ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 224 del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  di  Roma  nel
procedimento a carico di T.L. ed altri, con ordinanza del  10  aprile
2012, iscritta al n. 100 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 ottobre  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 10 aprile 2012, il  Tribunale  di
Roma ha  sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  2  e  15  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
224 del codice di procedura penale, «nella parte in cui  prevede  che
il giudice del dibattimento disponga perizia  avente  ad  oggetto  la
trascrizione   di   conversazioni   o    comunicazioni    telefoniche
intercettate ai sensi degli articoli 266  e  seguenti»  del  medesimo
codice; 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale nei confronti di persone imputate del delitto di  associazione
per delinquere finalizzata  a  consentire  l'illegale  permanenza  di
stranieri nel territorio  dello  Stato  e  di  numerosi  altri  reati
connessi; 
    che, in sede di ammissione delle  prove,  il  pubblico  ministero
aveva chiesto, tra l'altro, la trascrizione, mediante perizia,  delle
comunicazioni  telefoniche  intercettate  nel  corso  delle  indagini
preliminari, riservandosi di produrre un elenco  delle  comunicazioni
ritenute rilevanti: cio', peraltro, senza addurre alcun  elemento  da
cui desumere che la mancata attivazione della procedura di  selezione
prevista dall'art. 268 cod. proc. pen. rispondesse ad  un  «interesse
di giustizia»; 
    che, nella successiva udienza, cui il processo era  stato  a  tal
fine  rinviato,  il  pubblico  ministero  aveva  depositato  l'elenco
preannunciato,   recante   l'indicazione   di    circa    centotrenta
comunicazioni telefoniche, non corredato, peraltro, da alcun elemento
utile a stabilire la rilevanza di ciascuna di esse; 
    che i difensori degli imputati avevano, quindi, chiesto di essere
posti a conoscenza, in dibattimento, delle comunicazioni in questione
e dei documenti ad esse relativi; 
    che, cio' premesso, il Tribunale rimettente osserva come la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 34 del 1973 - dopo aver  ricordato
che e' connaturale alla finalita' stessa del  processo  il  principio
secondo il quale non puo'  essere  acquisito  agli  atti  se  non  il
materiale probatorio rilevante per il giudizio - abbia  rilevato  che
«l'applicazione  del  suddetto  principio  non  solo  garantisce   la
segretezza di tutte quelle  comunicazioni  telefoniche  dell'imputato
che non siano rilevanti ai fini del relativo processo, ma  garantisce
altresi' la segretezza delle  comunicazioni  non  pertinenti  a  quel
processo che terzi, allo stesso estranei,  abbiano  fatto  attraverso
l'apparecchio telefonico sottoposto a  controllo  di  intercettazione
ovvero in collegamento con questo»; 
    che, nella medesima sentenza, la Corte ha quindi  rimarcato  come
«il rigoroso rispetto di  questo  principio  sia  essenziale  per  la
puntuale osservanza degli artt. 2 e 15 della Costituzione: violerebbe
gravemente entrambe le norme costituzionali  un  sistema  che,  senza
soddisfare gli interessi di  giustizia,  in  funzione  dei  quali  e'
consentita  la  limitazione  della  liberta'   e   segretezza   delle
comunicazioni, autorizzasse la divulgazione in pubblico  dibattimento
del  contenuto  di  comunicazioni  telefoniche  non   pertinenti   al
processo»; 
    che, proprio per non incorrere nella violazione  segnalata  dalla
Corte costituzionale, il legislatore  avrebbe  previsto  la  speciale
procedura di cui all'art.  268  cod.  proc.  pen.,  collocandola  «in
un'area estranea al dibattimento e alla sua pubblicita'»; 
    che la citata disposizione demanda, infatti, al  giudice  per  le
indagini preliminari il compito  di  individuare,  «in  un  riservato
contraddittorio», quali, fra  le  comunicazioni  captate  e  indicate
dalle parti,  siano  «non  manifestamente  irrilevanti»,  stabilendo,
altresi', che solo  le  trascrizioni  di  tali  ultime  comunicazioni
debbano essere inserite nel fascicolo per il dibattimento (art.  268,
commi 6 e 7, cod. proc. pen.); 
    che,    in    questa     prospettiva,     una     interpretazione
«costituzionalmente orientata» della vigente disciplina indurrebbe  a
ritenere che rientri nella competenza «non solo funzionale, ma  anche
esclusiva» del giudice per le indagini preliminari disporre,  con  le
forme e nei limiti di cui al citato art. 268, commi 6 e 7, cod. proc.
pen., la trascrizione delle intercettazioni; 
    che una simile interpretazione risulterebbe, nondimeno,  preclusa
dal corrente orientamento  della  giurisprudenza  di  legittimita'  -
qualificabile come «diritto vivente» - secondo il quale il momento in
cui disporre la perizia per  la  trascrizione  delle  intercettazioni
puo' dipendere dai piu' vari accadimenti processuali,  senza  che  il
codice di rito autorizzi  la  deduzione  di  particolari  conseguenze
dalla circostanza che  vi  si  provveda  nel  dibattimento,  anziche'
davanti al giudice per le indagini  preliminari:  e  cio',  anche  in
ragione del fatto che, nel caso delle intercettazioni,  la  prova  e'
costituita dalle  registrazioni  e  non  dalle  trascrizioni,  intese
soltanto a convertire in segni grafici le espressioni vocali; 
    che, a fronte di tale orientamento - il quale attribuirebbe  alle
parti  una  sorta  di  «diritto  potestativo   processuale»   a   far
trascrivere le intercettazioni in sede dibattimentale - il giudice  a
quo si troverebbe, quindi, a dover fare  applicazione  dell'art.  224
cod. proc. pen., in tema di  perizia,  avendo  la  giurisprudenza  di
legittimita' chiarito che l'atto richiesto ha,  per  l'appunto,  tale
natura; 
    che  una  perizia  quale  quella  indicata  verrebbe,   peraltro,
inevitabilmente   a   determinare   il   risultato   che   la   Corte
costituzionale ha ritenuto incompatibile con gli artt. 2 e 15  Cost.:
vale a dire, la  divulgazione  in  dibattimento  anche  di  eventuali
comunicazioni non pertinenti al processo; 
    che, per individuare l'oggetto  stesso  della  perizia,  sarebbe,
infatti, necessario stabilire, nella pubblicita' propria dell'udienza
dibattimentale, quali comunicazioni siano  rilevanti  ai  fini  della
decisione e quali non  lo  siano:  valutazione,  questa,  ineludibile
tanto ove la si voglia radicare nel disposto dell'art. 268, comma  6,
cod. proc. pen. (secondo il quale il giudice  dispone  l'acquisizione
delle  comunicazioni  indicate   dalle   parti   che   non   appaiano
manifestamente irrilevanti), quanto ove la  si  voglia  basare  sulla
generale previsione dell'art. 190 cod. proc.  pen.  (in  forza  della
quale il giudice provvede  sulle  richieste  probatorie  delle  parti
escludendo le prove  vietate  dalla  legge  e  quelle  che  risultino
manifestamente superflue o irrilevanti); 
    che la verifica della rilevanza delle comunicazioni non  potrebbe
prescindere, a sua volta, dall'enunciazione in dibattimento del  loro
contenuto, col conseguente rischio di  rendere  di  pubblico  dominio
anche messaggi comunicativi  destinati  a  rivelarsi  non  pertinenti
all'oggetto del giudizio: e  cio',  tanto  piu'  quando,  come  nella
specie, le parti abbiano specificamente  chiesto  l'esibizione  della
documentazione relativa alle intercettazioni; 
    che, alla luce di  tali  considerazioni,  il  rimettente  chiede,
quindi,  alla  Corte  di  dichiarare  costituzionalmente  illegittimo
l'art. 224 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2 e 15  Cost.,
nella parte in cui prevede che il giudice del  dibattimento  disponga
perizia  ai   fini   della   trascrizione   delle   conversazioni   o
comunicazioni telefoniche intercettate; 
    che, al riguardo, il giudice a  quo  rimarca  come  la  pronuncia
auspicata    produrrebbe    effetti    coincidenti     con     quelli
dell'interpretazione  reputata  «costituzionalmente   conforme»:   in
particolare,  nel  caso  oggetto  del  giudizio   principale,   detta
pronuncia non  comporterebbe  la  regressione  del  processo,  ma  si
limiterebbe  a  collocare  davanti  al  giudice   per   le   indagini
preliminari  le  operazioni  di  selezione   e   trascrizione   delle
comunicazioni rilevanti, secondo la procedura prevista dall'art.  268
cod. proc. pen.; operazioni all'esito  delle  quali  le  trascrizioni
sarebbero inserite nel fascicolo per il dibattimento pendente innanzi
al Tribunale rimettente, in  applicazione  di  quanto  stabilito  dal
comma 7 del medesimo articolo; 
    che nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata non fondata. 
    Considerato che, con la questione sollevata, il Tribunale di Roma
denuncia la lesione del diritto  alla  liberta'  e  segretezza  delle
comunicazioni  che  discenderebbe,  in   assunto,   dalla   dominante
interpretazione della giurisprudenza di  legittimita'  -  qualificata
come «diritto vivente» - in tema di acquisizione e trascrizione delle
intercettazioni  di  conversazioni   o   comunicazioni   telefoniche:
interpretazione  stando  alla  quale  -   malgrado   la   previsione,
nell'articolo 268 del codice di procedura  penale,  di  una  apposita
procedura davanti al giudice per le indagini preliminari, finalizzata
ad evitare la divulgazione in dibattimento delle comunicazioni  prive
di  rilievo  ai  fini  del  processo  -  le  suddette  operazioni  di
acquisizione e trascrizione potrebbero  avere  luogo  anche  in  fasi
successive a quella delle indagini preliminari, ivi compresa la  fase
dibattimentale, senza che ne derivi alcun vizio processuale; 
    che la questione e' manifestamente inammissibile per un  triplice
ordine di ragioni; 
    che, in primo luogo, il giudice a quo sottopone a  scrutinio  una
norma  inconferente  rispetto   all'oggetto   delle   sue   doglianze
(sull'inammissibilita' della questione in simili casi,  ex  plurimis,
ordinanze n. 120 del 2011, n. 256 e n. 92 del 2009); 
    che il rimettente censura, infatti, per  asserito  contrasto  con
gli artt. 2 e 15 della Costituzione, l'art. 224  cod.  proc.  pen.  -
ossia la norma generale concernente i provvedimenti  del  giudice  in
tema di perizia - nella parte  in  cui,  alla  stregua  del  predetto
orientamento  giurisprudenziale,  prevederebbe  che  il  giudice  del
dibattimento  disponga  perizia  ai  fini  della  trascrizione  delle
intercettazioni; 
    che la norma da  colpire  risulta,  peraltro,  non  correttamente
individuata, posto che  -  a  prescindere  dalla  presenza  di  altra
specifica   disposizione,   relativa   alla   perizia   disposta   in
dibattimento (art. 508 cod. proc. pen.) -  il  vulnus  costituzionale
lamentato non deriva comunque, secondo la stessa  prospettazione  del
rimettente, dall'ordinanza che dispone la perizia in discorso, quanto
piuttosto dalle attivita' che la precedono; 
    che, nell'ambito della procedura  complessa  delineata  dall'art.
268 cod. proc. pen., risultano, in effetti, chiaramente distinti  due
momenti, non a caso regolati in altrettanti diversi commi; 
    che il comma 6 del citato articolo stabilisce anzitutto che, dopo
il deposito dei verbali e delle registrazioni, il giudice provveda  -
in apposita  udienza,  che  si  presuppone  camerale,  e  dunque  non
pubblica (la cosiddetta "udienza stralcio") - all'acquisizione  delle
conversazioni indicate dalle parti che «non  appaiano  manifestamente
irrilevanti», stralciando, altresi', anche d'ufficio, il materiale di
cui e' vietata l'utilizzazione; 
    che, ai  sensi  del  successivo  comma  7,  il  giudice  dispone,
all'esito,  la  trascrizione,  con  le  forme  della  perizia,  delle
comunicazioni da acquisire; le trascrizioni  sono,  quindi,  inserite
nel fascicolo per il dibattimento; 
    che, cio' posto, secondo le deduzioni del giudice a  quo,  quello
che puo' ledere  ingiustificatamente  il  diritto  alla  riservatezza
delle persone coinvolte, allorche' le operazioni in  questione  siano
svolte in dibattimento, non e' la  trascrizione  delle  comunicazioni
(la quale ha ad oggetto  le  sole  comunicazioni  gia'  ritenute  non
manifestamente  irrilevanti  dal  giudice),   quanto   piuttosto   la
circostanza che la selezione preliminare del materiale da trascrivere
abbia luogo con la pubblicita' propria delle  udienze  dibattimentali
(con il conseguente rischio che, nell'ambito del contraddittorio  sul
punto, si divulghino anche i  contenuti  di  comunicazioni  prive  di
rilievo e che, pertanto, non verranno trascritte); 
    che  la  lesione  lamentata  si  colloca,  dunque,  nel   momento
dell'acquisizione delle comunicazioni, non in  quello  successivo  in
cui viene disposta, tramite  perizia,  la  loro  trascrizione:  donde
l'inconferenza della norma censurata; 
    che, in secondo luogo, il giudice a quo invoca  una  pronuncia  a
carattere manipolativo i cui  contenuti  appaiono  non  soltanto  non
costituzionalmente obbligati, ma addirittura  fortemente  "creativi",
in quanto derogatori rispetto alle coordinate  generali  del  vigente
sistema  processuale  (sulla  inammissibilita'  delle  questioni  che
richiedano interventi additivi o manipolativi  in  materia  riservata
alla discrezionalita' del legislatore, in assenza  di  una  soluzione
costituzionalmente obbligata, ex plurimis, sentenze n. 134  e  n.  36
del 2012, ordinanze n. 138 e n. 113 del 2012; sulla  inammissibilita'
di questioni  che  richiedano  interventi  "creativi",  ex  plurimis,
ordinanze n. 77 del 2010, n. 182 del 2009 e n. 83 del 2007); 
    che, al di la' della formulazione del petitum, il  risultato  cui
mira il giudice a quo -  e  che  deriverebbe,  a  suo  avviso,  dalla
pronuncia richiesta -  e'  inequivocamente  quello  di  devolvere  al
giudice per le indagini preliminari, anche a dibattimento  in  corso,
le operazioni di selezione e trascrizione delle  intercettazioni  nei
modi previsti dall'art. 268 cod. proc.  pen.,  senza,  peraltro,  che
cio' determini la regressione del procedimento; 
    che, in tal  modo,  si  verrebbe,  peraltro,  ad  introdurre  una
competenza  funzionale  specifica  del  giudice   per   le   indagini
preliminari in  materia  di  acquisizioni  probatorie,  destinata  ad
operare anche dopo che la  fase  delle  indagini  preliminari  si  e'
conclusa,  la  quale  concorrerebbe,   intersecandola,   con   quella
"generale" del giudice del dibattimento:  regime,  questo,  privo  di
riscontro nella sistematica del codice di rito; 
    che, in terzo luogo e da  ultimo,  il  rimettente  ha  omesso  di
prendere in  considerazione  -  anche  al  solo  fine  di  escluderne
eventualmente la praticabilita' - la soluzione interpretativa da piu'
parti  prospettata  proprio  allo  scopo  di  superare  i  dubbi   di
legittimita' costituzionale sollevati, ed alla  quale  accenna  anche
l'Avvocatura  dello  Stato  nelle  sue  difese:  vale  a   dire,   la
possibilita', per il giudice, di  disporre  che  -  limitatamente  al
momento di acquisizione delle intercettazioni (ossia  alla  selezione
delle comunicazioni utilizzabili e  non  manifestamente  irrilevanti,
destinate alla trascrizione  mediante  perizia,  con  stralcio  delle
rimanenti)  -  il  dibattimento  si  svolga  a   porte   chiuse,   in
applicazione (se del caso, estensiva) dell'art. 472,  comma  2,  cod.
proc.  pen.  (sulla  inammissibilita'  della  questione  per   omessa
sperimentazione  dell'interpretazione  secundum  Constitutionem,   ex
plurimis, ordinanze n. 15 del 2011, n. 233, n. 110 e n. 55 del 2010); 
    che, per l'evidenziato complesso  di  ragioni,  la  questione  va
dunque dichiarata manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.