ha pronunciato la seguente 


				 
                              Ordinanza 

 
nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  1-ter,
comma 13, della legge 3 agosto 2009, n. 102  (Conversione  in  legge,
con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,  recante
provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di   termini   e   della
partecipazione italiana a missioni internazionali)  (recte:  articolo
1-ter, comma 13, lettera c, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78),
promosso dal Tribunale amministrativo regionale  per  le  Marche  nel
procedimento vertente tra  T.P.M.  e  il  Ministero  dell'interno  ed
altro, con ordinanza dell'11 maggio 2011,  iscritta  al  n.  255  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  4  aprile  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per le Marche,
con ordinanza dell'11  maggio  2011,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'articolo  3  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 1-ter, comma 13, della  legge  3  agosto
2009,  n.  102  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi,
nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni
internazionali) (recte: articolo 1-ter,  comma  13,  lettera  c,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78); 
        che,  secondo  l'ordinanza  di   rimessione,   nel   giudizio
principale,  T.P.M.,  cittadino  del   Senegal,   ha   impugnato   il
provvedimento del Prefetto di Pesaro e  Urbino  in  data  20  gennaio
2011, che  ha  annullato  lo  «accoglimento  della  dichiarazione  di
emersione dal lavoro irregolare» presentata ai sensi del citato  art.
1-ter, in quanto egli e' stato condannato, con  sentenza  passata  in
giudicato, «per il reato di cui all'art. 171-ter,  comma  1,  lettera
c)», della legge 22 aprile  1941,  n.  633  (Protezione  del  diritto
d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), in virtu' del
quale «e' punito, se il fatto e' commesso per uso non personale,  con
la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro  2.582  a
euro 15.493 chiunque a  fini  di  lucro:  (...)  c)  pur  non  avendo
concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce  nel  territorio
dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce,
pone in commercio, concede in noleggio o comunque  cede  a  qualsiasi
titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con
qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio,  fa  ascoltare
in pubblico le  duplicazioni  o  riproduzioni  abusive  di  cui  alle
lettere a) e b)»; 
        che, ad avviso del TAR, «tale reato rientra fra quelli che il
comma   13   dell'art.   1-ter   considera   ostativi    alla    c.d.
regolarizzazione, ed in  particolare  esso,  in  ragione  della  pena
edittale prevista  dalla  norma  incriminatrice,  e'  ricompreso  fra
quelli di  cui  all'art.  381»  del  codice  di  procedura  penale  e
sarebbero infondate le censure proposte dal ricorrente, il  quale  ha
eccepito che alla data di presentazione della  domanda  di  sanatoria
era trascorso il periodo minimo per  ottenere  la  riabilitazione  e,
comunque, detto reato avrebbe dovuto ritenersi  estinto,  in  quanto,
successivamente alla data di adozione  del  provvedimento  impugnato,
era decorso il termine previsto dall'art. 445, comma  3,  cod.  proc.
pen.; 
        che secondo il rimettente, la riabilitazione  deve,  infatti,
essere  concessa  con  un  formale   provvedimento   (nella   specie,
insussistente)   emesso    dal    giudice    competente,    all'esito
dell'accertamento della sussistenza di tutti i presupposti di  legge,
mentre i requisiti  per  l'ammissione  alla  procedura  di  emersione
disciplinata dal citato art. 1-ter avrebbero dovuto  sussistere  alla
data di  proposizione  della  domanda  (da  presentare  entro  il  30
settembre  2009),  con  conseguente  irrilevanza  della  sopravvenuta
decorrenza del termine previsto dall'art. 445, comma 3, c.p.p.; 
        che, tuttavia, il giudice a quo,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c), del d.l. n.  78
del 2009, inserito dalla legge di conversione n. 102 del 2009, «nella
parte in cui riconnette automaticamente l'impossibilita' di  accedere
alla c.d. sanatoria alla condanna, anche con sentenza non definitiva,
per i reati di cui  agli  artt.  380  e  381  c.p.p.,  senza  imporre
all'amministrazione di valutare in concreto la pericolosita'  sociale
del beneficiario dell'emersione» e fa proprie le  argomentazioni  con
le quali il Tribunale amministrativo regionale per il  Friuli-Venezia
Giulia, con ordinanza del 24  febbraio  2011,  ha  sollevato  analoga
questione di legittimita' costituzionale; 
        che, secondo il TAR, la norma censurata violerebbe  l'art.  3
Cost. ed i «principi di ragionevolezza e  proporzionalita'»,  poiche'
stabilisce la «medesima, grave conseguenza della non ammissione  alla
procedura di emersione» per  i  lavoratori  extracomunitari  i  quali
«hanno compiuto reati di rilevante gravita', e che  generano  allarme
sociale»,  e  per  quelli  di  essi  «incorsi  in  una  sola   azione
disdicevole,  di  scarsissimo   rilievo   penale,   e   che   abbiano
successivamente seguito  un  percorso  di  riabilitazione  o,  avendo
compreso il disvalore  del  proprio  operato,  abbiano  in  prosieguo
tenuto una condotta di vita esente da mende»; 
        che detta disposizione si porrebbe, inoltre, in contrasto con
il principio di parita' di trattamento (art. 3 Cost.), a causa  dello
«automatismo» che la connota, poiche' prevede un'identica  disciplina
per quanti «si sono (...)  resi  colpevoli  di  azioni  di  rilevanza
penale, ma profondamente diverse per gravita' e intensita' del dolo»,
avendo questa Corte affermato  che  la  disciplina  della  permanenza
degli  stranieri  nel  territorio  dello  Stato  e'  riservata   alla
discrezionalita' del legislatore ordinario, il quale, tuttavia,  deve
rispettare  «il  limite  della  ragionevolezza   e   proporzionalita'
(sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994)»; 
        che il giudice a quo si dichiara «ben consapevole» del  fatto
che questioni analoghe a quella in esame,  concernenti  l'automatismo
del diniego  di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  nel  caso  di
commissione di determinati reati, sono  state  dichiarate  da  questa
Corte inammissibili o non fondate, ma, a suo avviso, soltanto perche'
«la giurisprudenza (in alcuni casi) aveva fornito  un'interpretazione
piu' "morbida" della norma», ovvero  perche'  lo  stesso  legislatore
ordinario avrebbe «mitigato il rigore» della disciplina,  escludendo,
in talune ipotesi, la possibilita' di rigettare l'istanza proposta, a
causa  dell'irrogazione  di  una  condanna  penale  e  prevedendo  la
necessita' di «valutare altri ed ulteriori elementi»; 
        che, infine, secondo il TAR, la questione sarebbe  rilevante,
in quanto «non e'  da  escludere  a  priori  che,  laddove  la  legge
consentisse  una   valutazione   caso   per   caso   della   concreta
pericolosita'  sociale,  la  competente  prefettura  avrebbe   potuto
pervenire  ad  una  diversa  conclusione  del  procedimento,   previo
accertamento dell'insussistenza di altre cause preclusive  alla  c.d.
emersione»; 
        che nel giudizio davanti a questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata; 
        che,  secondo  l'interveniente,  questa  Corte  avrebbe  gia'
dichiarato inammissibili censure analoghe a quelle in esame (sentenza
n. 206 del 2007; ordinanze n. 218 del 2007, n. 44 del  2006,  n.  126
del 2005), affermando che la disciplina dell'ingresso e del soggiorno
degli stranieri richiede il bilanciamento  di  una  molteplicita'  di
interessi, riservato alla discrezionalita' del legislatore ordinario,
e,  quindi,  la  questione  sarebbe  inammissibile  per  difetto   di
motivazione della rilevanza, poiche' il TAR avrebbe indicato «in modo
generico  e  apodittico»  gli  elementi  di  differenziazione   della
fattispecie in esame da quelle  gia'  valutate  dalla  giurisprudenza
costituzionale; 
        che  la  questione  sarebbe,  inoltre,  inammissibile   anche
perche' il rimettente  non  avrebbe  «esplorato  la  possibilita'  di
pervenire a  un'interpretazione  delle  norme  impugnate  conforme  a
Costituzione»; 
        che,  nel  merito,  secondo   l'interveniente,   le   censure
sarebbero infondate,  poiche',  la  disciplina  dell'ingresso  e  del
soggiorno  degli  stranieri  richiede   il   bilanciamento   di   una
molteplicita'  di  interessi,  riservato  alla  discrezionalita'  del
legislatore ordinario (sentenza n. 62 del 1994), occorrendo garantire
la valutazione della pericolosita'  sociale  «solo  per  l'espulsione
come misura di sicurezza» e  costituendo  il  cosiddetto  automatismo
espulsivo «il riflesso del principio di stretta legalita' che  permea
l'intera disciplina dell'immigrazione», che costituisce anche per gli
stranieri presidio ineliminabile dei  loro  diritti,  consentendo  di
scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorita'  amministrativa
(sono richiamate la sentenza n. 129 del 1995 e l'ordinanza n. 146 del
2002),  con  la  conseguenza  che  la  norma  censurata  non  sarebbe
manifestamente irragionevole e non violerebbe il principio di parita'
di trattamento; 
        che, peraltro, questa Corte, con la sentenza n. 78 del  2005,
ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale   di   disposizioni
omologhe a quella in esame (art. 33, comma 7, lettera c, della  legge
30 luglio 2002, n. 189, recante «Modifica alla normativa  in  materia
di immigrazione e di asilo»  e  art.  1,  comma  8,  lettera  c,  del
decreto-legge  9  settembre  2002,  n.   195,   avente   ad   oggetto
«Disposizioni  urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del   lavoro
irregolare di extracomunitari», convertito, con modificazioni,  dalla
legge 9 ottobre 2002, n. 222), nella parte in cui  facevano  derivare
il  rigetto   dell'istanza   di   regolarizzazione   del   lavoratore
extracomunitario dalla presentazione di  una  denuncia  per  uno  dei
reati previsti per i quali gli articoli 380 e  381  cod.  proc.  pen.
prevedono  l'arresto  obbligatorio  o   facoltativo   in   flagranza,
esclusivamente perche' la denuncia «e' atto che nulla prova  riguardo
alla colpevolezza o alla pericolosita'  del  soggetto  indicato  come
autore degli atti che il denunciante riferisce»; 
        che,  ad  avviso   dell'Avvocatura,   la   norma   censurata,
escludendo  la  regolarizzazione  della  posizione  lavorativa  degli
stranieri extracomunitari non  in  virtu'  della  mera  denuncia  per
determinati reati, bensi'  soltanto  qualora  sia  stata  pronunciata
sentenza penale di condanna, che «costituisce adeguata e  ragionevole
"prova  riguardo  alla  colpevolezza  e  pericolosita'  del  soggetto
indicato come autore degli atti che il  denunciante  riferisce"»,  si
sottrarrebbe, invece, alle censure svolte dal TAR. 
    Considerato che il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  le
Marche,  con  ordinanza  dell'11  maggio  2011,  ha   sollevato,   in
riferimento  all'articolo  3   della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'articolo  1-ter,  comma  13,  della
legge 3 agosto 2009, n. 102 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78,  recante  provvedimenti
anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana
a missioni internazionali) (recte: articolo 1-ter, comma 13,  lettera
c, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78); 
        che, secondo il rimettente, la  norma  censurata,  prevedendo
che «non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista»
dal  citato  art.  1-ter  «i  lavoratori  extracomunitari»,  «c)  che
risultino condannati (...) per uno dei reati previsti dagli  articoli
380  e  381»  del  codice  di  procedura  penale  e  non  consentendo
«all'Amministrazione che istruisce il procedimento [di]  valutare  la
gravita' del reato, l'allarme sociale che lo stesso ha procurato,  la
condotta successiva tenuta» dai medesimi e «l'attuale  pericolosita'»
violerebbe l'art. 3 Cost.; 
        che  detta  disposizione,  a  suo  avviso,  si  porrebbe   in
contrasto con tale parametro costituzionale  e  con  i  «principi  di
ragionevolezza e proporzionalita'»,  poiche'  prevede  la  «medesima,
grave conseguenza della non ammissione alla procedura  di  emersione»
per i lavoratori extracomunitari i quali  «hanno  compiuto  reati  di
rilevante gravita', e che generano allarme sociale», e per quelli  di
essi «incorsi in una sola azione disdicevole, di scarsissimo  rilievo
penale,  e  che  abbiano  successivamente  seguito  un  percorso   di
riabilitazione o, avendo compreso il disvalore del  proprio  operato,
abbiano in prosieguo tenuto una condotta di vita esente da mende»; 
        che,  inoltre,  detta  disposizione  recherebbe   vulnus   ai
principi   di   parita'   trattamento,   di   ragionevolezza   e   di
proporzionalita',  in  quanto  riserverebbe  «la  medesima  sorte   a
soggetti che si sono resi colpevoli di azioni di rilevanza penale, ma
profondamente diverse per gravita' e intensita' del dolo», stabilendo
un  automatismo  che   in   piu'   occasioni   «e'   stato   ritenuto
costituzionalmente  non  corretto  (sia  pure   con   riferimento   a
fattispecie diverse da quella all'esame)»; 
        che, in linea preliminare, va osservato  che  l'eccezione  di
inammissibilita' per difetto di motivazione sulla rilevanza, proposta
dall'interveniente,  sul  rilievo  che  sarebbero  state   dichiarate
inammissibili questioni analoghe a quella in esame, non  e'  fondata,
poiche'  la  mancata,  specifica  valutazione  di  precedenti  e   di
argomenti  gia'  svolti  da  questa  Corte  potrebbe  comportare   la
manifesta  infondatezza,  non  la  manifesta  inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale; 
        che  del  pari  non  fondata  e'  l'ulteriore  eccezione   di
inammissibilita'  formulata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
sostenendo  che  il  giudice  a  quo  non   avrebbe   verificato   la
«possibilita' di pervenire a un'interpretazione delle norme impugnate
conforme a  Costituzione»,  poiche'  il  TAR  ha  implicitamente,  ma
chiaramente indicato  gli  argomenti  che  impedirebbero  di  offrire
un'interpretazione del citato art. 1-ter, comma 13,  lettera  c),  in
grado di renderlo immune dalle censure proposte; 
        che, peraltro, sempre in linea preliminare, occorre osservare
che  il  ricorrente  nel  giudizio  principale,   giusta   l'espressa
indicazione contenuta  nell'ordinanza  di  rimessione,  ha  riportato
condanna per «il reato di cui all'art. 171-ter, comma  1,  lett.  c)»
della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e
di altri diritti connessi al suo esercizio), il quale, ad avviso  del
TAR,  «in  ragione  della  pena   edittale   prevista   dalla   norma
incriminatrice, e' ricompreso fra quelli di cui all'art. 381  c.p.p.»
e, quindi, «rientr[erebbe] fra quelli che il comma 13 dell'art. 1-ter
considera ostativi alla c.d. regolarizzazione»; 
        che, tuttavia, il citato art. 171-ter, comma 1,  lettera  c),
stabilisce che «e' punito, se  il  fatto  e'  commesso  per  uso  non
personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da
euro 2.582 a euro 15.493 chiunque a fini di lucro: (...) c)  pur  non
avendo concorso  alla  duplicazione  o  riproduzione,  introduce  nel
territorio dello Stato, detiene per la vendita  o  la  distribuzione,
distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque  cede
a qualsiasi titolo, proietta in pubblico,  trasmette  a  mezzo  della
televisione con  qualsiasi  procedimento,  trasmette  a  mezzo  della
radio, fa  ascoltare  in  pubblico  le  duplicazioni  o  riproduzioni
abusive di cui alle lettere a) e b)»,  mentre,  in  virtu'  dell'art.
381, comma 1, cod. proc. pen.  (Arresto  facoltativo  in  flagranza),
«gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facolta'  di
arrestare chiunque e' colto in flagranza di un delitto  non  colposo,
consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la  pena  della
reclusione superiore nel massimo a tre anni», ovvero  per  i  delitti
elencati nel comma 2 di tale disposizione; 
        che, pertanto, alla luce della descrizione della  fattispecie
contenuta nell'ordinanza di rimessione, la rilevanza della  questione
di legittimita' costituzionale non  risulta  adeguatamente  motivata,
con conseguente manifesta inammissibilita' della stessa, dato che  il
reato di cui all'art. 171-ter, comma 1, lettera c),  della  legge  n.
633  del  1941  non  e'  riconducibile  ne'  tra  quelli  contemplati
dall'art. 381, comma 1, cod. proc. pen., ne' tra quelli  oggetto  del
comma 2 di detta disposizione (e neppure, a fortiori, tra  i  delitti
di cui all'art. 380 cod. proc. pen.), che,  ai  sensi  del  censurato
art. 1-ter,  comma  13,  lettera  c),  impediscono  l'ammissione  del
lavoratore extracomunitario alla procedura di emersione  disciplinata
da tale ultima norma, non  avendo  il  TAR  neanche  dedotto  che  la
condanna de qua e'  stata  irrogata  per  l'ipotesi  del  reato  piu'
gravemente punita dal comma 2 di cui al citato art.  171-ter,  ovvero
che sono state ritenute sussistenti circostanze  aggravanti  in  tesi
rilevanti ai fini dell'art. 381 cod. proc. pen., secondo il combinato
disposto degli articoli 278 e 379 cod. proc. pen.; 
        che  l'unica   disposizione   asseritamente   ostativa   alla
procedura di emersione in esame e' stata, invece, indicata nel citato
art. 1-ter, comma 13, lettera c), (e' questa, infatti, la sola  norma
censurata dal rimettente) e, quindi, anche in virtu' del principio di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione (costantemente affermato
da questa Corte, ex plurimis, sentenza n. 338 del 2001; ordinanza  n.
307 del 2011), neppure e' possibile valutare l'eventuale  sussistenza
di ragioni e disposizioni  ulteriori  che,  eventualmente,  avrebbero
permesso di  tenere  conto  della  condanna  irrogata  per  il  reato
dell'art. 171-ter, comma 1, lettera c), della legge n. 633 del  1941,
per negare l'accoglimento della domanda di emersione,  in  quanto  di
esse  l'ordinanza  di  rimessione  non  ha  dato   atto   (omettendo,
conseguentemente, anche di censurarle); 
        che,  pertanto,   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile,  indipendentemente  da  ogni  ulteriore
valutazione  in  ordine  all'ambiguita'  del  petitum,  connotato  da
profili  di  scarsa  chiarezza  ed  indeterminatezza  in  ordine   al
contenuto dell'addizione richiesta (in tal senso,  ordinanza  n.  307
del 2011, che ha deciso la questione di  legittimita'  costituzionale
sollevata dal TAR per  il  Friuli-Venezia  Giulia  con  ordinanza  di
rimessione  sostanzialmente  riprodotta  dal  giudice   a   quo   nel
provvedimento che ha promosso il presente giudizio). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.