TRIBUNALE DI NAPOLI Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari Ufficio 43 Il Giudice, dott.ssa Valentina Gallo, letti gli atti del procedimento n. 9754/24 RGNR, 13272/24 RG GIP, all'esito della camera di consiglio di cui all'udienza del 21 marzo 2025, osserva; Questo giudice dubita della legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 583-quinquies del codice penale, nella parte in cui non prevede una diminuente quando, per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. Si ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata. Svolgimento del processo Con richiesta pervenuta il 29 ottobre 2023 il pubblico ministero in sede chiedeva il rinvio a giudizio di P. A. ed A. A. per il reato di cui all'art. 583-quinquies del codice penale e del solo P. anche per il delitto ex art. 612, comma 2 del codice penale. Si contesta agli imputati di avere, in concorso tra loro, causato lesioni personali gravissime a ... , inizialmente il P., percuotendolo con pugni e schiaffi e successivamente strappandogli con violenti morsi una parte del padiglione auricolare sinistro, mentre la A. dava manforte al marito graffiando piu' volte sulle braccia il ... , con il conseguente «traumatismo della testa non specificato - lesione all'orecchio sinistro, con esposizione della cartilagine auricolare e contusioni multiple», giudicate guaribili in almeno 60 giorni (fino al 4 giugno 2024) e comunque con uno sfregio permanente al volto. Con la circostanza aggravante di aver commesso il fatto per motivi abietti, consistenti nella falsa accusa rivolta alla persona offesa di aver ostacolato la corresponsione del trattamento di fine rapporto presso l'impresa dove entrambi avevano lavorato. Si procedeva con rito abbreviato ed in sede di discussione, il difensore degli imputati chiedeva sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 583-quinquies del codice penale, nella parte in cui prevede, quale minimo edittale, anni 8 di reclusione, pena ritenuta non proporzionata rispetto alla gravita' della condotta contestata agli imputati, anche avuto riguardo a quella comminata per la fattispecie di lesioni gravissime. Le parti rassegnavano le rispettive conclusioni ed all'udienza del 21 marzo 2025, all'esito della camera di consiglio, veniva pronunciata la presente ordinanza, con la quale si solleva la questione di legittimita' costituzionale, sospendendo il processo. I fatti Il presente procedimento concerne la violenta aggressione patita da ... il ... , ad opera di P. A., in concorso con la moglie A. A. Ai soli fini dell'inquadramento del fatto nel contesto del rapporto tra gli imputati e la persona offesa, va premesso che il ... aveva riferito che il P., suo ex collega di lavoro, lo aveva, in passato, sollecitato, in ragione degli incarichi di natura fiduciaria svolti dalla persona offesa all'interno dell'azienda datrice di lavoro di entrambi, affinche' si prodigasse nel suo interesse, per la rapida liquidazione del T.f.r.. Il ... si era fatto latore della richiesta. Successivamente il P., nel corso di una conversazione telefonica, lo aveva minacciato, riferendogli che lo avrebbe «picchiato», se non avesse ricevuto il t.f.r. Il ... aveva risposto che non rivestendo alcun ruolo all'interno dell'impresa, si era limitato a rappresentare la richiesta alla dirigenza, a titolo di mera cortesia. Cio' premesso e venendo, quindi, ai fatti oggetto del procedimento, riferiva la persona offesa che il ... a ... , nei pressi dell'ufficio postale di via ... , aveva incontrato il P. il ... quale, nell'occasione, era in compagnia della moglie A. A. Appena dopo aver visto il ... , l'imputato aveva iniziato ad inveire nei suoi confronti affermando che, come promesso, lo avrebbe «picchiato» e, quindi, si era scagliato contro di lui colpendolo con un pugno e continuando, poi, a percuoterlo. La A. aveva preso parte all'aggressione, graffiando le braccia della p.o. che, voltatasi per verificare l'entita' dei graffi, era stata nuovamente assalita dal P. il quale, a questo punto, con dei morsi, gli aveva, letteralmente, strappato un pezzo dell'orecchio sinistro. Veniva acquisita agli atti la documentazione sanitaria attestante le plurime lesioni patite dal ... , tra le quali la «ferita lacero contusa del padiglione auricolare dx da morso con perdita di sostanza dei 2/3 centrali dell'elice» e la «lesione orecchio sinistro con esposizione della cartilagine auricolare». E' versata agli atti, altresi', documentazione fotografica rappresentante la condizione del padiglione auricolare della vittima a seguito della lesione. Va detto, infine, che entrambi gli imputati manifestavano la volonta' di risarcire il danno arrecato, offrendo ciascuno, alla persona offesa, tramite un vaglia postale ed un assegno circolare, la somma di 5.000,00 euro. Il P. inoltre, inviava al ... una lettera di scuse. La qualificazione giuridica del fatto Si reputa corretta la qualificazione giuridica del fatto operata dall'ufficio di Procura, in quanto la condotta contestata agli imputati al capo A) dell'imputazione e' astrattamente suscettibile di integrare la fattispecie di cui all'art. 583-quinquies del codice penale, rubricato «Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso», disposizione incriminatrice introdotta dall'art. 12, legge 19 luglio 2019, n. 69. La condotta di lesione comportante la «deformazione» o lo «sfregio permanente al viso», risultava gia' punita in virtu' degli articoli 582, 583 comma 2, n. 4) del codice penale, essendo stata, difatti, riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimita', la sussistenza della continuita' normativa, tra la nuova norma incriminatrice e la circostanza aggravante del delitto di lesioni, disposizione contestualmente abrogata dalla citata legge di riforma (si veda Cassazione Sez. 5, sentenza n. 6401 del 23 gennaio 2024). Non vi e' dubbio che la norma incriminatrice in esame sia applicabile al fatto in contestazione nel caso di specie in quanto essa, sulla scorta del tenore letterale della disposizione, ha portata generale ed astratta, non contemplando alcuna limitazione in ordine al genere di appartenenza o all'eta' della persona attinta dalla condotta lesiva. Con tale precisazione si intende dire che la disposizione punisce anche condotte non riconducibili all'ambito della c.d. violenza domestica e di genere, fenomeno allarmante alla cui repressione e', invece, specificamente finalizzato l'intervento riformatore attuato con la novella del 2019, come si evince gia' dalla lettura dell'epigrafe del testo normativo [«Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. (Codice rosso)]» Quanto alla nozione di sfregio permanente, e' stato chiarito in giurisprudenza che esso e' integrato da «qualsiasi nocumento che, senza determinare la piu' grave conseguenza della deformazione, importi un'apprezzabile alterazione delle linee del volto che incida, sia pure in misura minima, sulla funzione estetico-fisiognomica dello stesso» (Cassazione Sez. 5, sentenza n. 27564 del 21 settembre 2020). E' idonea a costituire uno sfregio permanente, quindi, non ogni alterazione della fisionomia del viso ma soltanto quella idonea a turbarne l'armonia, provocando un effetto sgradevole o d'ilarita', anche se non di ripugnanza. Il parametro di riferimento e' quello dell'osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilita'. Ancora, va precisato che, secondo l'insegnamento della suprema Corte, con l'espressione «volto» si intende fare riferimento a quella parte del corpo che va dalla fronte all'estremita' del mento e dall'uno all'altro orecchio (Cassazione Sez. 5, sentenza n. 10903 del 2 ottobre 1981). Considerato, quindi, che le orecchie costituiscono parte integrante del volto di ciascun individuo, la lesione che si assume essere stata patita dalla persona offesa nel caso di specie, ovvero il distacco definitivo ed irreversibile di una porzione del padiglione auricolare e, specificamente, dell'elice che costituisce la parte esterna posta attorno al condotto uditivo, non puo' non ritenersi ricompresa tra le ipotesi di sfregio permanente (si veda sul punto, Cassazione Sez. 5, sentenza n. 21998 del 16 gennaio 2012 «In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante in questione nel distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso)» . Alcuna rilevanza, nell'ambito di tale valutazione, puo' attribuirsi alla eventuale sussistenza della possibilita' di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico, mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale (Cassazione Sez. 5, sentenza n. 23692 del 7 maggio 2021). La rilevanza della questione Si ritiene la rilevanza della questione ai fini della decisione del caso di specie in quanto, essendo il fatto contestato astrattamente suscettibile di integrare il delitto di cui all'art. 583-quinquies del codice penale, nell'ipotesi di condanna, la pena irrogabile agli imputati, all'esito del rito abbreviato prescelto e, quindi, tenuto conto della riduzione ex art. 442, comma 2 del codice di procedura penale ed anche laddove il calcolo fosse operato partendo dal minimo edittale, non potrebbe essere inferiore ad anni 5 e mesi 4 di reclusione. Si osserva, infatti, che, per effetto dell'intervento riformatore che ha operato la trasformazione della circostanza aggravante gia' prevista dall'art. 583, comma 2, n. 4) del codice penale in un delitto autonomo, oltre all'inasprimento sensibile del trattamento sanzionatorio (essendo il reato punito con la reclusione da 8 a 14 anni), e' stata eliminata la possibilita' di operare il bilanciamento dell'aggravante con le circostanze attenuanti, operazione in cui si esprimeva la discrezionalita' del giudice nella determinazione dell'entita' della pena da irrogare in concreto (si veda Cassazione pen. , sez. V, 1° dicembre 2023, n. 7728). Va detto, inoltre, che il ricorso alle circostanze attenuanti generiche al fine di mitigare gli effetti della applicazione della pena prevista dalla norma incriminatrice, non risulterebbe conforme alla ratio della previsione di cui all'art. 62-bis del codice penale. Il riconoscimento delle circostanze attenuanti cd. atipiche deve essere, infatti, giustificato alla luce di parametri valutativi differenti rispetto a quelli indicati per determinare la gravita' del reato, in quanto le due statuizioni, pur richiamandosi entrambe astrattamente ai criteri fissati dall'art. 133 del codice penale - si fondano su presupposti diversi. Ne consegue che l'applicazione delle attenuanti generiche non implica necessariamente un giudizio di non gravita' del fatto reato (Cassazione Sez. 4, sentenza n. 36532 del 15 settembre 2021, conformi Sez. 3, sentenza n. 2268 del 15 novembre 2017, Sez. 5, sentenza n. 12049 del 16 dicembre 2009). Comunque, nella specifica vicenda in esame, anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non sarebbe, in ipotesi, sufficiente ad applicare una pena proporzionata all'effettiva gravita' del fatto, non potendo, in ogni caso, determinarsi la durata della reclusione, per ciascun imputato, in misura inferiore ad anni 3 mesi 6 e giorni 20. Una pena cosi' determinata, innanzitutto, preclude la concessione del beneficio della sospensione condizionale che potrebbe, in ipotesi di condanna, essere disposta, ai sensi dell'art. 164, comma 4 del codice penale, in favore dell'imputata A. A., gravata da un unico precedente per il quale era stata irrogata la pena di mesi 5 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale. Inoltre ed in secondo luogo, in caso di condanna entrambi gli imputati dovrebbero essere dichiarati interdetti in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno, senza alcuna possibilita' di graduare la durata di detta pena accessoria. Ancora, deve tenersi conto del fatto che l'art. 583-quinquies del codice penale rientra nel catalogo previsto dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e da cio' discende l'esclusione della possibilita', per il condannato, di accedere ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, se non dopo aver trascorso almeno un anno in carcere sotto l'osservazione scientifica di esperti. Ulteriore conseguenza dell'inserimento del delitto ex art. 583-quinquies del codice penale nell'elenco dei cd. reati ostativi di cui alla legge sull'ordinamento penitenziario, e' il divieto di accedere alle pene sostitutive delle pene detentive brevi previste dall'art. 20-bis del codice penale, in ragione del divieto imposto dall'art. 59 della legge n. 689/1981, come sostituito dall'art. 71, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia). In mancanza di tale divieto, la pena della reclusione potrebbe, nel caso di specie, astrattamente ed in ipotesi, essere sostituita, ai sensi dell'art. 545-bis del codice di procedura penale, laddove la condanna fosse contenuta entro i 4 anni. La non manifesta infondatezza della questione Si ritiene che le disposizioni di cui all'art. 583-quinquies, commi I e II del codice penale violino gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma della Costituzione. Il principio di proporzionalita' impone di comminare pene adeguate alla concreta offensivita' del fatto, avuto riguardo agli interessi protetti nonche' al disvalore soggettivo delle condotte. Una sanzione non proporzionata pregiudica inevitabilmente anche la finalita' rieducativa della pena. Ebbene, si ritiene che la pena prevista per il delitto in esame e, in particolare, il minimo edittale pari ad anni 8 di reclusione, unitamente alle pene accessorie comminate obbligatoriamente in perpetuo ed all'inserimento della fattispecie nell'elenco dei reati cd. ostativi ai sensi dell'ordinamento penitenziario, integrino un trattamento sanzionatorio sproporzionato, rispetto alla effettiva gravita' di tutti i fatti astrattamente suscettibili di essere ricompresi nell'ambito applicativo della norma incriminatrice in esame. Le scelte sulla dosimetria della pena competono, come e' stato piu' volte affermato, esclusivamente al legislatore che, nell'ambito della sua discrezionalita', puo' decidere di punire talune condotte piu' severamente rispetto ad altre, in relazione al valore riconosciuto a ciascun bene giuridico oggetto di tutela. E' necessario, pero', affinche' l'esercizio di tale discrezionalita' risulti conforme ai parametri costituzionali, che tali scelte siano rispettose del limite della ragionevolezza che deve essere valutato, a pena di inammissibilita', avvalendosi del termine di confronto o tertium comparationis. Nel caso in esame, il parametro comparativo del trattamento sanzionatorio previsto per le lesioni integranti uno sfregio permanente al volto che possono ritenersi di minore gravita' avuto riguardo all'entita' effettiva del danno o del pericolo arrecato al bene giuridico protetto, puo' essere individuato nel delitto di lesioni gravissime, che e' punito dagli articoli 582, 583 comma 2 del codice penale, con la pena della reclusione da 6 a 12 anni. Analizzando la ratio della differente risposta sanzionatoria, si osserva che la previsione di limiti edittali piu' elevati, per le lesioni a carattere permanente che attingano il volto, puo' spiegarsi agevolmente considerando che quest'ultima parte del corpo, piu' di qualsiasi altra e senza alcun margine di dubbio, esprime verso l'esterno ed in modo immediato, l'identita' della persona che viene pregiudicata, di conseguenza, totalmente ed in modo irrimediabile, dall'alterazione dei lineamenti e dell'armonia di esso. Non puo' non tenersi conto anche della finalita' perseguita dall'intervento riformatore del 2019 nel suo complesso, intervento che, come si accennava, e' volto a contrastare il fenomeno allarmante della violenza di genere e, con specifico riguardo alla disposizione incriminatrice in esame, a predisporre una risposta sanzionatoria, ritenuta piu' adeguata rispetto a quella gia' prevista per le lesioni gravissime, alle odiose condotte definite di vitriolage o acid attack (o acid throwing), con tali espressioni intendendosi le aggressioni della vittima compiute mediante il getto di sostanze chimiche dotate di elevato potere corrosivo e, quindi, in grado di distruggere completamente i tessuti della pelle e di provocare, di conseguenza, la totale distruzione dei lineamenti del volto, oltre a gravissime ustioni e persino danni funzionali ben piu' gravi, come la cecita', qualora esse attingano gli occhi. Non si dubita, quindi, che sia conforme al principio di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita' legislativa, la previsione di un trattamento sanzionatorio piu' severo per condotte del tipo di quelle descritte, rispetto a quello comminato per le lesioni gravissime che attingano, invece, seppur sempre in misura totale ed irreparabile, distinti distretti corporei. Si ritiene, tuttavia ed e' questo il punto centrale della questione, che l'esercizio di tale potere violi il principio di ragionevolezza allorquando la norma incriminatrice punisce, allo stesso modo, anche quelle condotte lesive che, pur attingendo il volto, siano da ritenersi di minore gravita' in quanto, sulla scorta di parametri oggettivi e verificabili, ad esempio la localizzazione in aree periferiche del volto stesso, oppure le dimensioni ridotte del segno lasciato, circostanze suscettibili di accertamento tecnico alla luce di criteri scientifici, tra i quali andranno considerati quelli elaborati dalla branca estetica della medicina, non determinino una alterazione sensibile dei tratti somatici della persona e, quindi, una lesione o una messa in pericolo, significativa e distintamente percepibile, dell'identita' dell'individuo. A tale ambito delle lesioni di minore gravita' deve essere ricondotta, ad avviso di questo giudice, la lesione contestata al capo di imputazione nella vicenda in esame. Pur non essendo, infatti, possibile dubitare del fatto che l'orecchio, dal punto di vista anatomico e come riconosciuto in giurisprudenza, costituisca parte integrante del volto, non puo', al contempo, ragionevolmente ritenersi che il distacco di una porzione della parte piu' esterna di uno dei padiglioni auricolari, per la localizzazione periferica della zona attinta e per le dimensioni dello sfregio, oggettivamente ridotte se valutate in rapporto a quelle complessive del volto, integri una lesione di gravita' tale da giustificare l'applicazione del medesimo trattamento sanzionatorio comminato all'autore di una condotta del tipo di quelle che comportano il totale deturpamento del viso e, al contempo, sensibilmente piu' elevato di quello previsto per l'autore di una delle lesioni gravissime elencate dall'art. 583, comma 2 del codice penale [(1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacita' di procreare, ovvero una permanente e grave difficolta' della favella;]. Dovrebbe, quindi ed in conclusione, per rendere la disposizione incriminatrice conforme al dettato costituzionale, prevedersi un trattamento sanzionatorio proporzionato alla effettiva gravita' del fatto, per tutte le ipotesi, pur suscettibili di rientrare nell'ambito applicativo della fattispecie, nelle quali, pero', il danno al volto risulti, in concreto, connotato da minore gravita' in relazione all'offesa al bene giuridico protetto. Previsioni analoghe a quella prospettata sono gia' contenute in altre e distinte disposizioni incriminatrici, anche in quelle poste a tutela di beni giuridici differenti e che puniscono condotte che, al pari di quella prevista dalla norma in esame, destano particolare allarme sociale. A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, contemplano le ipotesi di minore gravita' del fatto, il delitto di cui all'art. 609-bis del codice penale e quello di cui all'art. 73, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. In altre ipotesi e' stata la stessa Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita' di norme incriminatrici nella parte in cui non prevedevano una diminuzione di pena per le ipotesi di minore gravita' (da ultimo in ordine di tempo, con la sentenza n. 86 del 2024, in relazione al delitto di cui all'art. 628 del codice penale e con la sentenza n. 120/2023, in relazione all'art. 629 del codice penale). Infine, va detto che non appare praticabile, con riferimento alla fattispecie incriminatrice in esame, un'interpretazione costituzionalmente orientata, tenuto conto della rigidita' dei limiti edittali imposti dalla disposizione e considerato che non e' possibile, in via ermeneutica, individuare una diminuente che non e' prevista dalla formulazione normativa.