ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 24 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 19 maggio 2011, n. 6 (Disposizioni in materia di attivita' estrattive e risorse geotermiche), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-20 luglio 2011, depositato in cancelleria il 26 luglio 2011 ed iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2011. Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano; uditi l'avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Ritenuto in fatto 1.-- Con ricorso notificato il 19-20 luglio 2011 e depositato il successivo 26 luglio il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 24 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 19 maggio 2011, n. 6 (Disposizioni in materia di attivita' estrattive e risorse geotermiche), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. L'art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 6 del 2011 modifica l'art. 1 della legge reg. 18 agosto 1986, n. 35 (Disciplina delle attivita' estrattive), introducendo, tra gli altri, il comma 1-quater che cosi' dispone: «All'interno dei parchi regionali, comunali e intercomunali di cui alla legge regionale 30 settembre 1996, n. 42 (Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali), e' vietato l'esercizio di nuove attivita' di ricerca e di coltivazione delle sostanze minerali a eccezione di quelle relative alle pietre ornamentali comprese le cave di pietra ornamentale in sotterraneo, cosi' come in aree di falde acquifere». A sua volta, l'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011 modifica l'art. 18 della legge reg. 15 maggio 2002, n. 13 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2002), aggiungendo al comma 26 la lettera c-ter) che prevede l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici, che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici. Il ricorrente premette che l'art. 4 dello statuto di autonomia riconosce alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia la competenza primaria in materia di acque minerali e termali mentre l'art. 5 le attribuisce la competenza concorrente in materia di miniere, cave e torbiere nonche' nell'utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni e le opere idrauliche di 4^ e 5^ categoria. In base alle predette norme statutarie, la legislazione regionale, nelle materie in cui ha competenza primaria, deve esplicarsi in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato e, nelle materie di competenza concorrente, anche con gli specifici principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che la norma impugnata prevede un divieto di esercitare nuove attivita' di ricerca e di coltivazione di minerali nei parchi regionali e comunali, ma non prevede, allo stesso tempo, alcun divieto per le attivita' gia' in essere consentendone, pertanto, la prosecuzione. Cio' si porrebbe in contrasto con l'art. 22, comma 1, lettera d), della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in base al quale i regolamenti delle aree protette regionali sono adottati secondo i criteri stabiliti con legge regionale in conformita' con i principi di cui all'art. 11 che, a sua volta, al comma 3, lettera b), vieta espressamente l'apertura e l'esercizio, nei parchi nazionali, di cave, miniere e discariche, nonche' l'asportazione di minerali. La norma censurata sarebbe pertanto illegittima in quanto introdurrebbe una disciplina afferente alla materia dell'ambiente, attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., accordando, oltretutto, al predetto bene ambiente, una tutela inferiore rispetto a quella statale. 1.1.-- La seconda questione di legittimita' costituzionale promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri riguarda l'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011 che, come si e' detto, aggiunge al comma 26 dell'art. 18 della legge reg. n. 13 del 2002, la lettera c-ter) che prevede l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici. Secondo il ricorrente, la disciplina dell'attivita' estrattiva e delle risorse geotermiche, afferendo necessariamente alla tutela dell'ambiente, e' di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La normativa statale di riferimento recata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in merito alle acque utilizzate per scopi geotermici, prevede all'art. 144, comma 5, una disciplina specifica «nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato». Le acque utilizzate per scopi geotermici dovrebbero essere necessariamente classificate quali acque reflue industriali, trattandosi di acque utilizzate nell'ambito di un'attivita' industriale, prive delle caratteristiche qualitative equivalenti alle acque reflue domestiche e non assimilabili a queste ultime neanche ai sensi dell'articolo 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006. Di conseguenza, lo scarico di tali acque sarebbe soggetto «ai limiti di tutela ambientale posti dalla normativa statale e alle eventuali prescrizioni previste nell'ambito delle autorizzazioni, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico, e che sia assicurato l'equilibrio del bilancio idrico, e che comunque sia garantita la tutela qualitativa e quantitativa delle acque superficiali e delle acque sotterranee, ove scaricate ai sensi della deroga prevista dall'articolo 104, comma 2, del d.lgs. 156 (recte: 152) del 2006». In conclusione le norme citate violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione agli artt. 4 e 5 dello statuto di autonomia approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963 e agli artt. 11, comma 3, lettera b), e 22, comma 1, lettera d), della legge n. 394 del 1991. 2.-- Si e' costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che, con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, ha svolto le proprie difese chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. In primo luogo, la Regione eccepisce l'inammissibilita' della censura relativa all'intero art. 1 della legge reg. n. 6 del 2011 in quanto dal contenuto del ricorso emergerebbe che solo il comma 1-quater e' stato specificamente censurato. Pertanto, la questione dovrebbe essere circoscritta a quest'ultimo comma e dovrebbe essere dichiarata inammissibile nei confronti dei restanti commi introdotti dall'art. 1 della legge reg. n. 6 del 2011 per genericita' e radicale assenza di qualsivoglia censura. A parere della Regione, anche la questione relativa alla parte del comma 1-quater dell'art. 1 della legge reg. n. 35 del 1986 che consente, in via eccezionale, la nuova ricerca ed estrazione delle sole pietre ornamentali dovrebbe essere ritenuta inammissibile «dal momento che anche avverso tale disposizione il ricorrente omette qualunque censura (ed invero nemmeno la richiama nella parte in diritto del ricorso)». La difesa regionale ritiene inammissibile anche la censura residua relativa alla norma impugnata, nella parte in cui, nel vietare l'esercizio di nuove attivita' di ricerca e coltivazione di minerali nei parchi regionali e comunali, non prevede, allo stesso tempo, alcun divieto per le attivita' gia' in essere, consentendone, pertanto, la prosecuzione. La censura sarebbe inammissibile perche' sembrerebbe concretizzarsi in una tardiva impugnazione della normativa regionale del 1996 che consentiva l'attivita' estrattiva, affidando all'Ente parco il potere di esprimere parere vincolante sui «progetti delle attivita' estrattive di minerali ed inerti» da attuarsi nell'ambito del parco medesimo (art. 19, comma 3, lettera b, legge reg. n. 42 del 1996). La nuova disciplina introdotta non fa che interdire nuove autorizzazioni relative alle attivita' estrattive senza nulla disporre in relazione a quelle gia' in essere. Ne deriverebbe l'inammissibilita' della censura perche' costituirebbe un tentativo di impugnare tardivamente una norma permissiva che a suo tempo non era stata oggetto di contestazione. Inoltre, il ricorso sarebbe inammissibile anche per difetto di interesse in quanto, non essendo innovato il regime delle attivita' estrattive, un eventuale accoglimento della censura non cambierebbe la disciplina in vigore. Alla Regione sembra paradossale l'intera impugnazione dal momento che e' rivolta verso una legge regionale che abroga il regime permissivo prima attribuito alle attivita' estrattive, in definitiva lamentando che prima della legge impugnata esse potessero essere consentite. Nel merito, comunque, la censura sarebbe infondata. La Regione, dopo aver precisato che la disposizione regionale impugnata disciplina unicamente l'estrazione di minerali e che non riguarda ne' permette in alcun modo l'attivita' di cava, ricorda che lo stesso art. 11, comma 4, della l. n. 394 del 1991, (richiamato dall'art. 22) consente deroghe ai divieti stabiliti dal comma 3. In sostanza, la legge regionale del 1996 (impropriamente contestata ora dal Governo) si era avvalsa della facolta' di deroga: una facolta' che la nuova legge ora sopprime. 2.1.-- La difesa regionale eccepisce l'inammissibilita' anche della seconda censura, relativa all'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011, in quanto non sarebbe indicata la norma parametro che si assume violata, limitandosi il ricorrente ad un generico cenno al d.lgs. n. 152 del 2006 senza tuttavia invocare la violazione di norme specifiche. La censura sarebbe comunque infondata perche' il Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbe essere incorso in un equivoco, dal momento che fa riferimento alle acque geotermiche utilizzate nell'ambito di attivita' industriali. Al contrario, per «acqua geotermica» si deve intendere un'acqua sotterranea ad elevata temperatura, utilizzata essenzialmente per scopi di riscaldamento, nell'ambito di circuiti chiusi. In tal senso la Regione ricorda che, proprio per le loro specifiche caratteristiche, le acque geotermiche - per espressa previsione del legislatore nazionale - rappresentano uno dei pochi casi in cui e' ammessa la possibilita' di scarico diretto in falda, in deroga al generale divieto di scarico diretto nel sottosuolo e nelle acque sotterranee (art. 104, comma 2, del d.lgs. 152 del 2006). La norma regionale contestata opera l'assimilazione alle acque domestiche solo con riferimento alle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici. Alla luce di tali elementi, la previsione regionale risulterebbe conforme all'art.101, comma 7, del d.lgs. n.152 del 2006, il quale alla lettera e), prevede l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque reflue «aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale». In tale senso, dunque, l'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011 si sarebbe limitato a dare attuazione ad una facolta' prevista dallo stesso legislatore nazionale e la censura sarebbe del tutto infondata. Considerato in diritto 1.-- Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 18 luglio 2011 e depositato il successivo 26 luglio, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 24 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 19 maggio 2011, n. 6 (Disposizioni in materia di attivita' estrattive e risorse geotermiche), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Il ricorso ha ad oggetto due diverse norme della legge reg. n. 6 del 2011 che, secondo il ricorrente, violerebbero la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». 2.-- La prima censura riguarda l'art. 1, della legge reg. n. 6 del 2011 che ha modificato l'art. 1 della legge reg. 18 agosto 1986, n. 35 (Disciplina delle attivita' estrattive), aggiungendo il seguente comma 1-quater: «All'interno dei parchi regionali, comunali e intercomunali di cui alla legge regionale 30 settembre 1996, n. 42 (Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali), e' vietato l'esercizio di nuove attivita' di ricerca e di coltivazione delle sostanze minerali a eccezione di quelle relative alle pietre ornamentali comprese le cave di pietra ornamentale in sotterraneo, cosi' come in aree di falde acquifere». 3.-- La questione sollevata e' inammissibile. 3.1.-- Il ricorrente indirizza le sue doglianze nei confronti del fatto che il nuovo comma 1-quater dell'art. 1 della legge reg. n. 35 del 1986, aggiunto dalla legge reg. n. 6 del 2011, pur avendo introdotto il divieto di esercitare nuove attivita' di ricerca e di coltivazione di minerali nei parchi regionali e comunali, «non ha previsto alcun divieto per le attivita' gia' in essere consentendone, pertanto, la prosecuzione». In tal modo, la Regione avrebbe accordato al bene ambiente una tutela inferiore rispetto a quella predisposta dal legislatore statale, in violazione anche dell'art. 22, comma 1, lettera d), della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in base al quale i regolamenti delle aree protette regionali sono adottati secondo i criteri stabiliti con legge regionale in conformita' con i principi di cui all'art. 11 della medesima legge che, a sua volta, al comma 3, lettera b), vieta espressamente l'apertura e l'esercizio, nei parchi nazionali, di cave, miniere e discariche, nonche' l'asportazione di minerali. La censura promossa nei confronti dell'art. 1, comma 1-quater, della legge reg. n. 35 del 1986 (cosi' come modificata dall'art. 1 della legge reg. n. 6 del 2011) si fonda sul presupposto che tale norma disciplinerebbe il regime transitorio, autorizzando, implicitamente, la prosecuzione delle attivita' estrattive gia' in corso prima dell'introduzione del divieto. Il ricorrente, tuttavia, trascura di considerare che il regime transitorio e' disciplinato dall'art. 21 della legge reg. n. 6 del 2011 secondo il quale: «I procedimenti in materia di attivita' estrattiva in corso alla data di entrata in vigore della presente legge sono conclusi dall'Amministrazione regionale in applicazione della normativa previgente». Ne consegue che la questione proposta avrebbe dovuto essere riferita al citato art. 21 e non gia' a quello oggetto del presente giudizio di costituzionalita'. L'inesatta indicazione della norma oggetto di censura comporta, per costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilita' della questione (ex plurimis ordinanze nn. 335 e 248 del 2010 e n. 92 del 2009). 4.-- La seconda questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri attiene all'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011 che ha modificato l'art. 18 della legge reg. 15 maggio 2002, n. 13 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2002), aggiungendo al comma 26 la lettera c-ter) che prevede, con riferimento alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la disciplina delle attivita' estrattive e delle risorse geotermiche, afferendo necessariamente alla tutela dell'ambiente, sarebbe di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Inoltre, la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche l'art. 144, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 5.-- La questione non e' fondata. La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha esercitato la propria competenza legislativa in conformita' a quanto previsto dall'art. 101, comma 7, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, che, nell'individuare i criteri generali della disciplina degli scarichi delle acque, espressamente prevede che la normativa regionale possa assimilare alle acque reflue domestiche le altre acque reflue che abbiano caratteristiche qualitative ad esse equivalenti. La norma censurata si limita ad equiparare, facolta' espressamente prevista dalla norma statale sopra citata, ai fini della disciplina degli scarichi, le acque utilizzate per scopi geotermici - che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici - alle acque reflue domestiche. Poiche' non e' irragionevole ritenere che tale tipologia di acque presenti caratteristiche equivalenti a quella delle acque reflue domestiche - ne', comunque, il ricorrente ha fornito argomenti atti a comprovare l'erroneita' di tale equiparazione - si deve concludere che legittimamente la Regione ne ha assimilato la relativa disciplina. Ad ulteriore riprova della equivalenza di questo tipo di acque con quelle domestiche deve considerarsi che l'art. 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel vietare lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, prevede che possano essere escluse dal suddetto divieto, tra le altre, proprio le acque utilizzate per scopi geotermici. Lo stesso legislatore statale, dunque, esclude che le acque utilizzate per scopi geotermici presentino rischi di natura ambientale e addirittura giunge a prevedere che le stesse possano, «dopo indagine preventiva», essere reimmesse direttamente in falda. In ogni caso, giova ripetere che il legislatore regionale ha espressamente limitato la portata dell'equiparazione alle sole acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state impiegate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici.