ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 12  del
decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3  (Testo
unico delle  disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli  impiegati
civili dello Stato) promosso dal Consiglio  di  Stato  -  sezione  VI
giurisdizionale, nel procedimento vertente tra T.M.R. ed altra  e  il
Ministero della pubblica istruzione ed altri  con  ordinanza  del  30
giugno 2011,  iscritta  al  n.  27  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  maggio  2012  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli. 
    Ritenuto che il Consiglio di Stato - sezione  VI  giurisdizionale
ha  sollevato,  con  ordinanza  del  30  giugno  2011,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  12   del   decreto   del
Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico  delle
disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
Stato) ? a tenore del quale «L'impiegato deve risiedere nel luogo ove
ha sede  l'ufficio  cui  e'  destinato.  Il  capo  dell'ufficio,  per
rilevanti ragioni, puo' autorizzare l'impiegato a risiedere  altrove,
quando cio' sia conciliabile con  il  pieno  e  regolare  adempimento
d'ogni altro  suo  dovere»  -  denunciandone  il  contrasto  con  gli
articoli 3, 16, 97 e 98 della Costituzione; 
    che, come emerge dall'ordinanza di rimessione, il giudice  a  quo
e' chiamato a pronunciarsi sul ricorso di  due  insegnanti  pubbliche
proposto per ottenere, al fine della indennizzabilita'  di  un  grave
"infortunio in itinere", da  loro  subito,  il  riconoscimento  della
causa di servizio, negato  dall'amministrazione  di  appartenenza  in
ragione  del  fatto  che  esse  risiedevano,  senza  averne   chiesto
l'autorizzazione, in luogo (sia pur di pochi chilometri) distante dal
comune ove era la scuola di loro destinazione; 
    che, ad avviso del rimettente, la  censurata  disposizione  -  in
quanto legata ad un contesto, urbano,  delle  comunicazioni  e  della
disponibilita' di mezzi propri, ormai superato e non piu'  attuale  -
sancirebbe (per di piu' per le sole categorie di pubblici  dipendenti
non interessati da successive sue parziali  abrogazioni)  un  obbligo
divenuto ora "irragionevole" e «inconferente al fine di assicurare il
rispetto del canone di  buona  amministrazione»,  dal  che,  appunto,
l'evocata violazione dell'art. 3  Cost.,  sotto  il  duplice  profilo
della  non  giustificata  disparita'  di  trattamento  di  situazioni
omogenee e della irragionevolezza  per  sopravvenuto  anacronismo,  e
degli artt. 97 e 98 Cost., oltreche' l'ipotizzato vulnus al  precetto
dell'art. 16 Cost.,  «perche'  ormai  senza  una  plausibile  ragione
restringe[rebbe] anche la liberta'  di  circolare  e  soggiornare  in
qualsiasi parte del territorio nazionale»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza, in ogni suo  profilo,
della  questione,  per  essere  la  disposizione  denunciata  tuttora
giustificata da «preminenti  esigenze  istituzionali  e  di  servizio
generale, il cui soddisfacimento trova naturale supporto nella pronta
reperibilita' [del pubblico dipendente] in situazioni in cui si renda
necessaria la sua presenza». 
    Considerato che, in relazione al sopra  evidenziato  oggetto  del
giudizio a quo, siccome  assunto  nell'ordinanza  di  rimessione,  il
rimettente da' per presupposto  che  la  violazione  dell'obbligo  di
residenza, di cui al citato articolo 12 del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  10  gennaio  1957,  n.  3   (Testo   unico   delle
disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
Stato), oltre alle possibili ricadute sul piano  disciplinare,  abbia
anche,  di  per  se',   effetto   ostativo   alla   indennizzabilita'
dell'infortunio  subito,  per  recarsi  al   lavoro,   dal   pubblico
dipendente; 
    che, tuttavia, cosi' opinando, il giudice  a  quo  ha  omesso  di
prendere  in  esame,  anche  ai  fini  di  una  eventuale  estensione
dell'oggetto della denuncia di illegittimita' costituzionale, sia  la
normativa di riferimento  (e,  prima  di  tutte,  quella  applicabile
ratione  temporis  alla  fattispecie  oggetto  di   cognizione)   sul
riconoscimento della causa di servizio del dipendente pubblico,  che,
in ipotesi, dovrebbe giustificare  l'incidenza  della  situazione  di
rilievo disciplinare supposta dalla norma impugnata ai fini di  detto
riconoscimento, sia la stessa disciplina in materia di infortunio  in
itinere, che, dopo una risalente elaborazione  giurisprudenziale,  si
e' tradotta in apposita disposizione inserita, da parte dell'articolo
12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38  (Disposizioni  in
materia di  assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro  e  le
malattie professionali, a norma  dell'articolo  55,  comma  1,  della
legge 17 maggio 1999, n. 144), nel corpo dell'articolo 2 del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo  unico
delle  disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  contro   gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali), cosi' che  risulta
trascurata anche quella giurisprudenza (segnatamente, della Corte  di
cassazione) che,  quanto  all'infortunio  in  itinere,  nel  delibare
l'esistenza del nesso eziologico tra l'evento e  la  percorrenza  del
tragitto normale tra il luogo di lavoro e quello di "abitazione", per
tale ha inteso, in termini di effettivita',  non  solo  il  luogo  di
personale dimora del lavoratore ma anche quello (ove diverso) in  cui
si trovi la sua famiglia; 
    che,   dunque,   la   prospettata   questione    va    dichiarata
manifestamente inammissibile per carenza  di  motivazione  sulla  sua
rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.