Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito del provvedimento del Ministro della giustizia del 14
luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011,  con  il  quale  e'
stato disposto di non dare esecuzione all'ordinanza n.  3031,  del  9
maggio 2011, del Magistrato di sorveglianza di Roma,  promosso  dallo
stesso Magistrato di sorveglianza di Roma con ricorso  depositato  in
cancelleria il 14 novembre 2011, ed iscritto al n.  12  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Roma,  con  ricorso
depositato il 14 novembre 2011, ha promosso conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato nei confronti del «Governo  della  Repubblica,
nelle persone  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  del
Ministro della giustizia», al fine di  sentir  dichiarare  che  -  ai
sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113  della  Costituzione  -  non
spetta al Ministro della giustizia ne' ad  altro  organo  di  Governo
disporre che non  venga  data  esecuzione  ad  un  provvedimento  del
Magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli articoli 14-ter, 35
e 69 della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della  liberta'),  con  il  quale  sia  stato  dichiarato,   in   via
definitiva, che  un  determinato  comportamento  dell'Amministrazione
penitenziaria e' lesivo di un diritto del detenuto reclamante; 
        che il ricorrente premette in fatto come,  con  provvedimento
del 29 ottobre 2010, il competente Direttore generale  del  Ministero
della giustizia avesse disposto  che  fosse  preclusa,  per  tutti  i
detenuti  sottoposti   a   regime   di   sospensione   delle   regole
trattamentali (art. 41-bis ord. pen.), nella  Casa  circondariale  di
Roma, Rebibbia Nuovo Complesso, la ricezione dei programmi televisivi
irradiati sui canali «Rai Sport» e «Rai Storia»; 
        che uno dei detenuti  interessati  aveva  proposto,  a  norma
degli artt. 35 e 69 ord. pen., un reclamo innanzi  al  Magistrato  di
sorveglianza, sul presupposto che  l'indicato  provvedimento  avrebbe
leso il suo diritto soggettivo all'informazione; 
        che il Magistrato investito del reclamo, dopo  aver  condotto
il procedimento regolato dall'art. 14-ter ord. pen., aveva provveduto
con ordinanza del 9 maggio 2011, stabilendo che  l'oscuramento  delle
emissioni di «Rai Sport» e di «Rai Storia» aveva effettivamente  leso
un diritto soggettivo del detenuto, ed annullando di  conseguenza  il
provvedimento dell'Amministrazione  penitenziaria,  con  l'ordine  di
ripristinare la  possibilita'  per  il  reclamante  di  assistere  ai
programmi trasmessi sui canali indicati; 
        che, in particolare,  il  Magistrato  di  sorveglianza  aveva
affermato sussistere uno specifico diritto soggettivo dei detenuti ad
essere informati, promanante dall'art.  21  Cost.  ed  esplicitamente
tutelato dagli artt. 18 e 18-ter ord. pen.; 
        che l'esercizio di tale diritto, per i detenuti sottoposti  a
regime di sospensione delle  regole  trattamentali,  potrebbe  essere
oggetto di particolari limitazioni solo  in  applicazione  del  comma
2-quater, lettera a), dell'art. 41-bis ord. pen., cioe' allo scopo di
prevenire  contatti  tra  gli  stessi  detenuti  ed  i  membri  delle
organizzazioni criminali di riferimento; 
        che il giudice del reclamo, nel caso  di  specie,  non  aveva
riscontrato alcun nesso  tra  l'esigenza  di  precludere  l'invio  di
messaggi ai detenuti in  regime  speciale  e  l'oscuramento  dei  due
canali,  anche  avuto  riguardo,  per  un  verso,  alla  concomitante
accessibilita' dei programmi irradiati da tutte  le  principali  reti
televisive del Paese e, per  altro  verso,  all'inibizione  (gia'  da
tempo disposta) del segnale di una ulteriore  emittente,  in  effetti
adusa alla riproduzione in video del testo di  messaggi  inviati  dai
telespettatori; 
        che l'ordinanza  del  Magistrato  di  sorveglianza  -  sempre
secondo  il   ricorrente   -   era   stata   ritualmente   comunicata
all'Amministrazione penitenziaria, la quale non aveva proposto la pur
consentita impugnazione; 
        che la stessa Amministrazione, per altro, non aveva proceduto
alla riattivazione del segnale di «Rai  Storia»  e  di  «Rai  Sport»,
tanto che il detenuto interessato, in  data  1°  luglio  2011,  aveva
proposto un ulteriore reclamo al fine di ottenere l'accesso effettivo
alle relative trasmissioni; 
        che la conseguente istruttoria, secondo quanto  riferito  dal
ricorrente, ha posto in luce come il  Ministro  della  giustizia,  su
proposta   del    Capo    del    dipartimento    dell'Amministrazione
penitenziaria, abbia disposto con decreto del 14 luglio 2011 la  «non
esecuzione» del provvedimento giudiziale adottato in esito  al  primo
reclamo; 
        che  l'opzione  compiuta  dall'Autorita'  amministrativa,   a
parere del Magistrato ricorrente, priva di effettivita' la tutela del
diritto  soggettivo  leso  con  l'oscuramento  dei  citati  programmi
televisivi; 
        che sarebbe  dunque  necessario  venga  dichiarato  come  non
spetti al Ministro della giustizia ne' ad alcun  organo  del  Governo
stabilire se debba, o non, essere data esecuzione ad un provvedimento
assunto dal Magistrato di sorveglianza quale giudice della tutela dei
diritti soggettivi dei detenuti; 
        che il ricorrente osserva, in  punto  di  ammissibilita'  del
conflitto, come non  manchi  la  legittimazione  attiva  del  proprio
Ufficio, ne' difetti la legittimazione  passiva  del  Ministro  della
giustizia, o comunque del Presidente del Consiglio dei ministri; 
        che viene richiamata, nella prima  prospettiva,  la  costante
giurisprudenza costituzionale che  ammette  la  legittimazione  degli
organi giurisdizionali,  in  quanto  deputati  a  dichiarare  in  via
definitiva la volonta' del potere cui appartengono; 
        che non mancano precedenti,  per  altro  verso,  quanto  alla
legittimazione  individuale  del  Ministro  della  giustizia,   avuto
riguardo al disposto dell'art. 110  Cost.  ed  anche  in  rapporto  a
conflitti specificamente concernenti la Magistratura di  sorveglianza
(e'  citata,  a  tale  ultimo  proposito,  l'ordinanza  della   Corte
costituzionale n. 183 del 1993; sono citate inoltre le ordinanze  nn.
184 del 1992 e 112 del 2003); 
        che il ricorrente comunque, per il caso «si dovesse  ritenere
il Ministro della giustizia sfornito della legittimazione  passiva  a
resistere nel conflitto», chiede  «di  considerare  come  legittimato
passivo il Presidente del Consiglio dei  ministri»,  sul  presupposto
che spetti a quest'ultimo la rappresentanza del potere di governo ove
si faccia questione di atti assunti da  singoli  ministri,  privi  di
autonoma  legittimazione  (sono  citate  le  ordinanze  della   Corte
costituzionale nn. 216 del 1995, 521 del 2000 e 61 del 2008); 
        che, sul piano obiettivo, il conflitto avrebbe ad oggetto una
lesione  per  menomazione   delle   attribuzioni   costituzionalmente
riconosciute al potere giudiziario,  avuto  riguardo  in  particolare
alla magistratura di sorveglianza quale titolare della  giurisdizione
in materia di diritti dei detenuti e di eventuali loro violazioni  ad
opera dell'Amministrazione penitenziaria; 
        che  la   rilevanza   costituzionale   dell'attribuzione   e'
dimostrata, secondo il ricorrente, dal fatto che  la  stessa  non  si
desume  da  norme  espresse,  essendo  piuttosto  il  frutto  di  una
«necessita'»  stabilita  dalla  Corte   costituzionale,   sul   piano
generale, con la  sentenza  n.  26  del  1999,  e  poi  concretamente
assicurata, mediante il procedimento per reclamo, in seguito  ad  una
decisione delle  sezioni  unite  penali  della  Corte  di  cassazione
(sentenza n. 25079 del 2003) e  ad  una  successiva  pronuncia  della
stessa Corte costituzionale (sentenza n. 266 del 2009); 
        che   l'indicata   attribuzione   (conferita,   secondo    la
giurisprudenza richiamata, dagli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost.)  sarebbe
pregiudicata  dal  provvedimento  ministeriale  di  «non  esecuzione»
dell'ordinanza del Magistrato  di  sorveglianza  di  Roma,  che  pure
espressamente enuncia la lesione di un diritto soggettivo in capo  al
detenuto reclamante; 
        che  la  tutela  giurisdizionale  dei  diritti  dei  reclusi,
costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettivita', ove  si
riconoscesse  all'Amministrazione   la   possibilita'   di   decidere
discrezionalmente se dare  esecuzione  o  non  ai  provvedimenti  del
magistrato, e che dunque il provvedimento impugnato,  implicando  una
omissione tale da menomare le attribuzioni del  potere  confliggente,
dovrebbe essere annullato  (sono  citate  le  ordinanze  della  Corte
costituzionale nn. 228 e 229 del 1975, n. 354 del 2005, e la sentenza
n. 132 del 1993); 
        che nel merito, sviluppando  argomenti  gia'  illustrati,  il
ricorrente  afferma  che  l'impugnato  decreto  del  Ministro   della
giustizia sarebbe stato adottato in violazione degli artt. 2, 3, 24 e
113 Cost., tanto da determinare in via di fatto, dal punto  di  vista
della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, una situazione
equivalente a quella che aveva preceduto  la  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 26 del 1999; 
        che  la  stessa  Corte  costituzionale,  ancora  di  recente,
avrebbe negato la possibilita'  di  degradare  il  provvedimento  del
magistrato di sorveglianza (assunto in applicazione degli artt. 69  e
14-ter   ord.   pen.)   a   mera   sollecitazione    rivolta    verso
l'Amministrazione penitenziaria, accreditando una interpretazione del
comma 5  dell'art.  69  ord.  pen.  nel  senso  che  i  provvedimenti
giudiziali debbono essere eseguiti dall'Autorita'  penitenziaria  (e'
citata la sentenza n. 266 del 2009); 
        che non sarebbero accettabili ne'  rilevanti  le  motivazioni
allegate dall'Amministrazione nell'ambito  del  giudizio  principale,
secondo cui anche il diritto all'informazione sarebbe suscettibile di
compressione per i detenuti sottoposti al regime  regolato  dall'art.
41-bis ord. pen., e d'altra parte,  nella  concreta  fattispecie,  vi
sarebbero difficolta' tecniche per l'esecuzione del provvedimento del
Magistrato  di  sorveglianza,  che  implicherebbe  la  rimozione   di
qualunque  filtro  per  le  trasmissioni  televisive,  con   riguardo
all'intera popolazione carceraria; 
        che infatti - osserva il ricorrente - gli argomenti in  punto
di legittimita' del decreto di oscuramento  del  segnale  erano  gia'
stati valutati e  respinti  nell'ambito  del  primo  procedimento  di
reclamo, con  provvedimento  non  impugnato  dall'Amministrazione,  e
comunque non era emersa alcuna prova della trasmissione  di  messaggi
degli spettatori da parte di «Rai Storia» e  «Rai  Sport»  (essendone
emerse semmai con riguardo a trasmissioni di «Rai Due», mai  filtrate
dall'Amministrazione); 
        che, per altro verso, le  pretese  difficolta'  tecniche  per
l'osservanza  del  provvedimento  giudiziale  sarebbero  inesistenti,
posto che  la  visione  selettiva  delle  emittenti  de  quibus  (con
esclusione di altre) era regolarmente assicurata prima dell'ordine di
inibizione impugnato dal reclamante; 
        che l'esecuzione del  provvedimento  giudiziale  non  sarebbe
subordinabile alla limitazione dei relativi  effetti  in  favore  del
solo reclamante, ed anzi dovrebbe indurre la stessa Amministrazione a
rimuovere una illegittima compressione dei diritti  anche  in  favore
dei detenuti non reclamanti; 
        che  il  decreto  impugnato,  in  definitiva,  sarebbe  stato
assunto al solo scopo di disconoscere  l'obbligo  di  esecuzione  dei
provvedimenti giurisdizionali a tutela  dei  diritti  soggettivi  dei
detenuti, e dovrebbe conseguentemente essere annullato. 
    Considerato  che  in  questa   fase   del   giudizio,   a   norma
dell'articolo 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, questa Corte e' chiamata a deliberare, senza contraddittorio,  in
ordine alla esistenza o meno della «materia di un  conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni
ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilita'; 
        che,  nel  caso  di  specie,  sussistono  sia  il   requisito
soggettivo sia quello oggettivo del conflitto; 
        che infatti, nella prima prospettiva,  il  ricorrente  appare
legittimato  in  quanto  organo  giurisdizionale  in   posizione   di
indipendenza costituzionalmente garantita,  competente  a  dichiarare
definitivamente, per il  procedimento  del  quale  e'  investito,  la
volonta' del potere cui appartiene (sentenza n. 383 del 1993); 
        che non e' dubbia, in particolare, la natura  giurisdizionale
della funzione assolta dal  magistrato  di  sorveglianza  nell'ambito
della procedura di reclamo attualmente  regolata  dagli  artt.  69  e
14-ter della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), relativamente alla  denunciata  lesione  di  diritti
soggettivi dei detenuti (da ultimo, sentenza n. 190 del 2010); 
        che  parimenti  sussiste,  nella  specie,  la  legittimazione
passiva del Ministro della giustizia,  in  forza  delle  attribuzioni
direttamente  conferitegli  dall'art.  110  Cost.   in   materia   di
organizzazione e funzionamento dei servizi relativi  alla  giustizia,
tra i quali sono compresi i servizi pertinenti  all'esecuzione  delle
misure e delle pene detentive (tra le  altre,  sentenza  n.  383  del
1993); 
        che,   proprio   in   rapporto   all'indicata    e    diretta
legittimazione  del  Ministro   della   giustizia,   deve   ritenersi
insussistente la legittimazione, prospettata in via di subordine, del
Presidente del Consiglio  dei  ministri,  quale  organo  deputato  ad
esprimere  la  volonta'   dell'intero   Governo,   relativamente   ad
attribuzioni non altrimenti assegnate in via esclusiva  (sentenza  n.
379 del 1992); 
        che, quanto al profilo oggettivo,  sussiste  la  materia  del
conflitto, dal momento che il ricorrente  lamenta  la  lesione  della
propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita  da  parte
dell'impugnato provvedimento del Ministro della giustizia.