Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 1,  2,  3,
commi 2 e 3, e 5, comma 1,  della  legge  della  Regione  Abruzzo  10
agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio
regionale  per  la  stagione  venatoria  2010/2011),   promosso   dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato  l'11-14
ottobre 2010,  depositato  in  cancelleria  il  19  ottobre  2010  ed
iscritto al n. 110 del registro ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Abruzzo; 
    udito nell'udienza pubblica  del  13  dicembre  2011  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Letizia  Guida   per   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   e   l'avvocato   Federico
Tedeschini per la Regione Abruzzo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
l'11 ottobre 2010 (reg. ric. n. 110 del 2010), ha promosso  questioni
di legittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e
5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010,  n.  39
(Norme per la definizione del calendario venatorio regionale  per  la
stagione venatoria 2010/2011), in riferimento all'art. 117,  primo  e
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Le norme impugnate, intervenendo a  regolamentare  il  calendario
venatorio e taluni profili dell'attivita'  di  caccia  nelle  zone  a
protezione speciale, lederebbero la competenza esclusiva dello  Stato
in materia di tutela  dell'ambiente,  confliggendo  altresi'  con  il
diritto dell'Unione europea. 
    1.1. - La prima censura riguarda  la  disciplina  del  calendario
venatorio contenuta negli artt. 1 e  2  della  legge  impugnata,  che
secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con l'art. 18, commi 2 e
4, della legge 11 febbraio 1992, n.  157  (Norme  per  la  protezione
della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio),
espressivo della competenza  di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    L'art. 18, comma 2, stabilisce, infatti, che le  Regioni  possono
modificare il calendario venatorio, con riferimento all'elenco  delle
specie cacciabili e al  periodo  in  cui  e'  consentita  la  caccia,
indicati dal precedente comma 1, per mezzo  di  un  procedimento  che
contempla l'acquisizione del parere dell'Istituto  nazionale  per  la
fauna selvatica (nelle cui competenze oggi e'  subentrato  l'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA). 
    L'art.  18,  comma  4,  stabilisce,  poi,  che,  sulla  base  del
suindicato parere, le Regioni pubblicano, entro il 15 giugno di  ogni
anno, «il calendario regionale ed il regolamento relativi  all'intera
annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito dai commi 1,  2  e
3». 
    Il ricorrente ritiene che dalle indicate disposizioni statali  si
evinca che il procedimento deve  concludersi  con  l'adozione  di  un
provvedimento amministrativo e non, come  e'  avvenuto  nel  caso  di
specie, con una legge. 
    Questa   conclusione   sarebbe    avvalorata    dalle    seguenti
considerazioni. 
    L'endiadi  utilizzata  dal  legislatore  all'art.  18,  comma  4,
secondo cui le Regioni hanno l'obbligo di pubblicare  «il  calendario
regionale ed il regolamento relativi  all'intera  annata  venatoria»,
dovrebbe  intendersi  come  riferita  a  un  unico  atto  di   natura
regolamentare,  contenente  le  specifiche  norme   applicabili   nel
territorio  regionale  durante  il   periodo   venatorio   preso   in
considerazione. 
    Il carattere  temporaneo  (annuale)  del  provvedimento  indicato
dall'art.  18  si  concilierebbe  con  l'adozione  solo  di  un  atto
amministrativo e non anche di una legge. 
    Il previsto obbligo di acquisizione del parere dell'ISPRA avrebbe
senso solo se  la  Regione,  dopo  averlo  valutato,  se  ne  potesse
discostare con  una  congrua  motivazione  e,  dunque,  adottando  un
provvedimento amministrativo. Diversamente il parere  si  tradurrebbe
in un inutile, e non previsto, controllo preventivo  di  legittimita'
della legge regionale. Il  parere,  nel  caso  di  specie,  e'  stato
negativo. 
    Infine il ricorrente  osserva  che  «il  ricorso  allo  strumento
legislativo serve  anche  a  precludere  ai  cittadini  e  alle  loro
organizzazioni rappresentative la possibilita' di tutelare  i  propri
interessi legittimi dinanzi al competente giudice amministrativo». 
    1.2. - La seconda censura riguarda l'art. 2, commi  10  e  12,  e
l'art. 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del  2010,
nella   parte   in   cui   prevedono   l'acquisizione   del    parere
dell'Osservatorio faunistico regionale (OFR), ovvero - ove questo non
sia ancora costituito - dell'ISPRA, al fine di ridurre  la  caccia  a
determinate specie per periodi determinati, di anticipare  sino  alla
prima domenica di settembre l'apertura della caccia ad alcune  specie
nella forma dell'appostamento fisso e temporaneo  e  di  disciplinare
per alcuni periodi l'esercizio della caccia alla fauna migratoria. 
    Tali diposizioni si  porrebbero  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera s),  Cost.,  in  relazione  alle  prescrizioni
contenute nell'art. 18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del  1992,  i
quali prevedono  che  la  modifica  dei  termini  entro  i  quali  e'
possibile cacciare determinate specie e la fauna selvatica migratoria
puo' avvenire, in ragione delle diverse realta' territoriali,  previa
acquisizione obbligatoria del parere dell'Istituto nazionale  per  la
fauna selvatica (oggi ISPRA). 
    Diversamente,  le  norme  regionali  impugnate  sottopongono   le
indicate modifiche all'acquisizione di un parere da  parte  dell'OFR,
che e' un ente della Regione. 
    1.3. - Una terza censura investe l'art. 3, commi  2  e  3,  della
legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010. 
    Il ricorrente ritiene che  tali  norme  siano  in  contrasto  con
l'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  in  relazione  alle
prescrizioni poste nel decreto ministeriale 17 ottobre 2007  (Criteri
minimi  uniformi  per  la  definizione  di  misure  di  conservazione
relative  a  Zone  speciali  di  conservazione,  ZSC,  e  a  Zone  di
protezione speciale, ZPS), che contiene i criteri minimi uniformi che
le Regioni hanno l'obbligo di rispettare nel disciplinare l'attivita'
venatoria nelle Zone speciali di conservazione (ZSC) e nelle Zone  di
protezione speciale (ZPS). 
    In particolare, l'art. 3, comma 2, consente l'attivita' venatoria
nella Zona di protezione speciale Monti Simbruini  e  nella  Zona  di
protezione speciale denominata «ZPS ex Parco», nel mese di gennaio di
ciascun anno, per ciascuna delle specie indicate nell'art.  2,  commi
3, 4, 5, 6 e 7, e per due giornate alla  settimana,  fatta  eccezione
della caccia agli ungulati, e,  secondo  il  ricorrente,  l'esercizio
dell'attivita' venatoria sarebbe consentito anche nelle modalita'  di
«appostamento ed  in  forma  vagante  con  l'ausilio  del  cane»,  in
violazione della normativa statale. 
    Questa modalita' infatti e' prevista dall'art. 1, comma 2,  della
legge impugnata, ma non anche dall'art. 5, comma 1, lettera  a),  del
d.m. 17  ottobre  2007,  che  consente  l'attivita'  venatoria  nelle
indicate zone protette nel mese di gennaio, se esercitata nelle forme
dell'«appostamento fisso e temporaneo  e  in  forma  vagante»,  senza
pero' prevedere l'ausilio del cane. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il comma 3
del medesimo art. 3, nella parte in cui non menziona, tra  i  divieti
disposti  all'interno   delle   ZPS,   quello   della   «preapertura»
dell'attivita' venatoria; divieto espressamente previsto dall'art. 5,
comma 1, lettera b), del d.m. 17 ottobre 2007. 
    La possibilita' di effettuare la suddetta preapertura  troverebbe
conferma, a parere del ricorrente, nel fatto  che  sempre  l'art.  3,
comma 4, della legge regionale n. 39 del  2010  consente  l'attivita'
venatoria nei Siti di interesse comunitario (SIC) e  nelle  ZPS  «nei
periodi indicati nell'art. 2, per ciascuna specie  ivi  indicata»,  e
che, a sua volta, l'art.  2,  comma  12,  prevede  la  procedura  per
anticipare l'apertura della caccia alla prima domenica di settembre. 
    2. - Si e' costituita in giudizio la Regione  Abruzzo,  chiedendo
che la Corte dichiari il ricorso inammissibile o infondato. 
    2.1. - Quanto alla  censura  relativa  alla  presunta  violazione
dell'art. 18, commi 2 e 4,  della  legge  n.  157  del  1992,  e  del
principio in esso fissato secondo il quale, a parere del  ricorrente,
i  calendari  venatori   devono   essere   adottati   con   un   atto
amministrativo e non con legge, la difesa regionale osserva che dalle
indicate norme statali non si  ricava  alcuna  indicazione  circa  la
fonte che le Regioni devono utilizzare per individuare il  periodo  e
le  specie  cacciabili,  avendo,  peraltro,  numerose  Regioni   gia'
provveduto in tal senso con specifiche leggi-provvedimento. 
    La Regione Abruzzo a sostegno  di  quanto  sopra  rileva  che  il
decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  21  marzo  1997
(Modificazione dell'elenco delle specie cacciabili  di  cui  all'art.
18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157) ha stabilito  che  la
modificazione dell'elenco delle specie cacciabili, previsto dall'art.
18, comma 3, della legge n. 157 del  1992,  puo'  avvenire  ad  opera
delle  Regioni  per  mezzo  dei   rispettivi   atti   legislativi   e
amministrativi. 
    Privo di pregio sarebbe anche l'argomento  secondo  il  quale  la
necessita' di adottare in simili casi atti amministrativi  troverebbe
giustificazione nella natura temporanea dei calendari  in  questione,
avendo la giurisprudenza costituzionale affermato che non e' preclusa
al legislatore regionale la possibilita'  di  attrarre  alla  propria
competenza  oggetti  o  materie  normalmente  affidati  all'autorita'
amministrativa, non sussistendo un divieto di  adozione  di  leggi  a
contenuto particolare e concreto. 
    La censura proposta dal ricorrente sarebbe, peraltro, generica in
quanto relativa esclusivamente alla fonte dell'atto impugnato,  senza
che nel ricorso risultino  indicati  quali  specifici  aspetti  della
disciplina regionale in esame sarebbero in contrasto  con  l'art.  18
della legge n. 157 del 1992. 
    La Regione Abruzzo  ritiene,  comunque,  di  aver  rispettato  il
procedimento fissato dalla indicata norma  statale,  in  quanto,  per
come riconosciuto  dallo  stesso  ricorrente,  avrebbe  acquisito  il
parere dell'allora Istituto nazionale  per  la  fauna  selvatica,  di
natura obbligatoria, ma non vincolante, come e' stato affermato dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    2.2. - Secondo la Regione Abruzzo  sarebbe  priva  di  fondamento
anche la censura relativa al contrasto degli artt. 2, commi 10 e  12,
e dell'art. 5, comma  1,  della  legge  regionale  impugnata  con  le
prescrizioni contenute nell'art. 18, commi 2 e 6, della legge n.  157
del 1992. 
    Invero, le norme regionali impugnate esulerebbero  dal  campo  di
applicazione dell'art. 18 indicato perche',  diversamente  da  quanto
previsto dalla norma statale, non  ammettono  alcun  ampliamento  del
periodo in cui e' consentita l'attivita' venatoria. 
    Per effetto dell'art. 2, commi 10 e 12, e dell'art. 5,  comma  1,
infatti, al fine di  ridurre  la  caccia  a  determinate  specie  per
periodi determinati, sarebbero stati alzati i livelli di tutela della
fauna selvatica previsti dal legislatore nazionale, sulla base di  un
parere dell'OFR o, ove non  costituito,  dell'ISPRA,  parere  che,  a
differenza di  quanto  stabilito  dalla  normativa  statale,  sarebbe
vincolante. 
    La Regione Abruzzo ritiene, comunque, che  anche  queste  censure
sarebbero prive di attualita' e di concretezza di interesse, dato che
la legge impugnata ha esaurito i propri effetti. 
    2.3. - Quanto al contrasto tra l'art. 3,  comma  2,  della  legge
regionale n. 39 del 2010, e l'art. 5, lettera a), del d.m. 17 ottobre
2007 - afferente al divieto di esercizio dell'attivita' venatoria nel
mese di gennaio per tutte le ZPS - la Regione Abruzzo rileva  che  la
disposizione e' stata abrogata dal decreto  ministeriale  22  gennaio
2009 (Modifica del decreto 17 ottobre  2007,  concernente  i  criteri
minimi  uniformi  per  la  definizione  di  misure  di  conservazione
relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di  Protezione
Speciale, ZPS). 
    Quanto alla questione concernente l'art.  3,  comma  3,  relativa
alla mancata previsione del  divieto  di  preapertura  dell'attivita'
venatoria e, dunque, al conseguente contrasto con l'art. 5, comma  1,
lettera b), del d.m. sopra indicato, la Regione  osserva  che  questa
disposizione demanda l'apposizione dei divieti in essa contenuti (tra
i quali rientra quello della preapertura) «all'atto di  cui  all'art.
3, comma 1, del presente decreto», con  la  conseguenza  che  sarebbe
tale specifico atto regionale a dover contenere  i  divieti  previsti
dall'art. 5. 
    Conclude la Regione affermando che la  mancata  previsione  nella
norma censurata del  divieto  in  esame  non  vale  a  escluderne  il
rispetto. 
    3. - Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria con la quale sostanzialmente ripropone  le  ragioni  poste  a
fondamento del proprio ricorso. 
    Quanto alla censura riferita all'illegittima utilizzazione di  un
atto legislativo per approvare il  calendario  venatorio,  la  difesa
dello  Stato  osserva  che  quest'ultimo   ha   natura   strettamente
amministrativa,  di  talche'  esso  deve  essere  adottato   con   un
provvedimento  di  uguale  natura,   desumendosi   cio'   anche   dal
procedimento previsto a tal fine dall'art. 18 della legge n. 157  del
1992 e,  in  particolare,  dal  necessario  parere  che  deve  essere
richiesto all'ISPRA. 
    Quanto alla  prevista  sostituzione  del  suindicato  parere  con
quello attribuito ad un ente regionale, l'Avvocatura rileva che  esso
e' previsto  non  solo  per  le  ipotesi  di  riduzione  del  periodo
venatorio, ma anche per le diverse ipotesi di cui all'art.  2,  comma
12,  e  all'art.  5,  comma  1,  della  legge   regionale   impugnata
(anticipazione dell'apertura della caccia ed esercizio  della  caccia
alla fauna  migratoria),  assumendo  sul  punto  rilievo  l'ulteriore
circostanza che la corrispondente norma statale (art.18, commi 2 e 6,
della legge n.  157  del  1992)  prevede  il  parere  dell'ISPRA  per
qualsiasi provvedimento di modifica del calendario venatorio. 
    Anche la censura relativa al contrasto tra  l'art.  5,  comma  1,
lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007, e  l'art.  3,  comma  2,  della
legge regionale n. 39 del 2010 sarebbe, a parere della  difesa  dello
Stato, fondata in quanto l'indicato art. 5,  diversamente  da  quanto
sostenuto dalla Regione resistente, sarebbe ancora in vigore, poiche'
la norma abrogativa sarebbe stata annullata dal Tar del Lazio con  la
sentenza 25 maggio 2009, n. 5239, passata in giudicato. 
    Infine, la censura afferente all'art. 3,  comma  3,  della  legge
regionale n. 39 del 2010, sarebbe fondata per i motivi gia'  indicati
nel ricorso. 
    3.1. - Anche la Regione Abruzzo  ha  depositato  memoria  con  la
quale ha sostanzialmente ribadito  le  argomentazioni  contenute  nel
proprio atto di costituzione. 
    4. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione  Abruzzo  e
lo Stato hanno presentato altre memorie. 
    La  Regione  ha  insistito  perche'  il  ricorso  sia  dichiarato
«inammissibile, improcedibile e comunque infondato»,  osservando  che
non sarebbe  piu'  assistito  da  interesse,  posto  che  l'efficacia
temporale delle norme impugnate e' esaurita  con  la  chiusura  della
stagione di caccia. 
    Nel merito la Regione ha ribadito la legittimita' dell'impiego di
leggi- provvedimento regionali e ha aggiunto che nel caso  di  specie
la legge impugnata ha garantito l'osservanza  di  «tutti  i  passaggi
procedurali» richiesti dalla normativa statale, e in  particolare  di
quello relativo all'acquisizione del parere dell'ISPRA. Ne', ai sensi
dell'art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove  norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti  amministrativi),  l'adozione  di  un  atto  amministrativo
generale, in  luogo  della  legge,  avrebbe  imposto  un  obbligo  di
motivazione. 
    In ogni  caso  si  dovrebbe  escludere  la  compromissione  delle
esigenze di tutela ambientale,  posto  che,  rispetto  agli  standard
nazionali,  le  norme  impugnate  soddisferebbero  maggiormente  tali
esigenze. 
    A sua volta lo Stato ha depositato una seconda memoria,  con  cui
ha nuovamente sostenuto la fondatezza delle questioni proposte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5,
comma 1, della legge della Regione Abruzzo  10  agosto  2010,  n.  39
(Norme per la definizione del calendario venatorio regionale  per  la
stagione venatoria 2010/2011), in relazione  all'art.  117,  primo  e
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    La legge  impugnata  contiene  plurime  disposizioni  concernenti
l'esercizio della caccia sul territorio regionale, relative,  ma  non
esclusivamente, alla stagione venatoria  2010-2011:  tra  queste,  lo
Stato ha censurato integralmente gli artt. 1 e 2, con  cui  e'  stato
approvato il calendario venatorio annuale; l'art. 3, commi 2 e 3, con
cui si sono adottate norme aventi ad  oggetto  l'attivita'  venatoria
nelle zone  di  protezione  speciale,  prescrivendone  il  calendario
(comma 2), e specificando in linea generale le attivita' che vi  sono
vietate (comma 3); l'art. 5, comma 1,  relativo  all'esercizio  della
caccia alla fauna migratoria. 
    Il ricorrente ritiene in primo luogo che tali disposizioni ledano
la propria competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente  e
dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost., di cui sarebbe espressione,  in  particolar  modo,  l'art.  18
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo  venatorio);  in  secondo
luogo, che esse contrastino con la normativa  dell'Unione  europea  e
siano percio' in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    2. - La Regione Abruzzo ha eccepito la  sopravvenuta  carenza  di
interesse a coltivare il ricorso, poiche' le  norme  impugnate  hanno
avuto applicazione nel corso della stagione venatoria 2010-2011,  che
si e' oramai conclusa. 
    L'eccezione non ha  fondamento:  questa  Corte  ha  costantemente
affermato che la cessazione della materia del contendere nei  ricorsi
in via principale puo' conseguire alla mancata produzione di  effetti
delle disposizioni impugnate, e non certo al  caso  opposto,  in  cui
esse hanno invece trovato applicazione, consolidando in tal  modo  la
lesione denunciata. In particolare, tale principio ha gia' avuto modo
di essere formulato in una vicenda del tutto  analoga  alla  presente
(sentenza n. 405 del 2008). 
    3. - Le questioni  poste  con  riferimento  all'art.  117,  primo
comma, Cost. sono inammissibili, posto che il ricorrente  non  le  ha
corredate di motivazione, ne' ha indicato  la  normativa  dell'Unione
che sarebbe stata violata dal legislatore regionale. 
    4.- Quanto  all'altro  parametro  invocato  dal  ricorrente  deve
considerarsi, con riferimento agli artt. 1 e 2 della legge impugnata,
che tali disposizioni  censurate  approvano  in  via  legislativa  il
calendario venatorio per la stagione 2010-2011, indicando sia le date
e gli orari entro cui la caccia e' consentita (art. 1), sia le specie
cacciabili, con riferimento, per ciascuna di esse, al peculiare  arco
temporale aperto all'attivita' venatoria (art. 2). 
    Il ricorrente contesta non gia' il contenuto di tali norme, ma la
fonte con cui esse sono state introdotte nell'ordinamento:  a  parere
dell'Avvocatura,  non  sarebbe  permesso  al  legislatore   regionale
sostituirsi  all'amministrazione  della  Regione  nel  compimento  di
un'attivita' di regolamentazione che l'art. 18, commi 2  e  4,  della
legge n. 157 del 1992 riserverebbe alla sfera amministrativa. 
    In particolare, l'art. 18, comma 4,  della  legge  appena  citata
stabilisce che «le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna
selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il  calendario
regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria,  nel
rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e  con  l'indicazione
del numero massimo di capi  da  abbattere  in  ciascuna  giornata  di
attivita' venatoria». 
    Secondo  il  ricorrente,  verrebbe  in  tal   modo   esplicitato,
nell'ambito di una sfera di competenza dello Stato, che il calendario
venatorio  debba  essere  contenuto  in   un   atto   avente   natura
amministrativa, anziche' legislativa. 
    5. - La questione e' fondata. 
    5.1. - Questa Corte ha avuto occasione piu'  volte  di  giudicare
norme di legge regionali, analoghe a quelle oggi impugnate,  con  cui
e' stato approvato il calendario venatorio. 
    Si  tratta  di  tipiche   leggi-provvedimento,   in   quanto   le
disposizioni  che  esse  contengono  sono  prive  di  astrattezza   e
generalita',  e  sono  destinate  ad  esaurire   i   propri   effetti
contingenti con lo spirare della stagione di caccia. Esse,  piuttosto
che a comporre interessi in conflitto  secondo  apprezzamenti  propri
della discrezionalita' legislativa,  tendono  a  tradurre  in  regole
dell'agire concreto, e  per  il  caso  di  specie,  un  complesso  di
valutazioni,  basate   su   elementi   di   carattere   squisitamente
tecnico-scientifico: cio', al fine di introdurre, in  relazione  alle
situazioni ambientali delle diverse realta'  territoriali  (art.  18,
comma 2, della legge n. 157 del 1992), un  elemento  circoscritto  di
flessibilita' all'interno  dell'altrimenti  rigido  quadro  normativo
nazionale. 
    L'intervento regionale  viene  infatti  consentito  espressamente
dalla legge dello Stato proprio  allo  scopo  di  modulare  l'impatto
delle previsioni generali recate dalla normativa statale, in tema  di
calendario venatorio e specie cacciabili, sulle specifiche condizioni
dell'habitat   locale,   alla   cui   verifica    ben    si    presta
un'amministrazione radicata sul territorio.  In  questa  prospettiva,
l'art. 18 della legge n. 157 del 1992, se da un lato predetermina gli
esemplari abbattibili, specie per  specie  e  nei  periodi  indicati,
dall'altro lato permette  alla  Regione  l'introduzione  di  limitate
deroghe ispirate a una simile finalita', e chiaramente  motivate  con
riguardo  a  profili  di  natura  scientifica:  ne  e'  conferma   la
previsione del parere dell'Istituto superiore per la protezione e  la
ricerca ambientale  (ISPRA),  richiesto  dall'art.  18,  comma  2,  e
dall'art. 18, comma 4, con specifico riferimento all'approvazione del
calendario venatorio. 
    In questo contesto si e' diffuso a livello regionale il  fenomeno
di attrarre alla forma della legge il provvedimento  richiesto  dalla
normativa dello Stato, ma e' solo con l'odierno ricorso  che  per  la
prima volta la legittimita' costituzionale di una simile scelta viene
presa in esame da questa Corte. 
    In linea generale, la Corte ha ritenuto, anche con riguardo  alla
sfera  di  competenza  delle  Regioni,  che   «nessuna   disposizione
costituzionale (...) comporta una riserva agli organi  amministrativi
o "esecutivi" degli atti a  contenuto  particolare  e  concreto»  (ex
plurimis, sentenza n. 143 del 1989; in precedenza, sentenza n. 20 del
1956), benche' abbia precisato  che  le  leggi-provvedimento  debbono
soggiacere «ad un rigoroso scrutinio di  legittimita'  costituzionale
per il pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni  di
tipo particolare e derogatorio» (ex plurimis,  sentenza  n.  202  del
1997). 
    Nel vigore della revisione della Parte  II  del  Titolo  V  della
Costituzione, si e' aggiunto che legittimamente la legge dello Stato,
nell'esercizio  di  una  competenza  che  le  e'  riservata  in   via
esclusiva, puo' vietare  che  la  funzione  amministrativa  regionale
venga esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010, n.  271
e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008). 
    In tale area riservata di  competenza,  per  quanto  la  funzione
amministrativa debba essere allocata al livello di  governo  reputato
idoneo ai sensi dell'art. 118 Cost., il compito  sia  di  individuare
questo livello, sia di disciplinare forma e contenuto della funzione,
non puo' che spettare al legislatore  statale  (sentenza  n.  43  del
2004). 
    Nel caso di specie, e'  pacifico  che  la  selezione,  sia  delle
specie cacciabili, sia dei periodi  aperti  all'attivita'  venatoria,
implichi l'incisione di profili propri della tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato
(ex plurimis, sentenze n. 191 del 2011, n. 226 del 2003 e n. 536  del
2002): il legislatore nazionale ha percio' titolo  per  imporre  alle
Regioni di provvedere nella forma dell'atto amministrativo,  anziche'
in quella della legge. 
    Va ora aggiunto che, osservando gli ordinari criteri ermeneutici,
spetta all'interprete, e a questa Corte in primo luogo, stabilire  se
una siffatta restrizione, giustificata alla luce della  natura  degli
interessi in gioco, possa essere desunta dall'impianto  logico  della
normativa statale, anche  in  difetto  di  una  disposizione  che  la
preveda univocamente. 
    5.2. - Cio' premesso, la questione si risolve decidendo se l'art.
18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui  prevede
che sia  approvato  dalla  Regione  «il  calendario  regionale  e  il
regolamento relativi all'intera annata venatoria», intenda  con  cio'
prescriverne  la  forma  di  atto  amministrativo,  come   suggerisce
l'espressione  letterale  cui  il  legislatore  statale   ha   voluto
ricorrere. 
    La risposta a un simile quesito deve essere affermativa. 
    In via generale, si  e'  gia'  osservato  che  il  passaggio  dal
provvedere in via amministrativa alla forma di legge e' piu'  consono
alle ipotesi in cui la funzione  amministrativa  impatta  su  assetti
della vita associata, per i quali  viene  avvertita  una  particolare
esigenza di protezione di interessi primari «a fini di maggior tutela
e garanzia dei diritti» (sentenza n. 143 del  1989);  viceversa,  nei
casi in cui la legislazione  statale,  nelle  materie  di  competenza
esclusiva,  conformi  l'attivita'  amministrativa  all'osservanza  di
criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della  fattispecie  verso
una  fonte  primaria   regionale   fa   emergere   un   sospetto   di
illegittimita'. 
    La scelta che si provveda con atto  amministrativo  non  solo  e'
l'unica coerente in tale ordine di idee con  il  peculiare  contenuto
che nel caso di specie l'atto andra'  ad  assumere,  e  si  inserisce
dunque armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992,  ma  si
riconnette altresi' ad un regime  di  flessibilita'  certamente  piu'
marcato che nell'ipotesi in cui il contenuto  del  provvedimento  sia
cristallizzato nella forma della legge. 
    Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto e'  infatti
il solo idoneo a prevenire i danni che  potrebbero  conseguire  a  un
repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze  di  fatto  in
base alle quali  il  calendario  venatorio  e'  stato  approvato:  e'
sufficiente, a tale proposito, porre  mente  all'art.  19,  comma  1,
della legge n. 157 del 1992, che prevede il ricorso  da  parte  della
Regione a divieti imposti  da  «sopravvenute  particolari  condizioni
ambientali, stagionali o  climatiche  o  per  malattie  o  per  altre
calamita'». E' chiaro che quando, come nel caso in questione,  vi  e'
ragionevole motivo di supporre che l'attivita' amministrativa non  si
esaurisca in un unico atto, ma possa e debba  tornare  a  svilupparsi
con necessaria celerita' per esigenze  sopravvenute,  le  forme  e  i
tempi del procedimento legislativo possono  costituire  un  aggravio,
persino tale in casi estremi da vanificare gli  obiettivi  di  pronta
regolazione  dei  casi  di  urgenza  (con  riferimento   alla   legge
impugnata, ad  esempio,  basti  rilevare  che  l'art.  1,  comma  10,
consente  all'amministrazione  regionale  soltanto  di  "ridurre"  la
caccia nei casi considerati,  e  non  di  vietarla,  come  invece  e'
prescritto, in via alternativa alla riduzione,  dal  citato  art.  19
della legge statale). 
    L'intervento in questione forma poi  oggetto  di  un  obbligo  da
parte della Repubblica nei confronti dell'Unione, la cui direttiva 30
novembre 2009, n. 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio concernente la conservazione degli uccelli  selvatici),  si
prefigge di tutelare la fauna, assoggettando, tra l'altro, il  regime
derogatorio rispetto alle previsioni generali a stringenti  requisiti
(art. 9), e questa Corte, a tal proposito,  ha  gia'  avuto  modo  di
affermare che le deroghe non possono venire introdotte dalla  Regione
con legge-provvedimento, poiche' verrebbe  vanificato  il  potere  di
annullamento assegnato dall'art. 19-bis della legge n. 157  del  1992
al Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del 2008). 
    Bisogna  ora  precisare  che  non  e'  solo  lo  speciale  regime
derogatorio, ma l'intero corpo provvedimentale  su  cui  esso  opera,
quanto al calendario venatorio, che non tollera di venire  irrigidito
nella forma della legge, tenuto anche conto che tra regole  ordinarie
e  deroghe  eccezionali  deve  in   linea   di   massima   sussistere
un'identita' formale, che permetta alle seconde di agire sulle prime,
fermo il potere di annullamento preservato in capo allo Stato. 
    Vi sono infatti casi, indicati dall'art. 9, comma 1, lettera  a),
della direttiva n. 2009/147/CE, attuato dall'art. 19-bis della  legge
n.  157  del  1992,  in  cui  l'allargamento  dei  limiti  entro  cui
ordinariamente e' consentita la caccia, se per un verso e'  tollerato
dal diritto dell'Unione, per altro verso si  impone,  allo  scopo  di
preservare significativi interessi  ambientali  di  segno  contrario,
ovvero di altra natura, come, tra quelli selezionati dalla direttiva,
la salute, la sicurezza pubblica, la sicurezza aerea. 
    In tali casi,  la  deroga  necessita  di  venire  introdotta  con
efficacia immediata, sicche' angusto, e potenzialmente insufficiente,
e' lo spazio temporale aperto al legislatore regionale per  rimuovere
eventuali    ostacoli    in    tal    senso     provenienti     dalla
legge-provvedimento. 
    Infine, e' ben noto che  il  passaggio  dall'atto  amministrativo
alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale,
tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale. 
    Non che questa Corte sia  sprovvista  dei  mezzi  per  sospendere
l'esecuzione di una legge ritualmente  impugnata  in  via  principale
(art. 35 della legge  11  marzo  1953,  n.  87);  tuttavia,  cio'  si
verifica a condizione che  il  Governo  abbia  promosso  la  relativa
questione di legittimita' costituzionale.  Si  e'  gia'  sottolineato
(sentenza n. 271 del 2008) che il legislatore statale puo'  preferire
lo strumento del ricorso giurisdizionale innanzi al giudice comune, e
cio' in ragione sia della disponibilita' del  ricorso  in  capo  alle
parti private legittimate, sia dei tempi  con  cui  il  giudice  puo'
assicurare una pronta risposta di giustizia, sia della latitudine dei
poteri  cautelari  di  cui  esso  dispone,  sia   dell'ampiezza   del
contraddittorio che si puo' realizzare con i soggetti  aventi  titolo
per intervenire, estranei invece, in linea di principio, al  giudizio
costituzionale sul riparto delle competenze legislative. 
    Inoltre, ove parte del giudizio sia l'amministrazione, il giudice
comune ben puo' inserire  le  proprie  misure  cautelari  nel  flusso
dell'attivita' di quest'ultima, prescrivendo che essa sia prontamente
riesercitata  secondo  i  criteri  che  di  volta  in  volta  vengono
somministrati, affinche', in  luogo  del  vuoto  di  normazione,  che
conseguirebbe alla mera  sospensione  della  legge-provvedimento,  si
realizzi celermente una determinazione del calendario  della  caccia,
compatibile con i tempi  imposti  dall'incalzare  delle  stagioni,  e
avente natura definitiva. 
    Non a caso l'art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992  esige
che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni
anno: in  tal  modo,  si  suppone  che,  esperiti  eventuali  ricorsi
giurisdizionali  comuni,  esso  sia  adeguatamente  e  legittimamente
disponibile  per  l'inizio  della  caccia,   ovvero   per   settembre
inoltrato. 
    Una simile tempistica e' pienamente compatibile  con  l'attivita'
regionale, solo se la Regione adotta atti  che  non  solamente  siano
immediatamente aggredibili innanzi al giudice comune, ma che  possano
direttamente da quest'ultimo essere conformati in via cautelare  alle
esigenze del caso concreto, entro un termine estremamente contenuto. 
    Ne' si traggono  argomenti  contrari,  come  vorrebbe  la  difesa
regionale, dal decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri  21
marzo 1997 (Modificazione dell'elenco delle specie cacciabili di  cui
all'art. 18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157), nella parte
in cui esso prevede che le Regioni vi si adeguino con  i  «rispettivi
atti legislativi e amministrativi»: a parte il fatto che si tratta di
norma secondaria, inidonea ad alterare  le  scelte  del  legislatore,
resta da dire che il rinvio  cosi'  disposto  ha  il  solo  scopo  di
richiamare la fonte regionale che risulta competente sulla  base  del
quadro legislativo vigente. 
    5.3. - Alla luce di tutti questi argomenti, appare  evidente  che
il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del  calendario
venatorio  e   contestualmente   del   "regolamento"   sull'attivita'
venatoria  e  imponendo  l'acquisizione   obbligatoria   del   parere
dell'ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica  del  provvedere,
abbia inteso realizzare un procedimento  amministrativo,  al  termine
del  quale  la  Regione  e'  tenuta  a  provvedere  nella  forma  che
naturalmente ne  consegue,  con  divieto  di  impiegare,  invece,  la
legge-provvedimento. 
    Pertanto, gli artt. 1 e 2 della legge  impugnata  debbono  essere
dichiarati   costituzionalmente   illegittimi,    con    assorbimento
dell'autonoma censura di illegittimita' costituzionale sviluppata  in
riferimento all'art. 2, commi 10 e 12, per  avere  tali  disposizioni
previsto l'acquisizione del parere di  un  ente  regionale,  anziche'
dell'ISPRA. 
    6. - L'art. 5, comma 1, della  legge  impugnata  e'  censurato  a
propria volta per avere introdotto, in  tema  di  caccia  alla  fauna
migratoria, il parere di un ente regionale, ovvero  dell'Osservatorio
faunistico regionale, in luogo di quello dell'ISPRA  richiesto  dalla
normativa nazionale, in  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    E' tuttavia incontroverso che l'Osservatorio, la cui  istituzione
e' prevista dall'art. 5 della legge della Regione Abruzzo 28  gennaio
2004,  n.  10  (Normativa  organica  per  l'esercizio  dell'attivita'
venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la  tutela
dell'ambiente), non sia ancora entrato in  attivita',  con  l'effetto
che la norma impugnata non ha potuto trovare applicazione, ne' potra'
averne  in  futuro,  giacche'  essa  ha  un'efficacia  limitata  alla
stagione venatoria ormai conclusa. 
    Pertanto, non residua alcun interesse  all'esame  della  censura,
rispetto alla quale va dichiarata la  cessazione  della  materia  del
contendere (ex plurimis, ordinanza n. 126 del 2010). 
    7. - L'art. 3, comma  2,  della  legge  impugnata  limita  a  due
giornate alla settimana la caccia nelle zone di  protezione  speciale
indicate dal precedente comma 1, e il  ricorrente  ritiene  che  tale
disposizione debba leggersi unitamente all'art.  1,  comma  2,  della
medesima legge, secondo cui l'attivita' venatoria si  esercita  anche
«con l'ausilio del cane». Viceversa, l'art. 5, comma 1,  lettera  a),
del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per
la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di
Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), nel regolare
il corrispondente divieto che le Regioni sono  tenute  ad  introdurre
nelle zone di protezione  speciale,  non  menziona  espressamente  la
facolta' di usare il segugio, e con cio', secondo il  ricorrente,  la
esclude. 
    Come ha rilevato la Regione, la norma statale  sopra  richiamata,
che  il  ricorrente  ritiene   ispirata   a   finalita'   di   tutela
dell'ambiente,  di  competenza  dello  Stato,  e'   stata   soppressa
dall'art. 1 del decreto ministeriale 22 gennaio  2009  (Modifica  del
decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la
definizione di misure di conservazione relative a  Zone  Speciali  di
Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale,  ZPS),  ma  questa
disposizione,  meramente  abrogatrice,  e'  stata  a  propria   volta
annullata  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  con
sentenza definitiva  n.  5239  del  2009,  con  cui  si  e'  ritenuto
illegittimo il vuoto di tutela che ne sarebbe derivato. 
    Non vi e' dubbio, pertanto, che allo stato  l'art.  5,  comma  1,
lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007 sia in vigore. 
    Cio' premesso, il perno del ragionamento del ricorrente si  fonda
sulle  capacita'  integratrici,  rispetto   alla   norma   impugnata,
dell'art. 1, comma 2, il quale ultimo, tuttavia, e' stato  dichiarato
incostituzionale per le ragioni sopra esposte. 
    A seguito di tale pronuncia,  il  testo  dell'art.  3,  comma  2,
impugnato non  e'  piu'  suscettibile  di  essere  integrato  con  la
previsione concernente l'impiego del cane da  caccia  nelle  zone  di
protezione  speciale,  e  viene  interamente  a  coincidere  con   la
disposizione evocata dal ricorrente: e' cosi' venuto meno l'interesse
dello Stato a coltivare la censura. 
    Deve  conseguentemente  dichiararsi  cessata   la   materia   del
contendere, limitatamente a questa questione. 
    8. - L'art. 3, comma 3, della legge impugnata indica le attivita'
venatorie vietate all'interno delle zone di protezione speciale.  Tra
di esse non e' menzionato il divieto di  effettuare  la  «preapertura
dell'attivita' venatoria, con l'eccezione della caccia  di  selezione
agli ungulati», che l'art. 5,  comma  1,  lettera  b),  del  d.m.  17
ottobre 2007 impone alle Regioni di recepire con l'atto che adotta le
misure di conservazione per le ZPS, di cui all'art. 3, comma  1,  del
medesimo decreto  ministeriale.  Incorrendo  in  tale  omissione,  la
Regione avrebbe violato l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    In attesa che le Regioni provvedano ad assumere  l'atto  previsto
con riferimento alle zone di protezione speciale, e' da ritenere  che
i divieti stabiliti dal d.m. 17  ottobre  2007  siano  immediatamente
efficaci, e vadano a integrare le previsioni regionali che  ne  siano
parzialmente  prive.  Il  silenzio  del  legislatore  regionale   non
equivale, pertanto, ad escludere il divieto, che opera  in  forza  di
quanto stabilito dalla normativa dello Stato.