ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   del   decreto   del
Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n.  1230  (Trasferimento
in proprieta' all'Opera per la valorizzazione della Sila  di  terreni
di proprieta' di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa  Severina
- Catanzaro), promosso  dalla  Corte  di  appello  di  Catanzaro  nel
procedimento vertente tra Cirillo Emilia ed altra e l'ARSSA - Agenzia
regionale sviluppo e servizi in agricoltura,  con  ordinanza  del  28
febbraio 2011, iscritta al n. 207  del  registro  ordinanze  2011,  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,  prima
serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di appello  di  Catanzaro,  con  ordinanza  del  28
febbraio 2011, ha sollevato, in riferimento agli  articoli  76  e  77
della Costituzione, ed in relazione agli articoli 2 e 5  della  legge
12  maggio  1950,  n.  230  (Provvedimenti  per   la   colonizzazione
dell'Altopiano  della  Sila  e  dei  territori  ionici   contermini),
questione di legittimita' costituzionale del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  4  novembre  1951,  n.  1230   (Trasferimento   in
proprieta' all'Opera per la valorizzazione della Sila di  terreni  di
proprieta' di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa  Severina  -
Catanzaro), nella parte in cui ha incluso  nell'espropriazione  dallo
stesso disposta il terreno sito in agro di Santa Severina,  riportato
in catasto alle particelle 33 e 91 del foglio 23, non appartenente al
soggetto espropriato, Prever Ada, ma di proprieta'  del  dante  causa
delle attrici nel giudizio principale. 
    2. - L'ordinanza di rimessione  premette  che  Cirillo  Emilia  e
Ciocci Santa Teresa hanno convenuto in giudizio davanti al  Tribunale
di Crotone l'Agenzia regionale  sviluppo  e  servizi  in  agricoltura
(ARSSA), deducendo di essere proprietarie del  fondo  S.  Antonio  in
agro  di  Santa  Severina  esteso  ha  6.37,60,  loro  pervenuto  per
successione legittima a Cirillo Luigi (al  quale  era  pervenuto  per
successione a Cirillo Fortunato, che lo aveva acquistato, quale parte
di  maggiore  estensione,  da  Berlingieri  Francesca)  e   che,   in
attuazione della legge n. 230 del 1950,  la  maggior  parte  di  tale
fondo, in catasto al foglio  23,  particelle  33  e  91,  «era  stata
inclusa per errore nel piano di esproprio in danno della  Prever  Ada
fu Giovanni e per l'effetto riportato in Catasto Terreni  del  Comune
di Santa Severina in testa all'O.V.S. (Opera Valorizzazione Sila)». 
    Posta tale premessa, le attrici chiedevano che fosse riconosciuto
e dichiarato il  loro  diritto  di  proprieta'  sul  predetto  fondo.
All'esito del giudizio, nel  quale  si  era  costituita  l'ARSSA,  il
Tribunale di Crotone, con sentenza del 23 maggio 2002,  rigettava  la
domanda. 
    Avverso detta  sentenza  proponevano  appello  Cirillo  Emilia  e
Ciocci Santa Teresa, deducendo, tra l'altro, che il giudice di  primo
grado aveva erroneamente ritenuto applicabile l'art. 14  della  legge
22 ottobre 1971, n.  865  (Programmi  e  coordinamento  dell'edilizia
residenziale  pubblica;  norme  sulla  espropriazione  per   pubblica
utilita'; modifiche ed integrazioni alla legge  17  agosto  1942,  n.
1150; legge 18 aprile 1962, n. 167; legge 29 settembre 1964, n.  847;
ed autorizzazione di spesa per interventi  straordinari  nel  settore
dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata). 
    Nel giudizio di  appello  si  costituiva  l'ARSSA,  chiedendo  il
rigetto del gravame, ed era espletata  consulenza  tecnica  d'ufficio
(CTU). 
    2.1. - Sintetizzata  in  tal  modo  la  vicenda  processuale,  il
giudice a quo solleva, in riferimento agli articoli 76 e 77 Cost., ed
in relazione agli artt. 2 e 5 della legge n. 230 del 1950,  questione
di  legittimita'  costituzionale  del  d.P.R.  n.  1230   del   1951,
ritenendola rilevante, poiche' i documenti prodotti dalle  attrici  e
le risultanze della CTU «hanno permesso di  appurare»  che  Fortunato
Cirillo aveva acquistato i fondi in questione, con  atto  per  notaio
Nicola Cizza di Crotone in data 15 aprile 1930. Fortunato Cirillo era
deceduto il 28 maggio 1958 e,  tuttavia,  «con  l'avvento  del  Nuovo
Catasto Terreni, i cui atti  sono  entrati  in  conservazione  il  1°
gennaio 1943, dette particelle sono state incluse per  errore  in  un
quoziente del fondo "S. Antonio" ed  intestate  ad  Ada  Prever».  In
particolare, la CTU  ha  accertato  che  detti  fondi,  «erroneamente
accatastati a nome di Prever Ada»,  con  d.P.R.  n.  1230  del  1951,
furono espropriati  in  favore  dell'O.V.S.  (alla  quale  «rimangono
ancora intestati») ed  in  danno  di  Ada  Prever,  che  incasso'  la
relativa indennita'. 
    Secondo l'ordinanza di rimessione, «tali particelle,  al  momento
dell'esproprio, erano dunque  in  proprieta',  in  virtu'  di  giusto
titolo legittimamente trascritto, di Cirillo Fortunato», il quale,  a
sua volta, le aveva trasferite, per successione testamentaria, aperta
in data 28 maggio 1958, a Cirillo Luigi e da questi  erano  pervenute
alle appellanti, per successione legittima aperta in  data  9  giugno
1975. Pertanto, queste ultime sarebbero legittimate ad  agire  ed  il
d.P.R. n. 1230 del 1951 avrebbe erroneamente compreso nell'elenco dei
beni espropriati  a  Prever  Ada  terreni  non  di  proprieta'  della
predetta. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'art. 14 della  legge  n.  865  del
1971, in virtu' del quale «pronunciata l'espropriazione, e trascritto
il relativo provvedimento, tutti i  diritti  relativi  agli  immobili
espropriati    possono    essere    fatti    valere    esclusivamente
sull'indennita' anche nel caso previsto nell'ultimo  comma  dell'art.
13», non sarebbe applicabile alla fattispecie  oggetto  del  giudizio
principale, in quanto quest'ultima  e'  disciplinata  da  «una  legge
speciale», qual e' la legge n. 230 del 1950, entrata in vigore ben 21
anni prima, ed il cui art. 2, primo comma, stabilisce: «Ai fini della
presente  legge,  sono  soggetti  ad  espropriazione  i  terreni   di
proprieta' privata suscettibili di trasformazione, i quali, computate
anche le proprieta' situate fuori del territorio  indicato  nell'art.
1, appartengono, a qualsiasi titolo, in comunione o  pro-indiviso,  a
singole persone o societa' che, al 15 novembre 1949, avevano piu'  di
trecento ettari». 
    La questione di legittimita' costituzionale del  d.P.R.  n.  1230
del 1951 sarebbe, quindi, rilevante, poiche' non sarebbe possibile la
«disapplicazione incidentale di un atto non avente forza e valore  di
provvedimento amministrativo, ma di legge ordinaria», tale essendo il
rango di detto decreto. 
    2.2.  -  Relativamente  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale, l'ordinanza  di  rimessione
espone che l'art. 2,  primo  comma,  della  legge  n.  230  del  1950
stabilisce che potevano essere espropriati «i terreni  di  proprieta'
privata suscettibili di trasformazione, i quali, computate  anche  le
proprieta'  situate  fuori  del  territorio  indicato  nell'art.   1,
appartengono, a qualsiasi titolo,  in  comunione  o  pro-indiviso,  a
singole persone o societa' che, al 15 novembre 1949, avevano piu'  di
trecento ettari». 
    L'art. 5 della stessa legge dispone, inoltre,  che  «il  Governo,
per delegazione concessa con la presente legge, e secondo i  principi
e i criteri direttivi  definiti  dalla  legge  medesima,  sentito  il
parere di una commissione composta di tre senatori e di tre  deputati
eletti dalle rispettive Camere, provvede, entro il 31 dicembre  1951,
con decreti aventi valore di legge ordinaria: a) all'approvazione dei
piani particolareggiati di espropriazione;  b)  alle  occupazioni  di
urgenza dei beni sottoposti ad espropriazione;  c)  ai  trasferimenti
dei terreni indicati nell'art. 3 in favore dell'Opera. La  emanazione
dei decreti, di cui al presente  articolo,  puo'  avvenire  anche  in
pendenza della determinazione definitiva dell'indennita' ai sensi del
successivo art. 7». 
    Secondo la Corte di appello,  da  dette  norme  risulterebbe  che
avrebbero potuto costituire oggetto di espropriazione  esclusivamente
i fondi che,  alla  data  del  15  novembre  1949,  «appartenevano  a
soggetti proprietari complessivamente di piu' di trecento  ettari  di
terreno, come risultanti dai titoli di proprieta' e non semplicemente
dalle  risultanze   catastali,   aventi   un   valore   semplicemente
indicativo». Il d.P.R. n. 1230 del  1951  avrebbe,  invece,  disposto
l'espropriazione  di  fondi  di  proprieta'  di  Cirillo   Fortunato,
nonostante che questi, «come risulta dalla CTU espletata», non  fosse
«certamente  proprietario  di  una  cosi'  rilevante  estensione   di
terreno, essendo  la  consistenza  totale  dei  suoi  terreni  di  ha
24.69.00, oltre al fondo per  cui  e'  causa,  della  consistenza  di
complessivi ha 5.12.30». 
    Pertanto, ad avviso del rimettente,  la  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale  sarebbe  non  manifestamente  infondata,
poiche' sarebbero stati violati i criteri direttivi  stabiliti  dagli
artt. 2 e 5 della legge delega n. 230 del 1950, «sotto  due  distinti
profili: a) nella parte in cui ha incluso nell'espropriazione terreni
non   appartenenti    al    soggetto    espropriato,    in    quanto,
indipendentemente dalle scritture catastali (che non rivestono valore
probatorio ai fini dell'accertamento della proprieta' privata), ha ad
oggetto beni  non  appartenenti  al  destinatario  del  provvedimento
espropriativo, poiche' precedentemente acquistati in virtu'  di  atto
di compravendita, da altro  soggetto;  b)  nella  parte  in  cui,  in
violazione dei criteri direttivi contenuti negli artt. 2  e  5  della
legge 12 maggio 1950, n. 230, che prevedeva la delega al Governo  per
l'adozione  di  decreti  avente  valore  di   legge   ordinaria   per
l'approvazione di piani particolareggiati di espropriazione,  per  le
occupazioni di urgenza e per i trasferimenti di terreni di proprieta'
di soggetti complessivamente proprietari, al  15  novembre  1949,  di
piu' di trecento ettari di terreno, ha  proceduto  all'espropriazione
di  beni  appartenenti  a   Cirillo   Fortunato,   contadino   (cosi'
qualificato nell'atto pubblico di acquisto, in data 15 aprile  1930),
non avente tali requisiti». 
    Infine, conclude l'ordinanza  di  rimessione,  una  questione  di
legittimita' costituzionale analoga a  quella  in  esame,  avente  ad
oggetto un'espropriazione ex lege 21 ottobre 1950, n. 841 (Norme  per
la  espropriazione,  bonifica,  trasformazione  ed  assegnazione  dei
terreni ai contadini), sarebbe stata ritenuta fondata dalla  sentenza
di questa Corte n. 319 del 1995, della quale riporta ampi brani. 
    3. - Nel giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. 
    3.1. - L'interveniente, in linea preliminare,  eccepisce  che  la
questione sarebbe  inammissibile,  «non  risultando  comprensibili  i
puntuali termini e i fatti oggetto del giudizio a  quo».  L'ordinanza
di rimessione non chiarirebbe, infatti, se sussista la legittimazione
passiva dell'ARSSA ed a quale titolo; non indicherebbe  se  il  dante
causa delle appellanti  abbia  richiesto  la  rettifica  disciplinata
dall'art. 4 della legge n. 230 del 1950, allo scopo di  accertare  la
proponibilita' della domanda; non precisa che «il  terreno  fu  (come
presumibilmente fu) venduto a terzi e chi lo acquisto' e  chi  ne  e'
l'attuale  proprietario,  anche  per   garantire   l'integrita'   del
contraddittorio»; non indicherebbe la data in cui e'  stato  iniziato
il giudizio di primo  grado,  «al  fine  di  verificare  decadenze  e
usucapioni», essendo quest'ultima,  presumibilmente,  maturata,  «non
risultando neppure se le plurime successioni nella  famiglia  Cirillo
siano state trascritte». 
    Nel   merito,   la   questione   sarebbe    infondata,    poiche'
l'espropriazione e' stata legittimamente effettuata nei confronti  di
colui  che  risultava  proprietario  sulla  scorta  delle  risultanze
catastali, non  essendo  possibile  imporre  ad  un  terzo,  qual  e'
l'amministrazione dello Stato, di  accertare  l'effettiva  proprieta'
dei terreni facenti parte dell'Altopiano della Sila. 
    Secondo l'Avvocatura generale, sarebbe stato onere dell'effettivo
proprietario  controllare  l'intestazione  catastale  e   «richiedere
all'epoca la rettifica, per la parte  di  suo  interesse,  del  piano
particolareggiato, pubblicato, a tale fine», in ciascun comune e  nel
Foglio annunci legali, ai sensi dell'art. 4 della legge  n.  230  del
1950. 
    Il richiamo della sentenza n.  319  del  1995  sarebbe,  inoltre,
inconferente, poiche' nella legge n. 230 del 1950 «non  si  parla  di
"proprietari", ma di "appartenenza",  a  qualsiasi  titolo,  [...]  a
singole persone o societa' e si da' facolta' a qualsiasi  interessato
di richiedere la rettifica del piano particolareggiato, se errato». 
    Infine,  il  denunciato  vizio   di   eccesso   di   delega   non
sussisterebbe anche perche' il d.P.R. n. 1230  del  1951  «ricomprese
nell'espropriazione il terreno del Sig. Cirillo per lamentato  errore
risultante  dagli  atti  catastali»  che,   tuttavia,   non   sarebbe
conseguito a tale vizio, ma sarebbe «frutto di  un'errata  risultanza
catastale, non  superabile  dall'Amministrazione  con  l'accertamento
dell'effettiva  proprieta'  di  tutti   i   terreni   facenti   parte
dell'Altipiano della Sila». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di appello di Catanzaro dubita  della  legittimita'
costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre
1951,  n.  1230  (Trasferimento  in  proprieta'  all'Opera   per   la
valorizzazione della Sila di terreni di proprieta' di Prever  Ada  fu
Giovanni, in comune di Santa Severina -  Catanzaro),  in  riferimento
agli articoli 76 e 77 della Costituzione, ed in relazione gli artt. 2
e 5 della  legge  12  maggio  1950,  n.  230  (Provvedimenti  per  la
colonizzazione dell'Altopiano  della  Sila  e  dei  territori  ionici
contermini), nella parte in cui ha incluso nell'espropriazione  dallo
stesso disposta il terreno sito in agro di Santa Severina,  riportato
in catasto alle particelle 33 e 91 del foglio 23, non appartenente al
soggetto espropriato, Prever Ada, ma di proprieta'  del  dante  causa
delle attrici nel giudizio principale. 
    Questa Corte e' chiamata a decidere se  il  d.P.R.  n.  1230  del
1951, in tale parte, violi i criteri direttivi contenuti nella  legge
delega n. 230  del  1950,  sotto  un  primo  profilo,  in  quanto  ha
assoggettato ad espropriazione beni non appartenenti al  destinatario
del provvedimento espropriativo; sotto un secondo profilo, in  quanto
ha assoggettato ad espropriazione detto terreno, benche' appartenente
ad un soggetto proprietario di fondi di estensione inferiore a quella
di trecento ettari. 
    2.  -  L'interveniente  ha  eccepito   l'inammissibilita'   della
questione  di  legittimita'  costituzionale,  poiche'  non  sarebbero
comprensibili i «termini e i fatti oggetto del giudizio a quo» ed  il
rimettente non avrebbe chiarito se sussista la legittimazione passiva
dell'Agenzia regionale sviluppo e servizi in agricoltura  (ARSSA).  A
suo avviso, l'ordinanza di rimessione non avrebbe,  poi,  offerto  le
indicazioni necessarie allo  scopo  di  accertare  se  il  suindicato
terreno sia stato alienato e sia  stata  garantita  l'integrita'  del
contraddittorio,  nonche'  «al  fine  di   verificare   decadenze   e
usucapioni» e l'avvenuta trascrizione  dei  trasferimenti  in  favore
delle attrici del processo principale. 
    2.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    In linea preliminare, occorre ribadire che i decreti di esproprio
emanati in virtu' della delega contenuta nelle  leggi  di  attuazione
della riforma fondiaria hanno «contenuto legislativo» e, quindi, sono
soggetti al controllo di legittimita' costituzionale (tra  le  molte,
sentenze n. 10 del 1959 e n. 136 del 1976; in relazione agli omologhi
decreti emanati ai sensi della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in  tal
senso, per tutte, sentenze n.  60  del  1957  e  n.  319  del  1995).
Inoltre, va ricordato che questa  Corte,  chiamata  frequentemente  a
sindacare la legittimita' di detti decreti legislativi (riconducibili
al genus della legge-provvedimento), sotto il profilo dell'eccesso di
delega,  ha   costantemente   ritenuto   sussistente   il   carattere
incidentale del giudizio (ex plurimis, dalla sentenza n. 59 del  1957
sino alla sentenza n. 319 del  1995)  e  gia'  nelle  piu'  risalenti
pronunce ha chiarito che una  siffatta  questione  non  riguarda  «il
titolo della domanda  giudiziale  principale»,  poiche'  ad  essa  e'
demandato  l'accertamento  degli  eventuali  vizi   di   legittimita'
costituzionale di detti  decreti,  restando  riservata  all'autorita'
giurisdizionale «ogni altra questione, e le attivita' di applicazione
delle premesse poste dalla decisione» (sentenza n. 59 del 1957). 
    L'accertamento dei presupposti di fatto attiene, infatti, «a quel
giudizio di rilevanza che e' esclusiva competenza del giudice a  quo»
(sentenza n. 99 del 1969), da ritenersi compiutamente  svolto  quando
questi abbia dato atto della loro sussistenza (da ultimo, sentenza n.
319 del 1995). La pronuncia resa da questa Corte sulla  questione  di
legittimita' costituzionale non preclude, quindi, la riesaminabilita'
di detti presupposti nei successivi  gradi  del  processo  principale
(sentenza n. 78 del 1961; analogamente, sentenza  n.  59  del  1957),
restando  escluso  che,  per  la  rilevanza  della  questione,  debba
formarsi la cosa giudicata sul punto controverso, pena la  violazione
dell'art. 23, secondo  comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87
(sentenza n. 78 del 1961). Il «riscontro dell'interesse ad agire e la
verifica della legittimazione delle  parti»  sono,  dunque,  «rimessi
alla valutazione del  giudice  rimettente,  attenendo  entrambi  alla
rilevanza dell'incidente di costituzionalita' e non sono suscettibili
di  riesame  ove  sorretti  da  una  motivazione  non   implausibile»
(sentenze n. 270 del 2010, n. 50 del 2007 e n.  173  del  1994),  non
rientrando tra i poteri di questa Corte «quello di sindacare, in sede
di ammissibilita', la validita'  dei  presupposti  di  esistenza  del
giudizio a quo, a meno che  questi  non  risultino  manifestamente  e
incontrovertibilmente carenti» (sentenze n. 270 del 2010 e n. 62  del
1992). 
    Nel quadro di detti principi, va  osservato  che  l'ordinanza  di
rimessione da' atto che la domanda e' stata  proposta  nei  confronti
dell'ARSSA (istituita con legge della Regione  Calabria  14  dicembre
1993, n. 15, alla quale la legge della stessa Regione 7  marzo  2000,
n. 10, ha attribuito  le  attivita'  relative  ai  beni  immobili  di
riforma fondiaria nella stessa precisate), che si e'  costituita  nel
processo principale, senza che  risulti  sollevata  contestazione  di
sorta in  ordine  alla  legittimazione  passiva  della  medesima.  Il
rimettente ha poi  esplicitato  che  il  processo  principale  ha  ad
oggetto il diritto delle attrici conseguente  all'accertamento  della
titolarita'  del  diritto  di  proprieta'  su   parte   dei   terreni
espropriati e, come si precisa di seguito, ha  diffusamente  motivato
in ordine alla sussistenza di siffatto presupposto, indispensabile ai
fini  della  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'.   In
particolare, il giudice a quo ha espressamente dato  atto  dell'esito
positivo  di  tale  accertamento,  enunciando  una  conclusione   che
dimostra come egli abbia avuto  cura  di  riscontrare  la  ricorrenza
delle condizioni dell'azione  proposta  ed  il  difetto  dei  profili
ostativi genericamente evocati dall'interveniente per contestare, non
fondatamente,  l'ammissibilita'  della  questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    La sopravvenuta abrogazione della legge delega n.  230  del  1950
(da parte dell'art. 58 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325,
a far data dall'entrata in vigore del medesimo - art. 59 dello stesso
decreto - e dell'art. 58 del decreto del Presidente della  Repubblica
8 giugno 2001, n. 327, con la decorrenza indicata  nell'art.  59  del
medesimo), non incide, infine, sull'applicabilita'  ratione  temporis
della medesima e, quindi, sulla rilevanza della questione. 
    3. - Nel merito, il primo profilo di censura e' fondato. 
    Nel decidere questioni identiche a quella  in  esame,  aventi  ad
oggetto decreti di  espropriazione  emanati  in  forza  della  delega
attribuita al Governo dalla legge n. 230 del 1950,  questa  Corte  ha
affermato che, in base alle norme ed ai principi e criteri  direttivi
della delega, «i dati  catastali»  «non  possono  essere  considerati
vincolanti  nel  procedimento  di  espropriazione  per   la   riforma
fondiaria»,  non  rilevando,  in  contrario,  «la   norma   contenuta
nell'art. 16 della legge 25 giugno 1865, n.  2359».  L'espropriazione
prevista dalle leggi di  riforma  fondiaria  non  mira,  infatti,  «a
trasferire da un soggetto a un altro un determinato bene, ma  invece,
a sottrarre parte del patrimonio a un soggetto  che  si  trovi  nelle
condizioni previste  dalle  leggi  di  riforma»  e,  quindi,  non  e'
indifferente,  «com'e'  nel  caso  di  espropriazione  per   pubblica
utilita', che si  proceda  contro  chi  sia  soltanto  apparentemente
proprietario di un bene» (sentenza  n.  57  del  1959;  analogamente,
sentenze n. 10 del 1959 e n. 7 del 1961; identico principio e'  stato
affermato in riferimento ai decreti espropriativi  emanati  in  forza
della delega  contenuta  nell'omologa  legge  n.  841  del  1950,  ex
plurimis, sentenze n. 319 del 1995, n. 3 del 1987 e n. 8 del 1959). 
    Questa Corte ha anche  gia'  deciso,  giudicandola  non  fondata,
un'eccezione identica a quella con la quale, nel  presente  giudizio,
l'interveniente ha dedotto che il giudice a quo ha omesso di indicare
se il dante causa delle  appellanti  nel  processo  principale  abbia
richiesto la rettifica disciplinata dall'art. 4 della  legge  n.  230
del 1950, e cio' allo scopo  di  accertare  la  proponibilita'  della
domanda. Al  riguardo,  e',  quindi,  sufficiente  ribadire  che  «il
ricorso che ai sensi dell'art. 4 della legge 12 maggio 1950, n.  230,
puo' essere proposto nel termine di  25  giorni  contro  i  piani  di
espropriazione non puo' sostituire ogni altro mezzo che l'ordinamento
prevede per la tutela dei diritti soggettivi; e il non  proporlo  nei
termini fissati non puo' importare se non la decadenza dal diritto di
esperire  quel  mezzo  di  tutela,  previsto  per  fini  limitati   e
nell'ambito del procedimento di espropriazione» (sentenza n.  57  del
1959; analogamente, sentenza n. 10  del  1959).  Infine,  appare  non
implausibile la premessa interpretativa del  rimettente,  secondo  la
quale  alla  fattispecie  oggetto  del  processo  principale  non  e'
applicabile l'art. 14 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (in  virtu'
del quale, pronunciata l'espropriazione,  tutti  i  diritti  relativi
all'immobile espropriato possono essere fatti  valere  esclusivamente
sull'indennita'),  in  quanto  essa   deve   ritenersi   disciplinata
esclusivamente dalla legge n. 230 del 1950, «entrata in vigore ben 21
anni prima», e - puo' aggiungersi - in  considerazione  del  costante
indirizzo  della  giurisprudenza  di  legittimita',   orientata   nel
ritenere inapplicabili  le  norme  concernenti  l'espropriazione  per
pubblica utilita' all'espropriazione disposta ai sensi delle leggi di
attuazione della riforma fondiaria (tra  le  tante,  Cass.  1°  marzo
1986, n. 1308; Cass. 9 gennaio 2009, n. 323). 
    Alla luce di siffatti principi, va osservato che  l'ordinanza  di
rimessione espone che «i  documenti  prodotti  dagli  appellanti  nel
primo grado di giudizio e le risultanze della CTU» hanno permesso  di
appurare che i terreni de quibus «furono acquistati per atto rogito a
notaio Nicola Cizza in Crotone in data  15  aprile  1930  da  Cirillo
Fortunato [...]» e che le relative «particelle sono state incluse per
errore in un quoziente del fondo "S. Antonio" ed intestate  a  Prever
Ada». Il consulente tecnico d'ufficio ha, quindi, accertato che «tali
terreni, erroneamente  accatastati  a  nome  di  Prever  Ada,  furono
espropriati dall'O.V.S. con d.P.R. n.  1230  del  4  novembre  1951»,
benche', «al  momento  dell'esproprio»  fossero  «in  proprieta',  in
virtu'  di  giusto  titolo  legittimamente  trascritto,  di   Cirillo
Fortunato».  Il  rimettente   ha,   inoltre,   anche   indicato   che
quest'ultimo  «aveva  in  seguito  trasmesso  dette  particelle,  per
successione testamentaria apertasi in data 28.5.1958, a Cirillo Luigi
[...],  che,  a  sua  volta,  le  aveva  trasmesse,  per  successione
intestata apertasi in data 9.6.1975, agli attuali appellanti»  ed  ha
concluso affermando espressamente che il d.P.R. n. 1230 del 1951  «ha
erroneamente ricompreso nell'elenco di beni espropriati a Prever Ada,
particelle che non erano nella proprieta' di quest'ultima». 
    Ne deriva che l'avere il decreto delegato in  esame  identificato
il soggetto nello stesso contemplato quale proprietario  di  tutti  i
terreni oggetto del medesimo, mentre il vero  dominus  di  alcuni  di
essi e' un soggetto diverso, configura eccesso di delega in relazione
a quelli oggetto di contestazione.  Nel  contrasto  tra  intestazione
catastale e prova giuridica dell'acquisto del diritto di  proprieta',
quest'ultima deve prevalere agli effetti  di  cui  trattasi,  con  la
conseguenza  che  l'espropriazione  in  esame  poteva  legittimamente
essere  effettuata  solo  riguardo  alle  porzioni  di  terreno   che
appartenevano al soggetto espropriato, quale indicato  nel  succitato
decreto. 
    In conclusione, il d.P.R. n. 1230 del 1951, in quanto ha compreso
nell'esproprio terreni  intestati  alla  ditta  Prever  Ada,  ma  non
appartenenti alla medesima (identificati nell'ordinanza di rimessione
con le particelle 33 e 91 del foglio 23), ha  esorbitato  dai  limiti
della delega e, conseguentemente, va dichiarato,  per  questa  parte,
illegittimo per violazione degli artt. 76 e 77,  primo  comma,  della
Costituzione, restando assorbito l'ulteriore profilo di censura. 
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale non travolge le
restanti parti del decreto aventi autonoma efficacia.