Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 4, comma 3,
del decreto legislativo 2  febbraio  2006,  n.  42  (Disposizioni  in
materia di totalizzazione dei periodi assicurativi),  promosso  dalla
Corte d'appello di Torino nel  procedimento  vertente  tra  A.  A.  e
l'Associazione Cassa nazionale di previdenza e  assistenza  a  favore
dei ragionieri e periti commerciali con  ordinanza  del  24  febbraio
2011, iscritta al n. 142 del registro  ordinanze  2011  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di costituzione di A.A.,  dell'Associazione  Cassa
nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti
commerciali,  nonche'  l'atto  di  intervento  del   Presidente   del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  13  dicembre  2011  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella; 
    uditi  gli  avvocati  Massimo  Luciani  e  Matteo   Fusillo   per
l'Associazione Cassa nazionale di previdenza e  assistenza  a  favore
dei ragionieri e periti commerciali e l'avvocato dello  Stato  Enrico
Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Nel corso di un giudizio  civile  promosso  da  A.A.  contro
l'Associazione Cassa nazionale di previdenza e  assistenza  a  favore
dei ragionieri e periti commerciali, la Corte d'appello di Torino  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3 e  76  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo  4,  comma  3,
del decreto legislativo 2  febbraio  2006,  n.  42  (Disposizioni  in
materia di totalizzazione dei periodi assicurativi). 
    La Corte rimettente deduce che l'attore nel giudizio  principale,
iscritto alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza  in  favore
dei  ragionieri  e  periti  commerciali  e  titolare   di   posizione
assicurativa  anche  presso  l'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale,  non  avendo  maturato  i  requisiti  contributivi  per   il
conseguimento della pensione in  alcuna  delle  due  gestioni,  aveva
presentato, in sede amministrativa, domanda per ottenere la  pensione
di  anzianita'  mediante  totalizzazione  dei  periodi   assicurativi
vantati nelle due gestioni, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2006. 
    L'art. 4, comma 1, di tale decreto  legislativo  dispone  che  le
gestioni interessate, ciascuna per la parte  di  propria  competenza,
determinano il  trattamento  pro  quota  in  rapporto  ai  rispettivi
periodi di iscrizione maturati e il successivo comma 3  dello  stesso
art. 4 dispone che, per gli enti previdenziali privatizzati ai  sensi
del decreto legislativo 30 giugno  1994,  n.  509  (Attuazione  della
delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di
enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), tra i
quali rientra anche la Cassa convenuta nel giudizio a quo, la  misura
del trattamento e' determinata con le regole del sistema  di  calcolo
contributivo sulla base dei criteri indicati dalla medesima norma. 
    La Corte d'appello di Torino afferma che la  Cassa  nazionale  di
previdenza  ed  assistenza  in  favore  dei   ragionieri   e   periti
commerciali aveva determinato il  trattamento  pro  quota  a  proprio
carico applicando, appunto, i parametri di cui all'art. 4,  comma  3,
del d.lgs. n. 42 del 2006, liquidando cosi' in favore dell'assicurato
un importo sensibilmente inferiore a quello che sarebbe risultato ove
fossero state seguite  le  regole  di  calcolo  proprie  dell'ente  e
contenute nel Regolamento di esecuzione della Cassa,  nella  versione
vigente dal 1° gennaio 2004. Questo, infatti, prevede all'art. 53 che
la pensione di anzianita',  relativa  agli  iscritti  con  decorrenza
anteriore al 1° gennaio 2004 (come l'attore nel giudizio principale),
sia determinata dalla somma della  quota  retributiva  (calcolata  in
base a criteri che valorizzano i redditi professionali antecedenti la
data  del  1°  gennaio  2004)  e  della  quota   contributiva   (pari
all'importo determinato dalla trasformazione in rendita del  montante
risultante dalla posizione contributiva individuale istituita dal  1°
gennaio 2004). 
    L'assicurato aveva quindi promosso il giudizio  a  quo  chiedendo
che fosse dichiarato il suo diritto alla liquidazione della quota  di
pensione provvisoria di anzianita' da totalizzazione maturata  presso
la  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  in  favore  dei
ragionieri e periti commerciali secondo le regole di calcolo  proprie
della Cassa medesima e vigenti alla  data  del  pensionamento.  Tanto
premesso, la  Corte  rimettente  sostiene  che  la  norma  censurata,
disponendo che per gli enti previdenziali privatizzati ai  sensi  del
d.lgs. n. 509 del 1994 la misura del trattamento pensionistico dovuto
a seguito di totalizzazione dei periodi assicurativi  e'  determinata
con le regole del sistema di calcolo contributivo, contrasterebbe con
l'art. 76 Cost.,  per  violazione  del  principio  direttivo  dettato
dall'art. 1, comma 2, lettera o), della legge delega 23 agosto  2004,
n. 243 (Norme in materia  pensionistica  e  deleghe  al  Governo  nel
settore della previdenza pubblica, per il  sostegno  alla  previdenza
complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli  enti
di previdenza ed assistenza  obbligatoria),  secondo  il  quale,  nel
ridefinire la disciplina in materia  di  totalizzazione  dei  periodi
assicurativi, il legislatore delegato era tenuto a prevedere che ogni
ente presso cui sono versati i contributi sia  tenuto  pro  quota  al
pagamento  del  trattamento  pensionistico  determinato  «secondo  le
proprie regole di calcolo». 
    Invece, le regole del sistema di calcolo  contributivo  stabilite
dall'art. 4, comma 3,  del  d.lgs.  n.  42  del  2006  si  discostano
ampiamente da quelle dettate dal citato art. 53  del  Regolamento  di
esecuzione della Cassa  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  in
favore dei ragionieri e periti commerciali. 
    Il giudice a quo aggiunge che  la  conferma  della  volonta'  del
legislatore delegato di introdurre una disciplina  generale  difforme
dalla delega si ricava dal comma 5 dell'art. 4 del d.lgs. n.  42  del
2006, ove, sempre in riferimento agli enti previdenziali privatizzati
ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994, e' prevista, in deroga a  quanto
stabilito dai precedenti commi 3 e 4, l'applicazione del «sistema  di
calcolo  della  pensione  previsto  dall'ordinamento  della  gestione
medesima», qualora il requisito contributivo maturato nella  gestione
pensionistica sia uguale o superiore a quello minimo richiesto per il
conseguimento del diritto alla pensione di  vecchiaia.  Quindi,  cio'
che nella legge delega era indicato come principio generalizzato, nel
decreto legislativo risulta trasformato in eccezione rispetto  ad  un
diverso principio che fa invece riferimento alle «regole del  sistema
di calcolo contributivo». 
    Ad avviso della Corte rimettente, l'art. 4, comma 3,  del  d.lgs.
n. 42 del 2006 confligge anche con l'art. 3 Cost., poiche'  la  norma
censurata e' fonte di un'irragionevole disparita' di trattamento  con
gli assicurati presso gli enti previdenziali  privati  costituiti  ai
sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996,  n.  103  (Attuazione
della delega conferita dall'art. 2, comma 25, della  legge  8  agosto
1995, n. 335, in materia di  tutela  previdenziale  obbligatoria  dei
soggetti che svolgono attivita' autonoma di  libera  professione),  i
quali, in  virtu'  del  successivo  comma  6  dello  stesso  art.  4,
ottengono la liquidazione del trattamento  pensionistico  sulla  base
del sistema di calcolo vigente nell'ordinamento degli enti medesimi. 
    In  ordine  alla  rilevanza  della  questione   di   legittimita'
costituzionale, il giudice a quo afferma che, se la  quota  a  carico
della Cassa nazionale di  previdenza  ed  assistenza  in  favore  dei
ragionieri e periti commerciali fosse determinata secondo  i  criteri
stabiliti  nel  Regolamento  di  esecuzione   della   Cassa   stessa,
all'assicurato sarebbe attribuito un  importo  superiore  rispetto  a
quello liquidatogli in applicazione dei criteri stabiliti nella norma
censurata. 
    2. - Nel giudizio di costituzionalita' si e' costituito A.A.,  il
quale chiede che la questione sia accolta. 
    La parte privata sostiene che l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42
del 2006 viola l'art.  76  Cost.,  per  gli  stessi  motivi  indicati
nell'ordinanza di rimessione. 
    Aggiunge che la norma censurata  contrasta  anche  con  l'art.  3
Cost., poiche' introduce una disciplina  disparitaria,  da  un  lato,
rispetto alle altre normative in  materia  di  totalizzazione  e,  in
particolare, rispetto a quella prevista dal comma 6 dello stesso art.
4 del d.lgs. n. 42 del 2006 (che, per la determinazione della  misura
del trattamento a carico degli enti previdenziali privati  costituiti
ai sensi del d.lgs. n. 103 del 1996, fa rinvio al sistema di  calcolo
vigente  nei  rispettivi  ordinamenti)  e,  dall'altro,  rispetto  al
principio di settore enucleato,  in  materia  di  totalizzazione  dei
periodi assicurativi, dalla sentenza n. 61 del 1999 di questa Corte e
relativo al mantenimento delle regole di calcolo proprie di  ciascuna
gestione previdenziale. 
    A  conferma  dell'esistenza   di   un   generale   principio   di
salvaguardia delle quote  pensionistiche  maturate  presso  le  varie
gestioni previdenziali, da calcolarsi secondo le regole applicabili a
ciascuna di esse, la parte privata menziona la sentenza  della  Corte
di  cassazione  6  maggio   2009,   n.   10396,   che   ha   ritenuto
l'illegittimita' dell'art. 3 del decreto del Ministro  del  lavoro  2
maggio 1996, n. 282 (Regolamento recante la  disciplina  dell'assetto
organizzativo e funzionale della gestione e del rapporto assicurativo
di cui all'art. 2, comma 32, della legge  8  agosto  1995,  n.  335),
anche nella parte in cui non prevedeva, ai fini della  determinazione
dell'importo della pensione, il ricorso ai criteri di cui all'art. 16
della  legge  2  agosto  1990,  n.  233  (Riforma   dei   trattamenti
pensionistici dei lavoratori autonomi), norma che rinvia  ai  criteri
vigenti presso le differenti gestioni. 
    3. - Nel giudizio di costituzionalita'  si  e'  costituita  anche
l'Associazione Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in  favore
dei ragionieri e periti commerciali che chiede che le questioni siano
dichiarate inammissibili e comunque infondate. 
    Le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, perche'  il
giudice a quo non  avrebbe  indicato  la  ragione  per  la  quale  il
giudizio principale non potrebbe essere definito senza  applicare  la
norma censurata. 
    In secondo luogo, la Cassa deduce che in primo grado le questioni
di legittimita' costituzionale erano state dichiarate  non  rilevanti
dal Tribunale. La Corte d'appello avrebbe avuto l'onere  di  motivare
sul punto, al fine di spiegare per quale motivo  la  rilevanza  delle
questioni,  negata  dal  giudice  di  primo   grado,   fosse   invece
sussistente. 
    Un terzo motivo di inammissibilita' delle questioni risiederebbe,
ad avviso della Cassa, nel fatto che esse sono  state  sollevate  nel
corso  di  un  giudizio  instaurato  al  solo  scopo  di  sollecitare
l'intervento di questa Corte. 
    Infine, specificamente inammissibile sarebbe la censura formulata
in riferimento all'art. 3 Cost., perche' la  remittente  non  avrebbe
motivato sulla ragione per la  quale  una,  anziche'  l'altra,  delle
discipline poste a  raffronto  sia  assunta  (non  ad  oggetto  della
questione, ma) quale tertium comparationis. 
    Nel merito, la Cassa contesta che l'art. 4, comma 3,  del  d.lgs.
n. 42 del 2006 sia censurabile per eccesso di delega. 
    Infatti, in virtu' dell'ampia formulazione dell'art. 1, comma  1,
lettera d), della legge n. 243 del 2004, il legislatore delegato  era
facoltizzato a dettare una disciplina organica  della  totalizzazione
che doveva  necessariamente  coniugare  le  esigenze  di  tutela  dei
diritti previdenziali dei singoli con quelle di sostenibilita'  delle
gestioni previdenziali. Ne  consegue  che  l'opzione  in  favore  del
sistema di calcolo contributivo costituisce un ragionevole  punto  di
equilibrio fra tutte le esigenze in  gioco.  Al  riguardo,  la  Cassa
deduce che gia' da tempo  l'ordinamento  previdenziale  e'  orientato
decisamente nel senso della preferenza per il  sistema  contributivo,
onde il legislatore delegato non avrebbe fatto altro che applicare un
principio generalissimo dell'ordinamento. 
    Ne', ad avviso della  Cassa,  si  potrebbe  pervenire  a  diversa
conclusione facendo leva sul rinvio alle regole  di  calcolo  proprie
dei singoli  enti  previdenziali  contenuto  nell'art.  1,  comma  2,
lettera o), della legge n.  243  del  2004.  Infatti,  tra  le  fonti
legittimate a definire quelle regole  di  calcolo  rientra  anche  il
decreto legislativo emanato in esecuzione della stessa legge  n.  243
del 2004. 
    Quanto alla pretesa violazione del principio di  eguaglianza,  la
Cassa richiama la giurisprudenza  di  questa  Corte  che  esclude  la
possibilita'  di  porre  a  confronto  tra  loro   i   vari   sistemi
previdenziali. 
    4.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale  chiede  che   la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    La difesa dello Stato sostiene che non sussiste alcuna violazione
dell'art. 76 Cost., perche' quando,  come  nel  caso  di  specie,  la
delega legislativa ha ad oggetto il riassetto e il riordino di  norme
preesistenti,  tali  finalita'  giustificano  un  adeguamento   della
disciplina al  nuovo  quadro  normativo  complessivo  risultante  dal
sovrapporsi nel tempo di disposizioni emanate in vista di  situazioni
diverse. 
    La questione sollevata in riferimento all'art.  3  Cost.  sarebbe
invece  inammissibile  per  omessa  motivazione  sulla  rilevanza   e
comunque infondata perche' il d.lgs. n. 42 del 2006 non  ha  previsto
una disciplina differente per i diversi  enti  previdenziali,  bensi'
regolato  in  maniera  uniforme  le  modalita'   di   computo   della
prestazione in caso di totalizzazione dei periodi assicurativi. 
    5.  -  In  prossimita'  dell'udienza  di  discussione,  A.A.   ha
depositato una memoria nella quale insiste per  l'accoglimento  della
questione di illegittimita' costituzionale e contesta  la  fondatezza
delle eccezioni sollevate e delle argomentazioni svolte dalla Cassa e
dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    5.1. - In particolare, per quel  che  concerne  le  eccezioni  di
inammissibilita' sollevate dalla Cassa, la parte privata  deduce,  in
primo luogo, che la Corte rimettente ha adeguatamente motivato  circa
la  rilevanza  della  questione,  avendo   precisato   gli   elementi
essenziali della fattispecie devoluta alla sua cognizione e  indicato
che nel giudizio principale deve essere applicata la norma censurata.
In secondo luogo,  la  parte  privata  nega  di  aver  instaurato  la
controversia al solo scopo di  far  dichiarare  l'incostituzionalita'
dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006, avendo invece  agito
per ottenere una precisa utilita' economica  (la  maggior  quota  del
trattamento pensionistico da  totalizzazione  liquidato  dalla  Cassa
nazionale di previdenza ed assistenza  in  favore  dei  ragionieri  e
periti commerciali). Infine,  la  difesa  di  A.A.  sostiene  che  il
giudice a quo ha chiaramente individuato il tertium comparationis nel
criterio generale del rinvio alle regole stabilite dagli  ordinamenti
interni dei singoli enti previdenziali previsto dalla legge delega. 
    Con riferimento alle deduzioni svolte dalla Cassa  in  ordine  al
merito della questione, la  parte  privata  contesta  che  la  delega
legislativa contenuta nella legge n. 243  del  2004  legittimasse  il
legislatore  delegato  ad   un   intervento   di   riforma   organica
dell'istituto della  totalizzazione  e  sottolinea  che  comunque  la
delega legislativa includeva lo  stringente  criterio  direttivo  che
rinviava, per la liquidazione delle  quote  dovute  da  ciascun  ente
previdenziale, alle regole proprie di ogni ente,  in  questa  maniera
precludendo  al  legislatore  delegato  la  possibilita'  di  imporre
unilateralmente il sistema contributivo, nel rispetto  dell'autonomia
delle Casse privatizzate. 
    La parte privata aggiunge che quella proposta dalla difesa  della
Cassa e' una interpretatio abrogans dell'art. 1, comma 2, lettera o),
della legge n. 243 del 2004, nella parte in cui  questo  prevede  che
gli enti previdenziali dovranno liquidare  le  quote  di  trattamento
pensionistico a loro carico secondo le proprie regole di calcolo. 
    Quanto, poi, alla violazione dell'art. 3 Cost., la difesa di A.A.
sostiene che, fermo restando il principio della non  confrontabilita'
dei vari ordinamenti previdenziali,  il  carattere  disparitario  del
trattamento  cui  la  norma  censurata  ha  assoggettato   gli   enti
privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 emerge dal confronto
con la disciplina invece riservata agli enti istituiti ai  sensi  del
d.lgs. n. 103 del 1996 per i quali vige il sistema  del  mantenimento
delle «proprie regole di calcolo». 
    5.2. - Con riferimento alle  difese  svolte  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, la parte  privata  contesta  che,  avendo  la
delega legislativa una funzione di  riassetto  e  riordino  di  norme
preesistenti, tali finalita' potessero  giustificare  un  adeguamento
della disciplina previgente tale da consentire  l'introduzione  della
norma censurata. 
    Ne' si potrebbe sostenere che quest'ultima  sarebbe  destinata  a
garantire l'applicazione di un unico sistema di computo,  poiche'  il
d.lgs. n. 42 del 2006 non detta una disciplina uniforme. 
    Infine,  sarebbe  erroneo  individuare  la  ratio   della   norma
censurata nell'intento del legislatore di evitare effetti onerosi per
la  finanza  pubblica,  considerato  che   le   Casse   previdenziali
privatizzate sono estranee al sistema della finanza pubblica. 
    6. -  Anche  l'Associazione  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed
assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali ha depositato
una memoria nella quale ripete le eccezioni di inammissibilita'  gia'
sollevate nell'atto di costituzione. 
    Circa il merito della questione, la Cassa afferma  che  la  legge
delega attribuiva al  Governo  una  discrezionalita'  particolarmente
ampia, poiche' esso era abilitato a dettare una  disciplina  organica
della totalizzazione. 
    Inoltre, l'intera legge di delegazione ribadiva la necessita' che
tale organica disciplina coniugasse le esigenze di tutela dei diritti
previdenziali dei singoli con quelle di sostenibilita' delle gestioni
previdenziali, tanto piu' evidenti nel caso delle Casse  privatizzate
che operano in regime di integrale autofinanziamento.  Pertanto,  tra
le varie possibilita' attuative della delega, l'opzione a favore  del
calcolo  contributivo  era  quella  maggiormente   rispondente   alla
volonta' del legislatore delegante di  rispettare  il  vincolo  delle
risorse disponibili. 
    La  necessita'  della  scelta  operata  dal  Governo   e',   poi,
confermata, ad avviso della Cassa, dall'ultimo suo bilancio  tecnico,
dal  quale  risulta  che,  in  difetto   di   opportune   misure   di
riequilibrio, gia' a partire dal 2029 la  Cassa  non  sara'  piu'  in
grado di erogare le pensioni correnti. 
    Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., la difesa della
Cassa ricorda l'orientamento della Corte che nega la possibilita'  di
comparare tra loro i vari sistemi previdenziali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte d'appello di Torino  dubita,  in  riferimento  agli
aricoli 3 e 76 della Costituzione, della legittimita'  costituzionale
dell'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.
42  (Disposizioni  in   materia   di   totalizzazione   dei   periodi
assicurativi). 
    Ad avviso della rimettente, la norma  censurata,  disponendo  che
per  gli  enti  previdenziali  privatizzati  ai  sensi  del   decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita
dall'art. 1, comma 32, della legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  in
materia di trasformazione  in  persone  giuridiche  private  di  enti
gestori di forme  obbligatorie  di  previdenza  e  assistenza)  -  e,
dunque, anche per la Cassa nazionale di  previdenza  e  assistenza  a
favore dei ragionieri e  dei  periti  commerciali  -  la  misura  del
trattamento pensionistico dovuto  a  seguito  di  totalizzazione  dei
periodi assicurativi e' determinata con  le  regole  del  sistema  di
calcolo contributivo, sulla base di parametri  dettati  dallo  stesso
art. 4, comma 3, contrasterebbe con l'art. 76 Cost.,  per  violazione
del principio direttivo dettato dall'art. 1,  comma  2,  lettera  o),
della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica  e
deleghe al Governo nel settore  della  previdenza  pubblica,  per  il
sostegno alla previdenza complementare e  all'occupazione  stabile  e
per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria),
secondo il quale ogni ente presso cui sono stati versati i contributi
e' tenuto  pro  quota  al  pagamento  del  trattamento  pensionistico
«secondo le proprie regole di calcolo». 
    L'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42  del  2006  violerebbe,  poi,
l'art. 3 Cost., poiche' sarebbe fonte di un'irragionevole  disparita'
di trattamento con  gli  assicurati  presso  gli  enti  previdenziali
privati costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996,
n. 103 (Attuazione della delega  conferita  dall'art.  2,  comma  25,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale
obbligatoria dei soggetti che svolgono attivita' autonoma  di  libera
professione), i quali, in virtu' del successivo comma 6 dello  stesso
art. 4, ottengono la liquidazione del trattamento pensionistico sulla
base del sistema  di  calcolo  vigente  nell'ordinamento  degli  enti
medesimi. 
    2. - L'Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza  a
favore dei ragionieri e dei periti commerciali  ha  sollevato  alcune
eccezioni di inammissibilita' delle questioni. 
    2.1. - Queste sarebbero inammissibili, in primo luogo, perche' il
giudice a quo non  avrebbe  indicato  la  ragione  per  la  quale  il
giudizio principale non potrebbe essere definito senza  applicare  la
norma censurata. 
    L'eccezione non e' fondata, perche' la Corte d'appello di  Torino
ha spiegato chiaramente che, applicando al  ricorrente  nel  giudizio
principale i criteri di calcolo in vigore presso la Cassa (invece  di
quelli  stabiliti  dalla  norma  censurata),  la  quota  di  pensione
spettante  all'assicurato  sarebbe  superiore   rispetto   a   quella
determinata dall'ente previdenziale sulla base  dei  criteri  imposti
dall'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006. 
    2.2. - In secondo luogo, la Cassa deduce che in  primo  grado  le
questioni di legittimita' costituzionale erano state  dichiarate  non
rilevanti. Pertanto la  Corte  d'appello  avrebbe  avuto  l'onere  di
motivare sul punto, al fine di spiegare per quale motivo la rilevanza
della questione, negata dal giudice  di  primo  grado,  fosse  invece
sussistente. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    La rimettente aveva l'onere di spiegare, nella propria ordinanza,
le ragioni della rilevanza delle questioni ai  fini  della  decisione
della controversia e, nel fare cio', non  aveva  affatto  l'onere  di
controbattere specificamente agli argomenti sostenuti dal giudice  di
primo grado. 
    2.3. -  Un  terzo  motivo  di  inammissibilita'  delle  questioni
risiederebbe, ad avviso della Cassa, nel fatto che  esse  sono  state
sollevate nel corso di  un  giudizio  instaurato  al  solo  scopo  di
sollecitare l'intervento di questa Corte. 
    Neppure tale deduzione puo' essere condivisa.  Dall'ordinanza  di
rimessione  risulta  che  il  ricorrente  ha  proposto  il   giudizio
principale allo scopo di ottenere la riliquidazione  della  quota  di
pensione  erogatagli  dalla  Cassa  di  previdenza  dei   ragionieri.
Pertanto la controversia ha ad oggetto un  preciso  e  concreto  bene
della vita, vale a dire un incremento  dell'importo  del  trattamento
pensionistico, e quella della legittimita'  costituzionale  dell'art.
4, comma 3, del  d.lgs.  n.  42  del  2006  e'  solamente  una  delle
questioni che debbono essere risolte per  pervenire  all'accertamento
del diritto rivendicato dalla parte attrice. 
    2.4.  -   Infine,   ad   avviso   della   Cassa,   specificamente
inammissibile sarebbe la censura formulata in riferimento all'art.  3
Cost., perche' la remittente non avrebbe motivato sulla  ragione  per
la quale una, anziche' l'altra, delle discipline  poste  a  raffronto
sia assunta (non  ad  oggetto  della  questione,  ma)  quale  tertium
comparationis. 
    L'eccezione non e' fondata, poiche'  e'  evidente  che  la  Corte
rimettente  individua  il  tertium  comparationis  nella   disciplina
prevista per gli iscritti agli enti di cui al d.lgs. n. 103 del 1996,
perche' il sistema di calcolo per  essi  stabilito  dall'art.  4  del
d.lgs. n. 42 del 2006 e' conforme a quello  che,  secondo  l'opinione
del giudice a quo, era il principio  direttivo  imposto  dalla  legge
delega. 
    3. - Nel merito, la questione sollevata in  riferimento  all'art.
76 Cost. non e' fondata. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n.  42
del 2006 contrasterebbe con il principio direttivo dettato  dall'art.
1, comma 2, lettera o), della legge delega n. 243 del 2004.  A  norma
di tale disposizione, il legislatore delegato  aveva  il  compito  di
«ridefinire la disciplina in materia di  totalizzazione  dei  periodi
assicurativi, al fine di ampliare progressivamente le possibilita' di
sommare i periodi assicurativi previste dalla  legislazione  vigente,
con l'obiettivo di consentire l'accesso alla  totalizzazione  sia  al
lavoratore che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di eta'  sia
al lavoratore che abbia  complessivamente  maturato  almeno  quaranta
anni  di   anzianita'   contributiva,   indipendentemente   dall'eta'
anagrafica, e che abbia versato presso ogni cassa, gestione  o  fondo
previdenziale, interessati dalla domanda  di  totalizzazione,  almeno
cinque anni di contributi».  La  norma  cosi'  prosegue:  «Ogni  ente
presso cui sono stati versati i contributi sara' tenuto pro quota  al
pagamento del trattamento pensionistico, secondo le proprie regole di
calcolo. Tale facolta' e' estesa anche ai superstiti  di  assicurato,
ancorche' deceduto prima del compimento dell'eta' pensionabile». 
    In particolare, secondo la rimettente, sarebbe violato il secondo
periodo della norma, dal quale dovrebbe desumersi che, per  l'aspetto
concernente i criteri di calcolo della  quota  di  pensione  gravante
sulle  gestioni  interessate  dalla  totalizzazione,  il  legislatore
delegato non  avesse  facolta'  di  dettare  un'autonoma  disciplina,
dovendosi  limitare  a  rinviare  a  quanto   gia'   previsto   dagli
ordinamenti dei singoli enti interessati. 
    Tale assunto non e' condivisibile. Il riferimento  alle  «proprie
regole di calcolo» contenuto nell'art. 1, comma 2, lettera o),  della
legge n. 243 del 2004 non escludeva di prevedere criteri  di  calcolo
per le singole  gestioni  previdenziali  al  fine  di  consentire  un
ampliamento progressivo  dell'ambito  di  operativita'  dell'istituto
della totalizzazione. 
    La necessita', quindi, di disciplinare  anche  tale  fondamentale
aspetto era direttamente connessa e  implicita  nell'attribuzione  al
Governo del compito di «rivedere il  principio  della  totalizzazione
dei periodi assicurativi» (art. 1, comma 1, lettera d, della legge n.
243 del 2004) e di «ridefinire la disciplina in materia » al fine  di
allargare progressivamente «le  possibilita'  di  sommare  i  periodi
assicurativi previste dalla legislazione vigente» (art. 1,  comma  2,
lettera o,  della  legge  delega).  E'  evidente  che  per  estendere
l'applicazione  dell'istituto  della  totalizzazione  il  legislatore
poteva precisare anche i criteri di  calcolo  delle  prestazioni  che
sarebbero spettate agli assicurati in virtu' della nuova disciplina. 
    In altre parole, per aumentare il novero  dei  casi  in  cui  gli
assicurati potevano ricorrere all'istituto della  totalizzazione,  il
legislatore delegato poteva anche apportare a quella  disciplina  gli
adattamenti conseguenti  all'ampliamento  delle  ipotesi  in  cui  si
poteva ricorrere alla totalizzazione. Non a caso la legge n. 243  del
2004 definiva con termini  ampi  il  compito  che  essa  delegava  al
Governo. 
    In definitiva, la prescrizione secondo la quale «Ogni ente presso
cui sono stati  versati  i  contributi  sara'  tenuto  pro  quota  al
pagamento del trattamento pensionistico, secondo le proprie regole di
calcolo»  dev'essere,   certamente,   intesa   nel   senso   di   una
riaffermazione  del  principio  generale  secondo  cui  le  quote  di
trattamento pensionistico a carico  di  ogni  gestione  previdenziale
interessata dalla totalizzazione debbono essere calcolate in base  ai
criteri specifici della singola gestione,  non  escludendosi,  pero',
che  il  legislatore  delegato  fosse  autorizzato  dalla  delega   a
determinare  esso  stesso  in  base  a  quali   criteri   ogni   ente
previdenziale dovesse liquidare la quota di propria spettanza. 
    Si consideri, altresi', che i criteri  di  calcolo  previsti  dal
d.lgs.  n.  42  del  2006  costituiscono  applicazione  del   sistema
contributivo,  vale  a  dire  di  quello  che  e'  il   criterio   di
determinazione delle prestazioni previdenziali che ormai  ha  assunto
una valenza generale nel sistema previdenziale  italiano.  La  scelta
operata dal legislatore, pertanto, e' coerente con le generali  linee
evolutive dell'ordinamento. 
    4. - Neppure la questione sollevata  in  riferimento  all'art.  3
Cost. e' fondata. 
    Ad avviso della Corte rimettente, l'art. 4, comma 3,  del  d.lgs.
n. 42 del  2006  sarebbe  fonte  di  un'irragionevole  disparita'  di
trattamento con gli assicurati presso gli enti previdenziali  privati
costituiti ai sensi del d.lgs. n. 103 del 1996; per costoro, infatti,
il successivo comma 6 dello stesso art. 4 stabilisce  che  la  misura
del trattamento pensionistico sia determinata sulla base del  sistema
di calcolo vigente nell'ordinamento degli enti medesimi. 
    Al  riguardo  occorre  ricordare,  in  primo  luogo,   che,   per
consolidata  giurisprudenza  di  questa   Corte,   i   vari   sistemi
previdenziali non possono essere comparati tra loro (sentenze  n.  34
del 2011, n. 202 del 2008, n. 83 del 2006). 
    In secondo luogo, la differenza segnalata dal giudice  a  quo  e'
apparente, piu' che reale. Infatti, gli enti costituiti a seguito del
d.lgs. n. 103 del 1996 - essendo successivi alla svolta in favore del
sistema contributivo operata  dalla  legge  8  agosto  1995,  n.  335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio  e  complementare)  -
hanno tutti dovuto adottare il predetto sistema di  calcolo  (v.,  in
particolare, l'art. 2, comma 2, del  d.lgs.  n.  103  del  1996).  Ne
consegue che sia gli iscritti agli enti privatizzati  in  virtu'  del
d.lgs. n. 509 del 1994, sia gli iscritti agli enti di cui  al  d.lgs.
n. 103  del  1996,  si  vedono  liquidare  la  quota  di  trattamento
pensionistico dovuta, in  virtu'  della  totalizzazione  dei  periodi
assicurativi secondo regole proprie del sistema contributivo.