ha pronunciato la seguente 
  
                              Sentenza 
  
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli  3,  comma
1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23, lettera c), 20, commi 1 e 2, e  21
della legge della Regione autonoma Sardegna 30  giugno  2011,  n.  12
(Disposizioni nei vari settori d'intervento), promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 29 agosto 2011,
depositato in cancelleria il 31 agosto 2011, ed iscritto al n. 85 del
registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito nell'udienza pubblica del 3 aprile 2012 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Massimo Luciani  per  la  Regione
autonoma Sardegna. 
  
                          Ritenuto in fatto 
  
    1.- Con ricorso notificato il 29  agosto  2011  e  depositato  il
successivo 31 agosto, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha
impugnato l'art. 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23,  lettera
c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna
30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d'intervento). 
    2.- L'art. 3, comma 1, della legge  impugnata  dispone  che,  «Ai
sensi e per gli effetti dell'articolo 8 dello Statuto speciale, cosi'
come sostituito dal comma 834 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre
2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato  -  Legge  finanziaria  2007),  ancorche'  in
assenza  dell'adeguamento  delle  relative  norme  di  attuazione,  a
decorrere dall'anno 2010, gli  accertamenti  delle  compartecipazioni
regionali ai tributi erariali sono effettuati anche sulla base  degli
indicatori disponibili relativi ai  gettiti  tributari».  Secondo  il
ricorrente, tale disciplina regolerebbe unilateralmente  dei  profili
che, al  contrario,  l'art.  8  dello  statuto  demanda  a  norme  di
attuazione dello statuto medesimo. Per questa ragione,  la  normativa
regionale eccederebbe le competenze  attribuite  alla  Regione  dagli
articoli 4 e 5 dello statuto, ponendosi inoltre in contrasto  con  il
successivo art. 56  dello  stesso,  che  demanda  a  una  Commissione
paritetica l'elaborazione delle norme per la sua attuazione. In  base
alla giurisprudenza costituzionale le norme di attuazione  sarebbero,
infatti,  espressione  di  una  competenza  separata   e   riservata,
prevalente rispetto alle leggi ordinarie, e  pertanto  non  fungibile
con leggi unilateralmente introdotte dalla Regione. 
    3.- L'art. 17, comma 9, della legge impugnata,  dispone  che,  ai
sensi dell'articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 3 marzo 2011,
n.  28  (Attuazione  della  direttiva  2009/28/CE  sulla   promozione
dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,  recante  modifica  e
successiva abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e  2003/30/CE),
l'installazione e l'esercizio di impianti  di  generazione  elettrica
alimentati da biogas  e  biometano,  siano  soggetti  alla  procedura
abilitativa  semplificata,  stabilita  dall'articolo  6  del  decreto
legislativo  n.  28  del  2011,  qualora  siano  richiesti   da:   a)
imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti da almeno tre anni
alla Camera di  commercio;  b)  giovani  imprenditori  agricoli  come
individuati dall'articolo 3 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.
99 (Disposizioni in  materia  di  soggetti  e  attivita',  integrita'
aziendale e semplificazione amministrativa in  agricoltura,  a  norma
dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), e e),  della  L.  7
marzo 2003, n.  38);  c)  societa'  agricole,  come  individuate  dal
decreto legislativo 27 maggio 2005, n.  101  (Ulteriori  disposizioni
per la modernizzazione dei settori dell'agricoltura e delle  foreste,
a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003,  n.  38).
Inoltre, l'esperimento della procedura semplificata  esige  che  tali
impianti abbiano una capacita' di generazione massima inferiore  a  1
MW ed operino in assetto di filiera corta. 
    L'individuazione  dei  soggetti  che  possono  ricorrere  a  tale
procedura semplificata - introdotta dall'art. 12, commi 3  e  4,  del
decreto legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387  (Attuazione  della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica
prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato   interno
dell'elettricita') - contrasterebbe con l'art. 6, comma 9, del d.lgs.
n. 28 del  2011  sulla  promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti
rinnovabili. Infatti, tale disposizione statale, mentre consente alle
Regioni  e  alle  Province  autonome  di  estendere  la   soglia   di
applicazione della procedura semplificata agli  impianti  di  potenza
nominale fino ad 1 MW elettrico e di definire i casi in cui,  essendo
previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza  di
amministrazioni diverse dal Comune, la  realizzazione  e  l'esercizio
dell'impianto   e   delle   opere    connesse    sono    assoggettate
all'autorizzazione unica, non permette esplicitamente alle Regioni di
circoscrivere  i  soggetti  che  possono   usufruire   della   stessa
procedura. Per tale ragione, la  disposizione  impugnata  invaderebbe
tanto  la  competenza  esclusiva  statale  in   materia   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema di cui all'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost.,  cui  afferirebbe  la  competenza  in  materia  di
promozione e sviluppo di fonti energetiche alternative, quanto l'art.
4, primo comma, lettera  e),  dello  statuto,  che  attribuisce  alla
Regione autonoma Sardegna  soltanto  una  competenza  concorrente  in
materia di produzione e distribuzione dell'energia elettrica. 
    4.-  L'art.  18,  comma  20,  prevede  che  «I  soggetti  di  cui
all'articolo 10 del decreto  legislativo  4  dicembre  1997,  n.  460
(Riordino della disciplina tributaria degli enti  non  commerciali  e
delle  organizzazioni  non  lucrative  di  utilita'   sociale),   che
intendono  accedere  all'esenzione   dall'imposta   regionale   sulle
attivita' produttive ai sensi dell'articolo 17, comma 5, della  legge
regionale 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale  della  Regione  -  Legge  finanziaria
2003), trasmettono alla direzione generale dell'Assessorato regionale
della programmazione, bilancio, credito  e  assetto  del  territorio,
entro i termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei
redditi, una comunicazione con la quale attestano  di  avere  diritto
all'esenzione. La mancata trasmissione della  comunicazione  entro  i
termini previsti comporta  la  decadenza  dall'esenzione.  La  Giunta
regionale, su proposta dell'Assessore della programmazione, bilancio,
credito e assetto del territorio,  disciplina  le  modalita'  per  la
presentazione delle comunicazioni di cui al presente  comma  e  delle
comunicazioni previste dall'articolo 2, commi 11 e  12,  della  legge
regionale n. 1 del 2009». Tale  disciplina,  secondo  il  ricorrente,
imporrebbe delle condizioni particolarmente restrittive nei confronti
delle organizzazioni non lucrative di utilita'  sociale  (Onlus)  che
operano nella Regione autonoma Sardegna:  per  godere  dell'esenzione
disposta  dalla  medesima  legislazione  regionale,  esse   sarebbero
costrette, a  pena  di  decadenza,  a  presentare  una  comunicazione
ulteriore rispetto a quella gia' prevista dall'ordinamento,  in  base
all'art 11, comma 2, del d.lgs.  n.  460  del  1997,  necessaria  per
l'iscrizione all'anagrafe delle Onlus  e  che  dev'essere  presentata
presso l'Agenzia delle entrate. La normativa regionale, imponendo  un
onere ulteriore, eccederebbe le competenze statutarie,  ponendosi  in
contrasto  con  l'art.  117,  secondo  comma,   lettera   e),   della
Costituzione, in  quanto  l'art.  21  del  d.lgs.  n.  460  del  1997
riconosce agli enti territoriali il potere di ridurre o esentare  dal
pagamento dei tributi di loro pertinenza, ma non quello di introdurre
obblighi ulteriori a carico dei contribuenti. Inoltre,  la  normativa
regionale  censurata  si  porrebbe  in  contrasto  con  il  principio
generale dell'ordinamento tributario di  cui  alla  legge  27  luglio
2000, n. 212 (Disposizioni in materia  di  statuto  dei  diritti  del
contribuente), art. 6, comma  4,  secondo  cui  al  contribuente  non
possono essere richiesti documenti e informazioni  gia'  in  possesso
dell'amministrazione   finanziaria   o   di   altre   amministrazioni
pubbliche. 
    5.- L'art. 18, comma  23,  lettera  c),  della  legge  impugnata,
sostituendo l'art. 6, comma 3, della  legge  della  Regione  autonoma
Sardegna 23 maggio 2008, n. 6 (Legge-quadro in materia di consorzi di
bonifica), prevede che «I consorzi di bonifica possono  realizzare  e
gestire tali impianti di produzione di  energia  elettrica  da  fonti
rinnovabili anche  in  deroga  al  limite  dell'autoconsumo».  Questa
disposizione contrasterebbe con la normativa statale di cui  all'art.
2, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79  (Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato  interno
dell'energia elettrica),  laddove  prevede  che  l'autoproduttore  e'
colui il quale produce energia elettrica  e  la  utilizza  in  misura
almeno del 70 per cento l'anno per  uso  proprio  o  «delle  societa'
controllate, della societa' controllante e delle societa' controllate
dalla medesima controllante, nonche' per uso dei soci delle  societa'
cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica». La
disposizione  indubbiata   consentirebbe   una   deroga   al   limite
dell'autoconsumo, in contrasto con la disciplina statale  e  pertanto
violerebbe l'art. 4 dello statuto regionale in materia di  produzione
e distribuzione dell'energia elettrica, che impone  alla  Regione  di
rispettare i limiti dei principi posti dalle leggi  dello  Stato.  La
norma invaderebbe inoltre la competenza esclusiva statale in  materia
di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema»  prevista  all'art.  117,
secondo comma,  lettera  s),  della  Costituzione,  in  quanto,  come
sarebbe stato riconosciuto ampiamente dalla Corte costituzionale,  la
promozione  e  lo  sviluppo  delle  fonti   energetiche   alternative
rientrerebbero nella materia predetta. 
    6.- Il ricorrente affronta poi le  censure  nei  confronti  degli
articoli 20 e 21 della legge regionale impugnata. 
    6.1.- L'articolo  20,  comma  1,  effettuando  un'interpretazione
autentica dell'art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna del
7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti  nei  settori  economico  e
sociale), prevede che l'Amministrazione regionale sia  autorizzata  a
finanziare programmi pluriennali di  stabilizzazione  dei  lavoratori
precari delle  amministrazioni  locali.  Tali  programmi  pluriennali
devono prevedere l'assunzione a tempo pieno e  indeterminato,  previo
superamento di una selezione concorsuale, finalizzata  alla  verifica
dell'idoneita' ad espletare le mansioni di servizio  della  qualifica
nella  quale  i  lavoratori  verranno  inquadrati.  Questi  programmi
contemplano l'assorbimento degli idonei  entro  un  triennio  e  sono
attuati dagli enti locali interessati con  riferimento  al  personale
precario che, entro la data di entrata in vigore  della  disposizione
interpretativa, abbia maturato almeno trenta mesi di  servizio  nelle
pubbliche amministrazioni locali, anche non continuativi. 
    La disposizione impugnata, anche a  seguito  dell'interpretazione
autentica,   a   detta   del   ricorrente   manterrebbe   i   profili
d'illegittimita'  delle  leggi  della   Regione   autonoma   Sardegna
precedentemente impugnate. In particolare, il  programma  pluriennale
di stabilizzazione del personale precario contrasterebbe  con  l'art.
17,  commi  10  e  12,  del  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), convertito con
modificazioni  dalla  legge  3  agosto  2009,   n.   102,   che   non
consentirebbe  una  generica  stabilizzazione  del  personale.   Tali
disposizioni statali, infatti, prevedono che nel  triennio  2010-2012
le  amministrazioni  pubbliche,  nel  rispetto  della  programmazione
triennale del fabbisogno e  dei  vincoli  finanziari  previsti  dalla
normativa vigente in materia di assunzioni e  di  contenimento  della
spesa per il personale, possano bandire  concorsi  per  assunzioni  a
tempo indeterminato con una riserva dei posti non superiore al 40 per
cento  dei  posti  messi  a  concorso.  Il   legislatore   regionale,
prevedendo, all'art. 20  impugnato,  disposizioni  in  contrasto  con
l'art. 17,  commi  10  e  12,  del  decreto-legge  sopra  menzionato,
eccederebbe la propria competenza in materia  di  «ordinamento  degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed
economico del personale» stabilita  all'art.  3,  lettera  a),  dello
statuto, e invaderebbe  quelle  statali  in  materia  di  ordinamento
civile  e   coordinamento   della   finanza   pubblica,   contemplate
rispettivamente all'art. 117, secondo  comma,  lettera  l),  e  terzo
comma,  della  Costituzione.  Inoltre,  la  disposizione   regionale,
consentendo lo stabile inserimento dei  lavoratori  nei  ruoli  delle
amministrazioni regionali  previo  il  superamento  di  una  generica
procedura selettiva, violerebbe l'articolo 97 della Costituzione, che
esige il concorso quale modalita' di reclutamento. 
    6.2.- L'art. 20, comma 2, modifica il comma 1-quater dell'art.  7
della legge regionale del 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per  la
formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale  della   Regione),
disponendo che al personale di cui al comma 1-ter che svolga o  abbia
svolto  il  proprio  servizio  come  ultima  sede  nell'ente   locale
proponente  il  programma,  sono  attribuiti,  in   via   prevalente,
l'esercizio di funzioni e  compiti  relativi  a  materie  delegate  o
trasferite dalla Regione al  sistema  delle  autonomie  locali.  Tale
norma configurerebbe una deroga ai limiti di spesa e di organico  per
le assunzioni negli enti locali e pertanto si porrebbe  in  contrasto
con l'art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con
modificazioni dalla legge n. 102 del 2009,  sopracitato.  Inoltre,  i
commi novellati si porrebbero in contrasto con l'art.  14,  comma  9,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito in legge 30 luglio 2012, n. 122, che  fissa,  a  decorrere
dall'inizio del 2011, un limite percentuale  di  assunzioni  rispetto
alle cessazioni dal servizio  verificatesi  nel  2010.  A  detta  del
ricorrente, la giurisprudenza costituzionale avrebbe stabilito che il
finanziamento da parte della Regione di programmi di  stabilizzazione
che prescindano dall'espletamento di concorsi si pongono in contrasto
con l'art. 97 Cost., quanto  all'obbligo  di  concorso  ai  fini  del
reclutamento del personale delle pubbliche  amministrazioni:  obbligo
cui sarebbe consentito derogare solo a fronte di esigenze particolari
e con la garanzia della professionalita' dei prescelti.  Inoltre,  la
Corte avrebbe gia' affermato che la prestazione di attivita' a  tempo
determinato alle dipendenze dell'amministrazione regionale non  possa
essere considerata un valido presupposto per una riserva di posti,  e
che il superamento di una qualsiasi selezione, presso qualsiasi ente,
sia  requisito  troppo  generico  per   consentire   una   successiva
stabilizzazione. 
    6.3.- L'art. 21, che si occupa del  superamento  del  precariato,
prevede che  l'Amministrazione  regionale,  attraverso  l'Assessorato
competente, predisponga, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore
della legge, un programma con le misure da adottare per promuovere le
opportunita' di lavoro stabile per i lavoratori socialmente utili  ai
sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e
modifiche della disciplina dei  lavori  socialmente  utili,  a  norma
dell'art. 45, comma 2, della legge 17  maggio  1999,  n.  144).  Tale
programma  tiene  conto  della  collocazione  dei  lavoratori,  dando
priorita' agli attuali enti utilizzatori che  possono  continuare  ad
avvalersi degli stabilizzati senza costi aggiuntivi a carico del loro
bilancio. Questa disposizione, che secondo il ricorrente  riserva  la
totalita' dei posti al personale interno, sarebbe  in  contrasto  con
l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n.  468
(Revisione della disciplina sui lavori  socialmente  utili,  a  norma
dell'articolo 22 della legge  24  giugno  1997,  n.  196),  il  quale
prevede che ai lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano
riservare  una  quota  del  30  per  cento  dei  posti  da  ricoprire
attraverso   una   procedura   selettiva.   Del   resto,   la   Corte
costituzionale, con sentenza n. 274 del 2003, avrebbe gia' dichiarato
illegittimo l'art. 3 della legge della Regione  autonoma  Sardegna  8
agosto 2002, n. 11 (Norme varie in materia di personale  regionale  e
modifiche alla legge regionale 13 novembre 1998, n. 31), nella  parte
in cui prevedeva l'immissione nei ruoli organici dei soggetti addetti
ai lavori socialmente utili destinando loro il 50 per cento dei posti
vacanti. Queste disposizioni, ponendosi in contrasto con  i  principi
di ragionevolezza, imparzialita'  e  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione, violerebbero gli artt. 3 e 97 della Costituzione  ed
in particolare la regola del  pubblico  concorso,  che  e'  principio
dell'ordinamento giuridico  cui  Stato  e  Regioni  devono  parimenti
sottostare. 
    7.- Si e' costituita in giudizio la  Regione  autonoma  Sardegna,
con atto depositato il 4 ottobre 2011, deducendo l'inammissibilita' e
comunque l'infondatezza del ricorso. 
    8.- In riferimento alla prima  doglianza,  relativa  all'art.  3,
comma 1, della legge impugnata, la  resistente  ne  deduce  in  primo
luogo l'inammissibilita'. Il ricorrente non  darebbe  infatti  conto,
nel ricorso, del precetto di rango costituzionale che imporrebbe alla
Regione di legiferare in materia tributaria e  patrimoniale  soltanto
in base a norme di attuazione statutaria;  sul  punto  l'impugnazione
sarebbe dunque apodittica. 
    8.1.- Inoltre, la resistente deduce  l'infondatezza  del  ricorso
sul punto. Infatti, lo statuto sardo avrebbe una immediata  efficacia
precettiva rispetto  al  caso  in  esame.  L'art.  8  dello  statuto,
individuando esattamente di  quali  entrate  tributarie  disponga  la
Regione,  gia'  contemplerebbe  il   potere   di   accertamento   con
riferimento alle compartecipazioni  regionali  ai  tributi  erariali.
Nell'elencare le voci di entrata, non prospetterebbe la necessita' di
alcun trasferimento di funzioni  o  del  loro  esercizio  coordinato,
poiche'  gia'  individua  precisamente  l'ammontare   delle   entrate
regionali.  Residuerebbe  invece  alla  Regione  il  solo  potere  di
adottare  i  provvedimenti  normativi   che   nell'art.   8   trovano
fondamento, e rispetto ai quali l'attivita' legislativa regionale  si
pone come condizione affinche' lo statuto produca i suoi effetti.  In
questo senso deporrebbe la giurisprudenza  costituzionale,  la  quale
avrebbe statuito che, nei  casi  in  cui  la  sfera  di  attribuzioni
regionali sia gia' individuata dallo statuto,  cio'  conferisca  gia'
alle autonomie i poteri legislativi e amministrativi in materia. 
    9.- A detta della  resistente,  la  seconda  doglianza,  relativa
all'art. 17, comma 9, sarebbe ugualmente infondata. Infatti, come  si
ricaverebbe  dal  medesimo  testo  censurato,  la  Regione   autonoma
Sardegna   avrebbe   legiferato   nell'esercizio   di    attribuzioni
conferitele dall'art. 9, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2001, ai sensi
del quale le Regioni possono estendere la procedura semplificata agli
impianti di potenza  nominale  fino  ad  1  MW  elettrico,  definendo
inoltre i casi in cui, a causa  della  necessita'  di  autorizzazioni
ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni  diverse
da quella comunale, la realizzazione e  l'esercizio  dell'impianto  e
delle opere  connesse  sono  assoggettate  all'autorizzazione  unica,
prevista dal medesimo decreto legislativo all'art. 5. A  detta  della
resistente, dall'articolo 9, comma 9, del decreto sopracitato non  si
evincerebbe che l'unico potere d'intervento  regionale  riguarderebbe
la determinazione della potenza massima  dell'impianto  che  si  puo'
assoggettare alla procedura semplificata. Al  contrario,  poiche'  la
normativa statale legittima  le  Regioni,  oltre  ad  individuare  la
potenza massima nel limite superiore di 1 MW,  anche  a  stabilire  i
«casi» da sottoporre  alla  procedura  semplificata,  il  legislatore
regionale  avrebbe  semplicemente  utilizzato  uno  spazio  normativo
pienamente contemplato dal legislatore statale individuando i casi in
cui, pertanto, questa procedura semplificata non si applica. 
    In  secondo  luogo,  la  Regione  autonoma  Sardegna,  ai   sensi
dell'art. 4, primo comma, lettera e), dello  statuto,  ha  competenza
concorrente in materia di «produzione  e  distribuzione  dell'energia
elettrica»:  e  la  disposizione  impugnata  ricadrebbe   nell'ambito
riservato alla competenza regionale. 
    10.- Quanto alla terza doglianza, riguardante  l'art.  18,  comma
20, della legge impugnata, relativa all'onere per  i  soggetti  Onlus
che  intendano  beneficiare   dell'esenzione   stabilita   ai   sensi
dell'articolo  17,  comma  5,  della  legge  della  Regione  autonoma
Sardegna 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni  per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale  della  Regione  -  Legge  finanziaria
2003), la resistente ne sostiene l'infondatezza. La difesa  regionale
evidenzia che la  disposizione  non  imporrebbe  un  ulteriore  onere
burocratico,    ma    introdurrebbe     uno     strumento,     quello
dell'autocertificazione,   ispirato   all'orientamento   attuale   di
snellimento delle  procedure,  a  favore  innanzitutto  del  medesimo
contribuente. In tal modo, eviterebbe alla Regione di interrogare  il
Ministero delle finanze, che gestisce l'anagrafe unica  delle  Onlus,
in riferimento al  regime  applicabile  a  tali  enti.  La  soluzione
normativa della legislazione sarda gioverebbe al  contribuente,  «che
ha tutto l'interesse a potersi qualificare  autonomamente  attraverso
un'autocertificazione». 
    Inoltre, per la parte  resistente,  l'autocertificazione  sarebbe
necessaria in base al medesimo art. 21 del d.lgs. n. 460 del 1997 che
consente  di  introdurre  agevolazioni  a  favore  dei  soggetti  non
lucrativi.  Infatti,  l'agevolazione  non  sarebbe   automatica,   ma
esigerebbe che  il  contribuente  faccia  richiesta  di  applicazione
dell'agevolazione. Pertanto, in caso di  mancata  trasmissione  della
qualifica, ai sensi della legislazione statale il soggetto non profit
decadrebbe  dall'agevolazione:  effetto  esattamente   ribadito   dal
legislatore regionale. 
    Infine, l'autocertificazione prevista dalla  normativa  impugnata
non costituirebbe un onere ulteriore, giacche'  la  comunicazione  di
avvalersi  dell'esenzione  da  parte  del  beneficiario  puo'  essere
effettuata fino al momento della dichiarazione dei redditi e  insieme
alla stessa. Pertanto, il  contribuente  non  viene  onerato  di  una
ulteriore scadenza. 
    11.- Con riferimento alla  quarta  doglianza,  la  resistente  ne
sostiene l'inammissibilita'. Nella lettura del ricorso offerta  dalla
parte resistente, il ricorrente  lamenterebbe  la  violazione,  quale
parametro interposto di costituzionalita', dell'art. 2, comma 2,  del
d.lgs. n. 79 del 1999,  che  qualifica  l'autoproduttore  di  energia
elettrica. L'articolo 2, rubricato «definizioni», non  prescriverebbe
nulla, ma semplicemente individuerebbe la figura dell'autoproduttore.
La questione potrebbe invece essere scrutinata nel merito solo  sulla
base di una norma regionale applicativa della qualificazione,  oppure
individuando  una  norma  statale  che  concretamente  impedisca   ai
consorzi di bonifica di realizzare  e  gestire  impianti  di  energia
elettrica da fonti rinnovabili in deroga al limite dell'autoconsumo. 
    12.- Quanto alle doglianze relative all'art. 20, commi 1, 2 e  3,
la resistente nota innanzitutto che il comma 3 non e' affrontato  dal
ricorrente se non nell'epigrafe del ricorso.  Pertanto,  non  sarebbe
coinvolto in alcuna censura. 
    12.1.- Quanto all'art. 20, comma 1, la censura sarebbe  infondata
con riferimento a tutti i parametri invocati dal ricorrente. 
    12.2.- In primo luogo, il comma in esame non violerebbe l'obbligo
di concorso  sancito  all'art.  97  Cost.  per  il  reclutamento  del
personale degli enti pubblici. Infatti, la norma impugnata esige  che
i candidati superino una specifica selezione concorsuale,  funzionale
alla  verifica  dell'idoneita'  all'espletamento  delle  mansioni,  e
pertanto  non  configurerebbe  una  stabilizzazione  automatica   del
personale; al contrario, prevedrebbe  una  selezione  concorsuale  in
aderenza al parametro di costituzionalita' evocato. 
    12.3.- In secondo luogo, il comma non si  porrebbe  in  contrasto
con l'art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, in materia  di
riserve di posti, in quanto non si esprimerebbe sulla quota  massima,
individuata dal  legislatore  statale  nel  40%  dei  posti  messi  a
concorso. 
    12.4.- In terzo luogo, il comma  non  violerebbe  nemmeno  l'art.
117, terzo comma, Cost.: il parametro sarebbe innanzitutto enunciato,
senza che il  ricorrente  motivi  sul  punto.  Inoltre,  non  sarebbe
violata la competenza  statale  in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica, dal momento che la  normativa  regionale  censurata
non presenta alcun profilo finanziario, nemmeno per  quanto  concerne
il  rapporto  tra  cessazioni  e  nuove  assunzioni  nelle  pubbliche
amministrazioni, programmato dal legislatore statale. 
    12.5.- La normativa non violerebbe nemmeno  l'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. in materia di ordinamento civile, in  quanto
la disposizione non configurerebbe una nuova tipologia di rapporto di
lavoro al servizio della pubblica amministrazione, ma si  limiterebbe
a dare avvio ad  un  procedimento  amministrativo,  che  non  rientra
nell'area dell'ordinamento civile,  materia,  quest'ultima,  che  non
puo' essere intesa come capace di assorbire tutte le competenze della
Regione  sul  personale  regionale.  Diversamente,  una  lettura  che
assorbisse all'ordinamento civile tali legislazioni annichilirebbe la
potesta' legislativa regionale. 
    13.-  Quanto  all'art.  20,  comma  2,  della  legge   impugnata,
riguardante le assunzioni di personale, in  relazione  alla  menzione
che tali assunzioni avverrebbero anche in deroga ai limiti di spesa e
di organici stabiliti nei confronti degli enti locali, la  resistente
precisa  che  tali  deroghe  farebbero  riferimento  alla  disciplina
regionale, non a quella dettata dal legislatore statale. 
    14.- Quanto alla doglianza relativa all'art. 21  della  normativa
oggetto  d'impugnazione,  la  resistente  ne  sostiene   innanzitutto
l'inammissibilita', poiche' il ricorrente si limiterebbe ad  evocare,
senza argomentare, l'applicabilita' del parametro interposto  di  cui
all'art. 12, comma 4, del d.lgs.  n.  468  del  1997,  riguardante  i
lavoratori socialmente utili. 
    14.1.-  Inoltre,  la  resistente   motiva   per   l'infondatezza,
sostenendo che la disposizione censurata si limiterebbe ad attribuire
all'Assessorato competente in  materia  di  lavoro  la  competenza  a
predisporre un programma di misure da adottare nei confronti dei  cd.
"lavoratori  socialmente  utili",  non  disponendo  alcuna  quota  di
riserva a loro favore. Dunque non vi sarebbe alcun superamento  delle
quote di riserva stabilite dal legislatore statale. 
    15.- Con ulteriore memoria  depositata  nella  cancelleria  il  2
marzo 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ulteriormente
dedotto in merito alle eccezioni d'inammissibilita' e  d'infondatezza
prospettate dalla resistente. 
    16.- Quanto alla prima doglianza, il ricorrente evidenzia di aver
chiaramente  indicato  nell'art.  56  dello  statuto  della   Regione
autonoma Sardegna il parametro di rango  costituzionale  violato:  la
legislazione regionale avrebbe introdotto un precetto  finalizzato  a
dare esecuzione  all'art.  8,  che  disciplina  la  compartecipazione
regionale  al  gettito  tributario,  eludendo  la  procedura  di  cui
all'art. 56 predetto. Il ricorrente fa leva sulla versione previgente
dell'art.  8  evidenziando  che  allora  la  disposizione  aveva   un
contenuto precettivo di compiutezza e determinazione di grado analogo
a quello attualmente vigente,  ma  cio'  aveva  comunque  imposto  di
adottare il d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione  dello
Statuto speciale per la Sardegna) per attuare l'art. 8 dello statuto,
con  riferimento  agli  articoli  da  32  a  38.  Cio',  sostiene  il
ricorrente, comproverebbe che il grado di  definizione  dei  precetti
non vale, in se', a escludere la necessita'  di  un'attuazione  dello
statuto, che deve necessariamente svolgersi nelle forme  previste  da
quest'ultimo. 
    La  giurisprudenza  richiamata  dalla   resistente   a   sostegno
dell'autoapplicativita' dello statuto sarebbe  inconferente,  poiche'
nei  casi  pregressi  la  Corte  costituzionale  aveva  ritenuto  non
necessario adottare  il  procedimento  di  attuazione  statutaria  in
quanto questo riguardava ambiti di competenza  esclusiva  degli  enti
territoriali,  mentre  in  questo  caso   la   disciplina   regionale
inciderebbe  sul  sistema  tributario  e   contabile   dello   Stato,
riservato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera  e),  della
Costituzione, alla legislazione esclusiva statale.  In  quest'ambito,
dovrebbe dunque seguirsi la procedura prevista dallo statuto. 
    Inoltre, la violazione degli articoli da 32 a 38  del  d.P.R.  n.
250 del 1949  dedotta  nell'atto  introduttivo  sarebbe  relativa  ad
alcuni tributi che ancora vigono e che quindi devono ancora orientare
il legislatore regionale nella sua attivita' normativa. 
    Infine,  venendo  al  contenuto   dell'articolo   impugnato,   il
ricorrente  nota  che  la  previsione  che  gli  accertamenti   delle
compartecipazioni regionali  ai  tributi  erariali  siano  effettuati
anche giovandosi  degli  indicatori  relativi  ai  gettiti  tributari
sarebbe un precetto estremamente generico, di  incerta  applicazione,
che    conferirebbe    all'amministrazione     regionale     un'ampia
discrezionalita'. 
    17.-  Con  riferimento  alla  seconda  doglianza,  il  ricorrente
evidenzia che la legge nazionale prevede la possibilita' di applicare
una procedura abilitativa semplificata, consentendo alle  Regioni  di
individuare  i  casi  in  cui  la  realizzazione  degli  impianti  di
generazione di energia elettrica di biogas  e  biometano  segua  tale
procedura. Al contrario, la disposizione censurata introdurrebbe  una
ulteriore specificazione riferita ai soggetti che possono  utilizzare
tale procedura, limitandone  l'ambito  di  operativita'  a  categorie
specifiche di operatori economici. Questa  opzione  rischierebbe  «di
determinare  ingiustificate  disparita'  di  trattamento  a   livello
nazionale» e non troverebbe fondamento  nell'art.  6,  comma  9,  del
d.lgs. n. 28 del 2011. 
    18.-   Con   riferimento   alla   terza    doglianza,    relativa
all'introduzione   dell'onere   per   le    Onlus    di    comunicare
all'amministrazione regionale la volonta' di  valersi  dell'esenzione
con riferimento all'IRAP, il ricorrente rileva come questa previsione
costituisca un aggravamento procedurale per  i  soggetti  interessati
dall'esenzione. 
    19.-  Con  riferimento  alla  quarta  doglianza,  il   ricorrente
evidenzia come l'intervento normativo regionale consenta al consorzio
idrico  di  divenire,  grazie  alla   deroga   rispetto   ai   limiti
dell'autoproduzione, un produttore di energia elettrica a  tutti  gli
effetti, anziche' di soddisfare esigenze  energetiche  accessorie  al
servizio idrico rispetto al quale opera,  e  che  aveva  condotto  il
legislatore statale ad inserirlo tra gli  autoproduttori  in  ragione
della sua funzione mutualistica. 
    20.- Quanto alle  doglianze  relative  alle  norme  regionali  in
materia  di  stabilizzazione  del  precariato  e   assorbimento   dei
lavoratori  socialmente  utili,  il  ricorrente  ribadisce   che   la
disciplina darebbe luogo ad  una  violazione  dell'art.  97  Cost.  e
all'esigenza cui tale articolo risponde,  ossia  predisporre  per  il
reclutamento nella pubblica amministrazione di strumenti di selezione
trasparente, comparativa e aperta. La  giurisprudenza  costituzionale
avrebbe, insiste il  ricorrente,  ritenuto  ingiustificato  riservare
posti ai  soggetti  che  gia'  avessero  prestato  servizio  a  tempo
determinato nell'amministrazione interessata, in assenza  di  ragioni
di natura eccezionale. 
    La formulazione dell'articolo contrasterebbe inoltre  con  l'art.
117, terzo comma, in materia di coordinamento della finanza pubblica,
derogando alle prescrizioni in materia di  assunzioni  e  riserve  di
posti fissate a livello nazionale dagli articoli 14, comma 9, e  art.
17, commi 10 e 12, del decreto legge n. 78 del 2009, che troverebbero
ovvia giustificazione nella necessita' di coordinare  il  sistema  di
finanza pubblica. 
    21.- Quanto alla doglianza specifica relativa all'art.  21  della
legge della Regione autonoma Sardegna, relativa all'assorbimento  nei
ruoli delle amministrazioni locali dei lavoratori socialmente  utili,
il ricorrente evidenzia che, sebbene la  resistente  affermi  che  la
disciplina impugnata non  intende  intaccare  il  limite  individuato
dalla norma statale, l'evoluzione normativa  cui  ha  dato  corso  la
Regione deporrebbe per la conclusione opposta. Infatti, il ricorrente
sottolinea che la  Corte  costituzionale  si  era  gia'  espressa  su
un'analoga normativa della Regione, contenuta nell'art. 3 della legge
regionale n.  11  del  2002,  concludendo  per  l'infondatezza  delle
censure in ragione della situazione temporale delimitata che  rendeva
non irragionevole quella disciplina. 
    22.- La  parte  resistente  ha  presentato  ulteriori  deduzioni,
depositando una memoria nella cancelleria della  Corte  il  13  marzo
2012. 
    23.- Quanto alla doglianza relativa al potere di accertamento  di
cui all'art.  3,  comma  1,  della  legge  impugnata,  la  resistente
continua ad opinare  per  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza,  per
ulteriori  ragioni  rispetto  a  quelle  gia'  avanzate  in  sede  di
costituzione. Infatti, il ricorrente innanzitutto non evocherebbe gli
articoli 3 e 7 dello statuto, che, al contrario, enumerano le materie
di  competenza  regionale  esclusiva  attribuendo  alla  Regione   la
relativa autonomia finanziaria. Autonomia  che  costituisce  la  base
sulla quale si costruirebbe la disposizione impugnata. 
    Inoltre, l'art. 3,  comma  1,  non  esigerebbe  alcun  genere  di
adempimento  da  parte  dell'Amministrazione   statale,   inserendosi
nell'attivita' amministrativa di redazione del bilancio regionale, di
piena competenza dell'amministrazione dell'ente. 
    Infine,  con  la  sua  impugnazione  sul  punto   il   ricorrente
sovrapporrebbe le  nozioni  di  «attuazione»  ed  «esecuzione»  dello
statuto, visto che l'art. 8 di quest'ultimo non  avrebbe  bisogno  di
attuazione, essendo il suo contenuto immediatamente precettivo. 
    24.- Quanto alla censura dell'art. 17, comma 9, che  individua  i
soggetti  abilitati  ad  accedere  al   procedimento   autorizzatorio
semplificato per realizzare e gestire impianti utilizzanti  biogas  e
biometano, la Regione ribadisce le ragioni dell'infondatezza. 
    25.-  Quanto   alla   lamentata   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 18,  comma  20,  che  impone  che  le  Onlus  operanti  sul
territorio regionale debbano comunicare all'amministrazione regionale
la volonta' di  avvalersi  dell'esenzione  dall'IRAP,  il  ricorrente
pretenderebbe di eliminare la discrezionalita' della Regione rispetto
ai  medesimi  procedimenti  amministrativi  di  sua  competenza,   in
contrasto con quanto sancito dalla giurisprudenza costituzionale.  Le
scelte   legislative   regionali   sul   punto,   del   resto,    non
determinerebbero alcun significativo aggravio procedimentale  per  le
organizzazioni non lucrative, ma anzi  consentirebbero  di  avvalersi
dell'autocertificazione da parte dei richiedenti,  in  linea  con  la
tendenza al ricorso a questo istituto, ai fini di  snellimento  delle
procedure. Del resto, i principi generali dell'ordinamento  giuridico
non  solo  consentirebbero,  ma  persino  imporrebbero  di  stabilire
termini perentori per la presentazione della richiesta di accedere ad
un beneficio. 
    26.-  Rispetto  alla  lamentata   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 18,  comma  23,  lettera  c),  della  legge  censurata,  la
resistente ne  ribadisce  l'inammissibilita'  per  il  fatto  che  il
parametro interposto invocato,  che  definisce  l'autoproduttore,  ne
offrirebbe   semplicemente   la   nozione   e   mancherebbe    dunque
l'indicazione di una norma statale che vieti alla regione di adottare
la legislazione censurata. 
    27.- Quanto agli artt. 20, commi 1  e  2,  e  21  della  medesima
legge, la Regione prende atto della sentenza di questa  Corte  n.  30
del 2012,  nel  frattempo  intervenuta  e,  per  quanto  riguarda  la
stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili,  evidenzia  che  le
censure muovono da un'interpretazione delle  norme  che  risulterebbe
indimostrata. Infatti, il ricorrente ritiene che la normativa preveda
una copertura di posti di ruolo e una riserva in favore di specifiche
categorie di personale, senza offrire un'argomentazione a supporto di
tale  interpretazione.  Sul  punto,  dunque,   il   ricorso   sarebbe
inammissibile. 
  
                       Considerato in diritto 
  
    1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  gli
articoli 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23, lettera c),  20,
commi 1 e 2, e 21 della legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  30
giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d'intervento). 
    2.- La prima doglianza si riferisce all'art. 3,  comma  1,  della
legge regionale n. 12 del 2011. Tale  disposizione  prevede  che,  ai
sensi dell'art. 8 dello statuto di autonomia della  Regione  Sardegna
(legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3),  modificato  dall'art.
1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  Legge
finanziaria 2007), «in assenza dell'adeguamento delle relative  norme
di  attuazione  [...],  gli  accertamenti   delle   compartecipazioni
regionali ai tributi erariali sono effettuati anche sulla base  degli
indicatori  disponibili,  relativi  ai   gettiti   tributari».   Tale
previsione,  sostiene  il  ricorrente,  configurerebbe  un'attuazione
unilaterale dello statuto  in  materia  tributaria,  che  inciderebbe
sulle attuali disposizioni di  attuazione  contenute  in  particolare
negli articoli da 32 a 38 del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), senza  rispettare
le modalita' previste  dal  medesimo  statuto  all'art.  56,  ove  si
prevede l'intervento di una commissione paritetica. 
    2.1.- La  parte  resistente,  al  contrario,  sostiene  che  tale
doglianza  sarebbe   inammissibile,   poiche'   il   ricorrente   non
dimostrerebbe la necessita' che il nuovo  articolo  8  dello  statuto
riceva attuazione attraverso il procedimento previsto all'art. 56. 
    2.2.- L'eccezione d'inammissibilita'  deve  essere  accolta,  per
l'inadeguatezza e la  genericita'  dei  motivi  di  ricorso  relativi
all'art. 3, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011. 
    Il ricorrente, infatti, pur evocando gli articoli 4, 5 e 56 dello
statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali  alla  Regione
non dovrebbe spettare il potere  di  quantificare  l'ammontare  delle
compartecipazioni  ai  tributi  erariali,  al  fine  di  redigere  il
bilancio di previsione. Ne' si  fa  menzione  dell'articolo  7  dello
statuto che, secondo  la  difesa  regionale,  garantisce  l'autonomia
finanziaria e contabile, nell'esercizio della quale,  sempre  secondo
la difesa, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo  art.  8  dello
statuto, e' stata emanata la  norma  impugnata,  per  consentire  che
fosse predisposto il bilancio regionale. Neppure il ricorrente spiega
quali  norme  di  attuazione  si  renderebbero  necessarie  per  dare
applicazione al nuovo art. 8 dello statuto, che determina la quota di
tributi  da  trasferire  alla  Regione  in  riferimento  a   ciascuna
compartecipazione. Del resto, tra le  sentenze  evocate  dalla  parte
ricorrente (sentenze n. 213 del 1998, n. 160 del  1985,  n.  180  del
1980 e n. 151 del 1972) sono inclusi casi che trattano di  situazioni
non assimilabili a quella  qui  in  esame,  in  cui  la  legislazione
statale, e  non  quella  regionale,  interveniva  unilateralmente  in
ambiti riservati alle norme di attuazione. 
    Manca,  dunque,  da  parte   del   ricorrente   una   sufficiente
motivazione a sostegno dell'asserita necessita' che il nuovo  art.  8
dello statuto richieda di essere attuato  con  la  procedura  di  cui
all'art. 56. 
    3.- L'art. 17, comma 9, della legge regionale impugnata limita  a
soggetti individuati (imprenditori agricoli professionali iscritti da
almeno tre  anni  alla  Camera  di  commercio;  giovani  imprenditori
agricoli;  societa'  agricole),  la  possibilita'  di  esperire   una
procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti
di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas. 
    Secondo il ricorrente, la delimitazione su base soggettiva  della
possibilita'   di   ricorrere   a   tale    procedura    semplificata
contrasterebbe con l'art. 6, comma 9, del decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE  sulla  promozione
dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,  recante  modifica  e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e  2003/30/CE),  di
talche' la Regione, operando tale restrizione, avrebbe  invaso  tanto
la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente  e
dell'ecosistema, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost., in cui rientrerebbero la promozione e  lo  sviluppo  di  fonti
energetiche alternative, quanto l'art. 4, primo  comma,  lettera  e),
dello statuto, che conferisce  alla  Regione  autonoma  Sardegna  una
competenza concorrente  in  materia  di  produzione  e  distribuzione
dell'energia elettrica. 
    3.1.- La censura e' fondata. 
    Il legislatore statale, infatti, attraverso la  disciplina  delle
procedure  per  l'autorizzazione  degli  impianti  di  produzione  di
energia  da  fonti  rinnovabili,  ha  introdotto  principi  che,  per
costante giurisprudenza di  questa  Corte,  non  tollerano  eccezioni
sull'intero  territorio  nazionale,  in  quanto   espressione   della
competenza legislativa concorrente in  materia  di  energia,  di  cui
all'art. 117, terzo  comma,  della  Costituzione,  e,  con  specifico
riferimento alla Regione autonoma Sardegna, di cui all'art. 4,  primo
comma, lettera e), dello statuto. 
    Questa Corte ha ripetutamente affrontato  tale  problematica  con
riferimento al decreto legislativo  29  dicembre  del  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita') (ex multis, sentenze nn. 310,  308
e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del  2010;  n.  282  del
2009 e n. 364 del 2006), e al decreto del  Ministero  dello  sviluppo
economico 10 settembre 2010 (Linee guida per  l'autorizzazione  degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011 e
n. 344 del 2010). 
    Nel caso oggi in esame, va riaffermato il medesimo principio  con
riferimento al decreto legislativo n. 28 del 2011, rispetto al  quale
la normativa regionale  e'  in  questa  sede  censurata.  Il  decreto
legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione  della  direttiva
2009/28/CE del 23  aprile  2009,  che  in  materia  di  procedure  di
autorizzazione di impianti per la produzione di  energie  rinnovabili
invita  gli  Stati  membri  a  preferire  procedure  semplificate   e
accelerate, prevedendo tra l'altro forme procedurali meno gravose per
i progetti di piccole dimensioni (art. 13). L'art. 6 del d.lgs. n. 28
del 2011, in attuazione della  direttiva  europea  sopra  menzionata,
disciplina una procedura abilitativa semplificata per la  costruzione
e  l'esercizio  di   impianti   alimentati   da   fonti   energetiche
rinnovabili,  riconoscendo  inoltre  alle  Regioni  e  alle  Province
autonome la facolta' di estendere «la soglia  di  applicazione  della
procedura semplificata [...] agli impianti di potenza nominale fino a
1 MW elettrico, definendo altresi' i casi  in  cui  essendo  previste
autorizzazioni  ambientali  o   paesaggistiche   di   competenza   di
amministrazioni diverse dal Comune, la  realizzazione  e  l'esercizio
dell'impianto  e  delle  opere  connesse   sono   soggette   altresi'
all'autorizzazione unica», disciplinata  al  successivo  art.  5  del
medesimo d.lgs. n. 28 del 2011. La disposizione  statale,  dunque,  -
recependo tanto il generale orientamento di  favore  della  direttiva
europea verso la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenza
n. 124 del  2010),  quanto,  piu'  specificamente,  per  gli  aspetti
procedimentali  rilevanti   ai   fini   della   presente   decisione,
l'obiettivo di estendere al massimo il ricorso a  procedure  leggere,
che incentivino l'insorgere di impianti anche di piccole dimensioni -
ha introdotto una procedura  semplificata,  dando  altresi'  facolta'
alle Regioni di estenderne  l'ambito  di  applicazione  fino  ad  una
soglia massima di potenza di energia elettrica pari a 1 MW. A  fronte
di  tale  disciplina,  europea  e  nazionale,  la   legge   regionale
interviene con una disposizione restrittiva,  che  limita  sul  piano
soggettivo  il  ricorso  alla  procedura  semplificata,  individuando
nominativamente i tipi di operatori economici  ammessi  al  beneficio
procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in contrasto  con
la disposizione statale contenuta nell'art. 6 del d.lgs.  n.  28  del
2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio
fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle
procedure necessarie all'installazione di impianti di  produzione  di
energia da fonti rinnovabili. 
    In conclusione, la  legislazione  regionale  censurata  non  puo'
dirsi rientrare  nei  margini  di  scelta  consentiti  alle  Regioni,
poiche' nella legislazione statale nulla permette di giustificare una
restrizione  all'accesso  alla   procedura   semplificata   su   base
soggettiva, sia per ragioni testuali,  sia  considerando  lo  spirito
dell'intera normativa, volto a promuovere la diffusione delle energie
rinnovabili. 
    4.- Anche la censura relativa all'art. 18, comma 20, della  legge
impugnata e' fondata. 
    La disposizione prevede che le organizzazioni  non  lucrative  di
utilita'  sociale  (Onlus),  esentate  dall'imposta  regionale  sulle
attivita' produttive (IRAP) ai sensi dell'articolo 17, comma 5, della
legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  29  aprile  2003,   n.   3
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
della  Regione  -  Legge  finanziaria  2003),  al  fine   di   godere
dell'esenzione   debbano   trasmettere   alla   direzione    generale
dell'Assessorato regionale della programmazione, bilancio, credito  e
assetto  del  territorio,  negli  stessi  termini  previsti  per   la
presentazione della dichiarazione dei redditi, una comunicazione  con
la quale attestano di avere diritto all'esenzione;  cio'  a  pena  di
decadenza dall'esenzione  medesima.  La  norma  rimette  alla  Giunta
regionale la disciplina delle  modalita'  di  presentazione  di  tali
comunicazioni. 
    4.1.- La normativa regionale e'  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, che  attribuisce  allo
Stato la piena potesta' legislativa sul sistema tributario statale. 
    In primo luogo, la norma censurata introduce un onere burocratico
che grava sulle Onlus al fine di poter beneficiare di  una  esenzione
dall'IRAP. Una  tale  determinazione,  tuttavia,  non  rientra  nelle
competenze regionali. Infatti, come  da  costante  giurisprudenza  di
questa Corte (ex multis sentenze n. 323 del 2011, n. 241 del  2004  e
n. 296 del 2003), l'IRAP, sebbene sia percepita dalle Regioni e dalle
Province autonome, e' un  tributo  statale  per  sua  natura,  ed  e'
disciplinato dalla legislazione statale. Alle Regioni e alle Province
autonome  residuano  soltanto  gli  spazi   normativi   espressamente
stabiliti dalla legislazione statale - fra tutti, e per quel che  qui
piu' interessa, il potere di disporre l'esenzione dal tributo per  le
Onlus. Al  di  fuori  di  quegli  spazi,  alle  Regioni  e'  precluso
qualsiasi intervento normativo: non rientra dunque tra le  competenze
della Regione individuare  le  modalita'  con  le  quali  i  soggetti
beneficiari possono avvalersi delle esenzioni di un tributo erariale. 
    Pertanto,  nel  disporre   che   le   Onlus   devono   comunicare
all'Assessorato  regionale  competente  la  volonta'   di   avvalersi
dell'esenzione, il legislatore regionale  ha  violato  la  competenza
esclusiva statale in materia di tributi statali, ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 
    4.2.-  Anche  seguendo   l'assunto   della   Regione   circa   la
possibilita' di intervenire sul tributo IRAP al di fuori degli  spazi
concessi espressamente  dal  legislatore  statale,  sarebbe  comunque
privo di fondamento l'argomento della resistente, secondo cui l'onere
della  comunicazione  in  realta'  rappresenterebbe  uno  snellimento
burocratico,   in   linea   con   gli   orientamenti   piu'   recenti
dell'ordinamento,   che    tendono    a    preferire    il    ricorso
all'autocertificazione. Secondo la  resistente,  l'autocertificazione
dell'organizzazione interessata eviterebbe alla  Regione  di  doversi
attivare per ottenere informazioni in  possesso  dell'amministrazione
statale relative alle Onlus presenti sul territorio regionale per poi
poter applicare l'esenzione,  a  tutto  vantaggio  del  soggetto  che
intende avvalersi dell'esenzione tributaria. 
    Queste affermazioni non sono condivisibili. Infatti,  l'onere  di
comunicazione si aggiunge a  quelli  gia'  gravanti  sulle  Onlus,  e
dunque non rappresenta uno snellimento,  nella  prospettiva  di  tali
enti. Si deve, tra l'altro, notare che l'IRAP dev'essere  versata  in
ogni Regione nella quale venga svolta l'attivita' produttiva - il che
significa che una Onlus  presente  in  piu'  territori,  seguendo  il
ragionamento svolto dalla resistente, potrebbe  incontrare  non  solo
diversi regimi  di  IRAP,  ma  persino  diversi  oneri  apposti  alle
agevolazioni. La normativa  impugnata  ha  dunque  un  contenuto  che
complica, piuttosto che semplificare, gli adempimenti a carico  delle
Onlus, e sicuramente non e' idonea ad alleggerire il quadro dell'iter
burocratico. 
    5.- La questione relativa all'art.  18,  comma  23,  lettera  c),
della legge regionale impugnata e' inammissibile. 
    La disposizione oggetto della censura sostituisce l'art. 6, comma
3, della legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  n.  6  del  2008,
prevedendo che i consorzi di bonifica possano  realizzare  e  gestire
impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili anche in deroga
al limite dell'autoconsumo. Secondo il  ricorrente,  tale  previsione
verrebbe a collidere con l'art. 2, comma 2, del  decreto  legislativo
16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione  della  direttiva  96/92/CE  recante
norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), che,  in
attuazione del diritto dell'Unione europea, offre una definizione  di
autoproduttore. Tale qualifica spetta per legge a quei  soggetti  che
producono energia elettrica e la utilizzano in misura almeno  del  70
per cento l'anno per uso proprio o «delle societa' controllate, della
societa' controllante e delle  societa'  controllate  dalla  medesima
controllante, nonche' per uso dei soci delle societa' cooperative  di
produzione e distribuzione dell'energia elettrica». 
    Il ricorrente mette in luce che la normativa  regionale  consente
ai consorzi di bonifica di produrre energia elettrica anche in deroga
al  limite  dell'autoconsumo,  deducendone  un   contrasto   con   la
legislazione statale;  contrasto  che  costituirebbe  una  violazione
tanto dell'art. 4 dello  statuto,  con  riferimento  alla  competenza
regionale in  materia  di  produzione  e  distribuzione  dell'energia
elettrica, quanto con l'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,
che attribuisce allo Stato la tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema
in via esclusiva. 
    Tuttavia,  il  ricorrente  non  spiega  in  cosa  consista  detto
contrasto, atteso che la normativa regionale impugnata non stabilisce
una nozione di autoproduttore  diversa  e  incompatibile  con  quella
fatta propria dal legislatore statale. Dalla  disposizione  impugnata
si evince soltanto che il consorzio di bonifica puo' produrre energia
oltre il limite fissato dal legislatore  statale  per  l'autoconsumo,
mentre non vi sono elementi che lasciano intendere che  il  consorzio
che  oltrepassi  tale  misura  possa  conservare  la   qualifica   di
autoproduttore, in spregio alla definizione fornita  dal  legislatore
statale. Il ricorrente non svolge alcuna considerazione che  sostanzi
il contrasto tra  le  due  normative  che,  in  realta',  non  paiono
raffrontabili. 
    La questione e', dunque, inammissibile per genericita' dei motivi
di ricorso. 
    6.- L'articolo 20, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011,
censurato per violazione dell'art. 3, lettera  a),  dello  statuto  e
117, secondo comma, lettera e), e terzo  comma  Cost.,  contiene  una
disposizione di interpretazione autentica  dell'art.  3  della  legge
della Regione autonoma Sardegna 7 agosto  2009,  n.  3  (Disposizioni
urgenti nei settori economico e  sociale),  a  sua  volta  modificata
dall'art. 7, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna del
19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale della Regione). L'effetto interpretativo  della
disposizione impugnata e' nel senso di autorizzare  l'Amministrazione
regionale a finanziare programmi pluriennali di  stabilizzazione  dei
lavoratori precari delle amministrazioni locali. 
    Successivamente alla presentazione del ricorso, questa Corte, con
sentenza   n.   30   del   2012,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art.  7,  comma  1,  della  legge  della  Regione
autonoma Sardegna n. 1  del  2011.  La  disposizione  ora  censurata,
dunque, effettua un'operazione interpretativa di  altra  disposizione
gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    Per  tale  ragione,  la  censura,   secondo   ormai   consolidata
giurisprudenza costituzionale (ex multis sentenza n. 397  del  2005),
risulta inammissibile, poiche' la disposizione oggetto  del  giudizio
non puo' esplicare effetti nell'ordinamento. 
    7.- L'art. 20, comma 2, della legge regionale impugnata  contiene
una modifica dell'art. 7, comma 1, della legge  regionale  n.  1  del
2011. 
    Si noti, per inciso,  che  la  disposizione  impugnata  asserisce
erroneamente di modificare l'art.  7,  comma  1-quater,  della  legge
regionale  n.  1  del  2011,  che  in  realta'  non  esiste.  L'unico
significato plausibile della disposizione impugnata e'  che  essa  si
prefigga di modificare non il comma 1-quater, ma il comma 1 dell'art.
7 della legge n. 1 del 2011, il quale introduceva il  comma  1-quater
all'art. 7 della precedente legge regionale n. 3 del 2009. 
    Posta questa necessaria precisazione, la  disposizione  impugnata
dettaglia i criteri per l'individuazione e specifica le funzioni  del
personale da inserire nei programmi pluriennali di stabilizzazione di
cui all'art. 20, comma 1: disposizione che, come  si  e'  detto  poco
sopra, e' priva di  effetti  a  causa  dell'intervenuta  sentenza  di
questa Corte n. 30 del 2012. 
    Per le medesime ragioni che sono alla base della dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  della  previsione  di  programmi   di
stabilizzazione di lavoratori precari di cui alla sentenza n. 30  del
2012,   piu'   volte   richiamata,   occorre   altresi'    dichiarare
l'illegittimita' costituzionale della  disposizione  impugnata  (art.
20, comma 2, della legge regionale n.  12  del  2011),  che  di  quei
programmi contiene prescrizioni di attuazione. 
    8.- L'art. 21 della  legge  regionale  impugnata  prevede  misure
volte al superamento del precariato, attraverso la predisposizione da
parte  dell'Amministrazione  regionale  di  un  programma  mirato   a
generare opportunita' di lavoro per  i  qualificati  come  lavoratori
socialmente utili. La norma prevede che l'Amministrazione  regionale,
attraverso  l'Assessorato  competente,  predisponga,  entro  sessanta
giorni dall'entrata in vigore della legge, un programma con le misure
da adottare per promuovere le opportunita' di lavoro  stabile  per  i
lavoratori socialmente utili, come inquadrati dal decreto legislativo
28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e  modifiche  della  disciplina
dei lavori socialmente utili, a norma dell'art. 45,  comma  2,  della
legge 17 maggio 1999, n. 144). Tale  programma,  nella  ricostruzione
offerta dal ricorrente, riserverebbe la totalita' dei posti di lavoro
al personale interno, ponendosi in contrasto con l'art. 12, comma  4,
del decreto legislativo 1° dicembre 1997,  n.  468  (Revisione  della
disciplina sui lavori socialmente utili,  a  norma  dell'articolo  22
della legge 24 giugno 1997,  n.  196)  -  il  quale  prevede  che  ai
lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano riservare  una
quota del  30  per  cento  dei  posti  da  ricoprire  attraverso  una
procedura selettiva -  e  dunque  con  gli  articoli  3  e  97  della
Costituzione, che, insieme, individuano nel pubblico concorso, aperto
ed eventualmente con una riserva dei posti solo parziale e  legata  a
ragioni specifiche, la modalita' di  reclutamento  del  personale  di
ruolo degli enti pubblici. 
    8.1.- La questione e' fondata. 
    La disposizione impugnata, infatti, non resiste al  controllo  di
legittimita' costituzionale effettuato in base ai  parametri  evocati
dal ricorrente, ossia gli articoli 3 e 97 della Costituzione, i quali
prescrivono la regola del concorso pubblico ed aperto, sia al fine di
garantire   il   perseguimento   del   buon   andamento   nell'azione
amministrativa sin dalla selezione del suo ruolo, sia allo  scopo  di
garantire a chiunque la  possibilita'  di  partecipare  all'esercizio
delle funzioni pubbliche (ex multis sentenza n.  293  del  2009).  La
normativa censurata consente l'attuazione  di  programmi  volti  alla
creazione di posti di  lavoro  a  favore  dei  cosiddetti  lavoratori
socialmente utili, anche con il coinvolgimento di societa' in  house,
e permette agli enti che li impiegano di continuare  ad  utilizzarli,
accollando l'onere finanziario derivante dalla  loro  stabilizzazione
all'amministrazione regionale. In sostanza, la  disciplina  regionale
impugnata costruisce  un  progetto  attraverso  il  quale  inquadrare
stabilmente  i  lavoratori  socialmente   utili   all'interno   delle
amministrazioni regionali e locali, senza neppure predeterminare  una
quota massima di posti a loro destinati. 
    La circostanza che si tratti di una disposizione volta a favorire
i cosiddetti lavoratori socialmente utili non  esime  il  legislatore
regionale dal rispetto delle  norme  costituzionali  sopracitate,  le
quali chiaramente prescrivono, come gia' indicato  da  questa  Corte,
che si possa derogare al regime del pubblico concorso o prevedere una
riserva di posti solo in presenza di  puntuali  requisiti,  ossia  la
peculiarita'  delle  funzioni  che  il  personale  deve  svolgere   o
specifiche necessita'  funzionali  dell'amministrazione  (da  ultimo,
sentenze n. 56 del 2012 e n. 68 del 2011). Requisiti che in ogni caso
dovrebbero rispettare i limiti imposti dalla legislazione statale sul
punto, la quale ha fissato nel limite del 30 per cento  la  quota  di
posti che puo' essere riservata ai cosiddetti lavoratori  socialmente
utili. 
    La normativa impugnata non rispetta dunque le condizioni gia'  da
tempo esplicitate dalla giurisprudenza costituzionale, instaurando un
progetto di stabilizzazione sciolto da qualsiasi specifica  finalita'
amministrativa, se non quella risolventesi  nell'inserimento  stabile
nei ruoli dell'Amministrazione di  lavoratori  appartenenti  a  detta
categoria.