Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 154,  comma  1,
del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale),  limitatamente  alle  parole   «dell'adeguatezza   della
remunerazione  del  capitale  investito»,  promosso   con   ordinanza
depositata il 24 maggio  2011  dal  Giudice  di  pace  di  Anzio  nel
giudizio vertente tra Patrizia De Annuntiis e la  s.p.a  Acqualatina,
iscritta al n. 196 del registro ordinanze  2011  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Visti l'atto di costituzione di Patrizia De Annuntiis e l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012  il  Giudice
relatore Franco Gallo. 
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio nel quale una  utente  del
servizio idrico integrato aveva richiesto  alla  s.p.a.  Acqualatina,
gestore di tale servizio, la ripetizione delle somme pagate a  titolo
di canone di utenza, perche'  questo  era  stato  fissato  in  misura
«esagerata e sproporzionata comunque al valore di  mercato  del  bene
fornito», il Giudice di pace di Anzio, con ordinanza depositata il 24
maggio 2011, ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in  materia  ambientale),  limitatamente  alla  parte  in  cui
stabilisce  che  la  tariffa  del  servizio   idrico   integrato   va
determinata tenendo conto anche «dell'adeguatezza della remunerazione
del capitale investito»; 
    che il rimettente premette che:  a)  la  s.p.a.  Acqualatina  era
stata prescelta dall'Autorita' di ambito territoriale ottimale  (ATO)
n. 4, «Lazio Meridionale Latina», quale gestore del  locale  servizio
idrico integrato; b) tale gestore e' una societa' mista a  prevalente
capitale pubblico (detenuto, per il 51%, dai 38 Comuni dell'ATO n.  4
e, per il 49%, dal gruppo multinazionale  Veolia  Environnement,  con
sede a Parigi, «n. 1 al mondo nei servizi idrici»); c)  il  contratto
di  gestione  con  la  suddetta  s.p.a.  non  prevede  alcun  rischio
d'impresa per il partner privato,  in  quanto  le  eventuali  perdite
gravano «esclusivamente sul socio  pubblico»;  d)  la  parte  attrice
aveva  sollevato  «eccezioni  di  incostituzionalita'  della  vigente
normativa sull'acqua pubblica» e formulato «una richiesta  di  rinvio
alla Corte di Giustizia della UE per abuso di posizione dominante»; 
    che, poste tali  premesse,  il  giudice  a  quo  afferma  che  la
sollevata   questione   di   legittimita'   costituzionale   non   e'
manifestamente   infondata,   perche'   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 26 del 2011 ha dichiarato ammissibile la  richiesta
di referendum popolare abrogativo dell'art. 154, comma 1, del  d.lgs.
n.   152   del   2006,   proprio   con   riferimento   alle    parole
«dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito»; 
    che, quanto alla rilevanza, il giudice  rimettente  osserva  che,
per effetto dell'accoglimento  della  questione,  verrebbe  eliminata
dalla  tariffa  idrica  la  quota  relativa  alla  remunerazione  del
capitale investito e, pertanto, si ridurrebbe  l'entita'  dei  canoni
dei quali la parte attrice lamenta l'eccessiva «gravosita'»; 
    che,  nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale,   si   e'
costituita l'utente del servizio idrico integrato, parte attrice  nel
giudizio  principale,  ed  ha  chiesto  alla  Corte   di   provvedere
all'«abrogazione»  della   disposizione   oggetto   della   sollevata
questione, perche' tale disposizione, nell'addossare  sull'utente  di
un  bene  demaniale  quale  l'acqua  -  invece  che  sull'impresa   e
sull'imprenditore -, il costo del capitale investito, contrasta con i
principi fondamentali della Costituzione e con l'utilita' sociale  ed
arreca,  altresi',  danno  alla  sicurezza,  alla  liberta'  ed  alla
dignita'  umana,  in  violazione  del  comma  1   dell'art.   3   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
presente   giudizio   concludendo    per    la    dichiarazione    di
inammissibilita' o, in subordine, di infondatezza della questione; 
    che, in particolare,  quanto  all'eccepita  inammissibilita',  la
difesa dello Stato rileva che, nell'ordinanza di rimessione, non sono
indicati i parametri costituzionali che si assumono violati e  manca,
altresi', ogni motivazione circa la non manifesta infondatezza  della
questione; 
    che, quanto alla dedotta infondatezza, la medesima difesa osserva
che la  sopravvenienza,  nelle  more,  dell'abrogazione  referendaria
della normativa denunciata «non elimina la nozione  di  tariffa  come
corrispettivo, determinata in modo tale da  assicurare  la  copertura
integrale dei  costi  di  investimento  e  di  esercizio  secondo  il
principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi  inquina
paga",  considerato  che  coessenziale  alla  nozione  di   rilevanza
economica del servizio e' la copertura dei costi», in  quanto  l'art.
149 del  d.lgs.  n.  152  del  2006  richiede  comunque  l'equilibrio
economico finanziario della gestione del servizio  idrico,  cioe'  la
«piena copertura  da  parte  della  tariffa  dei  costi  dei  fattori
produttivi», con la conseguenza  che  «resta  ormai  escluso  che  il
carattere  remunerativo  della  tariffa  possa  essere  inteso  quale
elemento essenziale e caratterizzante della nozione,  di  derivazione
comunitaria  [...]  di  "rilevanza  economica"  del  servizio  idrico
integrato». 
    Considerato  che  il  Giudice  di  pace  di  Anzio  dubita  della
legittimita' costituzionale  dell'art.  154,  comma  1,  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
nella parte in cui stabilisce che  la  tariffa  del  servizio  idrico
integrato e' determinata tenendo conto anche «dell'adeguatezza  della
remunerazione del capitale investito»; 
    che  la  sollevata  questione  non  ha  perso  di  rilevanza   in
conseguenza   della   sopravvenuta   abrogazione   della    normativa
denunciata, a decorrere dal 21 luglio 2011, per effetto del d.P.R. 18
luglio 2011, n. 116 (Abrogazione parziale, a  seguito  di  referendum
popolare, del comma 1 dell'articolo 154 del  decreto  legislativo  n.
152 del 2006, in materia di determinazione della tariffa del servizio
idrico integrato in  base  all'adeguata  remunerazione  del  capitale
investito), emesso  a  seguito  dell'esito  positivo  del  referendum
abrogativo; 
    che, infatti, tale abrogazione referendaria, non  avendo  effetto
retroattivo, non e' idonea ad incidere sui rapporti giuridici oggetto
di esame nel giudizio principale, tutti anteriori alla suddetta  data
del 21 luglio 2011; 
    che  il  rimettente  muove  dall'erroneo   presupposto   che   la
valutazione di  ammissibilita'  del  referendum  abrogativo  popolare
riguardante la disposizione denunciata - valutazione effettuata dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 26 del 2011 - implica un  dubbio
di legittimita' costituzionale della medesima disposizione; 
    che, in  forza  di  tale  presupposto,  il  giudice  a  quo,  nel
sollevare la questione, non indica ne' i parametri costituzionali che
sarebbero  violati  dalla  denunciata  disposizione  ne'  le  ragioni
dell'asserito contrasto con la Costituzione, ma si limita a  rinviare
alla sentenza della Corte costituzionale  n.  26  del  2011,  che  ha
dichiarato ammissibile il referendum abrogativo popolare; 
    che, contrariamente all'assunto del Giudice di pace, la pronuncia
di ammissibilita' di un quesito referendario non comporta, come  piu'
volte  affermato  da  questa  Corte,  alcuna  valutazione  circa   la
fondatezza di  eventuali  profili  di  illegittimita'  costituzionale
della normativa oggetto di referendum (ex plurimis,  sentenza  n.  13
del  2012),  con  la  conseguenza   che   da   detta   pronuncia   di
ammissibilita' «non e'  [...]  lecito  trarre  conseguenze  circa  la
conformita'  o  meno  a  Costituzione  della  menzionata   normativa»
(sentenza n. 45 del 2005); 
    che, in coerenza con tale impostazione, la richiamata sentenza n.
26 del 2011 ha espressamente escluso di aver esercitato un  controllo
di costituzionalita' sul denunciato art. 154, comma 1, del d.lgs.  n.
152 del 2006 («Non e'  [...]  in  discussione,  in  questa  sede,  la
valutazione di eventuali  profili  di  illegittimita'  costituzionale
della normativa oggetto dell'iniziativa referendaria»); 
    che, pertanto, il rinvio alla sentenza di questa Corte n. 26  del
2001, effettuato dal rimettente a sostegno della sollevata  questione
senza addurre alcuna ulteriore  argomentazione  e  senza  indicare  i
parametri  costituzionali  violati,  si  risolve   nel   difetto   di
motivazione circa la non manifesta  infondatezza  della  questione  e
rende quest'ultima manifestamente inammissibile; 
    che tale  causa  di  manifesta  inammissibilita'  assorbe  quella
derivante dal fatto che  il  rimettente,  omettendo  di  indicare  le
ragioni per le quali non ha ritenuto di  prendere  in  considerazione
l'eccezione, prospettata dalla  parte  attrice,  di  incompatibilita'
della denunciata disposizione  rispetto  alla  normativa  dell'Unione
europea in tema di divieto di abuso di posizione  dominante,  non  ha
motivato sulla rilevanza della questione stessa; 
    che infatti  il  giudice  a  quo,  per  effetto  di  tale  lacuna
motivazionale, non ha dato  conto  delle  ragioni  per  le  quali  ha
stimato di avere adempiuto l'onere su di lui gravante di risolvere  -
eventualmente con l'ausilio  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, in  forza  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  europea,  e  comunque  in   via   prioritaria   rispetto
all'incidente  di  costituzionalita'  -  il  dubbio  prospettato  nel
giudizio principale circa la compatibilita' della norma nazionale con
disposizioni dell'Unione europea ad effetto diretto (su  tale  onere,
ex plurimis, sentenze n. 415 e n. 102 del  2008,  n.  284  del  2007;
ordinanze n. 25 del 2010 e n. 454  del  2006)  e,  pertanto,  non  ha
fornito  alcuna  spiegazione  sulla  necessita'  di  applicare,   nel
giudizio principale, la disposizione impugnata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.