ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  32,
comma 2, del decreto del Presidente  della  Repubblica  22  settembre
1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo  penale  a
carico di imputati  minorenni),  promosso  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale per i minorenni di Ancona nel  procedimento
penale a carico di M.S. con ordinanza dell'8 novembre 2011,  iscritta
al n. 285 del registro ordinanze 2011  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  maggio  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 novembre  2011,  il  Giudice  collegiale
dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di  Ancona  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 101, secondo  comma,  e  111,
secondo e quinto comma, della Costituzione, nonche' al «principio  di
ragionevolezza» (parametro evocato solo in motivazione), questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 32, comma  2,  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  22   settembre   1988,   n.   448
(Approvazione delle disposizioni sul  processo  penale  a  carico  di
imputati minorenni), il quale stabilisce che, «se vi e' richiesta del
pubblico ministero», il giudice dell'udienza  preliminare  «pronuncia
sentenza di condanna quando ritiene applicabile una pena pecuniaria o
una sanzione  sostitutiva»,  nel  qual  caso  «la  pena  puo'  essere
diminuita fino alla meta' rispetto al minimo edittale». 
    Il giudice a quo premette di essere investito  del  processo  nei
confronti di un cittadino extracomunitario minorenne - irreperibile -
imputato del delitto continuato di false attestazioni  sulla  propria
identita'  personale  (art.  495   del   codice   penale)   e   della
contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello
Stato (art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286,
recante il «Testo unico delle disposizioni concernenti la  disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»). 
    A conclusione dell'udienza preliminare, il pubblico ministero  ha
chiesto il rinvio a giudizio  dell'imputato;  il  difensore,  in  via
principale,  la  dichiarazione  di  non  luogo  a  procedere  e,   in
subordine,  l'applicazione  al  proprio  assistito  di  una  sanzione
sostitutiva. 
    Secondo il  rimettente,  gli  elementi  acquisiti  risulterebbero
senz'altro idonei a  giustificare  il  rinvio  a  giudizio.  Sarebbe,
peraltro, verosimile  che  nel  conseguente  dibattimento  l'imputato
venga condannato a una pena detentiva sostituibile  con  la  liberta'
controllata: ipotesi nella quale, tuttavia, la sanzione non  potrebbe
essere ridotta fino alla meta', come invece e' consentito dalla norma
denunciata  laddove  la  condanna  venga   pronunciata   nell'udienza
preliminare. 
    Nel caso  di  specie,  detta  pronuncia  risulterebbe,  peraltro,
preclusa dalla mancanza della richiesta del pubblico  ministero,  cui
la  norma  censurata  espressamente   subordina   l'attivazione   del
meccanismo  di  definizione  del  processo  da  essa  delineato,  non
permettendo ne' al giudice di provvedere d'ufficio, ne'  all'imputato
o al suo difensore di formulare la relativa istanza. 
    In  tale  prospettiva,  la  norma  censurata  contrasterebbe  con
plurimi parametri costituzionali.  Anzitutto,  con  il  principio  di
parita' delle parti processuali (art.  111,  secondo  comma,  Cost.),
conferendo al pubblico ministero un potere che  non  e'  riconosciuto
all'imputato e al suo difensore: potere dal cui esercizio - meramente
arbitrario - viene a dipendere la fruibilita' di un rilevante effetto
"premiale", che puo' risultare talora determinante  al  fine  di  far
rientrare la pena  inflitta  nella  soglia  di  applicabilita'  delle
sanzioni sostitutive, o di una sanzione sostitutiva piu' lieve. 
    Sarebbe violato  anche  l'art.  111,  quinto  comma,  Cost.,  che
demanda alla legge di regolare i casi  in  cui  la  formazione  della
prova non ha luogo in contraddittorio «per consenso  dell'imputato  o
per accertata impossibilita' di natura oggettiva». La norma censurata
non  consentirebbe,  infatti,  ne'  all'imputato,  ne'  al  difensore
dell'imputato contumace o irreperibile di esprimere il consenso  alla
condanna in sede di udienza preliminare, sulla  base  degli  atti  di
indagine. 
    Risulterebbe leso, ancora, il principio di ragionevole durata del
processo  (art.  111,  secondo  comma,  Cost.).  In  mancanza   della
richiesta del pubblico ministero, il giudice dell'udienza preliminare
sarebbe, infatti, obbligato a disporre il  rinvio  a  giudizio  anche
quando  il  processo   appaia   immediatamente   definibile   tramite
l'applicazione di una pena pecuniaria o di una sanzione  sostitutiva,
con conseguente irrazionale allungamento dei tempi processuali. 
    Condizionando alla richiesta del pubblico ministero il potere del
giudice dell'udienza preliminare di decidere se provvedere  nel  modo
indicato, la  norma  impugnata  violerebbe,  infine,  i  principi  di
ragionevolezza e di soggezione del giudice soltanto alla legge  (art.
101, secondo comma, Cost.). Solo il giudice -  organo  super  partes,
chiamato nel processo minorile a farsi carico  anche  delle  esigenze
educative del minore - potrebbe, infatti, valutare se risponda a tali
esigenze  e  a  quelle  di  giustizia  la  definizione  del  processo
nell'udienza preliminare con la condanna in questione. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in
subordine, infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione   sarebbe
inammissibile per indeterminatezza del petitum, avendo il  giudice  a
quo invocato, nella sostanza, una pronuncia «manipolativa»  dell'art.
32, comma 2, del d.P.R. n. 448 del 1988, senza pero' precisare -  ne'
nel dispositivo, ne' nella motivazione dell'ordinanza di rimessione -
quale sia la formulazione alternativa della norma  censurata  che  ne
garantirebbe la conformita' a Costituzione. 
    Nel merito, i principi sanciti dall'art. 111,  secondo  e  quinto
comma, Cost. non sarebbero  comunque  lesi  dalla  previsione  di  un
meccanismo deflattivo del contenzioso penale minorile attivabile solo
su richiesta del pubblico ministero, sul modello del procedimento per
decreto (artt. 459 e seguenti cod. proc. pen.). Un simile  meccanismo
non comprometterebbe, infatti, la  parita'  degli  strumenti  offerti
all'accusa  e  alla  difesa  per  influire   sulla   formazione   del
convincimento del  giudice,  ne'  contrasterebbe  con  la  disciplina
costituzionale delle deroghe al principio del  contraddittorio  nella
formazione della prova, stante la facolta'  di  proporre  opposizione
riconosciuta all'imputato e al difensore munito di  procura  speciale
dal comma 3 dello stesso art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988. 
    Neppure potrebbe sostenersi che la norma censurata  determini  un
irrazionale allungamento della durata  del  processo,  apparendo,  in
realta', del tutto  ragionevole  che  la  sentenza  di  condanna  ivi
prevista  possa  venire  emessa  solo  su  richiesta   del   pubblico
ministero, e non  anche  all'esito  di  un'autonoma  valutazione  del
giudice dell'udienza preliminare.  Si  tratterebbe,  infatti,  di  un
assetto conforme al principio generale in forza del quale l'esercizio
dell'azione penale spetta in via esclusiva al pubblico  ministero  ed
e' inibito al giudice pronunciare ex officio. 
    Quanto, infine, alla pretesa violazione  dell'art.  101,  secondo
comma,  Cost.,  l'assunto  del  rimettente  poggerebbe   sull'erroneo
presupposto che il giudice  dell'udienza  preliminare  sia  vincolato
alla richiesta del pubblico  ministero:  laddove,  al  contrario,  il
tenore  della  disposizione  denunciata  renderebbe  palese  come  il
giudice  sia  chiamato  ad  una  autonoma   valutazione   in   ordine
all'applicabilita', nel caso concreto, di una pena  pecuniaria  o  di
una pena detentiva sostituibile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice collegiale dell'udienza preliminare del  Tribunale
per i minorenni di Ancona dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'articolo  32,  comma  2,  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni
sul processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni),  il  quale
stabilisce che, «se vi  e'  richiesta  del  pubblico  ministero»,  il
giudice dell'udienza  preliminare  «pronuncia  sentenza  di  condanna
quando  ritiene  applicabile  una  pena  pecuniaria  o  una  sanzione
sostitutiva», nel qual caso «la pena puo' essere diminuita fino  alla
meta' rispetto al minimo edittale». 
    Ad avviso del rimettente, la norma censurata - nel subordinare la
pronuncia della sentenza ora indicata  alla  richiesta  del  pubblico
ministero  -  violerebbe  il  principio  di   parita'   delle   parti
processuali  (art.  111,  secondo  comma,  Cost.),  conferendo   alla
pubblica accusa un potere che non e' riconosciuto all'imputato  e  al
suo difensore, e dal cui esercizio - meramente arbitrario -  viene  a
dipendere la possibilita' di  fruire  di  una  consistente  riduzione
della pena, talora determinante al fine di consentire la sostituzione
della pena stessa, o la sua sostituzione con una sanzione piu' lieve. 
    Sarebbe leso, altresi', l'art. 111, quinto comma, Cost., in forza
del quale la legge regola i casi in cui la formazione della prova non
ha  luogo  in  contraddittorio  «per  consenso  dell'imputato  o  per
accertata impossibilita' di natura oggettiva».  La  norma  denunciata
non  consentirebbe,  infatti,  ne'  all'imputato,  ne'  al  difensore
dell'imputato contumace o irreperibile (come nel caso di  specie)  di
esprimere il consenso alla condanna in sede di  udienza  preliminare,
sulla base degli atti di indagine. 
    Detta disposizione sarebbe, inoltre, suscettibile di  determinare
un irrazionale allungamento dei tempi del processo, in contrasto  con
il principio di ragionevole durata (art. 111, secondo comma,  Cost.).
In assenza della richiesta del  pubblico  ministero,  il  giudice  si
troverebbe, infatti, obbligato a disporre il rinvio a giudizio, anche
quando il processo appaia definibile nell'udienza preliminare tramite
l'applicazione di una pena pecuniaria o di una sanzione sostitutiva. 
    Risulterebbero lesi, infine, i principi di  ragionevolezza  e  di
soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101,  secondo  comma
Cost.), posto che solo il giudice - organo super partes, chiamato nel
processo minorile a tenere conto anche delle esigenze  educative  del
minore - e non gia'  il  pubblico  ministero,  potrebbe  valutare  se
risponda a dette esigenze e a quelle di giustizia la definizione  del
processo nell'udienza preliminare tramite la condanna in discorso. 
    2.- La questione e' inammissibile. 
    Il giudice a quo si duole del fatto che la norma censurata  lasci
al  «mero  arbitrio»  del  pubblico   ministero   l'attivazione   del
meccanismo di definizione del processo minorile di cui si discute, ma
non  indica  in  modo  chiaro  e  univoco  quale  sia  la   soluzione
alternativa auspicata  (ex  plurimis,  sulla  inammissibilita'  della
questione per oscurita' o indeterminatezza del petitum, ordinanze  n.
21 del 2011, n. 115 del 2009 e n. 54 del 2008). 
    Sebbene il dispositivo dell'ordinanza di rimessione sia formulato
in termini di pronuncia puramente caducatoria, dalla  qualita'  delle
doglianze (espressa in motivazione) risulta, in effetti,  chiaro  che
il rimettente non mira affatto ad  ottenere  una  pronuncia  ablativa
della norma censurata, ma richiede piuttosto un  intervento  di  tipo
additivo  o  manipolativo,  del   quale   -   come   eccepito   anche
dall'Avvocatura dello Stato -  non  viene,  tuttavia,  specificamente
indicato il contenuto. 
    Le censure svolte oscillano ambiguamente  tra  la  soluzione  del
riconoscimento al giudice  dell'udienza  preliminare  del  potere  di
provvedere ex officio (soluzione in apparenza evocata  dalle  censure
di violazione dei principi di ragionevole durata del  processo  e  di
soggezione  del  giudice  soltanto  alla  legge)   e   la   soluzione
dell'attribuzione all'imputato o al suo difensore  di  un  potere  di
richiedere la condanna  a  pena  pecuniaria  o  sanzione  sostitutiva
simmetrico  a  quello  spettante  al  pubblico  ministero  (soluzione
apparentemente coerente con le censure di violazione dei principi  di
parita' delle  parti  e  di  spettanza  alla  legge  del  compito  di
disciplinare i casi in cui la formazione della prova non ha luogo  in
contraddittorio «per consenso dell'imputato»). 
    3.- Giova  aggiungere,  peraltro,  che  la  questione  resterebbe
inammissibile  anche  qualora  si  ritenesse  possibile   ricostruire
l'obiettivo perseguito dal  rimettente,  nel  senso  che  egli  abbia
invocato congiuntamente entrambe le soluzioni dianzi indicate: vale a
dire, anche qualora si ritenesse che il giudice a quo abbia censurato
l'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella  parte  in  cui
non consente al giudice dell'udienza preliminare  di  pronunciare  la
sentenza di condanna ivi prevista  sia  d'ufficio  che  su  richiesta
dell'imputato o del suo difensore. 
    Quanto, infatti, alla prima delle due articolazioni  nelle  quali
si scompone l'ipotetico petitum, appare evidente come  attribuire  al
giudice dell'udienza preliminare il potere di pronunciare ex  officio
la  sentenza  di  condanna  in  questione  -  indipendentemente,  non
soltanto dalla richiesta  del  pubblico  ministero,  ma  anche  dalla
richiesta  o  dal  consenso  dell'imputato  -  rappresenterebbe   una
soluzione  non  costituzionalmente  obbligata  e,  anzi,   fortemente
asistematica. Si tratterebbe, in effetti, dell'unico caso  nel  quale
il giudice potrebbe emettere una pronuncia di condanna sulla base  di
elementi di prova non raccolti in dibattimento, a  prescindere  dalla
richiesta o dal consenso di almeno una delle parti interessate. 
    Al di la' di cio', questa Corte ha gia' avuto modo  di  affermare
che la pronuncia in udienza preliminare della  sentenza  di  condanna
prevista dalla norma denunciata necessita del consenso dell'imputato,
ancorche' tale condizione risulti formalmente prevista solo nel comma
1 dell'art. 32, in rapporto alle sentenze di non  luogo  a  procedere
che  comunque  presuppongono  un  accertamento   di   responsabilita'
(limitazione,  quest'ultima,  aggiunta  dalla  stessa  Corte  con  la
sentenza n. 195 del 2002). Al riguardo, la Corte ha, in  particolare,
evidenziato che sarebbe «del tutto incoerente e irrazionale» ritenere
necessario il consenso dell'imputato per la definizione del  processo
in udienza preliminare con una sentenza di non luogo a procedere,  ed
escluderne, invece, la necessita' per la  pronuncia,  nella  medesima
sede, di una sentenza di condanna (ordinanze n. 110 del 2004 e n. 208
del 2003). 
    L'incoerenza del sistema risulterebbe, peraltro,  anche  maggiore
se il giudice dell'udienza preliminare potesse  pronunciare  sentenza
di condanna, sulla base degli  atti  di  indagine,  indipendentemente
dalla richiesta o dal consenso di una qualsiasi delle parti (imputato
e pubblico ministero). 
    Quanto, poi, all'altra  articolazione  dell'ipotetico  petitum  -
rendere possibile la condanna di cui all'art. 32, comma 2, del d.P.R.
n. 448 del 1988 anche su richiesta (o col consenso)  dell'imputato  o
del suo difensore - la questione risulterebbe, a prescindere da  ogni
altra considerazione, inammissibile per difetto di rilevanza. 
    Il  rimettente  non  tiene,  infatti,   conto   del   consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimita', in forza del quale
il consenso dell'imputato minorenne  alla  definizione  del  processo
nell'udienza preliminare -  in  quanto  atto  personalissimo  -  deve
essere prestato dallo  stesso  imputato  o  da  difensore  munito  di
procura speciale (ex plurimis, tra le ultime, Corte di cassazione, 14
gennaio 2010-16 febbraio 2010, n. 6374;  19  febbraio  2009-31  marzo
2009, n. 14173). 
    Nel caso di  specie,  secondo  quanto  emerge  dall'ordinanza  di
rimessione,  l'imputato  (cittadino   di   Stato   non   appartenente
all'Unione europea) non ha  prestato  personalmente  alcun  consenso,
risultando irreperibile. La condanna a sanzione sostitutiva e'  stata
richiesta,  invece,  dal  difensore  (sia  pure  in  via  subordinata
rispetto alla dichiarazione di non luogo a procedere). Ma il  giudice
a quo non riferisce che il difensore fosse munito di procura speciale
a tal fine: con la conseguenza che, per questo  verso,  la  questione
risulterebbe irrilevante, mancando un consenso valido. 
    Occorre infine ribadire che, ai sensi del comma  1  dello  stesso
art. 32, qualsiasi definizione del processo nella  fase  dell'udienza
preliminare  e'  gia'  comunque  subordinata   al   previo   consenso
dell'imputato.