tra  il
lecito e l'illecito" (sentenza n.  327  del  2008;  sul  punto  anche
ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non  diversamente  dal
principio   d'irretroattivita',   intende   "garantire   la    libera
autodeterminazione individuale,  permettendo  al  destinatario  della
norma penale di apprezzare a priori le  conseguenze  giuridico-penali
della propria condotta" (ancora sentenza n. 327 del 2008). 
    Con riferimento a questo  tipo  di  sanzioni  amministrative,  il
principio  di  legalita',  prevedibilita'  e   accessibilita'   della
condotta   sanzionabile   e   della   sanzione    aventi    carattere
punitivo-afflittivo,  qualunque  sia  il  nomen  ad  essa  attribuito
dall'ordinamento,  del  resto,  non  puo',  ormai,  non  considerarsi
patrimonio derivato non  soltanto  dai  principi  costituzionali,  ma
anche da quelli del diritto convenzionale e  sovranazionale  europeo,
in base ai quali e' illegittimo  sanzionare  comportamenti  posti  in
essere da soggetti  che  non  siano  stati  messi  in  condizione  di
"conoscere", in tutte le  sue  dimensioni  tipizzate,  la  illiceita'
della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata»  (ord.
n. 121 del 2018). 
    Ancor piu' significativamente, si e' affermato che  «viene  pero'
oggi in rilievo  un  ulteriore  e  distinto  problema:  l'estensione,
cioe', del campo applicativo della norma censurata -  in  nome  dello
stesso principio - con riguardo al tipo  di  sanzione  attinta  dalla
declaratoria di illegittimita' costituzionale (non solo  la  sanzione
penale, ma anche la sanzione amministrativa qualificabile come penale
ai sensi della CEDU). [...]. 
    Questa Corte  ha  osservato  che  l'attrazione  di  una  sanzione
amministrativa nella materia penale in  virtu'  dei  'criteri  Engel'
trascina con se' tutte e soltanto le garanzie  previste  dalla  CEDU,
come elaborate dalla giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo: giurisprudenza nella quale non si rinviene  l'affermazione
di un principio analogo a quello affermato dalla norma censurata (che
impedisca, cioe', l'esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale
inflitta con sentenza  irrevocabile  sulla  base  di  una  norma  poi
dichiarata incostituzionale). Il  legislatore  nazionale,  dal  canto
suo, puo'  bene  apprestare  garanzie  ulteriori  rispetto  a  quelle
previste  dalla  Convenzione,   riservandole   alle   sole   sanzioni
qualificate come penali dall'ordinamento interno. 
    E' vero - si osserva nella citata sentenza - che questa Corte  ha
"occasionalmente" riferito l'art. 25, secondo comma,  Cost.  anche  a
misure  diverse  dalle  pene  in  senso  stretto:  ma  lo  ha   fatto
limitatamente al «contenuto essenziale» del  precetto  costituzionale
(il principio di irretroattivita'  della  norma  sfavorevole)  e  "in
riferimento   a   misure   amministrative   incidenti   su   liberta'
fondamentali che coinvolgono anche i diritti politici del cittadino"»
(sent. n. 68 del 2021). 
    Inoltre, poiche' "l'eleggibilita' e' la regola; l'ineleggibilita'
l'eccezione" (C. cost., sentenza  n.  46  del  1969,  "le  norme  che
derogano  al  principio  della  generalita'  del  diritto  elettorale
passivo sono di  stretta  interpretazione  e  devono  contenersi  nei
limiti di quanto e' necessario a soddisfare le esigenze  di  pubblico
interesse cui sono preordinate (v. la sentenza n. 46 del  1969,  indi
la sentenza n. 166 del 1972, fino alle sentenze nn. 571 del 1989, 344
del 1993, 141 del 1996)" (Cosi', Corte  costituzionale,  sentenza  n.
364 del  1996).  Ne  discende  l'ulteriore,  fondamentale  corollario
secondo il quale "non vi e' dubbio che le  cause  di  ineleggibilita'
devono essere tipizzate dalla legge con  sufficiente  precisione,  al
fine di  evitare  -  o  quanto  meno  limitare  -  le  situazioni  di
incertezza" (sent. n. 364 cit., nonche' Corte costituzionale sentenza
n. 166 del 1972). 
    Alla luce di tali principi, non ci  sono  dubbi  in  ordine  alla
illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7,  per  violazione
dei parametri di legittimita' costituzionale evocati in rubrica,  dal
momento che l'indeterminatezza della  fattispecie  sanzionatoria  non
consente al destinatario del precetto di avere  reale  cognizione  di
quale  sia  la  condotta  esigibile  per  non   cadere   nell'ipotesi
sanzionata. In tal modo, risultano violati in un sol colpo il  canone
della ragionevolezza, il principio di  legalita'  e  di  personalita'
della pena  (sub  specie  di  sanzione  amministrativa  punitiva)  il
principio della separazione dei poteri e lo stesso diritto di difesa,
nonche', nel caso alla  mano,  del  diritto  all'elettorato  passivo,
nonche' l'art. 6 della C.E.D.U. e  l'art.  47  della  C.D.F.U.E.  per
violazione del diritto ad un ricorso effettivo. 
    7.3. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma
7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, per violazione, sotto  un  diverso
profilo, del principio di ragionevolezza ex art. 3,  comma  1,  Cost.
del principio di legalita' ex articoli 25 e 97 Cost., del diritto  di
difesa ex art. 24 Cost. e del diritto di elettorato passivo (articoli
48 e 2 Cost.) nonche' dell'art.  117,  primo  comma,  in  riferimento
all'art. 6 della C.E.D.U. e all'art. 47 della C.D.F.U.E. 
    Senza recesso da quanto sopra, il comma 7 dell'art. 15, legge  n.
515 del 1993, e' palesemente incostituzionale anche  nella  parte  in
cui commina l'effetto (recte, la sanzione) della  ineleggibilita'  al
candidato che abbia violato le norme  che  disciplinano  la  campagna
elettorale. Basta davvero una  prima  e  superficiale  lettura  della
disposizione  in  parola  per  vedere   come   la   categoria   della
ineleggibilita' sia invocata (ed applicata)  non  solo  a  sproposito
sotto l'aspetto dommatico, ma del  tutto  incongruo  e  irragionevole
sotto quello pratico-applicativo. 
    7.3.1. Per remoto  e  mai  smentito  insegnamento,  infatti,  «la
differenza tra ineleggibilita' e incompatibilita' e' data  dal  fatto
che la prima situazione e'  idonea  a  provocare  effetti  distorsivi
nella parita' di condizioni tra i vari  candidati  nel  senso  che  -
avvalendosi della particolare situazione in  cui  versa  il  soggetto
"non eleggibile" - egli puo' variamente influenzare a suo  favore  il
corpo elettorale. La seconda, invece, e' una situazione  che  non  ha
riflessi nella parita' di condizioni tra i candidati, ma attiene alla
concreta possibilita', per  l'eletto,  di  esercitare  pienamente  le
funzioni  connesse  alla  carica  anche  per  motivi  concernenti  il
conflitto di interessi nel quale il soggetto verrebbe a  trovarsi  se
fosse eletto. Di qui la conseguenza che il soggetto ineleggibile deve
eliminare ex ante la situazione di ineleggibilita' nella quale versa,
mentre il soggetto soltanto incompatibile deve optare, ex post, cioe'
ad elezione avvenuta, tra il mantenimento della precedente  carica  e
il munus pubblico derivante dalla  conseguita  elezione»  (C.  cost.,
sentenza n. 283 del 2010). 
    L'ineleggibilita', pertanto, deve  preesistere  all'elezione  per
avere   effetti   invalidanti:   «sussistenza    delle    cause    di
ineleggibilita'  qualora  le  attivita'  o  le  funzioni  svolte  dal
candidato, anche in relazione a peculiari situazioni  delle  regioni,
possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di
voto degli elettori ovvero possano violare la parita' di accesso alle
cariche elettive rispetto agli altri candidati» (cfr. art.  2,  comma
1, lettera a), legge 2 luglio 2004, n. 165, contenente  "Disposizioni
di attuazione dell'art. 122, primo comma,  della  Costituzione");  di
contro, quest'ultima conseguenza non puo'  essere  l'effetto  di  una
fattispecie concretatasi successivamente al (o anche nel  corso  del)
procedimento   elettorale.   Infatti,   sempre    secondo    costante
insegnamento giurisprudenziale - nonche', invero, anche per  espresse
previsioni normative: cfr. art. 2, comma 1, lettera c), legge n.  165
del 2004 -  il  sopravvenire  di  un'ipotesi  di  ineleggibilita'  si
concreta sul  piano  effettuale  in  un'ipotesi  di  incompatibilita'
sicche' all'interessato deve essere concesso un termine  per  poterla
rimuovere, diversi essendo, dal punto di vista ontologico, la  natura
dei valori tutelati  dalla  due  ipotesi  limitative  dell'elettorato
passivo (il rischio di captatio benevolentiae per  l'ineleggibilita',
il conflitto di interessi per l'incompatibilita':  ex  multis,  Corte
costituzionale, sentenza n. 120 del 2013, nonche', n. 42 del 1961, n.
129 del 1975, n. 5 del 1978, n. 78 del 1979, n. 45 del 1977,  n.  162
del 1985, n. 344 del 1993 e n. 217 del 2006). 
    7.3.2. La norma in esame, come gia'  osservato,  fa  un  uso  del
tutto  improprio  (ergo,   irragionevole)   della   categoria   della
ineleggibilita' perche' la fattispecie presa in considerazione non e'
quella di una condizione personale preesistente  all'elezione  e,  in
termini   oggettivi,   suscettibile   di   condizionare   la   libera
manifestazione del consenso degli elettori (per metus, ovvero per  il
rischio di captatio benevolentiae): per  il  comma  7  dell'art.  15,
legge n. 515 del 1993, l'ineleggibilita' e' una sanzione  inflitta  a
causa dell'omesso o erroneo (in tesi) adempimento  agli  obblighi  di
pubblicita' sul finanziamento e la gestione  delle  spese  elettorali
che, pero', va  a  incidere  ne'  sul  piano  penale  ne'  su  quello
amministrativo, bensi' su quello dell'esercizio dei diritti civili  e
politici. 
    Premesso tale inusitata misura sanzionatoria,  gia'  di  per  se'
palesemente  irragionevole  e  lesiva  dei  principi   costituzionali
richiamati   in   rubrica,   balzano   evidenti   ulteriori,   palesi
incongruita' nei quali e' caduto il legislatore. 
    Dalla  disposizione  in  parola,  infatti,  non  si  capisce   se
l'"ineleggibilita'" comminata  sia  da  considerare  assoluta  (cioe'
applicabile a qualsiasi carica elettiva) oppure relativa  (cioe',  se
riferita alla carica per la quale l'eletto  non  abbia  osservato  le
norme  sulla  campagna  elettorale,  ma   e'   comunque   inevitabile
ri-domandarsi: quali tra le tante?). Ancora, non si comprende se tale
ineleggibilita' sia da considerare pro-futuro (e in tale ipotesi,  se
usque ad mortem), ovvero pro-praeterito,  e,  quindi,  con  efficacia
retroattiva, quindi come ineleggibilita' sopravvenuta, ma senza poter
essere trattata in tale ultima ipotesi come incompatibilita'  secondo
la costante configurazione giuridica. 
    Ebbene,  poiche'  l'ineleggibilita'  (usando   l'espressione   in
termini dommaticamente appropriati) non puo' che  essere  relativa  e
temporanea (perche', diversamente, da causa  limitativa  del  diritto
all'elettorato passivo a presidio di  altri  e  concorrenti  principi
costituzionali, si tramuterebbe in una inaccettabile misura  ablativa
del diritto non consentita in nessun caso dalla Costituzione dato che
l'art.  48,  ultimo  comma,  Cost.,  parla  di  limitazione,  non  di
privazione), appare chiaro come la disposizione  in  discussione  sia
lesiva di numerosi parametri di legittimita' costituzionale. 
    Sicuramente verrebbe infranto quello di ragionevolezza, posto che
l'uso in chiave  "sanzionatoria"  dell'istituto  ne  snaturerebbe  la
funzione che, invece, e' ontologicamente posta ad anticipato presidio
dell'ordinato  svolgimento  della  competizione  elettorale,  perche'
l'acquisizione del consenso non possa essere (o anche solo  apparire)
viziata in  ragione  della  condizione  soggettiva  e  personale  del
candidato. 
    La via seguita  dal  legislatore  con  la  norma  qui  censurata,
invece, stravolge presupposti, fondamento, effetti e  funzione  della
categoria  giuridica   dell'ineleggibilita'   facendola   mutare   in
un'inedita misura ablativa di un diritto fondamentale  (applicata  in
carenza delle garanzie  previste  dai  criteri  Engel)  dai  contorni
applicativi indeterminati nello spazio (ineleggibilita'  a  cosa?)  e
nel tempo (da quando e fino  a  quando?)  e  senza  le  garanzie  del
processo dinanzi ad un'autorita' giudiziaria (da cio', quindi,  anche
la violazione del diritto ad un giusto processo ex art. 6 C.E.D.U.  e
a un ricorso effettivo ex art. 47 C.D.F.U.E. 
    Tale vizio, peraltro, si coglie ancor piu' evidente ove si  ponga
mente, quale tertium comparationis, alle ipotesi  di  ineleggibilita'
conosciute dall'ordinamento  giuridico  (cfr.  ad  esempio  la  legge
quadro n. 165 del 2004 e, nel caso della Sardegna, la legge 23 aprile
1981, n. 154, alla quale fa rinvio, nelle more  dell'approvazione  di
una specifica legge  statutaria,  l'art.  22,  comma  2  della  legge
Statutaria sarda 12 novembre 2013, n.  1)  alla  ratio  dell'istituto
come sopra tratteggiato (limitazione del  diritto  all'elettorato  in
ragione di specifiche condizioni soggettive del candidato). 
    Risulta, altresi', leso il diritto  (inviolabile)  di  elettorato
avuto specifico riferimento  all'ultimo  comma  dell'art.  48  Cost.,
secondo il quale «il diritto di voto non puo' essere limitato se  non
per incapacita' civile o per effetto di sentenza penale o nei casi di
indegnita'  morale  indicati  dalla  legge»  e  considerato  che   la
fattispecie genericamente e incongruamente descritta dal comma  7  in
esame non e' riconducibile a nessuna delle fattispecie previste dalla
norma costituzionale. 
    7.4. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma
7, legge 10 dicembre 1993, n. 515, nella parte in cui dispone che  la
fattispecie ivi prevista «costituisce causa  di  ineleggibilita'  del
candidato e comporta la decadenza dalla carica del  candidato  eletto
nei casi espressamente previsti nel presente  articolo  con  delibera
della  Camera  di  appartenenza»  e   non   «costituisce   causa   di
ineleggibilita' sopravvenuta del candidato e  comporta  la  decadenza
dalla carica del candidato eletto nei casi espressamente previsti nel
presente articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a
seguito di contestazione effettuata  con  delibera  della  Camera  di
appartenenza»,  per  violazione  del  principio  di   eguaglianza   e
ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost. del principio  di  legalita'
ex articoli 25 e 97 Cost., degli articoli  2,  48  e  Cost.,  nonche'
dell'art. 2, comma 1, lettera c), legge 2 luglio 2004, n. 165,  quale
fonte interposta contenente principi  generali  ex  art.  122,  primo
comma, Cost. 
    In via del tutto subordinata all'eventuale  mancato  accoglimento
delle  censure  di   legittimita'   costituzionale   sopra   dedotte,
occorrerebbe,    allora,    prendere     atto     dell'illegittimita'
costituzionale del comma 7 dell'art. 15 della legge n. 515 del  1993,
nella  parte  in  cui  dispone  che  la  fattispecie   ivi   prevista
(l'accertata violazione delle  norme  che  disciplinano  la  campagna
elettorale) «costituisce causa di  ineleggibilita'  del  candidato  e
comporta la decadenza dalla carica  del  candidato  eletto  nei  casi
espressamente previsti  nel  presente  articolo  con  delibera  della
Camera di appartenenza» e non «costituisce causa  di  ineleggibilita'
sopravvenuta del candidato e comporta la decadenza dalla  carica  del
candidato  eletto  nei  casi  espressamente  previsti  nel   presente
articolo ove non rimossa nel ragionevole termine assegnato a  seguito
di  contestazione   effettuata   con   delibera   della   Camera   di
appartenenza». 
    7.4.1. Infatti, in tale subordinata ipotesi, l'unica possibilita'
di ricondurre a conformita' a Costituzione la norma  in  discussione,
sarebbe quella di intervenire con una pronuncia  additiva/sostitutiva
mediante la quale la categoria dell'ineleggibilita' viene trattata in
conformita' ai principi costituzionali in materia, secondo  i  quali,
allorche' un cittadino eletto ad  una  carica  politica  si  venga  a
trovare,  successivamente  all'elezione,   in   una   condizione   di
ineleggibilita', tale fattispecie  venga  trattata  come  ipotesi  di
incompatibilita'. Cio' comporta che la fattispecie  venga  contestata
all'interessato concedendo  allo  stesso  un  congruo  e  ragionevole
termine per rimuovere la causa ostativa  al  mantenimento  del  munus
publicum. 
    Come sopra  ricordato,  la  legge  2  luglio  2004,  n.  165,  di
attuazione  dell'art.  122,   primo   comma,   Cost.,   impone   alla
legislazione elettorale regionale, l'«applicazione  della  disciplina
delle incompatibilita' alle  cause  di  ineleggibilita'  sopravvenute
alle elezioni qualora ricorrano le condizioni previste  dall'art.  3,
comma 1, lettere a) e b)» (cosi', l'art. 2, comma 1, lettera c). Tale
prescrizione ha valore di principio fondamentale, riconducibile  agli
articoli 3 e 51 Cost. e, pertanto, immediatamente  applicabile  anche
alle regioni ad autonomia speciale: "questa Corte ha affermato che il
legislatore regionale siciliano non puo' «sottrarsi, se  non  laddove
ricorrano  'condizioni  peculiari   locali',   all'applicazione   dei
principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che  siano  espressivi
dell'esigenza indefettibile di uniformita' imposta dagli articoli 3 e
51 Cost. Tra tali principi, assume rilievo il vincolo di configurare,
a certe condizioni, le ineleggibilita'  sopravvenute  come  cause  di
incompatibilita'»  (sentenza  n.  143  del  2010),   come   stabilito
dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 2 luglio 2004,  n.  165
(Disposizioni  di  attuazione  dell'art.  122,  primo  comma,   della
Costituzione). Sulla base di questo vincolo,  che  obbliga  tutte  le
regioni a rispettare il parallelismo tra le ipotesi di illegittimita'
e quelle di incompatibilita', e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale della legge  della  Regione  Siciliana  n.  ...»"  (C.
cost., sentenza n. 294 del 2011). 
    La giurisprudenza di codesta  ecc.ma  Corte  depone  proprio  nel
senso della doverosita' della concessione  di  un  termine  a  favore
dell'interessato  per   rimuovere   la   causa   di   ineleggibilita'
sopravvenuta (da valere quale incompatibilita'): "quando si verifica,
infatti, la sopravvenienza di  una  causa  di  ineleggibilita'  o  di
incompatibilita',  vi  sarebbe  stata  offesa  ai  principi   se   il
legislatore  avesse  previsto  semplicemente  l'automatica  decadenza
dell'eletto. A questi, invece, e' data possibilita' di  rimuovere  la
causa  inficiante,  ed  entro  un  termine  che  appare   del   tutto
ragionevole,  attesoche'  si  tratta  soltanto  di  presentare  delle
dimissioni: com'e' appunto nel caso di specie,  dove..."  (C.  cost.,
sentenza n. 235 del 1989). 
    Inoltre, la giurisprudenza di  codesta  ecc.ma  Corte  e'  dovuta
intervenire per correggere una  asimmetria  originariamente  prevista
nella  legge  n.  154  del  1981,  secondo  la  quale,  in  caso   di
contestazione di una  causa  di  incompatibilita'  in  occasione  del
procedimento amministrativo di verifica dei titoli di  ammissione  ad
un organo elettivo, era riconosciuta all'interessato la  possibilita'
di  rimuovere  la  causa  ostativa   al   mantenimento   dell'ufficio
elettorale entro un congruo termine, facolta' non  prevista,  invece,
in caso di contestazione della medesima causa di incompatibilita' per
via giudiziaria: "bisogna dunque consentire  di  rimuovere  la  causa
d'incompatibilita' entro un termine ragionevolmente  breve,  dopo  la
notifica del  ricorso  di  cui  all'art.  9-bis,  per  assicurare  un
equilibrio fra la ratio giustificativa della  incompatibilita'  e  la
salvaguardia del diritto di elettorato passivo, senza pregiudizio  di
un   futuro   intervento   del   Parlamento   e   di    un'evoluzione
giurisprudenziale  che  diano  compiuta  razionalita'  al   sistema",
pertanto "l'art. 9-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.
570 del 1960 e' quindi illegittimo nella parte in cui prevede che  la
decadenza possa essere pronunciata in sede giurisdizionale, senza che
sia data all'interessato la facolta' di rimuovere utilmente la  causa
di incompatibilita' entro  un  congruo  termine  dalla  notifica  del
ricorso previsto da esso" (C. cost., sentenza n. 160 del  1997;  cfr.
anche n. 235 del 1989 e n. 294 del 2011). 
    In  conclusione,  ancorche'  in  via   subordinata   al   mancato
accoglimento delle eccezioni dedotte ai punti precedenti,  occorrera'
sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 15, comma 7, legge
10 dicembre 1993, n. 515, per la violazione dei parametri indicati in
rubrica,   perche'   codesta   ecc.ma   Corte    possa    dichiararne
l'illegittimita'  costituzionale  e,  quindi,  accogliere   l'odierno
ricorso. 
8. Conclusioni in ordine al «tono  costituzionale»  del  conflitto  e
alla lesione della «sfera di competenza costituzionale» della Regione
Sardegna. 
    Nel punto 6 e ss. si e' argomentato perche' la  disciplina  sarda
vigente in  tema  di  rendicontazioni  elettorali  non  puo'  trovare
applicazione con riguardo al presidente  di  regione  elettivo.  Tale
rilievo apre la strada alle considerazioni finali circa  il  rapporto
tra il quadro competenziale del Collegio di garanzia elettorale e  le
prerogative  costituzionali  degli  organi  regionali  di   indirizzo
politico  (presidente,  consiglio  e  giunta),  ossia  la  «sfera  di
competenza costituzionale» della  Regione  Sardegna  (per  riprendere
sempre la formula dell'art. 39, comma 1, della legge  statale  n.  87
del 1953). 
    Proprio prendendo in esame i caratteri  della  vigente  forma  di
governo della Regione Sardegna si rivela piu' chiaramente la  ragione
per cui occorre interpretare la legge regionale n. 1/1994 come se non
si riferisse al presidente di regione elettivo,  nonche'  la  ragione
per  cui  una  diversa  interpretazione  (quale  quella  che  fa   da
presupposto  all'ordinanza/ingiunzione  del  Collegio  di   garanzia)
implicherebbe necessariamente la lesione della «sfera  di  competenza
costituzionale» degli organi facenti parte  della  forma  di  governo
sarda. 
    La forma di governo sarda, come e' noto, si basa  sul  meccanismo
del simul stabunt simul cadent disciplinato dagli articoli  15  e  35
dello statuto speciale, per come novellati dall'art.  3  della  legge
costituzionale n. 2 del 2001. In particolare, l'art. 15 dello statuto
sardo dispone che «le dimissioni contestuali  della  maggioranza  dei
componenti il consiglio  regionale  comportano  lo  scioglimento  del
consiglio stesso e l'elezione contestuale del nuovo consiglio  e  del
presidente  della  regione  se  eletto  a  suffragio  universale».  A
seguire,  l'art.  35,  comma  secondo,  dello  statuto  prevede   che
«l'approvazione  della  mozione  di  sfiducia   nei   confronti   del
presidente della regione eletto a  suffragio  universale  e  diretto,
nonche'  la  rimozione,  l'impedimento  permanente,  la  morte  o  le
dimissioni dello stesso comportano le dimissioni della  giunta  e  lo
scioglimento del consiglio regionale». 
    Come risulta palese, l'elezione e la dissoluzione dei due organi,
il presidente e il consiglio, e' sempre contestuale: o stanno assieme
o cadono assieme, appunto. Di conseguenza, le vicende che determinano
l'interruzione del mandato di un organo producono automaticamente  il
venir meno pure dell'altro. In particolare, queste  vicende,  ipotesi
dissolutorie,  espressamente  tipizzate  da  disposizioni  di   rango
costituzionale,  sono  le  seguenti:  sfiducia   consiliare,   morte,
impedimento permanente, dimissioni  e  rimozione  del  presidente.  A
questo elenco, come si e' detto,  deve  aggiungersi  l'ipotesi  delle
dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il  consiglio
regionale (art. 15 St. Sardegna). 
    Cio' premesso,  appare  fortemente  dubbio  che  il  Collegio  di
garanzia abbia il potere di comminare la sanzione della  decadenza  a
carico del presidente di regione elettivo e di determinare  con  cio'
l'automatico scioglimento del consiglio regionale. Poiche' le ipotesi
di dissoluzione degli organi regionali  di  direzione  politica  sono
tassativamente stabilite da norme costituzionali e poiche'  implicano
deroghe al principio democratico di sovranita' popolare, esse sono di
stretta  interpretazione,  sicche'  il   legislatore   non   potrebbe
legittimamente introdurre ipotesi ulteriori in assenza  di  esplicita
autorizzazione costituzionale. Ne segue l'ulteriore  conseguenza  che
la  legge  regionale  n.  1  del  1994,  in  virtu'  del  canone   di
interpretazione costituzionalmente conforme (su cui si veda il dictum
della sentenza n. 356 del 1996 di questa ecc.ma  Corte,  secondo  cui
«le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e'
possibile darne interpretazioni incostituzionali (e  qualche  giudice
ritenga di darne), ma perche' e'  impossibile  darne  interpretazioni
costituzionali»), deve armonizzarsi col sistema costituzionale e  non
puo' interpretarsi come  se  attribuisse  al  Collegio  regionale  di
garanzia elettorale il potere di azionare il  dispositivo  del  simul
stabunt simul cadent, che  sta  alla  base  della  forma  di  governo
regionale. 
    Se ne deve dunque concludere che il Collegio di garanzia non puo'
accertare, ingiungere, imporre o anche solo proporre la decadenza del
presidente di regione elettivo, con  cio'  disponendo  indirettamente
l'automatica dissoluzione  del  consiglio.  La  sua  competenza  deve
ritenersi circoscritta alle cause di decadenza che colpiscono i  soli
consiglieri regionali elettivi,  con  esclusione  del  presidente  di
regione/consigliere di diritto. 
    In base all'art. 39, comma 4, della legge n. 87/1953 «il  ricorso
per regolamento di competenza deve indicare come sorge  il  conflitto
di attribuzione e specificare l'atto dal quale sarebbe  stata  invasa
la sfera di competenza, nonche' le disposizioni della Costituzione  e
delle leggi costituzionali che si ritengono  violate».  Nel  caso  di
specie   il   conflitto    sorge,    evidentemente,    per    effetto
dell'ordinanza/ingiunzione notificata al presidente di regione  e  al
presidente del consiglio regionale il 3 gennaio 2024. Le disposizioni
di rango  costituzionale  che  debbono  ritenersi  violate  sono  gli
articoli 15, 35 e 50 dello statuto speciale per la Regione  Sardegna,
come novellati dall'art. 3 della legge costituzionale n. 2 del  2001,
in combinato disposto con gli articoli 1 e 22 della legge  statutaria
regionale 12 novembre 2013, n. 1 e  degli  articoli  97,  122,  della
Costituzione. 
    Non pare  dubbio,  inoltre,  che  la  loro  violazione  determini
un'invasione  o  menomazione  della  sfera  regionale  di  competenza
costituzionale, compromettendo la  possibilita'  di  esercizio  delle
attribuzioni  e  prerogative  spettanti  agli  organi  regionali   di
direzione politica (presidente, consiglio e giunta).  Cio'  e'  stato
diffusamente argomentato nei precedenti §§, al  quale  dunque  si  fa
rinvio. 
    Qui  si  rimarca  soltanto  che  la  sanzione  della   decadenza,
erroneamente  comminata  al  presidente  di  regione  sulla  base  di
un'altrettanta erronea interpretazione della legge regionale n. 1 del
1994,   costituisce   «cattivo   esercizio   del   potere»,   poiche'
nell'imporre al consiglio regionale di dichiarare la decadenza  della
pres. Todde e, quindi, di determinare illegittimamente la contestuale
dissoluzione  di  tutti   gli   organi   regionali   compromette   la
possibilita' che questi  possano  continuare  a  esercitare  le  loro
attribuzioni. In base alla giurisprudenza di questa ecc.ma  Corte  si
ha, infatti,  invasione  o  lesione  della  sfera  costituzionale  di
competenza  regionale,  cioe'  delle  attribuzioni  regionali,  anche
quando l'atto statale determina una «menomazione  delle  possibilita'
di esercizio delle medesime» (sentenza n. 332 del 2011). E  non  pare
dubbio che le libere determinazioni del  consiglio  regionale  (senza
predeterminazione del loro contenuto ab  extra  da  parte  di  organi
statali), nonche' la legittima  permanenza  in  carica  degli  organi
regionali rappresenti il presupposto indefettibile  affinche'  questi
possano  effettivamente  svolgere  le  funzioni   che   l'ordinamento
attribuisce  loro  in  piena  autonomia  e   senza   incostituzionali
interferenze statali. 
    Alla luce  delle  considerazioni  teste'  svolte,  se  ne  evince
senz'altro l'indubbio «tono costituzionale» del conflitto (si  vedano
almeno le sentt. nn. 137 del 2014, 87  del  2015,  260  del  2026  di
questa  ecc.ma  Corte).  Infatti,   a   seguire   la   giurisprudenza
costituzionale, «il tono costituzionale del conflitto sussiste quando
le regioni non lamentino una lesione qualsiasi, ma una lesione  delle
proprie attribuzioni costituzionali» (sent. n. 10 del 2017). Nel caso
di specie l'ordinanza/ingiunzione del Collegio di garanzia elettorale
non e' un atto meramente illegittimo, nei confronti del  quale  valga
solo la tutela offerta dalla giurisdizione  comune,  ma  e'  un  atto
altresi' viziato per contrasto con norme  attributive  di  competenza
costituzionale.  Non  e'  leso  soltanto  il  diritto  soggettivo  di
elettorato passivo di Alessandra Todde, in quanto cittadina candidata
alla carica di presidente della regione, ma sono vulnerate  anche  le
attribuzioni costituzionali degli organi regionali: per il  vizio  di
legittimita' concernente la posizione della persona fisica Alessandra
Todde il giudice competente e' la giurisdizione comune; per il  vizio
di  legittimita'  e  costituzionalita'  concernente   la   sfera   di
competenza e, prima ancora, la posizione stessa degli organi  facenti
parte della forma di governo regionale,  il  giudice  competente  non
puo' che essere la  giurisdizione  costituzionale,  stante  il  «tono
costituzionale» del conflitto.