IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VERCELLI 
                           Sezione penale 
 
    Il Tribunale ordinario di Vercelli, in  composizione  collegiale,
nella persona dei magistrati: 
        dott. Enrica Bertolotto, Presidente; 
        dott. Paolo De Maria, giudice; 
        dott. Mariaelena Crivelli, giudice; 
    Ha pronunziato la presente ordinanza  di  remissione  alla  Corte
Costituzionale. 
1. Premessa 
    Si procede, nelle forme del giudizio ordinario, nei confronti  di
A... D..., chiamato a rispondere, con decreto che dispone il rinvio a
giudizio emesso dal GUP del Tribunale di Vercelli in data  13  giugno
2024, del delitto di rapina aggravata dall'essere stato  commesso  il
fatto  all'interno  di  un  mezzo  di  pubblico  trasporto  e   della
contravvenzione di cui all'art. 4 della legge n. 110 del 1975,  reati
contestati  come  commessi  a  ...  in  data  ...  All'imputato,   in
particolare, si contesta di avere minacciato un passeggero  seduto  a
bordo del treno regionale ..., facendogli credere di  essere  armato,
cosi' da ottenere la consegna della somma di cinquanta euro. 
    Esaurita l'assunzione delle prove, all'udienza 13 marzo 2025,  il
Tribunale ha dichiarato  chiusa  l'istruttoria  dibattimentale  e  ha
invitato le parti a discutere: il pubblico ministero  ha  chiesto  la
condanna dell'imputato alla pena  di  anni  due  e  mesi  quattro  di
reclusione  e  2000  euro  di  multa,  previo  riconoscimento   delle
attenuanti  generiche  prevalenti  sulle  aggravanti;  la  difesa  ha
chiesto l'assoluzione dell'imputato e, in via di subordine, il minimo
edittale della pena e i doppi  benefici  di  legge  ove  concedibili.
All'udienza del 20 marzo 2025, in assenza di repliche,  il  Tribunale
ha dichiarato chiuso il dibattimento e si e' ritirato  in  camera  di
consiglio, al termine della quale ha dato lettura  alle  parti  della
presente ordinanza. 
2. Rilevanza della questione 
    Il Tribunale e' chiamato a giudicare sull'imputazione  di  rapina
propria aggravata dall'essere stato commesso il fatto all'interno  di
un mezzo di pubblico trasporto. 
    L'istruttoria dibattimentale  ha  consentito  di  ricostruire  il
fatto in termini adesivi alla qualificazione prospettata nel capo  di
incolpazione. 
    La persona offesa, R... M... C... ha  riferito  di  essere  stato
avvicinato da un ragazzo mentre, in data ..., si trovava a bordo  del
treno regionale partito da ... intorno alle ... in direzione ...;  il
giovane che gli si era avvicinato, dopo un breve scambio di  battute,
affermava di essere un rapinatore e di non essere solo, accompagnando
il gesto con il  movimento  della  mano  all'interno  di  una  tasca.
Intimorito dalle parole e dal gesto del malvivente, R...  M...  aveva
quindi dato seguito alla richiesta di consegnare i  soldi  che  aveva
con se'. Per contro, dopo avere preso il danaro (circa 50  euro),  il
rapinatore si era scusato per l'accaduto, spiegandogli  che  non  era
solito ricorrere a simili condotte, di avere  bisogno  di  soldi  per
saldare un debito ed evitare cosi' di essere picchiato e che  avrebbe
potuto denunciarlo. 
    Quella stessa sera, grazie alla descrizione del soggetto e  degli
indumenti fornita dalla persona offesa, la Polfer di  Vercelli  aveva
individuato un giovane di ... anni (la stessa eta' che il  rapinatore
si era attribuito), il quale, condotto presso gli uffici della locale
Questura, veniva riconosciuto dopo poche ore da R... M...  grazie  ad
alcune caratteristiche somatiche (taglio vicino ad un occhio, capelli
rossi) e al vestiario  (tra  cui  uno  scaldacollo  che  era  rimasto
particolarmente impresso nella memoria della persona offesa). 
    Il soggetto in questione veniva quindi compiutamente identificato
in A... D..., la cui effige, peraltro, e' stata  nuovamente  indicata
dalla persona offesa nel corso della sua audizione dibattimentale. 
    L'imputato, detenuto per altra causa e rinunciante  a  comparire,
non ha fornito la propria  versione  dei  fatti  ne'  nel  corso  del
giudizio ne' in sede di indagini preliminari. 
    Il  fatto,  cosi'  come   sopra   sommariamente   riassunto,   e'
sussumibile  nella   fattispecie   di   rapina   propria   consumata,
ravvisabili  essendo  tutti  gli  elementi  oggettivi  e   soggettivi
richiesti da tale incriminazione (la minaccia,  il  nesso  eziologico
tra quest'ultima e l'impossessamento del  danaro,  la  compromissione
della facolta' di autodeterminazione  della  parte  offesa,  il  dolo
specifico, in capo al soggetto  agente,  di  conseguire  un  profitto
ingiusto). 
    Quanto alle forme di manifestazione del reato, e' indubitabile la
sussistenza dell'aggravante  prevista  dall'art.  628,  comma  3,  n.
3-ter), del codice penale, essendo il fatto stato commesso a bordo di
un treno regionale. 
    Nondimeno, il Tribunale ritiene applicabile al caso di specie  la
circostanza attenuante della lieve entita' del fatto introdotta dalla
Consulta con sentenza n. 86 del 2024,  applicabile  «strutturalmente»
anche all'ipotesi di rapina propria  [cfr.,  oltre  alla  motivazione
della sentenza citata, anche Corte costituzionale, ordinanza  n.  186
del 2024]. Valutati i mezzi, le  modalita'  e  le  altre  circostanze
dell'azione e' possibile  riconoscere  il  disvalore  del  fatto  nei
termini  di  contenuta  gravita':  viene  in  rilievo  una   condotta
estemporanea, priva di profili di organizzazione; danno  patrimoniale
cagionato alla vittima e' di non  rilevante  entita'  (ancorche'  non
irrisorio  e  tale  da  rendere  configurabile  l'attenuante  di  cui
all'art. 62, n. 4, del codice  penale);  le  stesse  modalita'  della
condotta, compendiate esclusivamente nel ricorso alla  minaccia,  pur
incidenti sulla liberta' di autodeterminazione della persona  offesa,
si contraddistinguono per minima lesivita', anche avuto riguardo alla
natura implicita della prospettazione  (e'  lo  stesso  R...  M...  a
confermare  di  avere  semplicemente  «supposto»  che  il   sedicente
rapinatore avesse  con  se'  un'arma).  A  queste  considerazioni  va
aggiunto che l'autore  del  fatto  si  e'  addirittura  giustificato,
scusandosi per quanto appena commesso, per poi  congedarsi  invitando
la vittima a denunciarlo (con cio' da un  lato  mostrando  di  essere
consapevole e di accettare le conseguenze  delle  proprie  azioni  e,
dall'altro, rassicurando la vittima in ordine all'assenza  di  future
ritorsioni  nel  caso  in  cui  ella  si  fosse  rivolta  alle  Forze
dell'ordine). 
    Ora, il dubbio di legittimita' costituzionale nasce dal fatto che
il divieto di cui all'art. 628, comma 5, del codice  penale  comporta
l'impossibilita' di bilanciare la  ritenuta  attenuante  della  lieve
entita' del fatto - introdotta dal giudice delle leggi  proprio  come
«valvola di sicurezza» del sistema  sanzionatorio  sotto  il  profilo
della proporzionalita' della pena - con l'aggravante di cui  all'art.
628, comma 3, n. 3-ter), del codice penale  e  che,  pertanto,  nella
commisurazione della pena si dovrebbe muovere da  una  pena  base  di
anni sei di reclusione ed  euro  2.000  di  multa  (minimo  di  legge
previsto dall'art. 628, comma 3, del codice penale  gia'  vigente  al
momento del fatto). Anche a voler riconoscere in favore dell'imputato
le  circostanze  attenuanti  generiche  (valorizzando   la   condotta
immediatamente successiva al fatto), le  successive  diminuzioni,  da
operarsi su  tale  entita'  di  pena,  determinerebbero  la  concreta
irrogazione di una pena non inferiore ad anni  due  e  mesi  otto  di
reclusione ed euro 889 di multa,  che  si  ritiene  macroscopicamente
sproporzionata alla gravita' del fatto. 
3. Non manifesta infondatezza della questione 
    I  parametri  di  costituzionalita'  che,  secondo  il   collegio
giudicante, vengono in  rilievo  sono  gli  articoli  3  e  27  della
Costituzione (uguaglianza e necessaria  proporzionalita'  della  pena
tendente alla rieducazione dei condannato). 
    Il dubbio di costituzionalita' del divieto  nasce  dall'avvertita
esigenza  di  dare  una  risposta  individualizzante  ai  trattamento
sanzionatorio,  nel  rispetto  dei  principi  di  proporzionalita'  e
uguaglianza. 
    Del  resto,  l'introduzione  nell'ordinamento  della  circostanza
attenuante del fatto di lieve entita',  avvenuta  in  relazione  alle
ipotesi di  rapina  con  la  citata  sentenza  additiva  della  Corte
costituzionale n 86 del 2024 (sulla falsariga di quanto gia' avvenuto
in relazione al delitto di estorsione e, ancor prima, in relazione al
delitto di sequestro di persona  a  scopo  di  estorsione),  risponde
all'esigenza di offrire una costituzionale «valvola di  sicurezza»  a
fronte   di   un   minimo   edittale   comminato   dal    legislatore
particolarmente aspro. Ad essere avvertita, in chiave comparativa, e'
la necessita'  di  scongiurare  il  rischio  di  irrogazione  di  una
sanzione non proporzionata  all'effettiva  gravita'  del  fatto,  ove
questo sia immune da  quei  profili  di  allarme  sociale  che  hanno
indotto il legislatore a comminare un minimo edittale severo. 
    Nelle ipotesi, come quella in esame,  in  cui  venga  in  rilievo
l'attenuante  della  lieve  entita'  del   fatto,   il   divieto   di
bilanciamento di  cui  all'art.  628,  comma  5,  del  codice  penale
preclude il raggiungimento di questo risultato:  a  fronte  di  fatti
connotati  da  minore  gravita'  e  disvalore,  infatti,  il  giudice
dovrebbe infliggere una pena muovendo da un minimo  edittale  pari  a
sei anni di reclusione e 2.000 di multa,  cio'  che,  in  definitiva,
vanifica l'introduzione della  «valvola  di  sicurezza»  riconosciuta
dalla Consulta. 
    Nella  giurisprudenza  costituzionale  si  rinvengono  molteplici
decisioni atte a censurare la previsione di automatismi  sanzionatori
incentrati sulla personalita'  dell'autore  del  reato,  a  discapito
della centrale valutazione in  ordine  alla  gravita'  del  fatto  di
reato. E cosi, nel corso  degli  anni,  si  sono  succedute  numerose
declaratorie di incostituzionalita' dell'art. 69, comma 4, del codice
penale  in  relazione  al  divieto  di  prevalenza  delle  attenuanti
rispetto alla recidiva  reiterata  [cfr.  sentenza  n.  251/2012,  in
relazione all'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del decreto del
Presidente della Repubblica  n.  309/1990;  sentenza  n.  74/2016  in
relazione all'attenuante di cui all'art. 73, comma 7, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990;  sentenza  n.  105/2014,  in
relazione all'attenuante di cui  all'art.  648,  secondo  comma,  del
codice penale; sentenza n. 106/2014 in  relazione  all'attenuante  di
cui all'art. 609-bis, terzo comma, del  codice  penale;  sentenza  n.
205/2017, in relazione all'attenuante  di  cui  all'art.  219,  terzo
comma, L.F.; sentenza n. 73/2020, in relazione all'attenuante di  cui
all'art. 89 del codice penale;  sentenza  n.  55/2021,  in  relazione
all'attenuante di cui all'art. 116 del  codice  penale;  sentenza  n.
94/2023, in relazione all'attenuante di cui  all'art.  311del  codice
penale]. 
    La Corte costituzionale nella sentenza n. 146/2021  ha,  inoltre,
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4, del
codice penale nella parte in cui prevedeva il divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante del fatto di lieve  entita',  introdotta
con la sentenza n. 68/2012 relativamente al delitto di  sequestro  di
persona a scopo di estorsione. 
    Sebbene  anche  quest'ultima  pronuncia,  come  le  altre   sopra
richiamate,  abbia  ad  oggetto  il   divieto   di   prevalenza   tra
l'attenuante del fatto lieve e la recidiva reiterata, si ritiene  che
i principi di diritto in essa affermati valgano, a  maggior  ragione,
nel caso di specie. 
    Invero, esattamente come avvenuto  in  materia  di  sequestro  di
persona a scopo di  estorsione,  l'introduzione  dell'attenuante  del
fatto  di  lieve  entita'  e'  volta  a  tutelare  il  principio   di
uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione:  l'attenuante  di
cui si discute tende, infatti, ad assicurare ossia  a  sanzionare  in
modo diverso situazioni differenti sul piano dell'offensivita'  della
condotta. 
    Tale esigenza verrebbe meno laddove per effetto  dell'automatismo
discendente dal divieto assoluto di bilanciamento previsto  dall'art.
628, comma 5, del codice  penale  non  fosse  possibile  regolare  il
trattamento sanzionatorio  in  modo  diversificato  alla  luce  della
concreta  offensivita'  del  fatto  giudicato:  in   altri   termini,
l'operativita' di tale divieto  comporterebbe  che  fatti  di  minore
entita', come quella oggetto del presente  giudizio,  possano  essere
irragionevolmente puniti con la stessa pena prevista per  le  ipotesi
piu' gravi. Tale vulnus, con riferimento  all'aggravante  di  cui  si
discute (art. 628, comma 3, n.  3-ter  del  codice  penale),  sarebbe
ancora maggiore data l'assolutezza del divieto di  bilanciamento,  la
natura oggettiva dell'aggravante e la sua  obbligatoria  applicazione
(a differenza dell'ipotesi contemplata dall'art.  99,  comma  4,  del
codice penale). 
    D'altro canto, l'eliminazione del divieto  di  bilanciamento  non
comprometterebbe la tutela degli interessi sottesi  alla  scelta  del
legislatore di puntualizzare  il  disvalore  del  fatto  mediante  la
previsione dell'aggravante di cui si discute, che resterebbe comunque
un elemento da prendere in considerazione e valutare nel contesto del
giudizio di bilanciamento. 
    Il  censurato  divieto  di  bilanciamento,  oltre  a   vanificare
l'esigenza di riequilibrio sanzionatorio a fronte di  fatti  di  piu'
contenuta gravita', si rivela  ancor  piu'  irragionevole  alla  luce
della  bilanciabilita',  senza  vincoli,  dell'attenuante  di   lieve
entita' con le ulteriori aggravanti di cui all'art. 628, comma 3, nn.
1), 2), 3-quinquies) del codice penale che  pure  possono  venire  in
rilievo e che possono astrattamente configurare situazioni di analogo
o addirittura maggiore disvalore.