ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  49,
commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, e dell'art. 5, commi 1, lettera b), e 2, lettere  b)  e
c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, promossi dalla  Regione  autonoma
Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e  dalle  Regioni  Toscana,  Liguria,
Emilia-Romagna, Puglia e  nuovamente  Emilia-Romagna,  notificati  il
24-27, il 28 settembre 2010 e il  9  settembre  2011,  depositati  in
cancelleria il 28 e il 30 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e il 15
settembre 2011, rispettivamente iscritti ai nn. 96, 97,  102,  106  e
107 del registro ricorsi 2010 ed al n. 91 del registro ricorsi 2011. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  maggio  2012  il   Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Ulisse Corea per  la  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria ed
Emilia-Romagna,  Stefano  Grassi  per  la  Regione  Puglia,  Marcello
Cecchetti per la Regione Toscana e gli avvocati dello  Stato  Massimo
Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 24 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 28  settembre  successivo  (r.r.  n.  96  del
2010), la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha  chiesto
che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale di numerose  norme
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della  legge
30 luglio 2010, n.122. 
    2.- In particolare, la ricorrente ha impugnato l'art.  49,  comma
4-ter,  della  citata  normativa,  deducendone   il   contrasto   con
l'articolo 117 della Costituzione, in combinato disposto  con  l'art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3  (Modifiche  al
titolo V della parte seconda della  Costituzione),  nonche'  con  gli
artt. 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma,  lettera
a), della legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4  (Statuto
speciale per la Valle d'Aosta) e con le relative norme di attuazione,
nonche',  in  subordine,  col  principio  costituzionale   di   leale
collaborazione. 
    La norma impugnata dispone che il comma 4-bis del  medesimo  art.
49, il quale sostituisce il testo dell'art. 19 della legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai  documenti  amministrativi),  «attiene  alla
tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117,  secondo  comma,
lettera e), della  Costituzione,  e  costituisce  livello  essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali  ai  sensi
della lettera m) del medesimo comma». 
    Tale  previsione,  nel  definire  l'ambito  materiale  cui   deve
ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione  certificata  di  inizio
attivita'» (d'ora in avanti, SCIA), dettata dal citato art. 49, comma
4-bis, la riconduce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato
e, dunque, individua nella legge statale la sola fonte competente  ad
intervenire in tema di SCIA. Inoltre, il comma 4-ter,  nel  prevedere
che «le espressioni «segnalazione certificata di inizio attivita'»  e
«SCIA» sostituiscono, rispettivamente, quelle  di  «dichiarazione  di
inizio attivita'» e «DIA», ovunque ricorrano, anche come parte di una
espressione piu' ampia», stabilisce che  «la  disciplina  di  cui  al
comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore
della  legge  di  conversione  del  presente  decreto,  quella  della
dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale  e
regionale».  Stando  a  tale  ultima  previsione,  dunque,  la  nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella gia' esistente in  tema
di DIA, modificando, non solo la  previgente  normativa  statale,  ma
anche quella regionale. 
    La disposizione statale censurata, se ritenuta applicabile  anche
alla  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,   violerebbe
l'assetto costituzionale delle competenze regionali  delineato  nello
statuto speciale, nonche' nell'art. 117 Cost., per la  parte  in  cui
devono applicarsi anche alla Regione le piu' ampie forme di autonomia
ivi previste ai sensi dell'art. 10 della legge  costituzionale  n.  3
del 2001. 
    3.- Posto che l'autoqualificazione di una norma come inerente  ad
una determinata materia non ha carattere precettivo e  vincolante  (e
quindi e' priva di contenuto lesivo), dovrebbe considerarsi - secondo
la Regione ricorrente - che l'art. 49, comma 4-ter, del  d.1.  n.  78
del 2010 effettui un'erronea individuazione dell'ambito materiale cui
ascrivere  la  disciplina  della  SCIA.  Quest'ultima,  infatti,  non
potrebbe considerarsi  attinente  alla  «tutela  della  concorrenza»,
annoverata tra le voci di legislazione  esclusiva  statale  ai  sensi
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),   Cost.,   e   nemmeno
costituirebbe livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e sociali  di  cui  alla  lettera  m)  dell'art.  117,
secondo comma, Cost. 
    La  ratio  della  disciplina  non  sarebbe  quella  di  eliminare
pratiche anticoncorrenziali o di rimuovere  elementi  distorsivi  del
mercato,  e  neanche  quella  di  promuovere  un  ampliamento   delle
possibilita'  di  accesso  degli  attori  che  vi  operano,  pur  non
potendosi escludere che, indirettamente, la  disciplina  in  tema  di
SCIA possa avere l'effetto di ridurre una delle barriere in grado  di
ostacolare, in fatto, l'ingresso del privato  nell'esercizio  di  una
nuova  attivita'   imprenditoriale   o   commerciale,   facilitandone
l'inserimento sul mercato. Tale  disciplina  avrebbe  l'obiettivo  di
alleggerire  gli  oneri  amministrativi  ricadenti  sul  privato  per
l'avvio di talune attivita' di rilievo imprenditoriale, commerciale o
artigianale, riducendo costi e tempi, e di semplificare  le  funzioni
amministrative di controllo  ad  esse  relative,  riducendo  i  costi
organizzativi  e  finanziari  connessi   al   rilascio   degli   atti
amministrativi. 
    In conclusione, sarebbe da escludere che la disciplina sulla SCIA
possa per cio' stesso ascriversi, anche solo in  via  prevalente,  al
titolo competenziale individuato dal  legislatore  statale  nell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  e),  e  cioe'   alla   tutela   della
concorrenza.  Esulerebbero  da   tale   «materia   trasversale»   gli
interventi legislativi che incidono - come l'art. 49-bis del d.l.  n.
78 del 2010 - sulla disciplina delle modalita' attraverso le quali le
pubbliche amministrazioni sono chiamate a controllare l'attivita' dei
privati in  campo  economico  per  la  salvaguardia  degli  interessi
pubblici di volta in volta implicati. 
    Nemmeno   potrebbe   condividersi   l'autoqualificazione    della
disciplina sulla SCIA come «livello  essenziale  delle  prestazioni»,
riconducibile  alla  competenza  annoverata  nell'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost., tra le voci di legislazione esclusiva dello
Stato.  Come  osservato  dalla  giurisprudenza   costituzionale,   la
determinazione dei livelli essenziali  costituirebbe  una  competenza
del  legislatore  statale  idonea  ad  investire  tutte  le  materie,
rispetto alle quali il legislatore stesso dovrebbe  poter  introdurre
le norme necessarie per assicurare a  tutti,  sull'intero  territorio
nazionale, il godimento  di  prestazioni  garantite,  come  contenuto
essenziale di diritti  civili  e  sociali,  ma  non  potrebbe  essere
invocata in relazione a norme statali dirette ad altri fini.  Sarebbe
di immediata evidenza come la disciplina dettata dall'art. 49-bis del
d.l.  n.  78  del  2010  non  abbia  nulla  a  che  vedere   con   la
determinazione   dei   livelli   essenziali   di   prestazioni,   non
configurando ne' prestazioni che costituiscano  contenuto  essenziale
di diritti ne' livelli essenziali riferiti a tali prestazioni. 
    La ricorrente aggiunge che la disciplina introdotta dall'art. 49,
comma 4-bis, non potrebbe  ricondursi  ad  un'unica  materia  o  voce
contenuta negli elenchi dell'art. 117 Cost.,  ma  coinvolgerebbe  una
pluralita' di materie, in relazione al settore sul quale  incidono  i
relativi procedimenti amministrativi ed in considerazione dei diversi
interessi  che  possono  risultarne  coinvolti.   Dovrebbe   comunque
ritenersi che la disciplina  della  SCIA  sia  ascrivibile,  in  modo
prevalente,    all'ambito    dell'industria,    del    commercio    e
dell'artigianato, cioe' a materie spettanti alla competenza residuale
delle Regioni, ai sensi del quarto  comma  dell'art.  117  Cost.,  e,
dunque, anche alla  competenza  legislativa  della  Regione  autonoma
Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  in  virtu'  della  clausola  di  cui
all'art. 10 della legge costituzionale n. 3  del  2001.  Inoltre,  la
disciplina  sulla  segnalazione  certificata  di   inizio   attivita'
coinvolgerebbe   ambiti   materiali   ricadenti   nella    competenza
legislativa primaria attribuita alla ricorrente  dall'art.  2,  primo
comma, lettere  p)  e  q)  dello  statuto  speciale,  e  consistenti,
rispettivamente,   nelle   materie   «artigianato»   ed    «industria
alberghiera,  turismo  e  tutela  del   paesaggio»,   nonche'   nella
competenza della Regione ad emanare norme legislative di integrazione
e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria
e commercio», ai sensi dell'art. 3,  primo  comma,  lettera  a),  del
medesimo statuto. 
    Qualora si ritenesse, poi, che la disciplina recata  dalla  norma
impugnata  si  estenda,  altresi',  ad  aspetti  riconducibili   alla
pianificazione territoriale, essa finirebbe  per  incidere  anche  in
materia  «urbanistica,  piani  regolatori  per  zone  di  particolare
importanza  turistica»,  di  competenza  legislativa  primaria  della
ricorrente ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera g),  dello  statuto
speciale. 
    La disciplina dei profili procedimentali connessi alle  richieste
per  l'esercizio  di   attivita'   imprenditoriale,   commerciale   o
artigianale  non  potrebbe  in  definitiva  ascriversi,   nella   sua
totalita', ad una competenza esclusiva dello Stato, dal  momento  che
essa insiste in modo prevalente su ambiti di legislazione  regionale,
di natura esclusiva o concorrente. 
    4.- Cio' premesso, la previsione contenuta  nella  seconda  parte
dell'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78  del  2010,  in  base  alla
quale la disciplina sulla SCIA, di cui al comma 4-bis,  sostituirebbe
direttamente  quella  della  DIA,  prevista  da  qualsiasi  normativa
statale e  regionale,  dovrebbe  ritenersi  lesiva  delle  competenze
legislative attribuite dalle citate norme costituzionali alla Regione
autonoma Valle d'Aosta /Vallee d'Aoste 
    L'abrogazione  immediata,  diretta  ed  indiscriminata,  di  ogni
normativa di settore adottata dalla Regione  nella  quale  sia  stata
prevista la DIA, indipendentemente dall'ambito materiale coinvolto, e
la contestuale sostituzione di tale normativa con quella dettata  dal
legislatore statale  in  tema  di  SCIA,  si  porrebbe  in  contrasto
insanabile con le  garanzie  costituzionali  concernenti  il  riparto
delle competenze  legislative  tra  lo  Stato  e  le  Regioni  ed  in
particolare con l'autonomia legislativa della Regione ricorrente. 
    La previsione del legislatore  statale  disconoscerebbe  le  piu'
elementari  regole  che  presiedono  al  riparto   delle   competenze
legislative,  accolte  nel  nostro  ordinamento   costituzionale,   e
segnatamente quella che impedisce di  risolvere  i  rapporti  tra  le
fonti statali e  quelle  regionali  in  termini  di  mera  gerarchia,
riconoscendo al legislatore statale la possibilita'  di  abrogare  la
disciplina regionale  senza  alcuna  considerazione  delle  sfere  di
competenza coinvolte. Anche laddove il legislatore statale intendesse
disciplinare e regolare  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative
attinenti alla conformazione dell'attivita'  dei  privati  in  ambito
imprenditoriale, commerciale o artigianale,  al  fine  di  assicurare
esigenze   di   uniformita',   non   potrebbe    comunque    disporre
legittimamente  l'abrogazione  delle  vigenti  discipline  settoriali
della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, procedendo  alla
sostituzione di esse con  la  nuova  disciplina  statale,  ma  semmai
prevedere un obbligo di  adeguamento  da  parte  della  Regione,  che
sarebbe  chiamata  ad  intervenire  comunque  con  fonti   regionali,
attraverso un rinnovato esercizio della potesta' legislativa ad  essa
attribuita negli ambiti materiali coinvolti. In tale ultima  ipotesi,
peraltro, stante la significativa incidenza della disciplina  statale
su ambiti materiali spettanti alla competenza esclusiva o concorrente
regionale, dovrebbe essere assicurato il coinvolgimento della Regione
stessa nella decisione del legislatore statale, attraverso meccanismi
di raccordo o concertazione reputati idonei al  sostanziale  rispetto
del principio di leale collaborazione. 
    5.- Anche ove si ritenesse che la  disciplina  statale  censurata
sia riconducibile alla competenza trasversale dello Stato in  materia
di «concorrenza» e di  «livelli  essenziali  delle  prestazioni»,  la
stessa  risulterebbe  -  a  dire  della   ricorrente   -   del   pari
costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt.  5  e  120  Cost.  Tale  disciplina,
infatti,  inciderebbe  in  maniera  significativa  sulle   competenze
regionali, con la conseguenza che lo Stato avrebbe  dovuto  prevedere
meccanismi di reciproco coinvolgimento e di coordinamento del livello
di governo statale e regionale. 
    6.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri. 
    La difesa erariale eccepisce, in via preliminare, «la  tardivita'
del  ricorso  proposto  avverso  le  norme  del  decreto  legge   non
modificate  in  sede   di   conversione   e   quindi,   in   ipotesi,
immediatamente lesive». 
    Nel merito, sostiene l'infondatezza  del  ricorso,  relativamente
all'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, ponendo in
evidenza che le norme  in  esame  sarebbero  dirette  a  favorire  la
ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo su tutto  il  territorio
nazionale con caratteri di  omogeneita',  in  un'ottica  di  maggiore
competitivita' delle imprese. E, data la necessita' di un  tempestivo
intervento  volto  a  fronteggiare  l'attuale  situazione  di   crisi
economico-finanziaria   internazionale,   tali    disposizioni    non
potrebbero che avere effetto immediato. 
    Peraltro,  l'istituto  della   SCIA   non   sarebbe   nuovo,   ma
costituirebbe la modifica e semplificazione di altro analogo, la DIA,
gia' previsto dall'ordinamento e gia' positivamente scrutinato  dalla
Corte costituzionale,  nel  senso  che  esso  integrerebbe  un  nuovo
principio fondamentale del governo del territorio  (alternativo  alla
licenza o concessione edilizia): anche la norma attuale da una  parte
continuerebbe ad integrare un principio fondamentale e  dall'altra  -
nelle sue modifiche e semplificazioni - sarebbe ispirata alla  tutela
della concorrenza (incrementando e agevolando le attivita'  edilizie)
per  quanto  riguarda  gli  operatori  del  settore,  e  ai   livelli
essenziali delle prestazioni  per  i  cittadini  interessati  ad  una
sollecita risposta e allo svolgimento  di  tali  attivita',  materie,
queste, di esclusiva competenza statale. 
    7.- Con  ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 30  settembre  successivo  (r.r.  n.  97  del
2010), la Regione Toscana ha impugnato alcune norme del  d.l.  n.  78
del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
e tra  queste,  l'art.  49,  commi  4-bis  e  4-ter,  per  violazione
dell'art. 117, terzo comma e 121, secondo comma, Cost. 
    8.-  La  ricorrente  contesta  le  disposizioni  impugnate,   ove
ritenute applicabili  anche  al  settore  dell'edilizia,  secondo  le
indicazioni in tale senso pervenute dalle autorita'  ministeriali.  A
dispetto della tradizionale diversificazione delle  discipline  della
DIA edilizia e di quella commerciale - la prima regolata dall'art. 22
del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia -Testo A), e la seconda dall'art. 19 della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) -
ora la disciplina  sembrerebbe  unificata,  ed  il  privato  potrebbe
iniziare subito l'attivita' edilizia senza attendere  alcun  termine,
restando  alla  pubblica  amministrazione  soltanto  il   potere   di
intervenire successivamente, quando i lavori siano gia'  iniziati  (o
anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto (si pensi agli
interventi di ristrutturazione edilizia o agli  interventi  di  nuova
costruzione o di ristrutturazione urbanistica). 
    Queste attivita' potevano  essere  iniziate  dopo  trenta  giorni
dalla presentazione della DIA e tale termine avrebbe rappresentato un
equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo preventivo della
pubblica amministrazione e le esigenze del  proprietario  costruttore
ad iniziare rapidamente i lavori, confidando di poter evitare  rischi
di ordinanze successive di demolizione. 
    La normativa in  esame  violerebbe  le  competenze  regionali  in
materia di «governo del territorio»  che,  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo  comma,  Cost.,  e'  attribuita   alla   potesta'   legislativa
concorrente e in cui lo Stato deve  porre  i  principi  fondamentali,
lasciando poi alle Regioni lo  sviluppo  e  la  specificazione  della
disciplina. 
    Non  sarebbe  sufficiente  la  mera  autoqualificazione   formale
operata  dal  legislatore  statale  per  ricondurre  una   disciplina
nell'ambito della competenza  esclusiva  dello  Stato  (tutela  della
concorrenza, di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e,  e
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera
m),  essendo  necessario  esaminarne  il  contenuto   sostanziale   e
verificare se lo scopo cui la norma tende permetta di  ricondurre  la
stessa in tale ambito. Risulterebbe evidente che la SCIA edilizia non
sarebbe uno strumento per tutelare la concorrenza. 
    Con la SCIA la pubblica amministrazione abiliterebbe il privato a
realizzare  un  determinato  intervento  edilizio,   ricorrendone   i
presupposti in base alla  pianificazione  territoriale:  verrebbe  in
questione il rapporto tra  l'Amministrazione  ed  il  privato  e  non
invece la  concorrenza  tra  gli  imprenditori  aventi  diritto  alla
parita' di  trattamento  e  ad  agire  in  un  mercato  libero  senza
barriere, poiche' questo  sarebbe  l'oggetto  della  lettera  e)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost. 
    Non pertinente sarebbe il riferimento alla lettera m) del secondo
comma dell'art. 117 Cost., perche' la disciplina della SCIA  edilizia
non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni  da  garantire
su tutto il territorio nazionale. Nel  caso  in  esame  la  normativa
statale non definirebbe  il  livello  essenziale  di  erogazione,  in
relazione a specifiche prestazioni: il  momento  in  cui  l'attivita'
edilizia potrebbe essere iniziata (subito o dopo trenta  giorni)  non
costituirebbe una prestazione concernente un diritto. 
    In definitiva, escludendosi i due titoli  di  competenza  statale
richiamati dal comma 4-ter, la  disciplina  in  esame  finirebbe  per
ricadere nella materia del «governo del  territorio»,  soggetto  alla
potesta' legislativa concorrente, da ritenere  comprensiva  di  tutto
cio' che attiene all'uso del  territorio  e  alla  localizzazione  di
impianti o attivita'. 
    Posto  che  alla  legislazione  di   principio   spetterebbe   di
prescrivere criteri e obiettivi, mentre a quella di dettaglio sarebbe
riservata l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere tali obiettivi, la normativa in esame si risolverebbe  in
una disciplina dettagliata e specifica,  che  non  lascerebbe  alcuno
spazio al legislatore regionale, il quale, viceversa, dovrebbe  poter
decidere, in base alla realta' del proprio territorio, se  consentire
al privato di iniziare l'attivita'  immediatamente,  o  attendere  un
termine da esso stabilito. Essa, pertanto, oltrepasserebbe i  confini
delle competenze che, ai sensi dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
spettano  al  legislatore  statale  in  materia   di   «governo   del
territorio». 
    9.-  La  nuova  SCIA,  secondo  il  disposto  del  comma   4-ter,
travolgerebbe  tutte  le  norme  regionali  (oltre  che  statali)  in
materia. La Regione Toscana avrebbe emanato una normativa organica in
materia di governo del territorio, la legge regionale 3 gennaio 2005,
n. 1 (Norme per  il  governo  del  territorio),  e,  in  applicazione
dell'art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001,  avrebbe  ampliato
autonomamente le categorie di opere per cui era prevista la  DIA.  Il
legislatore  statale  abrogherebbe  con  effetto   immediato   questa
legislazione regionale di settore, sostituendola unilateralmente  con
una disciplina che non permetterebbe  piu'  un  controllo  preventivo
dell'Amministrazione. 
    In  cio'  sarebbe  ravvisabile   la   violazione   dell'autonomia
legislativa del Consiglio regionale, in  contrasto  con  l'art.  121,
secondo comma, Cost., perche' il  legislatore  statale  non  potrebbe
intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal
Consiglio regionale, spettando invece  a  quest'ultimo  adeguarsi  ai
nuovi principi posti dal legislatore statale. 
    10.- Nel giudizio si e' costituito il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri. La difesa erariale deduce l'infondatezza  del  ricorso,
relativamente all'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l.  n.  78  del
2010,  svolgendo  difese  analoghe  a  quelle  esposte  nel  giudizio
precedente. 
    11.- Con ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 10 ottobre successivo (r.r. n. 102 del 2010),
la Regione Liguria ha impugnato, tra l'altro, l'art. 49, commi  4-bis
e 4-ter, del d.l. n. 78  del  2010,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 122 del 2010, per violazione degli artt. 3,  97,  114,
secondo comma, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 
    La ricorrente  premette  che  l'art.  49,  comma  4-bis,  prevede
l'integrale sostituzione dell'art. 19 della legge n.  241  del  1990,
relativo alla DIA, con il nuovo istituto della  SCIA.  Rispetto  alla
versione precedente, il nuovo art. 19  si  caratterizzerebbe  per  il
fatto di prevedere in  ogni  caso  la  facolta'  di  avvio  immediato
dell'attivita',    contestualmente    alla    presentazione     della
segnalazione,  generalizzando  cosi'  la  previsione  contenuta   nel
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della  direttiva
2006/123/CE relativa ai  servizi  nel  mercato  interno),  che  aveva
reintrodotto, per le attivita' di cui alla medesima direttiva, la DIA
cosiddetta «ad effetto immediato». Si riproporrebbe in tal  modo,  in
chiave generale, la configurazione originariamente  prevista  per  la
DIA  dal  legislatore  del  1990,  quale  dichiarazione   contestuale
all'avvio dell'attivita'. 
    Inoltre, la scomparsa della precisazione contenuta nel precedente
vecchio comma 4 dell'art. 19 della legge n. 241 del  1990  (il  quale
stabiliva che «restano ferme le disposizioni  di  legge  vigenti  che
prevedono termini diversi da quelli  di  cui  ai  commi  2  e  3  per
l'inizio    dell'attivita'    e    per    l'adozione     da     parte
dell'amministrazione  competente  di  provvedimenti  di  divieto   di
prosecuzione  dell'attivita'  e  di  rimozione  dei  suoi  effetti»),
unitamente alla previsione contenuta nell'art. 49,  comma  4-ter  (in
forza della quale, «la disciplina di cui al comma  4-bis  sostituisce
direttamente,  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del  presente  decreto,  quella  della  dichiarazione  di
inizio attivita' recata da  ogni  normativa  statale  e  regionale»),
deporrebbe nel senso di ritenere che alla  nuova  SCIA  debba  essere
integralmente ricondotta anche la preesistente disciplina in  materia
di «DIA edilizia».  Quest'ultima,  fino  ad  ora,  avrebbe  mantenuto
profili di autonomia rispetto al modello di DIA generale. 
    Nel senso dell'integrale sostituzione della DIA edilizia  con  la
nuova SCIA si sarebbe espressa anche la nota 16  settembre  2010  del
Ministero per la semplificazione normativa:  la  quale  -  oltre  che
sulla  base  dei  profili  dinanzi  indicati  -  perverrebbe  a  tale
conclusione anche alla luce delle indicazioni emerse  nel  corso  dei
lavori  parlamentari,  nonche'  in   considerazione   dell'innovativo
riferimento - contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19 della legge  n.
241 del 1990 - alle «asseverazioni di tecnici abilitati», espressione
che richiamerebbe il contenuto dell'art. 23 del  d.P.R.  n.  380  del
2001 in materia urbanistico-edilizia. 
    12.- Secondo la Regione Liguria, la nuova disciplina  della  SCIA
risulterebbe costituzionalmente illegittima, in primo  luogo,  e  con
riferimento  agli  ambiti  non  edilizi,   perche'   la   dettagliata
previsione dei moduli procedimentali (che, ai sensi del comma  4-ter,
sarebbero destinati a sostituire automaticamente tutte le  discipline
regionali in materia di DIA), finirebbe per  invadere  la  competenza
regionale in molti ambiti di  legislazione  residuale  regionale,  ai
sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  in  particolare   con
riferimento a commercio, artigianato, turismo e attivita'  produttive
in genere. La lesione cosi' determinata delle  prerogative  regionali
non sarebbe certo esclusa  in  conseguenza  della  autoqualificazione
recata dal comma 4-ter. 
    Al contempo, la puntuale disciplina delle modalita' di intervento
attraverso l'esercizio del potere di inibizione  e  di  conformazione
dell'attivita' - quale prevista al comma 3 del nuovo  art.  19  della
legge n. 241 del 1990 - interferirebbe con i poteri di  controllo  il
cui esercizio sarebbe attribuito  alle  amministrazioni  locali,  con
conseguente violazione  dell'art.  114,  secondo  comma,  Cost.,  che
riconosce l'autonomia dei poteri degli enti locali, e dell'art.  118,
primo comma, Cost.  che  riconosce  le  funzioni  amministrative  dei
Comuni. 
    13.- La previsione per cui  la  SCIA  consentirebbe,  in  materia
edilizia, l'immediato avvio dell'attivita', costituirebbe  regola  di
dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia - quella
del «governo del territorio» (cui, come noto,  sarebbe  riconducibile
l'edilizia) - demandata alla potesta'  legislativa  concorrente,  con
conseguente limitazione della potesta' statale alla  sola  fissazione
dei principi. 
    Ponendo  la  regola  che  stabilisce  dopo  quanti  giorni  dalla
presentazione della segnalazione (nessuno, in  questo  caso)  sarebbe
possibile  iniziare  l'attivita',  il  legislatore  statale  non   si
limiterebbe  a  fissare  regole  di  principio,  ma  interverrebbe  a
disciplinare i dettagli della materia. Nell'imporre non solo la DIA -
ora SCIA - in luogo del permesso edilizio,  ma  nel  disciplinare  le
modalita' stesse di funzionamento  della  SCIA,  nell'individuare  il
momento nel quale il «segnalante» puo' realizzare il  progetto  (piu'
che iniziare  una  attivita',  come  la  denominazione  dovrebbe  far
pensare), nel disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di
controllo dell'amministrazione, lo Stato avrebbe chiaramente superato
i limiti della propria potesta' legislativa concorrente di  principio
in materia di governo del territorio. 
    Ulteriori criticita', in considerazione della  peculiare  materia
cui si riferisce, creerebbe  l'estensione  alla  DIA  edilizia  della
facolta' di immediato inizio dell'attivita' (prevista al comma 2  del
novellato art. 19 della legge n. 241 del 1990). 
    La questione riguarderebbe, in particolare, l'ipotesi in  cui  un
soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti  di  legge,
sulla base di una SCIA contenente false  dichiarazioni  o,  comunque,
altrimenti errata. Ferma restando la rivendicazione della  competenza
regionale a disporre in materia, nei settori commerciali  l'immediato
inizio di attivita' - pur in assenza dei presupposti richiesti -  non
si  presenterebbe  di  particolare  gravita',  giacche'   in   genere
l'attivazione del potere inibitorio e di  rimozione  degli  eventuali
effetti dannosi medio tempore prodotti (art. 19,  comma  3)  potrebbe
risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare  gli  interessi
protetti dalle normative che prevedono il previo  titolo  abilitativo
(sostituito  dalla  SCIA),  trattandosi  di  settori  nei  quali   le
attivita' svolte,  in  linea  di  principio,  non  appaiono  tali  da
determinare effetti irreversibili. 
    L'attivita' edilizia invece, per sua  natura,  sarebbe  idonea  a
determinare  immediatamente  alterazioni  materiali  del  territorio,
potenzialmente assai rilevanti, ed il ripristino non  sempre  sarebbe
possibile: sia sotto il profilo materiale (l'art. 33,  comma  2,  del
d.P.R.  n.  380  del  2001  espressamente  si  occupa   dei   profili
sanzionatori di opere  abusive,  in  relazione  alle  quali  non  sia
possibile  il  ripristino  dello  stato  dei  luoghi),  sia  per  gli
eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare. Anche  perche'
- a parte le enormi difficolta' ed i  costi  che  le  Amministrazioni
incontrano nell'ottenere la demolizione degli  interventi  abusivi  -
non sempre  i  privati  trasgressori,  che  hanno  dato  inizio  alla
attivita' di trasformazione in assenza dei presupposti, disporrebbero
delle risorse per provvedere al ripristino. 
    Non rileverebbe  che  gli  interventi  abusivamente  eseguiti  in
assenza o  in  difformita'  dalla  DIA  siano  sottoposti,  in  linea
generale (e salvo eccezioni),  alla  sanzione  pecuniaria,  ai  sensi
dell'art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001: il  tempestivo  impiego  del
potere inibitorio da parte  delle  amministrazioni  comunali  sarebbe
stato comunque  in  grado  di  prevenire  in  radice  la  commissione
dell'abuso  (cosa  preferibile  rispetto  alla  misura  sanzionatoria
successiva), anche con riferimento a tipologie di interventi che, per
quanto  non  consentite   nel   caso   concreto,   fossero   comunque
astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita'  della  DIA.
Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere inibitorio sarebbe stato
in grado di  impedire  il  verificarsi  dell'eventualita',  ben  piu'
grave,  in  cui  il  privato  presentasse  una  DIA  per   realizzare
interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di
costruire (e che  tuttavia  non  lo  avrebbero  concretamente  potuto
conseguire per il contrasto con la disciplina normativa o di  piano).
In tali casi, le amministrazioni comunali sarebbero state in grado di
intervenire bloccando  l'esecuzione  dei  lavori  prima  dell'inizio,
mentre cio' non sarebbe ora piu' possibile. 
    Su queste premesse, sarebbe chiaro  che  la  totale  eliminazione
della possibilita' delle amministrazioni  (virtuose)  di  operare  un
seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo  di  impedire
in radice la realizzazione degli abusi, si rivelerebbe non  solo  una
violazione della competenza regionale, ma anche  una  violazione  del
principio di ragionevolezza e di buon andamento  dell'amministrazione
di cui all'art. 97, primo comma, Cost.: una violazione che la Regione
sarebbe legittimata ad impugnare in quanto essa si tradurrebbe in una
limitazione della propria potesta' legislativa. 
    Del tutto irragionevolmente, la  disposizione  censurata  avrebbe
eliminato la clausola contenuta nel  vecchio  art.  19,  comma  4,  a
proposito  della  DIA  edilizia,  che  stabiliva  la  salvezza  delle
disposizioni di legge prevedenti termini diversi da quelli di cui  ai
commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per  l'adozione,  da  parte
dell'amministrazione competente, di provvedimenti diretti a  vietarne
la prosecuzione ed a rimuoverne gli effetti. In tal modo, si  sarebbe
determinato un inammissibile sbilanciamento a  favore  dell'interesse
ad  una  rapida  (rectius:  immediata)  definizione  delle  procedure
abilitative edilizie, sacrificando in misura del tutto  irragionevole
e ingiustificata le esigenze della  tutela  del  territorio,  nonche'
quelle organizzative delle stesse amministrazioni cui e' affidato  il
potere di verifica. Per non dire, poi, dell'interesse dei  terzi  che
si vedano lesi dall'attivita' costruttiva: la cui  posizione  -  gia'
tradizionalmente sofferta, come ben noto, in materia di DIA  edilizia
- sarebbe ulteriormente pregiudicata. 
    Non  sarebbe  neppure  certo  che  la  novella  contestata   vada
realmente  nel  senso   di   tutelare   l'effettivo   interesse   del
costruttore. Chi realizza un intervento  edilizio,  infatti,  avrebbe
interesse a conoscere in anticipo se quanto sta realizzando e' o  non
e' conforme a diritto. Sotto tale  profilo,  l'immediato  inizio  dei
lavori  accentuerebbe  il  rischio  che  quanto  e'   in   corso   di
realizzazione venga in seguito ad incorrere nell'esercizio (ora  solo
successivo) del potere inibitorio. 
    In conclusione, il nuovo art. 19 della legge  n.  241  del  1990,
come modificato dall'art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 si
rivelerebbe costituzionalmente illegittimo nel  suo  comma  2,  nella
parte  in  cui  prevede  la  possibilita'  di  iniziare   l'attivita'
costruttiva alla data della presentazione della  segnalazione  (senza
prevedere una  clausola  di  salvezza  per  le  diverse  disposizioni
previste per la DIA edilizia), per contrasto con l'art. 3 Cost.,  per
violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita', nonche'
con l'art. 97 Cost., per violazione del principio di  buon  andamento
dell'attivita' amministrativa. Nella misura in cui interferisce con i
poteri di controllo di Comuni e Regioni sull'attivita'  edilizia,  la
disposizione sarebbe altresi' illegittima per violazione degli  artt.
114 e 118 Cost. 
    14.- Per opportuna completezza - aggiunge la ricorrente - la SCIA
estremizzerebbe gli effetti di un sistema, quello della DIA, che  nel
corso di un ventennio avrebbe dato cattiva prova  di  se',  palesando
rilevanti  limiti  e  determinando  oggettivi  problemi   di   tenuta
complessiva, che la dottrina e la giurisprudenza  (e'  richiamata  la
sentenza del Tar Lombardia, Milano, 7  luglio  2004,  n.  3086),  non
avrebbero  mancato   di   evidenziare.   Il   legislatore,   anziche'
intervenire con  opportuni  correttivi,  avrebbe  deciso  di  rendere
ancora piu' squilibrata la DIA (ora SCIA) edilizia, rimuovendo  anche
la tenue garanzia rappresentata dall'inizio differenziato dei lavori. 
    Le considerazioni esposte sarebbero destinate ad assumere  ancora
maggiore valenza ove si condivida quell'orientamento che  ritiene  la
SCIA applicabile in materia edilizia al  posto  non  solo  della  DIA
«normale», ma anche della cosiddetta «super-DIA», di cui all'art. 22,
comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001. Il  che  aumenterebbe  l'impatto
gia' problematico dell'istituto. 
    15.- Il comma 4-ter stabilisce  che  la  disciplina  della  SCIA,
nella sua integralita',  attiene  alla  tutela  della  concorrenza  e
costituisce  livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti   i
diritti civili e sociali, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettere e) ed m), Cost., e che «sostituisce direttamente [...] quella
della dichiarazione di inizio  attivita'  recata  da  ogni  normativa
statale e regionale». 
    L'indicazione dei pretesi  «titoli»  della  disciplina,  e  degli
effetti  sulla  normativa  precedente,  anche  di  fonte   regionale,
renderebbe palese l'intendimento del legislatore statale  di  dettare
una  normativa  completa,   autosufficiente,   non   derogabile   dai
legislatori   locali.   Per   questo   il   comma    4-ter    sarebbe
costituzionalmente illegittimo. 
    Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non e'
vincolante, sarebbe da contestare anzitutto che la  disciplina  sulla
SCIA attenga effettivamente ai «livelli essenziali delle prestazioni»
di cui alla lettera m)  dell'art.  117,  secondo  comma,  Cost.,  che
consente  allo  Stato  solo  di  fissare  «standard   strutturali   e
qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto».  Con
le disposizioni sulla SCIA non si stabilirebbe invece alcuno standard
quantitativo o qualitativo di prestazioni  determinate,  attinenti  a
questo o a quel «diritto» civile o  sociale  garantito  dalla  stessa
Costituzione, venendo al  contrario  regolato  lo  svolgimento  della
attivita' amministrativa, in  settori  vastissimi  ed  indeterminati,
alcuni di indiscutibile competenza regionale, quali  il  governo  del
territorio,  la  tutela  della  salute,  l'ordinamento  degli  uffici
regionali, l'artigianato, il turismo, il commercio, materie spettanti
alla Regione in forza dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    Inoltre,  non  potrebbe  essere  confusa  la  determinazione  dei
livelli  delle  prestazioni  con  la   disciplina   delle   posizioni
soggettive degli amministrati; altrimenti, posto che ogni  diritto  o
interesse  implica  un  qualche  comportamento  altrui  (anche   solo
omissivo), la competenza sulla materia della lettera m) dell'art. 117
Cost. consentirebbe allo Stato qualunque intervento  conformativo  di
qualsiasi posizione soggettiva in qualunque materia regionale. 
    Tale confusione sarebbe particolarmente evidente nella disciplina
relativa alla SCIA, che, nella sua rigidita',  potrebbe  determinare,
in  alcuni  casi,  una  diminuzione  dei  livelli  essenziali   delle
prestazioni cui hanno  diritto  persone  destinatarie  dell'attivita'
assentita mediante la segnalazione certificata: quando,  ad  esempio,
in  conseguenza  delle  limitazioni  temporali  e  sostanziali   alla
attivita' di accertamento e controllo della pubblica amministrazione,
senza alcuna considerazione per le  singole  realta'  territoriali  e
organizzative, sia praticamente impedita la verifica del rispetto  di
standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti ai  diritti
sociali. 
    Alcuni  istituti  di  semplificazione  amministrativa  potrebbero
esprimere limiti vincolanti per le potesta' legislative regionali; ma
cio' implicherebbe sempre una valutazione complessiva  di  tutti  gli
interessi che vengono in rilievo nella singola materia interessata, e
il controllo, a sua volta, per essere  effettivo,  non  potrebbe  che
riguardare norme riferite a ben  individuati  settori.  Il  punto  di
equilibrio tra l'interesse del singolo ad iniziare quanto  prima  una
certa attivita', e l'esercizio del potere-dovere dell'amministrazione
di tutelare secondo legge  gli  altri  interessi  toccati  da  quella
attivita', potrebbe essere  diverso,  a  seconda  che  questi  ultimi
attengano al governo del territorio oppure alla tutela della salute o
alla tutela del lavoro (il riferimento al governo  del  territorio  e
alla tutela della salute  e  del  lavoro  non  e'  casuale,  evocando
interessi che il comma 4-bis non prende  in  considerazione  ai  fini
della esclusione dall'ambito di operativita' della SCIA). 
    Aggiunge la ricorrente che esigenze di semplificazione potrebbero
certo  derivare  dalla  normativa  comunitaria,  vincolante  per   la
Regione, ed in particolare dalla  direttiva  n.  2006/123/CE  del  12
dicembre 2006 (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
relativa ai servizi nel mercato interno), la quale tuttavia fa  salva
la peculiarita' dei singoli settori, ammettendo ad  esempio  che,  in
taluni casi, la autorizzazione allo svolgimento  di  certe  attivita'
sia  subordinata  ad  un  «adeguato  esame»  sulla   presenza   delle
«condizioni stabilite» per ottenerla (ad es.  art.  10,  par.  5);  e
inoltre fa salvo il riparto delle competenze  tra  Stato,  Regioni  e
minori enti locali (ad es., art. 10, par. 7). Del resto,  il  decreto
legislativo del 26 marzo 2010,  n.  59  (Attuazione  della  direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno),  di  attuazione
della citata direttiva (non abrogato dal  d.l.  n.  78)  dispone  che
«relativamente alle materie oggetto  di  competenza  concorrente,  le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano  esercitano  la
potesta' normativa nel rispetto dei principi  fondamentali  contenuti
nelle norme del presente  decreto»  (art.  1,  comma  4).  Lo  stesso
decreto, poi, all'art. 84, e in dichiarata attuazione dell'art.  117,
quinto comma, Cost., aggiunge che «nella misura in  cui  incidono  su
materie di competenza esclusiva regionale e su materie di  competenza
concorrente, le disposizioni del presente decreto si  applicano  fino
alla data di entrata in vigore della normativa  di  attuazione  della
direttiva 2006/123/CE,  adottata  da  ciascuna  regione  e  provincia
autonoma  nel  rispetto  dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e  dei  principi  fondamentali  desumibili  dal  presente
decreto». 
    16.-  Il   comma   4-ter   dichiara   come   proprio   fondamento
costituzionale anche la «tutela della concorrenza», oltre ai  livelli
essenziali delle prestazioni.  Ma  esso,  in  realta',  non  potrebbe
essere ricondotto nemmeno alla lettera e) dell'art. 117 Cost.,  nelle
parti in cui non riguarda attivita' imprenditoriali e  professionali,
e nelle parti in cui concerne (limitandoli) i poteri di  controllo  e
repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei  molteplici
interessi pubblici e privati, che sono stati presi in  considerazione
dalle  singole  leggi   di   settore   quando   hanno   previsto   le
autorizzazioni, licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento
a queste ultime norme limitatrici,  anzi,  la  disposizione  potrebbe
avere  l'effetto  di   far   rimanere   «sul   mercato»   imprese   o
professionisti con requisiti (in senso lato) non del  tutto  conformi
agli schemi legali, con  conseguente  alterazione  della  concorrenza
«leale» tra i diversi operatori. 
    Ma,  anche  con  riferimento  alle  attivita'  imprenditoriali  e
professionali, il comma 4-ter non sarebbe espressione  della  «tutela
della concorrenza» nel senso della  Costituzione,  come  interpretata
dalla giurisprudenza della Corte. Esso non riguarderebbe i  requisiti
per l'accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei beni  e  dei
servizi, o la parita' di trattamento tra gli operatori, o  misure  di
liberalizzazione  dei  mercati,   ma   inciderebbe   direttamente   e
principalmente sullo svolgimento dell'attivita' amministrativa e  sui
relativi  procedimenti.  Se  lo  svolgimento   di   una   determinata
attivita', per la quale si siano ridotti i tempi di avvio (ma  non  i
costi, considerandosi la necessita' di «attestazioni e  asseverazioni
di tecnici abilitati») dipende (anche) dall'insieme  della  normativa
(statale,  regionale,  europea,  internazionale)  che  la   riguarda,
l'effetto  che  la  semplificazione   della   disciplina   ha   sulla
concorrenza sarebbe solo accessorio  ed  indiretto;  e  nei  casi  di
interferenza, ai fini della  riconduzione  di  una  legge  all'una  o
all'altra materia, occorrerebbe operare un giudizio di prevalenza. 
    17.- Costituendosi in giudizio, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri adduce l'infondatezza del ricorso, svolgendo  considerazioni
analoghe a quelle esposte nei giudizi precedenti. 
    18.- Con ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 6 ottobre 2010 (r.r. n.  106  del  2010),  la
Regione Emilia-Romagna ha impugnato, tra l'altro,  l'art.  49,  commi
4-bis  e  4-ter,  del  d.l.  n.  78   del   2010,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 122  del  2010,  per  violazione  degli
artt. 97, 114, secondo comma, 117, commi terzo e quarto, e 118, Cost.
Il ricorso svolge argomentazioni analoghe,  nella  parte  concernente
l'impugnazione dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, a quelle di cui  al
ricorso n. 102 del 2010, proposto dalla Regione Liguria. 
    19.- Anche le difese del Presidente del Consiglio  dei  ministri,
che si e'  costituito  nel  giudizio  costituzionale  proposto  dalla
Regione Emilia-Romagna, assumendone l'infondatezza, sono  analoghe  a
quelle svolte nei confronti del ricorso n.  102  del  2010,  proposto
dalla Regione Liguria. 
    20.- Con ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la Cancelleria della
Corte costituzionale il 7 ottobre 2010 (r.r. n.  107  del  2010),  la
Regione Puglia ha impugnato, tra l'altro, l'art. 49,  commi  4-bis  e
4-ter, del d.l. n.. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010,  che,  nell'individuare  nella  legge  statale
l'unica fonte competente  a  regolamentare  la  materia  della  SCIA,
inciderebbero  sull'autonomia  legislativa  e   regolamentare   della
Regione, con violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere  e)  ed
m), terzo e quarto comma, Cost. 
    21.- La Regione ricorrente premette che l'art. 49,  comma  4-bis,
ha riformulato l'art. 19 della legge n. 241 del  1990,  introducendo,
al posto della  Denuncia  Inizio  Attivita'  (DIA),  la  Segnalazione
Certificata di Inizio attivita' (SCIA), in virtu'  della  quale  sono
ridotti gli oneri amministrativi per il  privato,  consentendogli  di
intraprendere un'attivita' economica immediatamente, fin  dalla  data
di presentazione di  una  semplice  segnalazione  all'amministrazione
pubblica competente. Il comma 4-ter  del  medesimo  art.  49  prevede
l'applicazione del comma 4-bis anche ai  procedimenti  amministrativi
ricadenti nelle materie di competenza legislativa regionale. 
    Dopo aver  trascritto  il  dettato  delle  due  disposizioni,  la
ricorrente afferma che tale normativa contrasterebbe, anzitutto,  con
l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    Nonostante  l'autoqualificazione  contenuta  nel   comma   4-ter,
secondo cui la disciplina del  comma  4-bis  sarebbe  attinente  alla
tutela della concorrenza ai sensi del citato art. 117, secondo comma,
lettera e), e  costituirebbe  livello  essenziale  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m)  del
medesimo comma, sostituendosi, dalla data di entrata in vigore  della
legge di conversione del decreto, a  quella  della  dichiarazione  di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale  e  regionale,  non
sarebbe possibile ritenere, secondo la ricorrente, che la  norma  sia
riconducibile alla materia della «tutela della concorrenza». 
    Invero, il nuovo istituto della  SCIA  sarebbe  di  generalizzata
applicazione,   sia   alle   attivita'   che   hanno    un    rilievo
economico-imprenditoriale sia a quelle che non lo hanno. Risulterebbe
evidente che,  in  relazione  a  questa  seconda  categoria,  non  si
porrebbe un  problema  di  «concorrenza»,  e  lo  Stato  non  sarebbe
legittimato in alcun modo ad  adottare  la  normativa  impugnata.  Ne
conseguirebbe   l'illegittimita'   costituzionale   della   normativa
contenuta nell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010,
nella parte in cui include nel suo ambito di applicazione anche  quei
procedimenti   inerenti   ad    attivita'    non    aventi    rilievo
economico-imprenditoriale. 
    Sotto un secondo profilo, la normativa in questione non  potrebbe
comunque ricondursi alla materia della  «tutela  della  concorrenza»,
poiche' «disciplina le relazioni tra gli  operatori  economici  e  la
pubblica amministrazione, senza che cio' possa in alcun modo incidere
sulle relazioni tra gli operatori economici». La normativa  impugnata
si limiterebbe a regolare le modalita' tramite le quali devono essere
esplicate alcune funzioni amministrative. Anche ammettendo che  norme
destinate a  regolare  relazioni  tra  operatori  e  pubblici  poteri
possano essere ricomprese nell'ambito dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., cio' accadrebbe in quanto  tali  previsioni  siano
dirette  ad  incrementare  la  concorrenza  esistente.  Cio'  non  si
verificherebbe nel caso in questione,  in  quanto  la  norma  avrebbe
unicamente una funzione di semplificazione amministrativa. 
    Da ultimo, la ricorrente fa notare l'impossibilita'  di  riferire
l'art.  49,  comma  4-bis,  del  decreto-legge  n.   78   del   2010,
contemporaneamente, sia alla materia «tutela della concorrenza» che a
quella   della   «determinazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni». 
    22.- La normativa censurata violerebbe anche  l'art.  117,  comma
secondo, lettera m), Cost. 
    Infatti, non sarebbe possibile  ritenere  che  le  norme  di  cui
all'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonostante l'autoqualificazione ivi
disposta, siano riconducibili alla materia della «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali», in  primo  luogo  perche'  non  sarebbe  pensabile  che  la
disposizione  costituzionale  possa  essere  intesa  nel   senso   di
qualificare «prestazione» qualunque attivita' amministrativa  con  la
quale  entri  in  contatto  il  cittadino,  poiche'   altrimenti   si
giungerebbe a configurare un generalissimo titolo di intervento della
legislazione statale su tutta l'attivita' amministrativa regionale  e
locale. L'attivita' amministrativa potrebbe assurgere alla  qualifica
di «prestazione», della quale lo Stato e'  competente  a  fissare  un
«livello essenziale», solo a fronte di  uno  specifico  «diritto»  di
individui, imprese, operatori  economici  e,  in  generale,  soggetti
privati.  Cio'  sarebbe  stato  riconoscibile  ove  lo  Stato  avesse
attribuito ai soggetti che  entrano  in  contatto  con  una  pubblica
amministrazione, nell'ambito dei procedimenti individuati dalle norme
in esame, il diritto ad ottenere una risposta certa entro un  termine
prefissato, con eventuale utilizzo di poteri sostitutivi straordinari
per far fronte all'inadempimento  di  quei  livelli  di  governo  non
assicuranti il livello essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e sociali, stabilito dallo Stato nell'esercizio  della
propria competenza esclusiva. 
    Pur  se  la  DIA  -  sostituita  in  parte  dalla  SCIA  con   le
disposizioni in esame - e' stata qualificata «livello  essenziale  di
prestazione» dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 10 della legge 18
giugno 2009, n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), che ha aggiunto il comma 2-ter all'art. 29  della  legge  n.
241 del 1990, e'  noto  che  la  qualificazione  che  il  legislatore
fornisca delle norme che esso stesso introduce non ha rilievo ai fini
della loro qualificazione di diritto costituzionale, ne' e' possibile
ritenere che la mancata impugnazione  della  disposizione  richiamata
possa valere in alcun modo quale acquiescenza prestata dalla  Regione
ricorrente. Le norme concernenti la  DIA,  come  quelle  inerenti  la
SCIA, non potrebbero essere  considerate  «livelli  essenziali  delle
prestazioni». Ove ne sussistano i presupposti, potrebbero,  al  piu',
essere qualificate «principi fondamentali»  in  relazione  a  singole
materie di potesta' legislativa concorrente tra Stato e Regioni, come
il «governo del territorio». 
    I commi 4-bis e  4-ter  dell'art.  49  sono  impugnati  anche  in
riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    A differenza della disciplina della DIA, che nel settore edilizio
e' stata ascritta ai «principi fondamentali» della  materia  «governo
del territorio», la  disciplina  della  SCIA  avrebbe  un  ambito  di
applicazione generalizzato. Non individuando alcuna materia  al  fine
di limitare il proprio ambito di  applicazione,  non  potrebbe  certo
costituire «principio fondamentale  della  materia»:  il  legislatore
statale, infatti, avrebbe dovuto individuare i procedimenti -  almeno
per  classi  omogenee  -  ricadenti  nelle  materie   di   competenza
concorrente, ai quali intendeva applicare la disciplina in esame. 
    Ma  anche  qualora,  per  assurdo,  nonostante  il   suo   ambito
generalizzato di applicazione, si volesse  ritenere  la  disposizione
statale in questione legittimata dall'art. 117, terzo  comma,  Cost.,
essa sarebbe comunque  costituzionalmente  illegittima,  poiche'  non
lascerebbe alcun margine  al  legislatore  regionale,  il  quale  non
potrebbe che limitarsi a prendere atto del diverso assetto  conferito
dal  nuovo  istituto  della  SCIA  al  rapporto  tra   cittadini   ed
amministrazione, senza poter in alcun modo modulare, anche in  minima
parte, tale assetto in modo da renderlo  maggiormente  adeguato  alla
realta' regionale, e senza  avere  la  possibilita'  di  ampliarne  o
ridurne l'ambito applicativo. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  ritenuto  «principio
fondamentale» della materia «governo del territorio»  la  «necessaria
compresenza nella legislazione di titoli  abilitativi  preventivi  ed
espressi (la concessione  o  l'autorizzazione,  ed  oggi,  nel  nuovo
d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di  costruire)  e  taciti,  quale
sarebbe la DIA, considerata procedura di semplificazione che non puo'
mancare, libero il  legislatore  regionale  di  ampliarne  o  ridurne
l'ambito applicativo» (sentenza n. 303  del  2003,  punto  11.2.  del
Considerato in diritto). Sarebbe evidente  che  tale  «liberta'»  del
legislatore regionale non sussiste nel caso in questione. 
    La normativa censurata, infine,  violerebbe  l'art.  117,  quarto
comma,  Cost.,  nella  parte  in  cui  si  applica   a   procedimenti
amministrativi ricadenti  nell'ambito  delle  materie  di  competenza
residuale regionale. 
    Se anche l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del  2010
fosse da considerare legittimamente  posto  dallo  Stato  nell'ambito
della propria competenza a  dettare  i  principi  fondamentali  delle
materie oggetto di  potesta'  legislativa  concorrente  tra  Stato  e
Regioni,  esso   dovrebbe   comunque   ritenersi   costituzionalmente
illegittimo, in quanto volto  a  disciplinare  anche  i  procedimenti
ricadenti nell'ambito della competenza residuale  delle  Regioni.  Lo
Stato,  infatti,  non  avrebbe  alcun  titolo  per  imporre  la   sua
applicazione anche ai procedimenti amministrativi che  devono  essere
esplicati in tali materie, in cui la competenza regionale non sarebbe
vincolata da questo tipo di norme statali. 
    23.- Nel giudizio si e' costituito il  Presidente  del  Consiglio
dei  ministri,  assumendo  l'infondatezza  del  ricorso  e  svolgendo
argomenti analoghi a quelli esposti nei giudizi sopra richiamati. 
    24.- Con ricorso  notificato  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri il 9 settembre 2011, depositato presso la cancelleria  della
Corte costituzionale il 15 settembre 2011 (r.r. n.91  del  2011),  la
Regione  Emilia-Romagna  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, lettera b), e del medesimo  art.
5, comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n.  70
(Semestre Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  12
luglio 2011, n. 106, «nella parte in cui  tale  articolo  conferma  o
dispone l'applicabilita' della SCIA alla  materia  edilizia  e  nella
parte in cui - attraverso il nuovo comma  6-bis  dell'art.  19  della
legge n. 241 del 1990 - introduce un termine breve di  trenta  giorni
per  l'adozione  dei  provvedimenti  di   divieto   di   prosecuzione
dell'attivita' e di rimozione degli effetti  della  SCIA  in  materia
edilizia, per violazione degli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e  118  della
Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati». 
    La ricorrente deduce di avere gia' proposto ricorso (r.r. n.  106
del 2010)  in  merito  al  d.l.  n.  78  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che aveva  sostituito  la
disciplina della denuncia di inizio attivita' (DIA), di cui  all'art.
19 della legge  n.  241  del  1990,  con  quella  della  segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA), rivendicando alla  competenza
esclusiva statale tale istituto, ed ha  manifestato  la  volonta'  di
censurare anche  il  successivo  intervento  sulla  materia,  che  ha
sancito l'applicabilita' della SCIA all'edilizia  ed  e'  intervenuto
sulla sua concreta disciplina, in riferimento  alla  definizione  del
termine per l'esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica
amministrazione.  Infatti,  tali   disposizioni   cristallizzerebbero
l'interpretazione  delle  normative  menzionate   in   senso   lesivo
dell'autonomia regionale, costituzionalmente garantita. 
    25.-  In   particolare,   la   Regione   Emilia-Romagna   lamenta
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lettera  b),  e
comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, nella parte in cui
confermano o dispongono  l'applicabilita'  della  SCIA  alla  materia
edilizia disciplinata dal decreto del Presidente della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia - Testo A), seppure «con esclusione
dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa  statale  o
regionale,  siano  alternative  o   sostitutive   del   permesso   di
costruire». 
    Tale  interpretazione  autentica   si   collegherebbe,   inoltre,
all'obiettivo enunciato al comma 1, lettera b), del medesimo art.  5,
consistente  nella  «estensione  della  segnalazione  certificata  di
inizio  attivita'  (SCIA)  agli  interventi  edilizi  precedentemente
compiuti con denuncia di inizio attivita'  (DIA)»,  con  l'esclusione
dei casi di cosiddetta super-DIA. 
    Nel sollevare la  questione  di  legittimita'  costituzionale  in
riferimento alla violazione del parametro di cui all'art. 117,  terzo
comma, Cost., la Regione avanza le medesime ragioni a  sostegno  gia'
espresse con il precedente ricorso in relazione  alla  (allora  solo)
presunta  applicabilita'  della  SCIA   in   materia   edilizia:   in
particolare, la possibilita' di avvio immediato  dell'attivita'  dopo
la segnalazione, disposizione  che  rappresenterebbe  una  regola  di
dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia,  quella
del governo  del  territorio,  demandata  alla  potesta'  legislativa
concorrente, per cui la potesta' statale  resta  limitata  alla  sola
fissazione dei principi. 
    Se e' pur vero che, nella sentenza della Corte costituzionale  n.
303 del 2003, e' stato affermato che rappresenta principio necessario
la «compresenza nella legislazione di titoli  abilitativi  preventivi
ed espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la  Dia»,  nel
caso qui censurato lo  Stato  avrebbe  preteso  di  disciplinare  nei
minimi dettagli gli aspetti procedimentali di tali titoli, stabilendo
che con la presentazione della  segnalazione  e'  possibile  iniziare
l'attivita',  privando  le  Regioni  della  possibilita'  persino  di
adattare la norme alle esigenze della specifica  situazione  e  delle
concrete possibilita' delle amministrazioni. 
    Lo Stato avrebbe -  ad  avviso  della  Regione  Emilia-Romagna  -
superato i limiti della propria  potesta'  legislativa  di  principio
nella materia concorrente di governo del territorio, violando  l'art.
117, terzo comma, Cost., nell'imporre non soltanto la DIA - ora  SCIA
- in luogo del permesso edilizio, ma nel  disciplinare  le  modalita'
stesse di funzionamento della SCIA, nell'individuare il  momento  nel
quale il «segnalante» puo' realizzare il progetto, nel disciplinare i
tempi   ed   i   limiti   del   potere   o   dovere   di    controllo
dell'amministrazione.   Nella   recente    sentenza    della    Corte
costituzionale n. 278 del 2010 sarebbe stato, infatti, stabilito  che
spetta alle Regioni, e non allo Stato, disciplinare i casi nei  quali
strutture residenziali mobili nei campeggi possono essere  realizzate
senza alcun adempimento; ragione per la quale,  dunque,  spetta  alle
Regioni dire in quali casi al segnalante sia consentito di realizzare
subito  il  progetto  ed  in  quali  sia   invece   preferibile   che
l'amministrazione effettui prima il controllo. 
    La ricorrente ha posto in evidenza anche la  criticita'  di  tale
scelta, nel caso in cui un soggetto inizi l'attivita' pur in  assenza
dei presupposti di legge, sulla base di una SCIA che  contiene  false
dichiarazioni o che comunque e' altrimenti errata. 
    Infatti, mentre nel settore commerciale, la cui  regolamentazione
spetta per competenza residuale alla Regione, l'immediato  inizio  di
attivita'  in  assenza  dei   presupposti   richiesti   non   sarebbe
particolarmente grave, in quanto l'attivazione del potere  inibitorio
e  di  rimozione  degli  eventuali  effetti  dannosi  medio   tempore
cagionati potrebbe essere idoneo a tutelare  gli  interessi  protetti
dalle normative, l'attivita' edilizia  determina  immediatamente  una
materiale  alterazione  del  territorio,  anche  se  gli   interventi
potrebbero  essere  poi  rimossi.  Tuttavia,  il   ripristino   della
situazione pregressa non  sempre  sarebbe  possibile,  sia  sotto  il
profilo materiale (come ricavabile dall'art. 33, comma 2, del  d.P.R.
n. 380 del 2001, che si occupa  dei  profili  sanzionatori  di  opere
abusive in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello
stato dei luoghi), sia per gli eccessivi costi che, pur se  ricadenti
sui privati trasgressori,  risulterebbero  nel  concreto  spesso  non
sostenibili dal  privato  che  avrebbe  l'obbligo  di  rimuovere  gli
effetti  dannosi.  Anche  il  meccanismo  dell'esecuzione  in   danno
rappresenterebbe una soluzione di disagevole attuazione pratica, come
dimostra l'esperienza comune delle difficolta' che le amministrazioni
incontrano nell'ottenere la demolizione degli interventi abusivi. 
    Secondo la Regione, sarebbe irrilevante la  circostanza  che  gli
interventi abusivamente eseguiti in assenza o  in  difformita'  dalla
DIA siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni)  -  alla
sola sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. n. 380  del
2001.  L'uso  preventivo  del  potere  inibitorio  da   parte   delle
amministrazioni comunali era infatti in grado  di  prevenire  sia  la
commissione dell'abuso (cosa naturalmente preferibile, rispetto  alla
misura sanzionatoria successiva),  con  riferimento  a  tipologie  di
interventi che - per  quanto  non  consentite  nel  caso  concreto  -
fossero   comunque   astrattamente   riconducibili   all'ambito    di
applicabilita' della DIA, sia il verificarsi dell'eventualita' -  ben
piu' grave - in cui il privato presentasse  una  DIA  per  realizzare
interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di
costruire, attraverso il blocco dell'esecuzione dei lavori prima  che
questi avessero inizio. 
    La totale eliminazione della possibilita'  delle  amministrazioni
di operare un rapido esame preventivo dei  progetti,  allo  scopo  di
impedire in radice la realizzazione degli abusi, sarebbe non solo una
violazione della competenza regionale, ma anche  una  violazione  del
principio di ragionevolezza e di buon andamento  dell'amministrazione
di cui all'art. 97, primo comma, Cost.,  violazione  che  la  Regione
sarebbe legittimata ad impugnare in  quanto  si  tradurrebbe  in  una
limitazione della potesta' legislativa regionale. 
    La Regione censura le disposizioni anche sotto il  profilo  della
violazione dell'art. 9, secondo comma,  Cost.,  in  riferimento  alla
tutela del paesaggio, sia nei casi in cui la  sanzione  prevista  sia
solo economica, sia nei casi in cui si possa  in  astratto  procedere
all'intervento demolitorio, con la concreta possibilita' che comunque
il territorio risulti permanentemente danneggiato. 
    Infatti,  solo  una  verifica  preventiva  sarebbe  in  grado  di
prevenire   le   violazioni   e   di   corrispondere   al    precetto
costituzionale,  in  quanto,  anche   per   effetto   degli   accordi
internazionali ai quali l'Italia ha  aderito  (quale  la  Convenzione
europea del paesaggio), la tutela di esso  e'  ormai  strutturalmente
connessa alla tutela del territorio. 
    D'altronde, il legislatore del 2005, che  aveva  sostituito  alla
«denuncia» la «dichiarazione di inizio attivita'» con  la  previsione
di diverse regole di carattere generale, ritenute  applicabili  anche
alla DIA edilizia (si pensi, ad esempio, alla previsione  del  potere
di autotutela), avrebbe opportunamente mantenuto alcune  peculiarita'
di quest'ultima, prevedendo la  clausola  di  salvezza  di  cui  alla
vecchia  formulazione  dell'art.  19,  comma  4  («restano  ferme  le
disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli
di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per l'adozione da
parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto  di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione dei suoi effetti»). 
    L'eliminazione di  tale  clausola  dalla  disposizione  censurata
determinerebbe   un    inammissibile    sbilanciamento    a    favore
dell'immediata definizione delle procedure abilitative edilizie,  con
un sacrificio  irragionevole  ed  ingiustificato  delle  esigenze  di
tutela  del  territorio  e  di  quelle  organizzative  delle   stesse
amministrazioni comunali, cui e' affidato il potere di  verifica.  Le
amministrazioni, attese le crescenti difficolta' di  bilancio  per  i
tagli  alle  risorse,  si  vedrebbero  costrette  ad   «inseguire   i
cantieri», che potrebbero spuntare da un giorno all'altro sull'intero
territorio  comunale.  A  cio'  andrebbe  aggiunto   il   pregiudizio
ulteriore alle posizioni dei terzi, che si vedano lesi dall'attivita'
costruttiva. Peraltro, non sarebbe certo che l'automatica  estensione
delle regole generali della SCIA anche alla materia  edilizia  tuteli
l'effettivo interesse del costruttore, che ha interesse  a  conoscere
in tempi rapidi e definiti se puo' dare corso all'intervento,  ma  ha
anche interesse ad operare in un quadro di regole sicure,  conoscendo
in anticipo se quanto sta  realizzando  e'  conforme  a  diritto.  Di
contro, l'immediato inizio dei lavori accentuerebbe  il  rischio  che
quanto e' in corso di realizzazione venga  in  seguito  ad  incorrere
nell'esercizio del potere inibitorio, con possibilita' di danneggiare
sia l'amministrazione sia il terzo. 
    In definitiva, la SCIA amplierebbe le  criticita'  gia'  presenti
nel previgente sistema della DIA edilizia, la quale avrebbe gia' dato
cattiva prova di se' (si veda Tar Lombardia, 7 luglio 2004, n. 3086). 
    Pertanto,  ad  avviso   della   Regione,   l'applicazione   della
disposizione di cui all'art. 19 della legge n.  241  del  1990  (come
modificato dall'art. 49, comma 4-bis, della 1egge n.  122  del  2010)
alle ipotesi di DIA edilizia sarebbe  costituzionalmente  illegittima
nella parte in cui consente di iniziare l'attivita' costruttiva  alla
data della presentazione  della  segnalazione  (senza  prevedere  una
clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la  DIA
edilizia), per contrasto con  l'art.  3  Cost.,  per  violazione  dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita', e con l'art. 97 Cost.,
per  violazione   del   principio   buon   andamento   dell'attivita'
amministrativa. 
    Tale disposizione sarebbe anche illegittima per violazione  degli
artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui interferisce con i  poteri
di controllo di Comuni e Regioni sull'attivita' edilizia. 
    Inoltre, la Regione Emilia-Romagna ricorda che la riconduzione di
tale disciplina alle materie della tutela  della  concorrenza  e  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettere  e)  ed  m),
Cost. (quale prevista dal citato art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78
del 2010), e' gia' stata censurata dalla  stessa  Regione  ricorrente
nel ricorso proposto avanti alla  Corte  costituzionale  n.  106  del
2010. 
    26.-  Per  quanto  attiene  alla  illegittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 2, lettera b), nella parte in cui - attraverso  il
nuovo comma 6-bis  dell'art.  19  della  legge  n.  241  del  1990  -
introduce un termine breve di trenta giorni per la  SCIA  in  materia
edilizia, con riduzione del termine di verifica generale di  sessanta
giorni, la Regione Emilia-Romagna censura il fatto che il legislatore
statale sarebbe intervenuto  definendo  aspetti  di  dettaglio  della
materia  edilizia,  con  precetti  destinati  a   trovare   immediata
applicazione, in deroga alle diverse previsioni normative  regionali,
in quanto l'art. 49,  comma  4-ter,  della  legge  n.  122  del  2010
stabilisce  che  la  nuova   disciplina   della   SCIA   «sostituisce
direttamente,  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del  presente  decreto,  quella  della  dichiarazione  di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale e  regionale»,  con
cio' violando le regole che limitano la potesta' statale, concorrente
con quella regionale, demandando alla prima la  fissazione  dei  soli
principi, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    A  tal  proposito,   la   Regione   Emilia-Romagna   aveva   gia'
disciplinato  la  materia  autonomamente,   prevedendo   un   sistema
articolato di controlli nel quale, oltre al termine di trenta  giorni
entro cui si provvede esclusivamente: a) a verificare la  completezza
della   documentazione;   b)   ad   accertare   che   la    tipologia
dell'intervento descritto e asseverato rientri nei casi previsti;  c)
a verificare la correttezza del calcolo del contributo di costruzione
ed il relativo versamento, sono previsti termini piu'  ampi  (fino  a
dodici mesi dalla fine  lavori)  per  il  «controllo  di  merito  dei
contenuti  dell'asseverazione  allegata  alla  denuncia   di   inizio
attivita'»  (art.  11,  commi  1  e  3,  della  1egge  della  Regione
Emilia-Romagna 25 novembre 2002, n. 31, recante «Disciplina  generale
dell'edilizia»). Quindi,  la  determinazione  da  parte  della  legge
statale di un termine rigido entro  il  quale  ogni  controllo  debba
essere svolto impedirebbe alla  Regione  l'attivita'  di  adattamento
delle norme alla concreta  situazione  locale,  che  costituisce  una
delle ragioni della potesta' legislativa regionale. 
    27.- Sotto diverso profilo, la previsione del termine  di  trenta
giorni risulterebbe anche irragionevole e contraria al  principio  di
buon andamento dell'attivita' amministrativa. 
    Infatti, anche se il termine di verifica  di  trenta  giorni  era
previsto in materia edilizia dall'art. 23 del d.P.R n. 380 del  2001,
la disposizione aveva valenza regolamentare e, dopo  la  riforma  del
Titolo V, parte seconda, della  Costituzione,  i  termini  erano  poi
stati diversamente disciplinati dalla normativa regionale. Come  gia'
fatto cenno, la Regione Emilia-Romagna ha distinto i diversi tipi  di
controllo,  con  un  termine  piu'  lungo  per   quelli   comportanti
accertamenti specifici  e  complessi.  Quindi,  l'imposizione  di  un
termine unico di trenta giorni - oltretutto in una situazione in  cui
alle amministrazioni locali e' precluso per limiti sia economici  che
giuridici di espandere il  proprio  organico  -  comprometterebbe  in
pratica l'effettiva possibilita' di vigilare sull'attivita' edilizia,
in violazione anche degli artt. 114 e 118 Cost. 
    La   nuova   regola   sarebbe   ulteriormente   irragionevole   e
sproporzionata se si considera che l'art. 19 della legge n.  241  del
1990  prevede  un  termine  di  verifica  piu'  lungo  per  attivita'
economiche di minor impatto, mentre per l'attivita' edilizia, il  cui
svolgimento e'  piu'  delicato  e  potenzialmente  foriero  di  danni
irreversibili al  territorio,  si  prevede  un  termine  di  verifica
inferiore. Ne deriva, ad avviso della ricorrente Regione, l'ulteriore
incostituzionalita' della disciplina contestata per violazione  degli
artt. 3 e 97 Cost. 
    La norma apparirebbe illegittima e  irrazionale  anche  sotto  un
ulteriore profilo, qualora dovesse risultare legittima  per  la  SCIA
edilizia la regola che  consente  l'immediato  avvio  dell'attivita',
prima di  qualunque  controllo.  Infatti,  la  determinazione  di  un
termine breve - comunque contestabile  in  quanto  non  permette  una
flessibile applicazione regionale -  avrebbe  potuto  avere  una  sua
logica quando esso aveva al  contempo  carattere  dilatorio  rispetto
all'attivita' costruttiva, cioe' quando soltanto allo scadere di tale
termine il privato poteva concretamente dare avvio alle opere. Ma  se
si ammette che anche in materia edilizia e' possibile dare  sempre  e
comunque  immediato   avvio   all'attivita',   contestualmente   alla
presentazione della segnalazione, allora la riduzione del termine  da
sessanta a trenta giorni non avrebbe piu' alcuna reale  utilita'  per
il  privato,  in  quanto  non  servirebbe  a  ridurre  alcun  termine
dilatorio; di  contro,  tale  riduzione  avrebbe  solo  l'effetto  di
limitare ingiustificatamente i  poteri  di  verifica  della  pubblica
amministrazione nel controllo del territorio. 
    In sintesi, ad avviso  della  Regione  Emilia-Romagna,  sarebbero
illegittime,  per  violazione  del   riparto   costituzionale   delle
competenze legislative nella  materia  e  per  irragionevolezza,  che
porta alla compromissione di valori fondamentali, sia la  regola  che
consente l'immediato avvio dell'attivita' edilizia, sia la regola che
costringe i controlli nel termine  irrazionalmente  breve  di  trenta
giorni: ma la seconda risulterebbe ancor piu' irrazionale, qualora si
consideri la vigenza della prima. 
    28.- Si e' costituito nel giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il
rigetto  del  ricorso,  in  quanto   la   introdotta   normativa   si
sottrarrebbe alle proposte censure  di  legittimita'  costituzionale.
Contrariamente  a  quanto  affermato  dalla  Regione  Emilia-Romagna,
l'intervento normativo sarebbe attinente  alla  materia  dei  livelli
essenziali delle prestazioni e pertanto rientrerebbe nella competenza
esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., anche alla luce del dettato dell'art. 29  della  legge  n.
241 del 1990, il cui richiamo alla DIA  deve  intendersi  effettuato,
per effetto del comma 4-ter dell'art. 49 del d.l.  n.  78  del  2010,
alla "segnalazione certificata di inizio attivita'".  D'altra  parte,
la disciplina della SCIA risponderebbe  all'esigenza  di  dettare  un
procedimento uniforme su tutto il territorio nazionale  per  regolare
lo svolgimento  delle  attivita'  economiche  ed  e'  tutt'altro  che
disciplina di dettaglio. 
    Inoltre, anche qualora si volesse ritenere che la norma afferisca
al settore dell'edilizia, come tale rientrante nella materia "governo
del territorio", la  questione  di  legittimita'  sarebbe  ugualmente
infondata. Infatti, in tale ambito le Regioni esercitano  la  propria
potesta' legislativa nel rispetto  dei  principi  fondamentali  della
legislazione  statale  e  senza  dubbio  la  definizione  dei  titoli
abilitativi e del  regime  autorizzatorio  delle  attivita'  edilizie
rappresenterebbe una disciplina di principio, che dovrebbe valere  in
maniera  uniforme  su  tutto  il  territorio  nazionale.   Cio',   in
particolare, con riferimento alle norme che disciplinano modalita'  e
tempi del procedimento di verifica della conformita'  alla  normativa
urbanistica  ed  edilizia,  al  fine   di   assicurare   l'efficienza
dell'istituto. 
    Pertanto, a  parere  della  difesa  dello  Stato,  sarebbero  non
fondate anche le lamentate violazioni degli artt. 9  e  97  Cost.  Le
disposizioni censurate avrebbero per  obiettivo  la  liberalizzazione
dell'attivita' di impresa e sarebbero dirette a salvaguardare  valori
costituzionali di primaria importanza, quali la liberta' di  impresa,
la tutela della concorrenza e l'imparzialita' ed  il  buon  andamento
della pubblica  amministrazione:  la  semplificazione  procedimentale
sarebbe finalizzata a favorire la ripresa e lo sviluppo  del  sistema
produttivo nazionale nella competitivita' delle imprese, ed in  vista
di  tale  superiore  interesse  nazionale   sarebbe   necessaria   la
subordinazione delle potesta' legislative degli enti territoriali. In
tale ottica si collocherebbe la norma  di  interpretazione  contenuta
nell'art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge impugnato. 
    La SCIA realizzerebbe il passaggio dal principio  autoritativo  a
quello dell'auto-responsabilizzazione del  privato  e  le  criticita'
evidenziate dalla Regione ricorrente, in merito al  possibile  inizio
dell'attivita' nella carenza dei presupposti di legge in presenza  di
una  SCIA  contenente  erronee  o  false   dichiarazioni,   sarebbero
attinenti a valutazioni di merito rimesse alla  discrezionalita'  del
legislatore, il  quale  avrebbe  operato  un  bilanciamento  tra  una
pluralita' di interessi contrapposti. 
    Anche la riduzione dei termini entro  i  quali  l'amministrazione
dovra' effettuare i  controlli  sarebbe  ragionevole  e  conforme  ai
principi costituzionali: la modifica normativa non sacrificherebbe le
esigenze di controllo, ma mirerebbe ad assicurare un intervento  piu'
tempestivo ed efficace della pubblica amministrazione a  salvaguardia
sia degli interessi produttivi (che  potrebbero  essere  pregiudicati
dai  tempi  lunghi  del  procedimento),  sia  del  buon  governo  del
territorio (che,  anch'esso,  riceverebbe  pregiudizio  da  controlli
tardivi rispetto ai tempi di svolgimento dell'attivita'). 
    29.- Le parti ricorrenti e la difesa dello Stato hanno depositato
memorie, finalizzate ad illustrare e a ribadire gli argomenti esposti
nei ricorsi e negli atti di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, la  Regione
Toscana, la Regione Liguria, la Regione Emilia Romagna e  la  Regione
Puglia, con i distinti ricorsi indicati in epigrafe e  richiamati  in
narrativa, hanno sollevato, tra le altre, questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  49,   commi   4-bis   e   4-ter,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), nel testo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di  conversione  30
luglio 2010, n. 122. 
    La Regione  Emilia-Romagna,  poi,  con  un  secondo  ricorso,  ha
chiesto   che   sia   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'articolo 5, comma 1, lettera b),  e  del  medesimo  articolo  5,
comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13  maggio  2011,  n.  70
(Semestre Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio  2011,  n.  106,
«nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l'applicabilita'
della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui - attraverso il
nuovo comma 6-bis dell'art. 19 della legge  7  agosto  1990,  n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi) - introduce un termine  breve
di trenta giorni per  l'adozione  dei  provvedimenti  di  divieto  di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli effetti  della  SCIA
in materia edilizia», per violazione degli articoli 3,  9,  97,  114,
117 e 118 della Costituzione. 
    Riservata a separate pronunce  la  decisione  sulle  impugnazioni
delle altre norme  contenute  nel  suddetto  d.l.  n.  78  del  2010,
proposte dalle ricorrenti, vengono  qui  in  esame  le  questioni  di
legittimita' costituzionale relative al citato art. 49, commi 4-bis e
4-ter, nonche' le questioni concernenti l'art. 5,  comma  1,  lettera
b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011,  nei  termini  dianzi
indicati. 
    2.- I ricorsi di cui sopra censurano, con argomentazioni in parte
nella sostanza coincidenti e in parte connesse, le  stesse  norme.  I
relativi giudizi, dunque, devono essere riuniti per  essere  definiti
con unica sentenza. 
    3.- La Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  in  particolare,
censura, tra gli altri, l'art. 49, comma 4-ter, del d. l. n.  78  del
2010, poi convertito, nella parte in cui, qualificando la  disciplina
della  «Segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'»  (d'ora  in
avanti, SCIA), contenuta nel comma  4-bis,  che  modifica  l'art.  19
della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi), come attinente alla  tutela  della  concorrenza,  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e  costituente
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali ai sensi della successiva lettera m), e  prevedendo  che  «le
espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'"  e  "SCIA"
sostituiscono, rispettivamente, quelle di  "dichiarazione  di  inizio
attivita'" e "DIA"», stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si
sostituisce a quella gia' esistente in materia  di  DIA,  modificando
non  soltanto  la  normativa  statale  previgente  ma  anche   quella
regionale. 
    In tal guisa sarebbero violate: a) le competenze regionali  nelle
materie dell'industria, del commercio e  dell'artigianato,  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost.,  e  dunque  anche  la  competenza
legislativa della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  in
virtu' della clausola di cui all'art. 10 della  legge  costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al  titolo  V  della  parte  seconda
della Costituzione); b)  le  competenze  regionali  statutarie  nelle
materie «artigianato» e «industria alberghiera, turismo e tutela  del
paesaggio», e nell'emanazione di norme legislative di integrazione  e
di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e
commercio»», previste dagli artt. 2, primo comma, lettere p) e q),  e
3, primo comma, lettera a), della legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta); c) la  competenza
regionale in materia  «urbanistica,  piani  regolatori  per  zone  di
particolare importanza turistica», prevista dall'art. 2, primo comma,
lettera g), dello statuto speciale, se la normativa  censurata  fosse
ritenuta applicabile ad  aspetti  riconducibili  alla  pianificazione
territoriale. 
    In subordine, resterebbe altresi' violato il principio  di  leale
collaborazione. 
    3.1.- La Regione Toscana impugna, tra gli altri, l'art. 49, commi
4-bis e 4-ter, del citato d.l. n. 78  del  2010,  poi  convertito  in
legge, nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA come
attinente  alla  tutela  della  concorrenza  e  costituente   livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
e prevedendo che «le espressioni "segnalazione certificata di  inizio
attivita'"  e  "SCIA"  sostituiscono,  rispettivamente,   quelle   di
"dichiarazione di inizio attivita'" e "DIA"», stabilisce che la nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella esistente  in  tema  di
DIA, modificando non solo la previgente normativa  statale  ma  anche
quella regionale. 
    In particolare,  tale  disciplina  consentirebbe  al  privato  di
iniziare l'attivita' edilizia senza attendere alcun termine, restando
alla  pubblica  amministrazione  solo  il   potere   di   intervenire
successivamente, quando i lavori sono gia' avviati (o anche  finiti),
con un danno urbanistico ormai prodotto. Sarebbero cosi'  violate  le
competenze regionali nella materia del «governo del  territorio»,  ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., introducendo una  disciplina
di dettaglio sui tempi di svolgimento dell'attivita' edilizia,  senza
permettere   piu'   un   controllo    preventivo    della    pubblica
amministrazione. 
    Inoltre,  sarebbe  violato  l'art.  121,  secondo  comma,  Cost.,
perche' il legislatore statale non potrebbe intervenire  direttamente
ad abrogare e sostituire norme  approvate  dal  Consiglio  regionale,
spettando a  quest'ultimo  adeguarsi  ai  nuovi  principi  posti  dal
legislatore statale. 
    Le  disposizioni   impugnate,   per   giustificare   l'intervento
legislativo dello Stato, richiamano la tutela della concorrenza e  la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e  ed  m).
Tuttavia, fermo il punto che - ai fini del giudizio  di  legittimita'
costituzionale - la qualificazione legislativa non vale ad attribuire
alla norma una natura  diversa  da  quella  ad  esse  propria,  quale
risulta dalla loro oggettiva sostanza, risulterebbe evidente  che  la
SCIA "edilizia" non e' uno strumento  per  tutelare  la  concorrenza,
mentre non pertinente sarebbe il riferimento  all'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost., poiche' la disciplina della SCIA "edilizia"
non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni  da  garantire
su tutto il territorio nazionale. 
    Infine, la normativa de qua  violerebbe  anche  il  principio  di
leale collaborazione. 
    3.2.- La Regione Liguria, a sua volta, impugna l'art.  49,  commi
4-bis e 4-ter, del d.l. n.78 del 2010, poi convertito in legge. 
    Il comma 4-bis e' censurato nella parte in cui,  con  riferimento
ad  ambiti  non  edilizi,  prevedendo   dettagliatamente   i   moduli
procedimentali destinati a sostituire in  modo  automatico  tutte  le
discipline regionali in materia di DIA e  le  modalita'  d'intervento
attraverso l'esercizio del potere  d'inibizione  e  di  conformazione
dell'attivita', violerebbe spazi di legislazione regionale residuale,
ai sensi dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  in  particolare  con
riferimento a commercio, artigianato, turismo e attivita'  produttive
in genere, nonche' i poteri di controllo delle amministrazioni locali
rimessi dall'art. 114, secondo comma, Cost., all'autonomia dei poteri
degli enti locali, e le funzioni amministrative dei  Comuni  disposte
dall'art. 118, primo comma, Cost. Inoltre, con riferimento all'ambito
edilizio,  prevedendo  la  possibilita'   di   iniziare   l'attivita'
costruttiva alla data  di  presentazione  della  segnalazione,  senza
stabilire una  clausola  di  salvezza  per  le  diverse  disposizioni
previste per la DIA edilizia, la  disposizione  censurata  violerebbe
l'art.  3  Cost.,  con  riguardo  ai  principi  di  ragionevolezza  e
proporzionalita', nonche' l'art. 97, primo comma, Cost., con riguardo
al principio di buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa,  per
determinare un inammissibile sbilanciamento a  favore  dell'interesse
ad una rapida definizione delle procedure abilitative  edilizie,  con
sacrificio   delle   esigenze   della   tutela   del   territorio   e
dell'organizzazione delle stesse amministrazioni cui e'  affidato  il
potere di verifica. 
    Con riferimento al comma  4-ter,  detta  norma,  qualificando  la
disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza  e
costituente  livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti   i
diritti civili e sociali, nonche' stabilendo che la nuova  disciplina
sulla SCIA si sostituisce a quella gia' esistente in tema di DIA, con
conseguente modifica non soltanto della previgente normativa  statale
ma anche regionale,  violerebbe  le  competenze  regionali  quali  il
governo del territorio, la tutela della salute,  l'ordinamento  degli
uffici regionali, l'artigianato, il turismo, il commercio,  in  forza
dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. 
    3.3.- La Regione Emilia-Romagna impugna l'art. 49, commi 4-bis  e
4-ter, del menzionato decreto-legge, poi convertito, nella  parte  in
cui,  con   riferimento   agli   ambiti   non   edilizi,   prevedendo
dettagliatamente i moduli procedimentali destinati  a  sostituire  in
modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e  le
modalita' di intervento mediante esercizio del potere di inibizione e
di conformazione dell'attivita',  violerebbe  sfere  di  legislazione
residuale regionale ai sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,
segnatamente  con  riferimento  a  commercio,  turismo  e   attivita'
produttive  in  genere,  nonche'  i   poteri   di   controllo   delle
amministrazioni locali rimessi dall'art. 114, secondo  comma,  Cost.,
all'autonomia degli enti locali, ed anche le funzioni  amministrative
dei Comuni di cui all'art. 118, primo comma, Cost. 
    Inoltre,  con  riferimento  all'ambito  edilizio,  la   normativa
censurata,  prevedendo   la   possibilita'   d'iniziare   l'attivita'
costruttiva alla data  di  presentazione  della  segnalazione  (senza
introdurre una clausola  di  salvezza  per  le  diverse  disposizioni
stabilite per  la  DIA  edilizia),  violerebbe  l'art.  3  Cost.  con
riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalita', nonche'
l'art. 97, primo comma, Cost., con  riguardo  al  principio  di  buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa,    determinando     un
inammissibile sbilanciamento a favore dell'interesse  ad  una  rapida
definizione delle procedure abitative edilizie, con sacrificio  delle
esigenze di tutela del territorio e dell'organizzazione delle  stesse
amministrazioni, cui e' affidato il potere di verifica. Sarebbero poi
violati gli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui  la  normativa
de qua interferisce con i poteri di controllo  di  Comuni  e  Regioni
sull'attivita' edilizia. 
    Quanto al citato art. 49, comma 4-ter, esso - nella parte in cui,
qualificando la disciplina della SCIA,  contenuta  nel  comma  4-bis,
come attinente alla tutela della concorrenza  e  costituente  livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali
(art. 117, secondo comma, lettere e ed m, Cost.), stabilisce  che  la
nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella gia' esistente in
materia di DIA, modificando  non  soltanto  la  previgente  normativa
statale, ma anche quella regionale - si porrebbe in violazione  delle
competenze regionali, quali il  governo  del  territorio,  la  tutela
della salute, l'ordinamento degli uffici regionali, l'artigianato, il
turismo e il commercio, ai sensi dell'art. 117, commi terzo e quarto,
Cost. 
    3.4.- La Regione Puglia censura l'art. 49, commi 4-bis  e  4-ter,
sopra citati, perche', qualificando la  disciplina  della  SCIA  come
attinente  alla  tutela  della  concorrenza  e  costituente   livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  riferendosi
ad  attivita'  non  aventi  rilievo   economico-imprenditoriale,   ma
destinate a regolare rapporti  tra  operatori  economici  e  pubblica
amministrazione  a  fini  di  semplificazione,  nonche'  l'art.  117,
secondo comma,  lettera  m),  Cost.,  non  trattandosi  di  specifici
diritti  dei  soggetti  a  determinate   prestazioni.   Inoltre,   la
menzionata normativa statale, nella parte in cui prevede che la nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisca a quella gia' esistente in  tema
di DIA, modificando non soltanto la previgente disciplina statale, ma
anche quella regionale, si  porrebbe  in  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost., in quanto non si  limiterebbe  a  porre  principi
fondamentali nella materia «governo del  territorio»,  ma  detterebbe
una disciplina della quale il legislatore regionale potrebbe soltanto
prendere atto, senza margini di adeguamento alla realta' regionale. 
    3.5.- Infine, la Regione Emilia-Romagna, con un secondo  ricorso,
ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n.  70  del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  106  del  2011,
«nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l'applicabilita'
della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui - attraverso il
nuovo comma 6-bis  dell'art.  19  della  legge  n.  241  del  1990  -
introduce un termine  breve  di  trenta  giorni  per  l'adozione  dei
provvedimenti  di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   e   di
rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia». 
    Ad avviso della ricorrente, detta normativa violerebbe: a) l'art.
117, terzo comma, Cost., in  quanto  introduce  la  disposizione  che
consente  l'avvio  immediato  dell'attivita'  con   la   segnalazione
dell'inizio di questa e che disciplina le modalita' di  funzionamento
della SCIA, mediante regole di dettaglio precluse  allo  Stato  nella
materia  del  governo  del  territorio,  demandata  alla   competenza
legislativa concorrente; b) l'art.  3  Cost.,  per  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza e proporzionalita',  e  l'art.  97,  primo
comma  Cost.,  per  violazione  del  principio  di   buon   andamento
dell'attivita'  amministrativa,  in  quanto  si   tradurrebbe   nella
limitazione della potesta'  legislativa  regionale,  perche'  sarebbe
eliminata la possibilita' delle amministrazioni di operare un  rapido
esame preventivo dei  progetti.  Pertanto,  verrebbe  meno,  in  modo
irragionevole,  la  possibilita'  d'impedire  la   realizzazione   di
eventuali  abusi,  in  contrasto  col  principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione, in  quanto  non  sarebbe  stata  conservata  la
clausola di salvezza prevista dalla  vecchia  formulazione  dell'art.
19, comma  4,  della  legge  n.  241  del  1990  («Restano  ferme  le
disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli
di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per l'adozione da
parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto  di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione dei suoi effetti»),  cosi'
escludendo questa pur lieve forma di tutela;  c)  l'art.  9,  secondo
comma, Cost., per contrasto con l'esigenza costituzionale  di  tutela
del paesaggio, connessa alla tutela del  territorio  per  effetto  di
accordi internazionali ai quali l'Italia ha prestato adesione. 
    Inoltre, l'art. 5, comma 2, lettera b), del d. l. n. 70 del 2011,
poi convertito in legge, nella parte in cui ha introdotto un  termine
breve di trenta giorni per l'adozione dei provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli effetti  della  SCIA
in materia edilizia, si porrebbe in contrasto: con l'art. 117,  terzo
comma, Cost., per aver travalicato la  potesta'  legislativa  statale
che, essendo concorrente con quella regionale, sarebbe limitata  alla
determinazione dei principi fondamentali della materia; con gli artt.
3 e 97 Cost., in quanto la previsione del termine  di  trenta  giorni
sarebbe irragionevole e contraria  al  principio  di  buon  andamento
dell'attivita' amministrativa, dal momento che l'art. 19 della  legge
n. 241 del 1990 contemplerebbe ora un termine di verifica piu'  lungo
per attivita' economiche  di  minor  impatto  ed  uno  inferiore  per
l'attivita' edilizia, il cui  svolgimento  sarebbe  piu'  delicato  e
potenzialmente foriero di danni irreversibili per il territorio;  con
gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto la riduzione del termine avrebbe
il solo effetto di  limitare,  senza  giustificazione,  i  poteri  di
verifica della pubblica amministrazione nel controllo del territorio,
interferendo  con  i  poteri  di  controllo  di  Comuni   e   Regioni
sull'attivita' edilizia. 
    4.- In via preliminare la  difesa  dello  Stato  ha  eccepito  il
carattere  tardivo  dei  ricorsi,  proposti  «avverso  le  norme  del
decreto-legge non modificate in sede  di  conversione  e  quindi,  in
ipotesi, immediatamente lesive». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    L'efficacia  immediata,   propria   del   decreto-legge,   e   il
conseguente carattere lesivo  che  esso  puo'  assumere,  lo  rendono
impugnabile in via immediata da parte delle  Regioni.  E'  pur  vero,
pero',  che  soltanto  con  la  legge   di   conversione   il   detto
provvedimento  legislativo  acquisisce  stabilita'  (art.  77,  terzo
comma, Cost.). In tale contesto, come  questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato, la Regione puo', a sua scelta,  impugnare  tanto  il  solo
decreto legge, quanto la sola legge di conversione,  quanto  entrambi
(ex plurimis: sentenze n. 298 del 2009, n. 443 del 2007, n.  417  del
2005, n. 25 del 1996). 
    5.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    L'art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 122  del  2010,  sostituisce  il  testo
dell'art. 19 della legge n. 241 del  1990,  ora  recante  la  rubrica
«Segnalazione certificata di inizio di attivita' - SCIA». 
    Il comma 1 del testo novellato (testo risultante anche da  alcune
modifiche introdotte con provvedimenti successivi,  tra  i  quali  il
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge, 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce  che  «Ogni  atto  di
autorizzazione, licenza,  concessione  non  costitutiva,  permesso  o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni
in  albi   o   ruoli   richieste   per   l'esercizio   di   attivita'
imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui  rilascio  dipenda
esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti
dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non  sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli  atti  stessi,  e'
sostituito  da  una  segnalazione  dell'interessato,  con   la   sola
esclusione  dei  casi   in   cui   sussistano   vincoli   ambientali,
paesaggistici   o   culturali   e   degli   atti   rilasciati   dalle
amministrazioni  preposte  alla  difesa  nazionale,   alla   pubblica
sicurezza,   all'immigrazione,    all'asilo,    alla    cittadinanza,
all'amministrazione  della   giustizia,   all'amministrazione   delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le  reti  di  acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco, nonche'  di  quelli  previsti
dalla normativa per le costruzioni  in  zone  sismiche  e  di  quelli
imposti dalla normativa comunitaria». 
    La disposizione prosegue specificando gli atti che devono  essere
prodotti a corredo della segnalazione e dispone che quest'ultima, con
i  relativi  allegati,  puo'   essere   presentata   mediante   posta
raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti
per cui e' previsto l'utilizzo esclusivo della modalita'  telematica;
in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento  della
ricezione da parte dell'amministrazione. 
    Il comma 2 stabilisce che «L'attivita' oggetto della segnalazione
puo'  essere  iniziata   dalla   data   della   presentazione   della
segnalazione all'amministrazione competente». 
    Il comma 3 aggiunge che «L'amministrazione competente, in caso di
accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma  1,
nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione  di
cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti  di  divieto  di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione  degli  eventuali  effetti
dannosi di essa, salvo che, ove  cio'  sia  possibile,  l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente  detta  attivita'  ed  i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione,  in  ogni
caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via  di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso
di  dichiarazioni  sostitutive  di  certificazione  e  dell'atto   di
notorieta'  false  o  mendaci,  l'amministrazione,   ferma   restando
l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma  6,  nonche'  di
quelle di cui al capo VI del  Testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000,  n.  445  (Testo  unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
documentazione amministrativa - Testo A), puo' sempre e in ogni tempo
adottare i provvedimenti di cui al primo periodo». 
    Seguono, poi, altri commi, fino  al  6-ter,  tra  i  quali  vanno
richiamati i commi 4 e  6-bis,  quest'ultimo  aggiunto  dall'art.  5,
comma 2, lettera b), numero 2), del d.l. n. 70 del 2011,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011,  n.  106,  poi  ancora
modificato dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 6 del decreto-legge
13  agosto  2011,  n.  138   (Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione  finanziaria  e   lo   sviluppo),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Il  citato  comma  4  stabilisce  che  «Decorso  il  termine  per
l'adozione dei provvedimenti di cui al  primo  periodo  del  comma  3
ovvero di cui  al  comma  6-bis,  all'amministrazione  e'  consentito
intervenire solo  in  presenza  del  pericolo  di  un  danno  per  il
patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute,  per
la sicurezza  pubblica  o  la  difesa  nazionale  e  previo  motivato
accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali  interessi
mediante conformazione  dell'attivita'  dei  privati  alla  normativa
vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei casi  di  Scia  in  materia
edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo  periodo  del
comma 3 e' ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione  delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano  altresi'  ferme
le disposizioni relative alla vigilanza  sull'attivita'  urbanistico-
edilizia, alle responsabilita' e alle sanzioni previste  dal  decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle  leggi
regionali». 
    Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del  2010,  come
convertito, a sua volta statuisce che «Il comma  4-bis  attiene  alla
tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117,  secondo  comma,
lettera e), della  Costituzione,  e  costituisce  livello  essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali  ai  sensi
della lettera m) del medesimo  comma.  Le  espressioni  "segnalazione
certificata   di   inizio   attivita'"   e   "Scia"    sostituiscono,
rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio di  attivita'"  e
"Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di  una  espressione  piu'
ampia,  e  la  disciplina  di  cui   al   comma   4-bis   sostituisce
direttamente,  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del  presente  decreto,  quella  della  dichiarazione  di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». 
    6.- La «segnalazione certificata d'inizio  attivita'»  (d'ora  in
avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuita' con l'istituto della
DIA, che dalla prima e' stato sostituito. La DIA («denuncia di inizio
attivita'») fu introdotta nell'ordinamento  italiano  con  l'art.  19
della legge n. 241 del 1990, inserito nel capo  IV  di  detta  legge,
dedicato   alla   «Semplificazione    dell'azione    amministrativa».
Successivamente, con l'entrata in vigore del decreto legge  14  marzo
2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per
lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per
la modifica del codice di procedura civile in materia di processo  di
cassazione e di arbitrato, nonche'  per  la  riforma  organica  della
disciplina   delle   procedure    concorsuali),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n.  80,  essa  assunse  la
denominazione di «dichiarazione di inizio attivita'». 
    Scopo dell'istituto  era  quello  di  rendere  piu'  semplici  le
procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico
degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro  s'iscrive
anche  la  SCIA,  del  pari  finalizzata  alla  semplificazione   dei
procedimenti di abilitazione all'esercizio di attivita' per le  quali
sia necessario un controllo della pubblica amministrazione. 
    Il principio di semplificazione, ormai  da  gran  tempo  radicato
nell'ordinamento  italiano,  e'  altresi'  di   diretta   derivazione
comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi  nel  mercato
interno, attuata nell'ordinamento italiano con decreto legislativo 26
marzo 2010, n. 59). Esso, dunque,  va  senza  dubbio  catalogato  nel
novero dei principi fondamentali dell'azione amministrativa (sentenze
n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005). 
    7.- I ricorsi in esame censurano  la  normativa  impugnata  nella
parte in  cui,  qualificando  la  disciplina  della  SCIA,  contenuta
nell'art.  49,  comma  4-bis,  come  attinente  alla   tutela   della
concorrenza ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
e costituente livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e  sociali  a  norma  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera  m),  Cost.,  ha  stabilito  che  la  nuova   disciplina   si
sostituisca a quella gia' esistente in tema di DIA  (art.  49,  comma
4-ter), modificando non soltanto la previgente disciplina statale  ma
anche quella regionale.  In  tal  modo  la  detta  normativa  avrebbe
interessato ambiti di legislazione regionale, ai sensi dell'art. 117,
terzo  e  quarto  comma,  Cost.,  quali  la  tutela   della   salute,
l'ordinamento degli uffici regionali,  l'artigianato,  il  commercio,
oltre alle materie riservate dallo statuto di autonomia alla potesta'
legislativa primaria  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste. 
    8.- Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  si  e'  piu'  volte
affermato che, ai fini del giudizio di  legittimita'  costituzionale,
la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle  norme  una
natura diversa da quelle ad esse propria, quale  risulta  dalla  loro
oggettiva sostanza. Per individuare  la  materia  alla  quale  devono
essere ascritte  le  disposizioni  oggetto  di  censura,  non  assume
rilievo la qualificazione che di esse da' il legislatore, ma  occorre
fare  riferimento  all'oggetto  e  alla  disciplina  delle  medesime,
tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e
riflessi, in guisa da identificare  correttamente  anche  l'interesse
tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010; n. 1  del  2008;  n.
169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n. 29 del 1995). 
    In questo quadro, il  richiamo  alla  tutela  della  concorrenza,
effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo  di
efficacia vincolante, e' anche inappropriato. Infatti, la  disciplina
della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa  sotteso,  si
riferisce ad «ogni atto di autorizzazione, licenza,  concessione  non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato,  comprese  le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste  per  l'esercizio
di attivita'  imprenditoriale,  commerciale  o  artigianale,  il  cui
rilascio dipenda  esclusivamente  dall'accertamento  di  requisiti  e
presupposti  richiesti  dalla  legge  o  da  atti  amministrativi   a
contenuto generale, e non sia previsto  alcun  limite  o  contingente
complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il
rilascio degli stessi». 
    Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo  diretto  alla
generalita' dei  cittadini  e  percio'  va  oltre  la  materia  della
concorrenza, anche se e' ben possibile che vi siano  casi  nei  quali
quella materia venga in rilievo. Ma  si  tratta,  per  l'appunto,  di
fattispecie da verificare in  concreto  (per  esempio,  in  relazione
all'esigenza di eliminare barriere all'entrata nel mercato). 
    Invece, a diverse conclusioni  deve  pervenirsi  con  riferimento
all'altro parametro evocato dall'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78
del 2010, poi convertito in legge. 
    Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA,  di  cui  al
precedente  comma  4-bis,  costituisce   livello   essenziale   delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.  Analogo  principio,   con
riferimento alla DIA, era stato affermato dall'art. 29, comma  2-ter,
della legge n. 241 del 1990, come modificato dall'art. 10,  comma  1,
lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69  (Disposizioni  per  lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in
materia di processo civile),  poi  ancora  modificato  dall'art.  49,
comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge. 
    Tale autoqualificazione, benche' priva  di  efficacia  vincolante
per quanto prima rilevato, si rivela corretta. 
    Al riguardo, va rimarcato che l'affidamento in via esclusiva alla
competenza  legislativa  statale  della  determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni e' prevista  in  relazione  ai  «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale». Esso, dunque, si collega  al  fondamentale  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.  La  suddetta  determinazione  e'
strumento indispensabile per realizzare quella garanzia. 
    In  questo  quadro,   si   deve   ricordare   che,   secondo   la
giurisprudenza di questa  Corte,  «l'attribuzione  allo  Stato  della
competenza esclusiva e trasversale di cui  alla  citata  disposizione
costituzionale  si  riferisce  alla  determinazione  degli   standard
strutturali  e  qualitativi  di  prestazioni  che,   concernendo   il
soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti,
con carattere di generalita', a tutti gli aventi  diritto»  (sentenze
n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 387 del 2007). 
    Questo  titolo  di  legittimazione  dell'intervento  statale   e'
invocabile «in relazione a  specifiche  prestazioni  delle  quali  la
normativa statale definisca  il  livello  essenziale  di  erogazione»
(sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285
e n.120 del 2005), e con esso e'  stato  attribuito  «al  legislatore
statale un fondamentale strumento per garantire  il  mantenimento  di
una adeguata uniformita' di trattamento  sul  piano  dei  diritti  di
tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un  livello  di
autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze  n.10
del 2010 e n. 134 del 2006). 
    Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non  tanto  di
una  "materia"  in  senso  stretto,  quanto  di  una  competenza  del
legislatore  statale  idonea  ad  investire  tutte  le  materie,   in
relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le  norme
necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio  nazionale,
il godimento di prestazioni garantite, come contenuto  essenziale  di
tali diritti, senza che la legislazione regionale possa  limitarle  o
condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002). 
    Alla stregua di tali principi, la disciplina della  SCIA  ben  si
presta ad essere ricondotta al parametro di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost.  Tale  parametro  permette  una  restrizione
dell'autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di
assicurare un livello uniforme di  godimento  dei  diritti  civili  e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, «la ratio
di tale titolo di competenza  e  l'esigenza  di  tutela  dei  diritti
primari che e' destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso
puo' rappresentare la base giuridica anche della previsione  e  della
diretta erogazione di una determinata provvidenza,  oltre  che  della
fissazione  del  livello  strutturale  e  qualitativo  di  una   data
prestazione,  al   fine   di   assicurare   piu'   compiutamente   il
soddisfacimento  dell'interesse   ritenuto   meritevole   di   tutela
(sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando cio' sia
reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari  circostanze  e
situazioni, quale una fase di congiuntura  economica  eccezionalmente
negativa» (sentenza n. 10 del 2010, punto  6.3.  del  Considerato  in
diritto). 
    Orbene - premesso che l'attivita' amministrativa  puo'  assurgere
alla qualifica di "prestazione", della quale lo Stato e' competente a
fissare un livello essenziale a fronte di uno  specifico  diritto  di
individui,  imprese,  operatori  economici  e,  in  genere,  soggetti
privati - la normativa qui censurata prevede che gli interessati,  in
condizioni di parita'  su  tutto  il  territorio  nazionale,  possano
iniziare una determinata attivita' (rientrante nell'ambito del citato
comma 4-bis), previa segnalazione all'amministrazione competente. Con
la presentazione di tale segnalazione, il soggetto puo'  dare  inizio
all'attivita', mentre l'amministrazione, in caso di accertata carenza
dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso  di
SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti  di  divieto
di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salva la possibilita' che l'interessato  provveda  a
conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i  suoi  effetti
entro un termine fissato dall'amministrazione. 
    Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilita'  di
dare immediato inizio all'attivita' (e' questo  il  principale  novum
della disciplina in questione), fermo restando l'esercizio dei poteri
inibitori da parte della pubblica amministrazione,  ricorrendone  gli
estremi. Inoltre, e' fatto salvo  il  potere  della  stessa  pubblica
amministrazione di assumere determinazioni in via di  autotutela,  ai
sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della  legge  n.  241  del
1990. 
    Si tratta di una prestazione specifica,  circoscritta  all'inizio
della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad efficacia
legittimante immediata, che attiene al principio  di  semplificazione
dell'azione   amministrativa   ed   e'   finalizzata   ad   agevolare
l'iniziativa economica (art. 41, primo comma,  Cost.),  tutelando  il
diritto dell'interessato  ad  un  sollecito  esame,  da  parte  della
pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e  di
fatto che autorizzano l'iniziativa medesima. 
    9.- Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate  anche  alla
SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone  l'art.
5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del  d.l.  n.  70
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011,
entro i limiti e con le esclusioni previsti. 
    Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda soltanto il
momento iniziale di un intervento di semplificazione  procedimentale,
e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso  di  costruire
(i cui ambiti applicativi restano disciplinati in  via  generale  dal
d.P.R. n. 380 del 2001), non puo' porsi in dubbio che le esigenze  di
semplificazione e  di  uniforme  trattamento  sull'intero  territorio
nazionale valgano anche per l'edilizia. E' ben vero che questa,  come
l'urbanistica,  rientra  nel  «governo   del   territorio»,   materia
appartenente alla competenza  legislativa  concorrente  tra  Stato  e
Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.). 
    Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in  tale  materia  spetta
comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel  cui  novero
va ricondotta la semplificazione amministrativa), e'  vero  del  pari
che nel caso di specie, sulla  base  degli  argomenti  in  precedenza
esposti, il titolo di legittimazione  dell'intervento  statale  nella
specifica  disciplina  della  SCIA  si   ravvisa   nell'esigenza   di
determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti  i  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale. In altri
termini, si e' in presenza di un concorso di  competenze  che,  nella
fattispecie, vede prevalere  la  competenza  esclusiva  dello  Stato,
essendo  essa  l'unica  in  grado  di  consentire  la   realizzazione
dell'esigenza suddetta. 
    10.- Infine, e' stata dedotta dalle ricorrenti la violazione  del
principio di leale collaborazione. La  deduzione,  tuttavia,  non  e'
fondata, perche', pur volendo prescindere  dal  carattere  assorbente
delle  considerazioni  che  precedono,  costituisce   «giurisprudenza
pacifica di questa Corte che l'esercizio  dell'attivita'  legislativa
sfugge alle procedure di leale  collaborazione»  (cosi',  da  ultimo,
sentenze n. 371 e 222 del 2008, e n. 401 del 2007). 
    11.- Conclusivamente, la riconduzione della disciplina  in  esame
all'art. 117, secondo  comma,  lettera  m),  Cost.  comporta  la  non
fondatezza delle questioni, sotto  tutti  i  profili,  in  quanto  la
normativa censurata rientra nella  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.