ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  51  e
seguenti del  codice  di  procedura  civile  promossi  dal  Tribunale
ordinario  di  Catania,  sezione  distaccata  di  Acireale,  con  due
ordinanze del 7 novembre 2011 e con ordinanze del 28 gennaio  2012  e
del 28 dicembre 2011, rispettivamente iscritte ai numeri 69, 70, 71 e
72 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, nel corso di due giudizi civili nei  quali  risulta
convenuto un medesimo istituto di credito, il Tribunale ordinario  di
Catania, sezione distaccata di Acireale, in composizione monocratica,
con altrettante ordinanze di contenuto identico, emesse il 7 novembre
2011 [iscritte ai numeri 69 e 70 del r.o. del 2012], ha  sollevato  -
in riferimento agli articoli 24,  111  e  113  della  Costituzione  -
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 51 e seguenti
del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che
il giudice, la cui dichiarazione o  istanza  di  astensione  non  sia
stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa  ricorrere  ad
Organo sovraordinato avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio»; 
    che - premesso di avere proposto al Presidente del  Tribunale  di
Catania, in entrambi i giudizi: a) dichiarazione  di  astensione  (ex
art. 51, numero 3, cod. proc.  civ.),  motivata  dalla  esistenza  di
rapporti di credito e di debito con l'istituto di  credito  convenuto
in relazione ad un conto corrente nonche' a rapporti di  investimento
finanziario; b) nonche' istanza  di  astensione,  fondata  su  "gravi
ragioni di convenienza" (ai sensi dell'art. 51,  ultimo  comma,  cod.
proc.  civ.),  essendo  i  figli  del   rimettente   soci   azionisti
dell'istituto e quindi portatori di interessi coincidenti con  quelli
della banca parte  in  causa  -  il  giudice  a  quo  rileva  che  il
Presidente del  Tribunale  ha  rigettato,  sia  la  dichiarazione  di
astensione obbligatoria, sia 1'istanza di astensione facoltativa; 
    che,  analizzata  la   diversita'   di   ratio,   presupposti   e
regolamentazione dei due tipi di astensione,  il  rimettente  osserva
che la situazione relativa ai propri contratti di conto corrente e di
investimenti  finanziari   rientra   tra   i   casi   di   astensione
obbligatoria, rispetto ai quali il codice di rito (art. 51 cod. proc.
civ. ed art. 78 disp.  att.  cod.  proc.  civ.)  non  prevede  alcuna
autorizzazione da parte del Presidente del  Tribunale,  ma  solo  una
presa d'atto con la conseguente designazione  del  nuovo  giudice;  e
che, al contrario,  nella  specie,  il  Presidente  ha  rigettato  la
dichiarazione di astensione obbligatoria sulla base  di  una  pretesa
inoffensivita' dei detti rapporti fra  giudice  e  banca  in  ragione
della "normalita'" dei detti rapporti, rientranti  nei  servizi  resi
dalla banca "nei confronti di una indeterminata clientela"; 
    che,  a  contestazione  di  tale  provvedimento,  il   rimettente
sostiene (con richiamo anche  alla  giurisprudenza  disciplinare  del
Consiglio superiore della magistratura) la tesi contraria, secondo la
quale il giudice costituisce un cliente "particolare",  che  esercita
importanti e delicate funzioni, e che potrebbe  esercitare  pressioni
sulla banca, o riceverle nei casi in cui  sia  debitore  della  banca
medesima, con conseguente lesione del  valore  dell'imparzialita'  (o
del valore della immagine di imparzialita'), anche se  non  ci  fosse
alcuna  pressione  ne'  alcun  conseguimento   dell'obiettivo   della
pressione, «essendo sufficiente  a  pregiudicare  (agli  occhi  delle
parti  in  causa  e  dei  cittadini  in   generale)   l'immagine   di
imparzialita' del Giudice la semplice  possibilita'  (prospettazione)
dell'esercizio di una pressione da parte della banca sul giudice o da
parte del giudice sulla banca»; 
    che, poi, quanto alla ulteriore istanza di astensione facoltativa
(proposta ex art. 51, ultimo comma, cod. proc.  civ.)  per  essere  i
figli del rimettente azionisti e quindi soci dell'istituto di credito
parte del giudizio principale,  il  giudice  a  quo  (ribadendone  la
fondatezza) rileva che essa e' stata rigettata senza motivazione; 
    che, cio' premesso, il rimettente ritiene che la  mancata  tutela
dell'interesse del magistrato, la  cui  dichiarazione  o  istanza  di
astensione non sia stata accolta dal capo  dell'ufficio  giudiziario,
comporti la violazione degli artt. 24, 111 e 113 della  Costituzione,
evocati rispettivamente con riferimento ai principi in base ai  quali
«tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti  ed
interessi legittimi», «ogni processo si svolge [...]  davanti  ad  un
giudice terzo ed imparziale»  e  la  tutela  contro  gli  atti  della
pubblica amministrazione «non puo' essere esclusa  o  limitata  [...]
per determinate categorie di atti»; 
    che infatti -  ribadito  che  la  materia  della  astensione  del
giudice non mira soltanto ad assicurare  la  effettiva  imparzialita'
del giudice, ma anche a garantire che il  giudice  appaia  imparziale
(cosi'  coinvolgendo  non   solo   l'interesse   dell'amministrazione
giudiziaria e l'interesse delle parti, ma anche  quello  del  giudice
alla propria immagine di imparzialita'  e  al  proprio  onore)  -  il
rimettente osserva che, allorquando il capo dell'ufficio  giudiziario
non accolga una legittima dichiarazione di astensione obbligatoria  o
facoltativa, si avverte (tanto piu' in  presenza  di  una  evoluzione
della societa' italiana  secondo  modelli  piu'  sensibili  verso  le
esigenze dei cittadini, non sentite dal legislatore che  approvo'  il
codice di rito) la necessita' di uno strumento giuridico che offra al
giudice la possibilita' di tutelare detto suo interesse; la  mancanza
del quale determina la lesione degli evocati parametri che consentono
o  (meglio)  impongono  l'ampliamento   della   tutela   del   valore
dell'imparzialita', non solo ex post, ma anche ex ante, esigendo  che
sia offerta alle parti  ed  ai  cittadini  l'immagine  stessa  di  un
giudice imparziale; 
    che, nel corso di altro giudizio civile, in cui e'  convenuto  lo
stesso istituto di credito  e  sono  state  ugualmente  rigettate  le
istanze  di  astensione  obbligatoria  e/o  facoltativa  proposte  al
Presidente  del  Tribunale  dal  medesimo  giudice  monocratico   del
Tribunale di Catania, sezione distaccata  di  Acireale,  questo,  con
ordinanza sostanzialmente  identica  alle  precedenti  emessa  il  28
gennaio 2012 [iscritta al n. 71 del r.o. del 2012], ha sollevato - in
riferimento agli articoli 3, 24,  111  e  113  della  Costituzione  -
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 51 e seguenti
del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che
il giudice, la cui dichiarazione o  istanza  di  astensione  non  sia
stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa  ricorrere  ad
Organo dell'Amministrazione giudiziaria,  sovraordinato,  avverso  il
provvedimento del Capo dell'ufficio»; 
    che, infine, in altro giudizio civile, ritenuto che  «esistono  i
presupposti  per  porsi   la   stessa   questione   di   legittimita'
costituzionale» sollevata nel giudizio incidentale  n.  70  del  2012
(che allega all'atto), il medesimo giudice monocratico del  Tribunale
di Catania, sezione distaccata di Acireale, con ordinanza  emessa  il
28 dicembre 2011 [iscritta n. 72 del r.o. del 2012],  ha  sospeso  il
giudizio  in  attesa  che  sulla  questione  si  pronunzi  la   Corte
costituzionale; 
    che, in  tutti  i  giudizi,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  che  -  con  identiche  argomentazioni  -  ha
concluso per la inammissibilita' ovvero  per  la  infondatezza  delle
sollevate questioni; 
    che, sotto il primo  profilo,  la  difesa  erariale  contesta  la
mancata  motivazione  della  rilevanza  della  questione,  avendo  il
rimettente omesso (oltre che di valutare in fatto la fondatezza delle
domande) di descrivere quali effetti avrebbe, nel giudizio a quo,  la
richiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale; e deduce che
la  proposizione  dell'istanza  di  astensione   da'   luogo   a   un
procedimento del tutto distinto dal giudizio in  relazione  al  quale
l'istanza stessa e' stata formulata, di  cui  va  esclusa  la  natura
giurisdizionale  (giacche'  il  conseguente  provvedimento  del  capo
dell'ufficio riveste un carattere meramente  ordinatorio,  espressivo
della facolta' di distribuzione del lavoro e, piu' in generale, della
potesta' direttiva); 
    che, nel merito, l'Avvocatura osserva che  gli  evocati  principi
costituzionali non sono conferenti  con  la  richiesta  tutela  della
"immagine" della imparzialita' del giudice (attraverso  la  richiesta
previsione della impugnazione del rigetto dell'istanza di astensione)
in quanto essi fanno riferimento  alla  garanzia  costituzionale  del
principio del contraddittorio e alla parita' delle "parti" in  causa,
mentre in nessun modo  il  giudice  della  controversia  puo'  essere
considerato "parte" nel procedimento; 
    che, inoltre, la difesa dello Stato eccepisce, da un lato, che il
rimettente ha mancato di rilevare che, al verificarsi  di  una  delle
fattispecie  previste  dall'art.  51,  comma  1,  cod.  proc.   civ.,
l'ordinamento  gia'  stabilisce  il  rimedio  adottabile  qualora  il
giudice non si astenga, perche'  concede  alle  parti  il  potere  di
proporre  istanza  di  ricusazione  (che  ove   non   tempestivamente
avanzata, per consolidata giurisprudenza di legittimita', non  incide
ne' sulla regolare  costituzione  dell'organo  decidente,  ne'  sulla
validita'  della  decisione);  e,  dall'altro   lato,   che   nessuna
conseguenza per il giudizio in corso deriva  a  seguito  del  rigetto
della istanza di astensione. 
    Considerato che con le ordinanze n. 69, n. 70 e n. 71  del  2012,
il Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale, in
composizione monocratica, censura gli artt. 51 e seguenti del  codice
di procedura civile,  «nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  il
giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non  sia  stata
accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad  Organo
["dell'Amministrazione giudiziaria": solo ordinanza n. 71  del  2012]
sovraordinato avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio»; 
    che, secondo il giudice a quo, le norme censurate  si  porrebbero
in contrasto con gli articoli 3 [citato solo nell'ordinanza n. 71 del
2012], 24, 111 e 113 della Costituzione (evocati rispettivamente  con
riferimento ai principi in base ai quali: a) «tutti i cittadini [...]
sono eguali davanti alla legge», «tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei  propri  diritti  ed  interessi  legittimi»,  b)  «ogni
processo si svolge [...] davanti ad un giudice terzo ed  imparziale»,
c) la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione «non puo'
essere esclusa o limitata [...] per determinate categorie di  atti»),
poiche' - in una materia che  non  mira  soltanto  ad  assicurare  la
effettiva imparzialita' del giudice, ma  anche  a  garantire  che  il
giudice appaia  imparziale  (cosi'  coinvolgendo,  oltre  l'interesse
dell'amministrazione giudiziaria e  delle  parti,  anche  quello  del
giudice alla propria immagine di imparzialita' e al proprio onore)  -
la mancata tutela dell'interesse del magistrato, la cui dichiarazione
o istanza di astensione non sia stata accolta dal  capo  dell'ufficio
giudiziario,  determina  la  lesione  degli  evocati  parametri   che
consentono o (meglio) impongono l'ampliamento della tutela del valore
dell'imparzialita', non solo ex post, ma anche ex ante, esigendo  che
sia offerta alle parti  ed  ai  cittadini  l'immagine  stessa  di  un
giudice imparziale; 
    che con l'ordinanza  n.  72  del  2012,  il  medesimo  giudice  -
ritenuto che «esistono i presupposti per porsi la stessa questione di
legittimita'  costituzionale»  sollevata  nel  giudizio   incidentale
iscritto al n. 70 del 2012 - ha sospeso il giudizio in  attesa  della
pronuncia di questa Corte sulla sollevata questione; 
    che,  poiche'  le  quattro  ordinanze  riguardano   la   medesima
questione di legittimita' costituzionale, i giudizi vanno riuniti per
essere congiuntamente decisi; 
    che, preliminarmente, va rilevato che l'ordinanza n. 72 del  2012
non ha rimesso espressamente alla Corte la questione prospettata,  ma
ha solo rilevato che essa gia' pende a seguito di altra ordinanza  di
rimessione emessa in altro procedimento promosso avanti  allo  stesso
ufficio, e ha disposto la sospensione del giudizio  in  attesa  della
sua definizione; 
    che - considerato che, in  assenza  di  qualsiasi  manifestazione
della volonta' del giudicante di rimettere gli atti davanti a  questa
Corte per la soluzione di  un  giudizio  di  costituzionalita'  -  il
provvedimento  e'  inidoneo  a  promuovere  il  giudizio  incidentale
(ordinanze n. 9 del 1991, n. 28 del 1994, n. 264 del 1995  e  n.  216
del 2001), onde l'ordinanza risulta irricevibile e  gli  atti  devono
essere rinviati al giudice a quo; 
    che, relativamente alle altre ordinanze di rimessione [numeri 69,
70 e 71 del 2012], va innanzitutto rilevato (come eccepito in termini
di inammissibilita' dall'Avvocatura  generale  dello  Stato)  che,  a
prescindere dalla completa carenza di descrizione  delle  fattispecie
concrete sottoposte all'esame del rimettente nei  giudizi  a  quibus,
esse non contengono (se non per l'apodittica affermazione  del  fatto
che il singolo giudizio «non puo' essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale»
proposta)  alcuna  argomentazione  che   consenta   alla   Corte   di
verificarne la effettiva rilevanza; 
    che - quand'anche si assumesse (sulla base della  prospettazione,
peraltro anch'essa non meglio motivata  sul  punto)  che  il  singolo
processo principale non sia stato utilizzato quale mera occasione per
proporre il vaglio di costituzionalita', riguardante propriamente  la
impugnabilita' del provvedimento amministrativo del capo dell'ufficio
di  diniego  della  dichiarazione  e/o  dell'istanza  di   astensione
asseritamente illegittimo - va infatti sottolineato che, se  e'  vero
che «il magistrato, prima di procedere alla cognizione  della  causa,
ha certamente il potere-dovere di verificare la regolare costituzione
dell'organo  giudicante,  anche   in   rapporto   alla   legittimita'
costituzionale  delle  norme  che  la  disciplinano»,   tuttavia   al
magistrato cio'  e'  «consentito  unicamente  al  fine  di  accertare
l'inesistenza di vizi relativi alla  propria  costituzione,  tali  da
determinare nullita' insanabile e rilevabile d'ufficio [...];  ossia,
trattandosi di giudice singolo, di vizi concernenti la sua  nomina  e
le altre condizioni di capacita' stabilite dalle leggi  d'ordinamento
giudiziario» (sentenza n. 71 del 1975; ordinanza n. 177 del 2011); 
    che viceversa il rimettente  ha  completamente  omesso  qualunque
considerazione in ordine alle eventuali ricadute dei denunciati  vizi
attinenti  (la  costituzione  o)  la  designazione  del  giudice  sul
versante della validita' del singolo processo  a  quo  nonche'  della
eventuale  incidenza  della   mancata   astensione   sulla   concreta
definizione della specifica res iudicanda ivi dedotta  (ordinanza  n.
177 del 2011); 
    che, inoltre, il rimettente invoca una pronuncia additiva che, da
un lato, necessiterebbe da parte di questa Corte della individuazione
(certamente  non  "a  rime  obbligate")  di  quale  sia   l'autorita'
"sovraordinata" al capo dell'ufficio, cui attribuire  il  compito  di
valutare la eventuale illegittimita' del diniego alla  astensione;  e
che, dall'altro lato, presupporrebbe  in  pari  tempo  un  intervento
manipolativo di sistema, che - attraverso la richiesta di  introdurre
la possibilita' di impugnazione da parte del giudicante  del  diniego
opposto alla dichiarazione ovvero  alla  richiesta  di  astensione  -
verrebbe  a  snaturare  il  meccanismo  amministrativo  di  carattere
meramente ordinatorio (sentenza n. 123 del 1999)  disciplinato  dalle
norme censurate,  per  trasformarlo  in  un  procedimento  del  quale
dovrebbero essere altresi' configurati fasi e gradi; 
    che, pertanto - in un ambito, quale quello della  disciplina  del
processo  e   della   conformazione   degli   istituti   processuali,
caratterizzato dalla ampia discrezionalita' spettante al  legislatore
col  solo  limite  della  manifesta  irragionevolezza  delle   scelte
compiute (sentenza n. 17 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012 e n.  141
del 2011)  -  la  questione  risulta,  anche  sotto  questo  aspetto,
inammissibile, in  quanto  diretta  a  chiedere  a  questa  Corte  un
intervento non costituzionalmente  obbligato,  oltre  che  largamente
creativo, come tale riservato al  legislatore  (sentenza  n.  36  del
2012; ordinanze n. 36 e n. 7 del 2012), al quale e'  tradizionalmente
attribuito l'apprestamento di misure idonee a salvaguardare il valore
costituzionale della imparzialita' del giudice, ove non  ritenga  che
esso sia sufficientemente assicurato dagli istituti dell'astensione e
della ricusazione (sentenza n. 287 del 2007); 
    che, infine, ulteriore profilo di inammissibilita'  va  ravvisato
nel fatto  che  il  rimettente  -  premesso  di  avere  «proposto  al
Presidente del Tribunale di Catania contemporaneamente  dichiarazione
di astensione obbligatoria ed istanza di  astensione  facoltativa»  -
osserva che il primo comma dell'art. 51 cod. proc. civ. «prevede  che
in  caso  di  astensione   obbligatoria   il   giudice   faccia   una
"dichiarazione di astensione" per la cui accettazione non e' prevista
la autorizzazione da parte  del  Capo  dell'Ufficio»,  al  quale  non
residua che l'obbligo di designare altro giudice per  la  trattazione
della causa; 
    che - a fronte della adesione del rimettente a  siffatta  opzione
ermeneutica  -  il   petitum   invocato   si   pone   in   intrinseca
contraddizione (sentenza n. 261 del 2011 e ordinanza n. 126 del 2012)
rispetto alla premessa interpretativa  fatta  propria  dal  medesimo,
giacche' l'affermata assenza di poteri valutativi e decisori del capo
dell'ufficio in merito alla dichiarazione di astensione  obbligatoria
avrebbe semmai comportato la necessita' di individuare, in termini di
ricadute processuali, la concreta incidenza nel giudizio  a  quo  del
diniego opposto dal Presidente del Tribunale, oltre che le  eventuali
conseguenze  della   condotta   dello   stesso   sotto   il   profilo
ordinamentale; 
    che, inoltre, la rilevata contraddittorieta' della motivazione fa
anche trasparire il dubbio che il rimettente cerchi di utilizzare  in
modo  improprio  e  distorto  la   proposizione   dell'incidente   di
costituzionalita', non  gia'  per  pervenire  alla  soluzione  di  un
problema pregiudiziale rispetto alla definizione del thema decidendum
del singolo giudizio a quo, quanto piuttosto al fine  di  tentare  di
ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanze n. 126 e  n.
26 del 2012) finalizzato alla regolamentazione  dei  propri  rapporti
con il capo dell'ufficio; 
    che di conseguenza la questione di  legittimita'  costituzionale,
sollevata con le ordinanze n.  69,  n.  70  e  n.  71  del  2012,  e'
manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.