ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  articoli  64,
comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia  di  tutela  e
sostegno della maternita' e della paternita', a  norma  dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Modena
nel procedimento vertente tra G.G. e l'INPS,  con  ordinanza  del  27
settembre 2011, iscritta al n.  98  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  22,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre  2012  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di Modena, in funzione di  giudice  del  lavoro,
con ordinanza del  27  settembre  2011  (r.o.  n.  98  del  2012)  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale degli articoli 64,
comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia  di  tutela  e
sostegno della maternita' e della paternita', a  norma  dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli articoli  3,
31 e 37 della Costituzione «nella parte in  cui,  relativamente  alle
lavoratrici  autonome  e  alle  lavoratrici  iscritte  alla  gestione
separata e tenute al versamento della  contribuzione  dello  0,5  per
cento di cui all'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997,  n.
449, che  abbiano  adottato  un  minore,  prevedono  l'indennita'  di
maternita' per un periodo di tre mesi anziche' di cinque mesi». 
    1.1.- Il  rimettente  espone  che,  con  ricorso  depositato  nel
giudizio  principale,  la  ricorrente  G.G.,  lavoratrice   autonoma,
iscritta  alla  gestione  separata  -  premesso  che  aveva  ottenuto
l'affidamento preadottivo del minore K.A., nato il 15  ottobre  2000,
con decorrenza 8 aprile 2008, data di ingresso del bambino in Italia,
e che  aveva  ottenuto  dall'Istituto  nazionale  per  la  previdenza
sociale (d'ora in avanti, INPS), a seguito di domanda  presentata  in
data 11 giugno 2008, l'indennita' di maternita' nella misura di  euro
6.415,71, pari a tre mensilita', calcolate sul reddito dichiarato nel
periodo di  riferimento  -  ha  chiesto  l'accertamento  del  proprio
diritto  a  percepire  l'indennita'  di   maternita'   per   adozione
internazionale pari a cinque mensilita' e la  condanna  dell'INPS  al
pagamento delle residue due mensilita', oltre interessi legali. 
    Il giudice a quo riporta,  preliminarmente,  il  contenuto  degli
artt. 66, 67, 68 del d.lgs. n. 151 del 2001, concernenti l'indennita'
di  maternita'  per  le  lavoratrici  autonome  e  le   imprenditrici
agricole, in caso di gravidanza e in caso di adozione o affidamento. 
    In particolare, ai sensi del citato art. 66: «1. Alle lavoratrici
autonome, coltivatrici  dirette,  mezzadre  e  colone,  artigiane  ed
esercenti attivita' commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n.
1047, 4 luglio 1959, n. 463,  e  22  luglio  1966,  n.  613,  e  alle
imprenditrici  agricole  a  titolo  principale,  e'  corrisposta  una
indennita' giornaliera per il periodo  di  gravidanza  e  per  quello
successivo al parto calcolata ai sensi dell'articolo 68». 
    L'art. 68,  comma  2,  stabilisce:  «Alle  lavoratrici  autonome,
artigiane ed esercenti attivita' commerciali e'  corrisposta,  per  i
due mesi antecedenti la data del parto e per i  tre  mesi  successivi
alla stessa data effettiva del parto, una indennita' giornaliera pari
all'80  per  cento   del   salario   minimo   giornaliero   stabilito
dall'articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito,
con modificazioni, dalla legge  26  settembre  1981,  n.  537,  nella
misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella  A  e
dai successivi decreti ministeriali  di  cui  al  secondo  comma  del
medesimo articolo 1». 
    L'art.   67,   concernente    le    modalita'    di    erogazione
dell'indennita', al comma 2, dispone:  «In  caso  di  adozione  o  di
affidamento,  l'indennita'  di  maternita'  di  cui  all'articolo  66
spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi  successivi
all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia  a  condizione  che
questo non abbia superato i sei anni di eta', secondo quanto previsto
all'articolo 26, o  i  18  anni  di  eta',  secondo  quanto  previsto
all'articolo 27». 
    Il rimettente precisa che, con successivi interventi legislativi,
e' stata estesa alle lavoratrici iscritte alla gestione  separata  la
tutela relativa alla maternita', gia'  prevista  per  le  lavoratrici
dipendenti. 
    In proposito, richiama  l'art.  59,  comma  16,  della  legge  27
dicembre 1997, n. 449 (Misure per la  stabilizzazione  della  finanza
pubblica), che ha elevato il contributo alla gestione separata dovuto
dalle persone non iscritte ad altre forme obbligatorie, tra  l'altro,
«per  il  finanziamento  dell'onere  derivante  dall'estensione  agli
stessi della tutela relativa alla maternita', agli assegni al  nucleo
familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera». 
    Con l'art. 80, comma 12, della legge 23  dicembre  2000,  n.  388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato -  legge  finanziaria  2001),  il  legislatore  ha,  poi,
stabilito che «La disposizione di cui al comma  16,  quarto  periodo,
dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si  interpreta
nel senso che l'estensione ivi prevista della  tutela  relativa  alla
maternita' e agli assegni al nucleo familiare avviene nelle  forme  e
con le modalita' previste per il lavoro dipendente». 
    Con decreto del Ministero del lavoro e  delle  politiche  sociali
del 2 (recte: 4) aprile 2002, si e' stabilito che «a decorrere dal 1°
gennaio 1998, alle madri lavoratrici iscritte alla gestione  separata
e tenute al versamento della contribuzione dello  0,5  per  cento  e'
corrisposta un'indennita' di maternita' per i due mesi antecedenti la
data del parto ed i tre mesi successivi alla data stessa». 
    In caso di adozione  o  affidamento  la  suddetta  indennita'  e'
corrisposta per i tre mesi successivi all'effettivo  ingresso,  nella
famiglia della lavoratrice, del bambino che, al momento dell'adozione
o dell'affidamento, non abbia superato i sei anni di eta'. 
    In caso di adozione  o  affidamento  preadottivo  internazionale,
disciplinati dal Titolo  III  della  legge  4  maggio  1983,  n.  184
(Diritto del minore ad una  famiglia),  e  successive  modificazioni,
l'indennita' di cui all'art. 1 spetta,  per  i  tre  mesi  successivi
all'effettivo ingresso nella famiglia della lavoratrice  del  minore,
anche se quest'ultimo, al momento dell'adozione  o  dell'affidamento,
abbia superato i sei anni e fino al compimento della maggiore eta'. 
    Il rimettente riporta,  poi,  con  riferimento  alle  lavoratrici
iscritte alla gestione separata, il dettato dell'art. 64  del  d.lgs.
n. 151 del 2001, come modificato dall'art. 5 del decreto  legislativo
23 aprile 2003, n. 115 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 26  marzo
2001, n. 151, recante Testo unico delle disposizioni  legislative  in
materia di tutela e sostegno della maternita' e della  paternita',  a
norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53)  e  dall'art.
1, comma 83, della legge 24 dicembre 2007, n. 244  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2008), nei termini seguenti: «1.  In  materia  di  tutela
della maternita', alle lavoratrici di cui all'articolo  2,  comma  26
della legge 8 agosto 1995,  n.  335,  non  iscritte  ad  altre  forme
obbligatorie, si  applicano  le  disposizioni  di  cui  al  comma  16
dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449,  e  successive
modificazioni. 2. Ai sensi del comma 12 dell'articolo 80 della  legge
23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternita'  prevista  dalla
disposizione di cui al comma 16,  quarto  periodo,  dell'articolo  59
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, avviene nelle forme  e  con  le
modalita' previste per il lavoro dipendente. A tal fine,  si  applica
il d.m. del  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali,  di
concerto con il Ministro dell'economia e  delle  finanze,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002. Con  decreto  del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di  concerto  con  il
Ministro   dell'economia   e   delle   finanze,    e'    disciplinata
l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22 nei
limiti   delle   risorse   rinvenienti   dallo   specifico    gettito
contributivo, da determinare con il medesimo decreto». 
    Il Tribunale richiama anche l'art. 5 del decreto ministeriale  12
luglio 2007, ai sensi del quale: «1. Alle madri lavoratrici  iscritte
alla gestione separata,  tenute  al  versamento  della  contribuzione
dello 0,5 per cento di cui all'art. 59,  comma  16,  della  legge  27
dicembre 1997, n. 449, e' corrisposta un'indennita' di maternita' per
i periodi  di  astensione  obbligatoria  previsti  dall'art.  16  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.   151.   L'indennita'   e'
corrisposta anche per i periodi di divieto anticipato  di  adibizione
al lavoro e per i periodi di interdizione dal lavoro  autorizzati  ai
sensi dell'art. 17 del predetto decreto legislativo n. 151 del  2001.
2. L'indennita' di cui al comma 1 spetta alle lavoratrici  in  favore
delle  quali,  nei  dodici  mesi  precedenti  l'inizio  del   periodo
indennizzabile, risultino  attribuite  almeno  tre  mensilita'  della
contribuzione  dovuta  alla  gestione  separata,   maggiorata   delle
aliquote di cui all'art. 7.  3.  L'indennita'  e'  corrisposta  nella
misura prevista dall'art. 4 del decreto 4 aprile  2002  del  Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12
giugno 2002, n. 136, e secondo  le  modalita'  ivi  previste,  previa
attestazione  di  effettiva  astensione  dal  lavoro  da  parte   del
lavoratore e del committente e resa nelle forme  della  dichiarazione
sostitutiva di atto di notorieta'». 
    Il giudice a quo precisa come il trattamento di maternita' per le
lavoratrici dipendenti sia disciplinato, in caso di gravidanza, dagli
artt. 16 e seguenti del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in caso di adozioni
e affidamenti, dall'art. 26 del medesimo decreto legislativo. 
    Riporta, poi, il contenuto del citato art. 26  -  nella  versione
ante sostituzione ai sensi dell'art. 2, comma 452, della legge n. 244
del 2007 - secondo cui «1. Il  congedo  di  maternita'  di  cui  alla
lettera c), comma 1, dell'articolo 16  puo'  essere  richiesto  dalla
lavoratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto  in  affidamento
un bambino di eta' non superiore a sei anni all'atto dell'adozione  o
dell'affidamento. 2. Il congedo deve essere fruito  durante  i  primi
tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
della lavoratrice». 
    Il Tribunale sottolinea  come,  sulla  base  dei  dati  normativi
riportati,  il  trattamento  di   maternita'   per   le   lavoratrici
dipendenti, autonome o iscritte alla gestione separata,  in  caso  di
adozione o affidamento, avesse contenuto identico. 
    Richiama, poi, l'art.  26  del  d.lgs.  n.  151  del  2001,  come
sostituito dall'art. 2, comma 452 della legge n. 244  del  2007,  nel
seguente tenore: «1. Il  congedo  di  maternita'  come  regolato  dal
presente Capo spetta, per un periodo massimo di  cinque  mesi,  anche
alle lavoratrici che abbiano  adottato  un  minore.  2.  In  caso  di
adozione nazionale, il congedo deve essere  fruito  durante  i  primi
cinque  mesi  successivi  all'effettivo  ingresso  del  minore  nella
famiglia della lavoratrice. 3. In caso di adozione internazionale, il
congedo puo' essere fruito prima dell'ingresso del minore in  Italia,
durante il periodo di permanenza all'estero richiesto per  l'incontro
con il minore e gli adempimenti  relativi  alla  procedura  adottiva.
Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo puo'  essere
fruito entro i cinque mesi  successivi  all'ingresso  del  minore  in
Italia.  4.  La  lavoratrice  che,  per  il  periodo  di   permanenza
all'estero di cui al comma 3, non richieda o richieda solo  in  parte
il congedo di maternita', puo' fruire di un congedo  non  retribuito,
senza diritto ad indennita'. 5. L'ente autorizzato  che  ha  ricevuto
l'incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del
periodo di permanenza all'estero della lavoratrice». 
    Il rimettente osserva come, alla luce delle  modifiche  normative
riportate, mentre per le lavoratrici  dipendenti,  siano  esse  madri
biologiche o  adottive,  e'  prevista  una  identica  tutela  per  la
maternita' che comprende congedo e  relativa  indennita'  per  cinque
mesi, per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla gestione
separata la tutela assume contenuti diversi a seconda che  si  tratti
di madri biologiche o adottive, in quanto per le  prime  l'indennita'
ha una durata di cinque mesi e per le seconde e' limitata ai tre mesi
successivi all'ingresso del minore nella famiglia. 
    1.2.-   Il   giudice   a   quo   esclude   che   sia    possibile
l'interpretazione degli artt. 67 e 64 del d.lgs. n. 151 del  2001  in
senso conforme ai principi costituzionali. 
    In particolare, a suo avviso, il citato art. 67 del d.lgs. n. 151
del 2001 opera un rinvio ricettizio all'art. 26 del medesimo  decreto
legislativo, in quanto la  norma  rinviante  ripete  all'interno  del
proprio corpo il contenuto della disciplina della  norma  richiamata,
come era nella formulazione originaria e cio' renderebbe  insensibile
la disciplina di cui all'art. 67 rispetto  alle  modifiche  apportate
all'art. 26. 
    Il rimettente ritiene, altresi', che l'art. 64 del d.lgs. n.  151
del 2001 non consenta una interpretazione estensiva della tutela  per
la maternita' in favore  delle  lavoratrici  iscritte  alla  gestione
separata che siano genitori adottivi. 
    Al  riguardo,  pone  in  evidenza   come   l'art.   64   realizzi
l'estensione alle lavoratrici autonome della tutela della  maternita'
nelle forme e con le modalita' previste  per  il  lavoro  dipendente,
attraverso il mero rinvio alle previsioni  del  decreto  ministeriale
del 4 aprile 2002 e di un ulteriore decreto destinato a  disciplinare
«l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7,  17  e  22
nei  limiti  delle  risorse  rinvenienti  dallo   specifico   gettito
contributivo, da determinare con il medesimo decreto», poi emanato il
12 luglio 2007. 
    Il detto art. 64 rinvia in modo specifico alle  disposizioni  dei
decreti  ministeriali  che  dettano   una   disciplina   dettagliata,
prevedendo un regime diverso di tutela per le lavoratrici autonome ed
iscritte alla gestione separata a seconda  che  si  tratti  di  madri
biologiche o adottive. 
    In particolare, mentre il d.m. 4 aprile 2002 pone agli artt. 1  e
2 una espressa disciplina differenziata, quello del 12 luglio 2007 fa
esclusivo riferimento alle lavoratrici che siano  genitori  naturali,
in quanto richiama, ai  fini  dell'indennita',  le  previsioni  degli
artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 151 del  2001,  riferite  ai  periodi  di
astensione obbligatoria prima e dopo il parto e alla interdizione dal
lavoro. 
    1.3.-  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente   osserva   che,
dall'accoglimento   della   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale, discenderebbe l'applicazione  alla  ricorrente  della
disciplina prevista per le madri biologiche  lavoratrici  autonome  e
iscritte alla gestione separata con conseguente diritto  a  percepire
l'indennita' di maternita' per cinque mesi. 
    1.4.- Sotto il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo dubita della legittimita'  costituzionale  degli  artt.
67, comma 2,  e  64,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  151  del  2001,  in
riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, e 37 Cost. 
    In primo luogo, le norme censurate  risulterebbero  in  contrasto
con l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio di uguaglianza
e parita' di trattamento che del principio di ragionevolezza. 
    Il Tribunale sottolinea come il sistema normativo a tutela  della
maternita' abbia subito, nel nostro ordinamento, una lunga evoluzione
che ha progressivamente  valorizzato  l'uguaglianza  tra  i  coniugi,
nelle varie categorie di lavoratori, nonche' tra  genitori  biologici
ed adottivi. 
    Evidenzia,    poi,    come,    nell'evoluzione    normativa     e
giurisprudenziale (sentenze nn. 61 e 341 del 1991, nn. 276, 332 e 972
del 1988 e n. 1 del 1987), pur permanendo la coscienza della funzione
sociale  della  maternita',  si  sia  sempre  piu'  dato  rilievo  al
prevalente  interesse  del  bambino,  elevandosi  la   posizione   di
quest'ultimo, quale autonomo titolare di interessi  da  salvaguardare
«non  solo  per  cio'  che  attiene  ai  bisogni  piu'   propriamente
fisiologici, ma anche  in  riferimento  alle  esigenze  di  carattere
relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo  della  sua
personalita'» (sentenze n. 104 del 2003 e n. 179 del 1993). 
    Il giudice a quo pone in rilievo  come,  mentre  nell'ambito  del
lavoro  dipendente  il  legislatore,  attraverso  la   riformulazione
dell'art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001, ha istituito una completa  e
piena equiparazione tra madri biologiche e adottive - prevedendo  che
il congedo di maternita', regolato dagli artt. 16 e seguenti, con  il
relativo trattamento economico, spetti in  entrambi  i  casi  per  un
periodo massimo di cinque mesi - nell'ambito del lavoro autonomo tale
equiparazione  non  e'  stata   realizzata   permanendo   un   regime
differenziato tra madri biologiche  e  adottive,  per  cui  le  prime
godono del trattamento di maternita' per cinque mesi e le seconde per
i tre mesi successivi all'ingresso del bambino in famiglia. 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  tale  disciplina  determina  una
duplice disparita' di trattamento, nell'ambito del  lavoro  autonomo,
tra madri biologiche e  adottive  e,  nella  categoria  dei  genitori
adottivi, a  seconda  che  si  tratti  di  lavoratrici  dipendenti  o
autonome. 
    In particolare, si sottolinea come, tra le lavoratrici  autonome,
il legislatore tratti in modo deteriore le madri adottive rispetto  a
quelle  biologiche,  concedendo   alle   seconde   un'indennita'   di
maternita' per la durata di cinque mesi e alle  prime  per  soli  tre
mesi. 
    Inoltre, si rileva come, con riguardo alla categoria dei genitori
adottivi, il legislatore tratti  in  modo  deteriore  le  lavoratrici
autonome  rispetto  a  quelle  dipendenti,  concedendo   alle   prime
l'indennita' di maternita' per soli  tre  mesi  e  alle  seconde  per
cinque mesi, in entrambi i casi a decorrere dall'ingresso del  minore
in famiglia. 
    Ad avviso del rimettente, il diverso trattamento ai  danni  delle
madri adottive risulta anche irragionevole, in quanto queste  ultime,
siano  esse  lavoratrici  dipendenti  o  autonome,  hanno  le  stesse
esigenze in ordine all'inserimento in famiglia del  bambino  adottato
ed in quanto la disparita' non  puo'  trovare  giustificazione  nelle
differenze esistenti tra lavoro autonomo e dipendente, posto che tali
differenze non riguardano il diritto  delle  madri  di  assistere  il
bambino; e, infatti, esse non rilevano ai fini del trattamento  della
maternita' per le madri naturali. 
    Il Tribunale assume, altresi', il contrasto delle norme censurate
con gli artt. 31, secondo comma, e 37 Cost., in quanto realizzano  un
sistema di protezione della maternita' non adeguato in relazione alla
categoria delle madri lavoratrici autonome che  abbiano  adottato  un
bambino. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Modena, in funzione di  giudice  del  lavoro,
dubita della legittimita' costituzionale degli articoli 64, comma  2,
e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.  151  (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e  sostegno
della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo  15  della
legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli  artt.  3,  31  e  37
della Costituzione, 
    Il rimettente denuncia gli artt. 67, comma  2,  e  64,  comma  2,
«nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici autonome  e  alle
lavoratrici iscritte alla gestione separata e  tenute  al  versamento
della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all'art. 59, comma 16,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che abbiano adottato un minore,
prevedono l'indennita' di maternita'  per  un  periodo  di  tre  mesi
anziche' di cinque mesi». 
    Il giudice a quo e' investito di  un  giudizio  proposto  da  una
lavoratrice autonoma iscritta alla  gestione  separata,  che,  avendo
avuto l'affidamento preadottivo internazionale di un minore e  avendo
ottenuto dall'INPS l'indennita' di maternita' pari a tre  mensilita',
ha  chiesto  l'accertamento  del   proprio   diritto   a   riscuotere
l'indennita' di  maternita'  per  cinque  mensilita'  e  la  condanna
dell'INPS al pagamento delle residue due mensilita', oltre  interessi
legali. 
    Ad avviso del rimettente, le  norme  censurate  violerebbero,  in
primo luogo, l'art. 3 Cost., sotto il profilo della  irragionevolezza
e della disparita' di trattamento. 
    Infatti, per le lavoratrici dipendenti il legislatore, attraverso
la riformulazione dell'art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001 (sostituito
dall'art. 2, comma 452, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recante:
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2008»), avrebbe istituito  una  piena
equiparazione tra madri biologiche  e  adottive,  prevedendo  che  il
congedo di maternita', regolato dagli artt. 16  e  seguenti,  con  il
relativo trattamento economico, spetti in  entrambi  i  casi  per  un
periodo massimo di cinque mesi. Invece, per le lavoratrici autonome e
per quelle iscritte alla gestione separata,  tale  equiparazione  non
sarebbe stata realizzata,  permanendo  un  regime  differenziato  tra
madri biologiche e adottive, per cui le prime godono del  trattamento
di maternita' per cinque mesi e le seconde per i tre mesi  successivi
all'ingresso  del  bambino  in  famiglia,  con  conseguente   duplice
disparita' di trattamento, nell'ambito del lavoro autonomo, tra madri
biologiche e adottive e, nella categoria dei genitori  adottivi,  tra
lavoratrici dipendenti e autonome. 
    Il rimettente assume, inoltre, il contrasto  con  gli  artt.  31,
secondo  comma,  e  37  Cost.   in   quanto   le   norme   denunciate
realizzerebbero  un  sistema  di  protezione  della  maternita'   non
adeguato in relazione alla categoria delle madri lavoratrici autonome
che abbiano adottato un bambino. 
    2.- La questione avente ad oggetto l'art. 67, comma 2, del d.lgs.
26 marzo 2001 n. 151 e' inammissibile. 
    La norma censurata cosi' dispone:  «In  caso  di  adozione  o  di
affidamento,  l'indennita'  di  maternita'  di  cui  all'articolo  66
spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi  successivi
all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia  a  condizione  che
questo non abbia superato i sei anni di eta', secondo quanto previsto
all'articolo 26, o  i  18  anni  di  eta',  secondo  quanto  previsto
all'articolo 27». 
    Detta norma, collocata nel Capo XI - Lavoratrici autonome  -  del
d.lgs. n. 151 del 2001, disciplina le modalita' di  erogazione  della
indennita' di maternita',  in  caso  di  adozione  o  di  affidamento
(preadottivo) nazionale e internazionale, con riguardo alla categoria
delle lavoratrici autonome ed imprenditrici agricole. 
    Nella fattispecie in esame si tratta di una lavoratrice  autonoma
iscritta alla gestione separata di cui all'art. 2,  comma  26,  della
legge 8 agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e  complementare),  rientrante  nella  previsione  della
specifica  normativa  stabilita  dall'art.  64  del  citato   decreto
legislativo, disposizione destinata, per  l'appunto,  a  regolare  la
posizione delle lavoratrici iscritte alla detta gestione separata. 
    Pertanto, il rimettente non deve fare applicazione del  censurato
art. 67, comma 2, in ordine al quale,  del  resto,  non  si  rinviene
nell'ordinanza  una  specifica  motivazione  diretta  a  spiegare  le
ragioni della sua evocazione. 
    Ne deriva che la questione, proposta con riferimento  alla  norma
da ultimo citata, deve essere dichiarata inammissibile per difetto di
rilevanza (ex plurimis: ordinanze nn. 143, 181 e 195 del 2011). 
    3.- La questione avente ad oggetto l'art. 64, comma 2, del d.lgs.
26 marzo 2001 n. 151 e' fondata. 
    Il comma 1 di detta norma stabilisce che «In  materia  di  tutela
della maternita', alle lavoratrici di cui all'articolo 2,  comma  26,
della legge 8 agosto 1995,  n.  335,  non  iscritte  ad  altre  forme
obbligatorie, si  applicano  le  disposizioni  di  cui  al  comma  16
dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449,  e  successive
modificazioni» (si tratta di norma recante disposizioni in materia di
previdenza,  assistenza,  solidarieta'   sociale   e   sanita',   con
particolare riguardo ai profili contributivi). 
    Il comma 2 aggiunge che «Ai sensi del comma 12  dell'articolo  80
della legge 23 dicembre 2000, n.  388,  la  tutela  della  maternita'
prevista dalla disposizione di  cui  al  comma  16,  quarto  periodo,
dell'art. 59 della legge 27 novembre  1997,  n.  449,  avviene  nelle
forme e con le modalita' previste per il  lavoro  dipendente.  A  tal
fine, si applica il d.m 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e  delle
finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  136  del  12  giugno
2002. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale,
di concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  e'
disciplinata l'applicazione delle disposizioni di cui  agli  articoli
7, 17 e 22 nei  limiti  delle  risorse  rinvenienti  dallo  specifico
gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto». 
    Il citato d.m. 4 aprile  2002,  nell'art.  2,  sotto  la  rubrica
«Indennita' in caso di adozione o affidamento», al  comma  2  dispone
che: «In caso di adozione o affidamento  preadottivo  internazionale,
disciplinati dal titolo III della legge 4  maggio  1983,  n.  184,  e
successive modificazioni, l'indennita' di cui all'art. 1 spetta,  per
i tre mesi successivi all'effettivo  ingresso  nella  famiglia  della
lavoratrice  del  minore,   anche   se   quest'ultimo,   al   momento
dell'adozione o dell'affidamento, abbia superato i sei anni e fino al
compimento della maggiore eta'. L'Ente autorizzato, che  ha  ricevuto
l'incarico di curare la procedura di adozione, certifica la  data  di
ingresso del minore e l'avvio  presso  il  tribunale  italiano  delle
procedure  di   conferma   della   validita'   dell'adozione   o   di
riconoscimento dell'affidamento preadottivo». 
    L'art. 1  del  detto  d.m.,  richiamato  nella  disposizione  ora
trascritta, riguarda l'indennita' di maternita' spettante alle  madri
lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2,  comma
26, della legge n.  335  del  1995,  e  tenute  al  versamento  della
contribuzione dello 0,5 per cento di cui all'art. 59, comma 16, della
legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la  stabilizzazione  della
finanza pubblica). 
    Come  si  vede,  dal  combinato  disposto  della  normativa   ora
richiamata - e, in particolare, dall'art. 64, comma 2, del d.lgs.  n.
151 del 2001, e successive modificazioni, in modo espresso  integrato
dal d.m. 4  aprile  2002  -  risulta  che,  in  caso  di  affidamento
preadottivo  internazionale  (come  nella  specie),  l'indennita'  di
maternita' alle lavoratrici iscritte alla gestione  separata  di  cui
all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 spetta  per  i  tre
mesi successivi all'effettivo  ingresso  del  minore  nelle  famiglie
delle lavoratrici stesse. 
    Invece, per le lavoratrici dipendenti il  congedo  di  maternita'
(durante il quale e' dovuta la relativa indennita': art. 22, comma 1,
del d.lgs. n. 151 del 2001 e successive modificazioni) spetta per  un
periodo di cinque mesi  (artt.  16  e  seguenti  del  citato  decreto
legislativo)  e  per  analogo  periodo  e'  riconosciuto  anche  alle
lavoratrici che abbiano adottato un minore, sia in caso  di  adozione
nazionale sia in caso di adozione internazionale (art. 26,  commi  1,
2, 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, come sostituito dall'art. 2,  comma
452, della legge n. 244 del 2007). 
    Va notato che l'art. 26 non  menziona  l'affidamento  preadottivo
(artt. da 22 a  24  della  legge  n.  184  del  1983  per  l'adozione
nazionale e artt. da 29 a 39  della  medesima  legge  per  l'adozione
internazionale), come faceva, invece,  espressamente  l'art.  27  del
d.lgs. n. 151 del 2001, norma abrogata dall'art. 2, comma 453,  della
legge n. 244 del 2007; invece prevede (art.  26,  comma  6)  il  caso
dell'affidamento non preadottivo (art.  2  della  legge  n.  184  del
1983), per il quale stabilisce una durata massima del congedo in mesi
tre. 
    Tuttavia,   si   deve   escludere   che   il   mancato   richiamo
dell'affidamento  preadottivo  sia  conseguenza  di  una  scelta  del
legislatore  (per  effetto  della  quale,  peraltro,  tale  forma  di
affidamento resterebbe priva di copertura legislativa  nella  materia
in esame), dovendosi piuttosto ritenere che la sua  stretta  inerenza
al provvedimento di adozione (come si evince anche  dagli  artt.  34,
primo comma, 39, primo comma, lettera h, della legge n. 184 del  1983
per l'adozione internazionale) imponga di considerare implicito nella
disciplina delle forme di adozione (nazionale e internazionale) anche
il  richiamo  all'affidamento  preadottivo.  Lo  stesso   INPS,   con
circolare del 4 febbraio 2008, n. 16, ha precisato, che, analogamente
a quanto previsto in  caso  di  adozione  nazionale,  la  lavoratrice
dipendente che adotta un minore straniero ha  diritto  all'astensione
dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi a prescindere  dall'eta'
del minore all'atto dell'adozione e che  le  relative  istruzioni  si
applicano anche laddove,  al  momento  dell'ingresso  del  minore  in
Italia, lo stesso si  trovi  in  affidamento  preadottivo  (art.  35,
quarto comma, della legge n. 184 del 1983). 
    Cio' posto si deve osservare  che,  come  questa  Corte  ha  gia'
affermato, gli istituti nati  a  salvaguardia  della  maternita'  non
hanno piu', come  in  passato,  il  fine  precipuo  ed  esclusivo  di
protezione della donna, ma sono destinati  anche  alla  garanzia  del
preminente interesse del minore, che va  tutelato  non  soltanto  per
quanto attiene ai bisogni piu' propriamente fisiologici ma  anche  in
riferimento alle esigenze  di  carattere  relazionale  ed  affettivo,
collegate allo sviluppo della sua personalita' (sentenze n.  385  del
2005 e n. 179 del 1993). 
    Tale  principio  e'  tanto  piu'  presente   nelle   ipotesi   di
affidamento preadottivo e di adozione, nelle quali  l'astensione  dal
lavoro non e' finalizzata solo alla tutela della salute della  madre,
ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e  crescita  del
bambino (sentenza n. 385 del 2005), creando le condizioni di una piu'
intensa  presenza  degli  adottanti,  cui  spetta  (tra  l'altro)  la
responsabilita' di gestire la delicata fase dell'ingresso del  minore
nella sua nuova famiglia. 
    In  questo  quadro,   non   si   giustifica,   ed   appare   anzi
manifestamente  irragionevole,  che,  con  riferimento  alla   stessa
categoria dei genitori adottivi, mentre alle lavoratrici  dipendenti,
che abbiano adottato o avuto in affidamento  preadottivo  un  minore,
spetta un congedo di maternita'  (con  relativa  indennita')  per  un
periodo  massimo  di  cinque  mesi,  sia  in  caso  di  adozione   (o
affidamento preadottivo) nazionale che internazionale (art. 26, commi
1, 2 e 3 del d.lgs. n. 151 del 2001), alle lavoratrici iscritte  alla
gestione separata sia riconosciuta un'indennita'  di  maternita'  per
soli tre mesi. L'irragionevolezza di tale  trattamento  differenziato
e' palese, ove si consideri che, in entrambi i casi, si verte in tema
di adozione o di affidamento preadottivo. 
    E' vero che tra lavoratrici  dipendenti  e  lavoratrici  iscritte
alla gestione separata  sussistono  differenze  che  rendono  le  due
categorie non omogenee. Nella questione in  esame  pero'  vengono  in
rilievo non gia' tali diversita', bensi' la  necessita'  di  adeguata
assistenza per il minore nella  delicata  fase  del  suo  inserimento
nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo  ingresso  nella
famiglia stessa, e tale necessita' si presenta con connotati identici
per entrambe le categorie di lavoratrici. 
    Ne deriva che la  discriminazione  sopra  riscontrata  si  rivela
anche lesiva del principio di  parita'  di  trattamento  tra  le  due
figure di lavoratrici sopra indicate che, con  riguardo  ai  rapporti
con il minore (adottato o  affidato  in  preadozione),  nonche'  alle
esigenze che dai rapporti stessi  derivano,  stante  l'identita'  del
bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza. 
    Conclusivamente,   deve   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 64, comma 2, del d.lgs.  n.  151  del  2001,
come integrato dal richiamo al d.m. 4 aprile 2002  del  Ministro  del
lavoro e  delle  politiche  sociali,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
136 del 12 giugno  2002,  nella  parte  in  cui,  relativamente  alle
lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2,  comma
26, della legge n. 335 del 1995, che  abbiano  adottato  o  avuto  in
affidamento preadottivo un minore, prevede l'indennita' di maternita'
per un periodo di tre mesi anziche' di cinque mesi. 
    Ogni altro profilo rimane assorbito.