ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  1,
comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria  2007),  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro,  nel  procedimento  vertente  tra  l'INPS  e  Lorenzon  Guido
Luciano, con ordinanza del 15 novembre 2011, iscritta al  n.  10  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  ottobre  2012  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato Sergio Preden  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio civile - promosso da  un  lavoratore
contro l'INPS, per ottenere la riliquidazione della maturata pensione
di anzianita' sulla base della retribuzione effettivamente  percepita
durante il periodo  di  lavoro  in  Svizzera,  in  luogo  di  quella,
inferiore, figurativamente rideterminata  dall'istituto  in  rapporto
alle aliquote contributive svizzere, piu' basse di quelle italiane  -
la Corte  di  cassazione,  adita  su  ricorso  dell'INPS  avverso  la
sentenza  d'appello  favorevole  al  pensionato,  ha  sollevato,  con
l'ordinanza in epigrafe,  questione  di  legittimita'  costituzionale
della norma, che il ricorrente lamentava violata, di cui all'articolo
1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2007). 
    La norma denunciata - in dichiarata interpretazione dell'articolo
5, secondo comma, del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  27
aprile 1968, n.  488  (Aumento  e  nuovo  sistema  di  calcolo  delle
pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) - prevede
sostanzialmente che la retribuzione percepita all'estero, da porre  a
base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine
di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi
versati nel nostro Paese nel medesimo periodo. 
    La Corte rimettente ricorda che la predetta disposizione e'  gia'
stata oggetto di sindacato da parte di  questa  Corte,  che,  con  la
sentenza n. 172 del 2008, ha  respinto  i  dubbi  -  sollevati  dalla
stessa Corte di cassazione - di contrasto  con  gli  artt.  3,  primo
comma, 35, quarto  comma,  38,  secondo  comma,  della  Costituzione,
affermando, tra l'altro, che la  disposizione  impugnata  aveva  reso
esplicito un  precetto  gia'  contenuto  nelle  disposizioni  oggetto
dell'interpretazione autentica. 
    Cio' posto, il  giudice  a  quo  solleva  un  diverso  dubbio  di
illegittimita'  costituzionale   della   norma   in   questione,   in
riferimento, questa  volta,  all'articolo  117,  primo  comma,  della
Costituzione,  in  relazione  all'articolo  6,  paragrafo  1,   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848  (Ratifica  ed
esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, in particolare,  con  la  sentenza  della  seconda
sezione del 31 maggio 2011, Maggio ed altri  contro  Italia,  con  la
quale e' stato ritenuto che l'art. 1, comma 777, della legge  n.  296
del 2006 ha violato i diritti dei ricorrenti,  intervenendo  in  modo
decisivo per impedire che l'esito del procedimento in cui erano parti
fosse loro favorevole. 
    2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si e' costituito l'INPS,  che
ha concluso per la infondatezza della  questione,  ritenendo  che  la
valutazione di conformita' a Costituzione della normativa  impugnata,
gia' espressa da questa Corte con la sentenza  n.  172  del  2008  in
riferimento ad altri parametri, possa essere estesa  anche  a  quello
oggi invocato. Rileva, al riguardo, che, secondo la  stessa  sentenza
della Corte europea richiamata dal Collegio rimettente,  l'intervento
del legislatore ha sanato una situazione di ingiustificata disparita'
di trattamento sussistente tra i pensionati  che  hanno  lavorato  in
Italia e quelli che hanno prestato la propria attivita'  in  Svizzera
trasferendo poi i contributi in Italia. L'estensione della  norma  ai
giudizi  pendenti,  secondo  l'INPS,  risulterebbe  coerente  con  la
funzione di eliminare tale squilibrio. 
    3.-  Nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, che ha parimenti  concluso  per  la  infondatezza  della
questione, rilevando che la norma censurata  mira  ad  uniformare  il
sistema previdenziale,  garantendo  parita'  di  trattamento  tra  il
lavoro prestato all'estero e quello svolto in Italia. Ricorrerebbero,
pertanto, secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  le  ragioni
imperative  di   interesse   generale   che   consentono   interventi
interpretativi e retroattivi. La norma in questione, inoltre, sarebbe
stata adottata al dichiarato fine di escludere l'incidenza di effetti
onerosi tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli
impegni assunti  dall'Italia  con  l'Unione  europea  in  materia  di
contenimento della spesa pensionistica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte e' chiamata a decidere se l'articolo 1,  comma  777,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2007), che, nel fornire la interpretazione dell'articolo  5,  secondo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n.
488 (Aumento e nuovo sistema  di  calcolo  delle  pensioni  a  carico
dell'assicurazione generale  obbligatoria),  sostanzialmente  prevede
che la retribuzione percepita all'estero, da porre a base del calcolo
della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire  lo
stesso rapporto percentuale previsto per  i  contributi  versati  nel
nostro Paese nel medesimo periodo, introducendo nell'ordinamento  una
interpretazione della disciplina  de  qua  in  senso  non  favorevole
rispetto alle posizioni degli assicurati, si ponga in  contrasto  con
l'articolo  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in   relazione
all'articolo  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della  Convezione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre  1950,  e  del  Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il  20  marzo
1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    2.- In particolare, la  pronuncia  della  Corte  EDU  cui  si  fa
riferimento e' la sentenza del 31 maggio 2011, resa nel  caso  Maggio
ed  altri  contro  Italia,  secondo  la  quale   con   la   censurata
disposizione lo Stato italiano ha violato i  diritti  dei  ricorrenti
intervenendo  in  modo  decisivo  per  garantire  che   l'esito   del
procedimento in cui  esso  era  parte  attraverso  l'INPS  gli  fosse
favorevole, senza che sussistessero impellenti  motivi  di  interesse
generale, e privando di rilievo, con lo  stabilire  la  salvezza  dei
(soli) trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati  alla
data di entrata in vigore della legge, la prosecuzione  del  giudizio
per un'intera categoria di persone che si trovavano  nella  posizione
dei ricorrenti nel giudizio a quo. 
    3.- La questione non e' fondata. 
    3.1.- E' preliminarmente  necessaria,  al  fine  di  un  corretto
inquadramento  del  problema,  una  sintetica   ricostruzione   della
evoluzione legislativa sulla  questione  delle  cosiddette  "pensioni
svizzere", che  ha  origine  dal  diverso  trattamento  pensionistico
derivato dalla entrata in vigore della norma censurata ai  lavoratori
che hanno prestato servizio nella Confederazione elvetica. 
    In base  al  sistema  «retributivo»  di  computo  delle  pensioni
erogate  dall'assicurazione  generale  obbligatoria  introdotto   dal
d.P.R. n. 488 del  1968,  la  pensione  si  calcola  applicando  alla
retribuzione annua pensionabile, cioe' alla retribuzione annua  media
percepita dal lavoratore durante un certo periodo di riferimento,  un
coefficiente proporzionato al  numero  complessivo  di  settimane  di
contribuzione vantate dall'interessato. 
    3.1.1.- Per cio' che concerne il regime dei contributi versati in
Svizzera e trasferiti in Italia in forza dell'Accordo aggiuntivo alla
Convenzione tra  l'Italia  e  la  Svizzera  relativo  alla  sicurezza
sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il  4  luglio  1969  e
ratificato con legge 18 maggio 1973, n.  283,  si  era  affermato  un
orientamento  giurisprudenziale  -  sempre  contestato  dall'INPS   -
secondo il quale  il  lavoratore  italiano,  che  avesse  chiesto  il
trasferimento a detto ente dei contributi versati in Svizzera in  suo
favore, aveva diritto di ottenere che la pensione venisse determinata
con   il   metodo   retributivo   sulla   base   della   retribuzione
effettivamente percepita in Svizzera, nonostante i  contributi  cola'
accreditati fossero stati versati secondo l'aliquota  prevista  dalla
legislazione   elvetica,   inferiore   a   quella   stabilita   dalla
legislazione italiana. Espressione di tale orientamento sono, tra  le
altre, le sentenze della Corte di legittimita' n. 7455 del  2005,  n.
4623 e n. 20731 del 2004. 
    Successivamente, era intervenuta, appunto, la  legge  finanziaria
2007 (legge n. 296 del 2006),  che,  all'art.  1,  comma  777,  aveva
stabilito che «l'articolo 5, secondo comma, del  d.P.R.  n.  488  del
1968, e successive modificazioni, si interpreta  nel  senso  che,  in
caso di trasferimento presso  l'assicurazione  generale  obbligatoria
italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri
in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di  sicurezza
sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi  di  lavoro
svolto nei Paesi esteri e' determinata  moltiplicando  l'importo  dei
contributi  trasferiti  per  cento  e  dividendo  il  risultato   per
l'aliquota contributiva per invalidita', vecchiaia  e  superstiti  in
vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti  salvi
i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla  data
di entrata in vigore della presente legge». 
    3.1.2.- La Corte  di  cassazione  aveva  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  di  tale  norma  in  riferimento   agli
articoli 3, primo comma, 35, quarto comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione, ritenendo che essa avesse  introdotto  nell'ordinamento
una  interpretazione  della  disciplina  applicabile  in  senso   non
favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 172  del  2008,  aveva  respinto
tali dubbi di contrasto con la Costituzione, affermando, tra l'altro,
che la disposizione impugnata ha  reso  esplicito  un  precetto  gia'
contenuto nelle disposizioni oggetto dell'interpretazione  autentica,
e  che,   quindi,   sotto   tale   profilo,   non   e'   affetta   da
irragionevolezza. Inoltre, aveva  osservato  al  riguardo  che  essa,
assegnando alla disposizione interpretata un  significato  rientrante
nelle possibili letture del testo originario,  non  determina  alcuna
lesione    dell'affidamento    del    cittadino    nella     certezza
dell'ordinamento giuridico, anche perche'  nella  fattispecie  l'ente
previdenziale ha continuato a contestare la interpretazione sostenuta
dalle controparti private, ed accolta dalla giurisprudenza,  rendendo
cosi' reale il dubbio ermeneutico. 
    Del pari, era  stata  esclusa  la  violazione  del  principio  di
eguaglianza, perche' la salvezza delle posizioni dei lavoratori,  cui
gia' sia stato liquidato  il  trattamento  pensionistico  secondo  un
criterio piu'  favorevole,  risponde,  questo  si',  all'esigenza  di
rispettare il principio dell'affidamento e i diritti ormai  acquisiti
di detti lavoratori. 
    Ne' era stato ravvisato alcun vulnus all'art. 35,  quarto  comma,
Cost., perche' l'art. 1, comma 777, della legge n. 296 del  2006  non
attribuisce al lavoro prestato all'estero  un  trattamento  deteriore
rispetto a quello svolto in Italia, ma anzi assicura la  razionalita'
complessiva del sistema previdenziale, evitando che, a fronte di  una
esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le
stesse  utilita'   che   chi   ha   prestato   attivita'   lavorativa
esclusivamente  in  Italia  puo'  conseguire  solo  grazie   ad   una
contribuzione molto piu' gravosa. 
    Infine, la Corte  aveva  escluso  il  contrasto  con  l'art.  38,
secondo comma, Cost., perche' la norma censurata non determina alcuna
riduzione  ex  post  del  trattamento  previdenziale   spettante   ai
lavoratori. Essa, in definitiva, non fa altro che imporre  per  legge
un'interpretazione gia' desumibile dalle  disposizioni  interpretate.
Ne' la rimettente offre - aveva sottolineato la Corte - elementi  per
far ritenere che la  norma  determini  un  trattamento  pensionistico
addirittura insufficiente al soddisfacimento delle esigenze  di  vita
del lavoratore. 
    A seguito di tale pronuncia, il  giudice  di  legittimita'  aveva
modificato  il  proprio  orientamento,  sostenendo  il  carattere  di
disposizione di interpretazione autentica  dell'art.  1,  comma  777,
della legge n. 296 del 2006 (v. Cass., sez. un., n. 17076  del  2011;
Cass., n. 23754 del 2008). 
    3.1.3.-  Tuttavia,  successivamente,  su  identica  questione  e'
intervenuta la Corte EDU, la quale, con la richiamata  sentenza  resa
nel caso Maggio, ha ritenuto  che  con  tale  disposizione  lo  Stato
italiano abbia violato i diritti dei ricorrenti intervenendo in  modo
decisivo per garantire che l'esito del procedimento in cui  esso  era
parte gli fosse favorevole. 
    Detta  sentenza  pone  a  fondamento  del  decisum  le   seguenti
argomentazioni, come richiamate nella  ordinanza  di  rimessione:  1)
benche' non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante  nuove
disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi  in  vigore,  il
principio della preminenza del diritto [rectius: rule of  law]  e  la
nozione di  equo  processo  contenuti  nell'articolo  6  impediscono,
tranne   che   per   impellenti   motivi   di   interesse   generale,
l'interferenza del legislatore nell'amministrazione  della  giustizia
allo scopo  di  influenzare  la  determinazione  giudiziaria  di  una
controversia; 2) benche'  le  regole  pensionistiche  previste  dalla
legge possano cambiare e non si  possa  fare  affidamento  su  di  un
orientamento giurisprudenziale come garanzia contro tali cambiamenti,
anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari di
prestazioni previdenziali, lo Stato  non  puo'  interferire  in  modo
arbitrario nella procedura giudiziaria; 3)  nel  caso  in  esame,  la
legge ha escluso espressamente dal  suo  ambito  di  applicazione  le
sentenze  diventate  irrevocabili  (trattamenti  pensionistici   gia'
liquidati) e ha fissato retroattivamente i termini delle controversie
davanti ai tribunali ordinari. Invero la promulgazione della legge n.
296 del 2006,  mentre  i  procedimenti  erano  pendenti,  in  realta'
incideva sul merito delle controversie,  e  la  sua  applicazione  da
parte dei vari tribunali ordinari ha  privato  di  rilievo,  per  una
intera categoria di persone che  si  trovavano  nella  posizione  dei
ricorrenti, la prosecuzione del giudizio; 4) al fine  di  determinare
l'esistenza di un motivo impellente di interesse generale in grado di
legittimare l'ingerenza del  legislatore  nell'amministrazione  della
giustizia, il rispetto della preminenza del diritto [rule of  law]  e
delle regole dell'equo processo impone che  le  ragioni  addotte  per
giustificare tale misura siano  valutate  con  il  massimo  grado  di
cautela possibile; 5) considerazioni  di  carattere  finanziario  non
possono, da sole, giustificare che il legislatore si  sostituisca  al
giudice al fine di risolvere le controversie; dopo il 1982, l'INPS ha
applicato una interpretazione della legge in vigore all'epoca che era
piu' favorevole ad esso in qualita'  di  autorita'  erogatrice:  tale
ricostruzione normativa non era  condivisa  dalla  maggioranza  della
giurisprudenza; 6) quanto alla tesi del Governo secondo cui la  legge
si era resa necessaria per  ristabilire  un  equilibrio  nel  sistema
pensionistico, eliminando qualsiasi vantaggio  goduto  dalle  persone
che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi  inferiori,  se
la Corte  europea  accetta  questa  come  una  ragione  di  interesse
generale, non e' persuasa  che  si  tratti  di  argomenti  abbastanza
convincenti  da  superare  i  pericoli   insiti   nell'uso   di   una
legislazione  retroattiva,  che  ha  l'effetto  di   influenzare   la
determinazione giudiziaria di una controversia  pendente  in  cui  lo
Stato era parte. 
    3.2.- Ed e' proprio con riguardo alle esposte argomentazioni alla
base della citata sentenza Maggio che il rimettente sospetta  ora  la
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777, della legge  n.
296 del 2006 per contrasto con l'art.  117,  primo  comma,  Cost.  in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU come interpretato dalla
pronuncia medesima. 
    Sottolinea il giudice rimettente che spetta  a  questa  Corte  il
controllo del rispetto dei cosiddetti controlimiti,  tanto  piu'  nel
caso di specie, in cui e' gia' intervenuta una sua  sentenza  che  ha
vagliato la disciplina sostanziale di cui si tratta in riferimento  a
diversi  parametri  costituzionali,  nonche'  avuto   riguardo   alle
affermazioni della stessa Corte EDU, secondo cui fare salvi i  motivi
imperativi di interesse  generale  che  suggeriscono  al  legislatore
nazionale interventi interpretativi deve lasciare  ai  singoli  Stati
contraenti quanto  meno  «una  parte  del  compito  e  dell'onere  di
identificarli, in quanto nella  posizione  migliore  per  assolverlo,
trattandosi,  tra  l'altro,  degli  interessi  che  sono  alla   base
dell'esercizio del potere legislativo». 
    4.- Ai fini  dello  scrutinio  della  questione  proposta,  giova
richiamare la giurisprudenza costituzionale  sulla  efficacia  e  sul
ruolo  delle  norme  CEDU  chiamate   ad   integrare   il   parametro
dell'articolo 117, primo comma, Cost. 
    A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007,  questa  Corte
ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU - nel  significato
loro  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti   dell'uomo,
specificamente  istituita  per  dare  ad  esse   interpretazione   ed
applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione)  -  integrano,
quali  norme  interposte,  il   parametro   costituzionale   espresso
dall'art. 117, primo comma, Cost.,  nella  parte  in  cui  impone  la
conformazione della legislazione interna ai vincoli  derivanti  dagli
obblighi internazionali» (sentenze n.  236,  n.  113,  n.  80  -  che
conferma la validita' di tale ricostruzione dopo l'entrata in  vigore
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 - e n. 1  del  2011;  n.
196 del 2010; n. 311 del 2009). 
    Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma  interna  e
una norma della CEDU,  quindi,  «il  giudice  nazionale  comune  deve
preventivamente verificare la  praticabilita'  di  un'interpretazione
della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a  tutti  i
normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113
del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se  questa  verifica  da'
esito negativo  e  il  contrasto  non  puo'  essere  risolto  in  via
interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la  norma
interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la
CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo,
e  pertanto  con  la  Costituzione,  deve  denunciare   la   rilevata
incompatibilita'   proponendo   una   questione    di    legittimita'
costituzionale in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti  di  una  norma
convenzionale ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale
generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e
n. 311 del 2009). 
    4.1.-  Nella  giurisprudenza  costituzionale  si   e',   inoltre,
reiteratamente  affermato  che,  con  riferimento   ad   un   diritto
fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo'  mai
essere causa di una diminuzione di  tutela  rispetto  a  quelle  gia'
predisposte dall'ordinamento interno,  ma  puo'  e  deve,  viceversa,
costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. 
    Del resto, l'art. 53  della  stessa  Convenzione  stabilisce  che
l'interpretazione delle disposizioni CEDU non puo' implicare  livelli
di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. 
    Di  conseguenza,  il  confronto   tra   tutela   prevista   dalla
Convenzione e tutela costituzionale  dei  diritti  fondamentali  deve
essere effettuato mirando alla  massima  espansione  delle  garanzie,
concetto nel quale deve essere compreso,  come  gia'  chiarito  nelle
sentenze nn. 348 e 349 del  2007,  il  necessario  bilanciamento  con
altri interessi costituzionalmente protetti, cioe'  con  altre  norme
costituzionali, che a loro volta  garantiscano  diritti  fondamentali
che potrebbero essere incisi dall'espansione di una singola tutela. 
    Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale  -  elaborato
dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento  alla
rigidita' dei principi formulati in sede europea - deve essere sempre
presente nelle valutazioni di questa Corte, cui  non  sfugge  che  la
tutela  dei  diritti  fondamentali  deve  essere  sistemica   e   non
frazionata in una serie di norme  non  coordinate  ed  in  potenziale
conflitto tra loro. 
    4.2.- In definitiva, se, come  piu'  volte  affermato  da  questa
Corte (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93  del  2010,  n.
311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007),  il
giudice delle leggi non puo' sostituire la propria interpretazione di
una disposizione della CEDU a quella  data  in  occasione  della  sua
applicazione al caso di specie dalla Corte di  Strasburgo,  con  cio'
superando i confini delle proprie  competenze  in  violazione  di  un
preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione  e
la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione,  esso
pero' e' tenuto a valutare come ed  in  quale  misura  l'applicazione
della  Convenzione  da  parte  della  Corte  europea   si   inserisca
nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel  momento
in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., come norma
interposta, diviene oggetto di bilanciamento,  secondo  le  ordinarie
operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti  i  giudizi  di  sua
competenza (sent.  n.  317  del  2009).  Operazioni  volte  non  gia'
all'affermazione della primazia dell'ordinamento nazionale,  ma  alla
integrazione delle tutele. 
    5.- E' in applicazione di tali principi che deve  essere  risolta
la questione all'odierno esame. 
    5.1.- Il vincolo per la Corte, nel caso di specie, e'  costituito
dalla applicazione che  la  Corte  EDU  ha  operato,  nella  sentenza
Maggio, dell'art. 6,  paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, stabilendo che «benche' non sia precluso al  corpo
legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive,
diritti derivanti da leggi in vigore, il principio  della  preminenza
del diritto e la nozione di equo processo  contenuti  nel  richiamato
art. 6 precludono, tranne che  per  impellenti  motivi  di  interesse
generale, l'interferenza del corpo  legislativo  nell'amministrazione
della giustizia con il proposito  di  influenzare  la  determinazione
giudiziaria di una controversia». La Corte  europea  ha  ritenuto  di
"non essere persuasa" del fatto che il motivo di  interesse  generale
fosse sufficientemente impellente da  superare  i  pericoli  inerenti
all'utilizzo della legislazione retroattiva, e  percio'  ha  concluso
che, nel caso ad essa sottoposto, lo Stato aveva  violato  i  diritti
dei ricorrenti ai  sensi  della  citata  disposizione  convenzionale,
intervenendo  in  modo  decisivo  per  garantire  che   l'esito   del
procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole. 
    5.2.- Peraltro,  siffatta  impostazione  risulta  sostanzialmente
coincidente con i principi enunciati da questa Corte con riguardo  al
divieto di retroattivita' della legge, che,  pur  costituendo  valore
fondamentale di civilta' giuridica, non  riceve  nell'ordinamento  la
tutela privilegiata di cui all'art. 25  Cost.  (sentenze  n.  15  del
2012, n. 236 del 2011  e  n.  393  del  2006).  Il  legislatore,  nel
rispetto di tale previsione,  puo'  emanare  -  come  rilevato  nelle
citate sentenze - disposizioni retroattive, anche di  interpretazione
autentica, purche' la retroattivita' trovi  adeguata  giustificazione
nella esigenza di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi  imperativi  di
interesse generale» ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU. 
    La richiamata disposizione convenzionale,  come  applicata  dalla
Corte europea, integra, quindi, pianamente il parametro dell'articolo
117, primo comma, della Costituzione, rispetto al quale  il  Collegio
rimettente  ripropone  il  dubbio  di  illegittimita'  costituzionale
dell'articolo 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006. 
    5.3.-  Tuttavia,  nell'attivita'  di  bilanciamento   con   altri
interessi costituzionalmente  protetti  cui,  come  dianzi  chiarito,
anche in questo caso e' chiamata questa Corte, rispetto  alla  tutela
dell'interesse sotteso al  parametro  come  sopra  integrato  prevale
quella degli interessi antagonisti,  di  pari  rango  costituzionale,
complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione
censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi quei preminenti
interessi generali che  giustificano  il  ricorso  alla  legislazione
retroattiva. 
    Ed  infatti,  gli  effetti   di   detta   disposizione   ricadono
nell'ambito di un sistema previdenziale tendente alla  corrispondenza
tra le  risorse  disponibili  e  le  prestazioni  erogate,  anche  in
ossequio al vincolo imposto dall'articolo  81,  quarto  comma,  della
Costituzione, ed assicura la  razionalita'  complessiva  del  sistema
stesso  (sent.  n.  172  del  2008),  impedendo   alterazioni   della
disponibilita' economica a svantaggio di  alcuni  contribuenti  ed  a
vantaggio di altri, e cosi' garantendo il rispetto  dei  principi  di
uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro  carattere  fondante,
occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con  gli  altri
valori costituzionali. 
    E'  ispirata,  invero,  ai   principi   di   uguaglianza   e   di
proporzionalita' una legge che tenga conto della  circostanza  che  i
contributi versati in Svizzera siano quattro volte inferiori a quelli
versati in Italia e operi, quindi,  una  riparametrazione  diretta  a
rendere i contributi proporzionati alle prestazioni,  a  livellare  i
trattamenti,  per  evitare  sperequazioni  e  a  rendere  sostenibile
l'equilibrio del sistema  previdenziale  a  garanzia  di  coloro  che
usufruiscono delle sue prestazioni. 
    5.4.- Ne' e' priva di rilievo  la  circostanza  che  la  sentenza
della Corte EDU, che e' tenuta a tutelare in modo parcellizzato,  con
riferimento a singoli diritti, i diversi  valori  in  giuoco,  da  un
lato, ritenga sussistente, nella specie, la  violazione  del  diritto
dei ricorrenti ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro
un indennizzo, e, dall'altro, escluda la violazione  dell'articolo  1
del Protocollo n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto  il  profilo
dell'ingerenza nel pacifico godimento dei  loro  beni  attraverso  la
riduzione della pensione. 
    La esclusione della violazione dell'articolo 1 del Protocollo  n.
1 e' motivata dai giudici europei alla stregua  della  considerazione
che la legge n. 296 del 2006 persegue un interesse  pubblico,  quello
di fornire un metodo di calcolo della pensione armonizzato,  al  fine
di garantire  un  sistema  previdenziale  sostenibile  e  bilanciato,
evitando  che  i   ricorrenti   possano   beneficiare   di   vantaggi
ingiustificati, e che il sacrificio subito da costoro non e' tale  da
pregiudicarne i diritti pensionistici nella loro essenza, avendo essi
perso  solo  un  ammontare  parziale  della  pensione.  Pertanto,  la
sentenza, non senza considerare  «l'ampio  margine  di  apprezzamento
dello Stato nel disciplinare il suo sistema  pensionistico»,  rigetta
la domanda di riliquidazione della pensione. 
    A  differenza  della  Corte  EDU,  questa  Corte,   come   dianzi
precisato, opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori
coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata,  ed  e',  quindi,
tenuta a quel bilanciamento,  solo  ad  essa  spettante,  che,  nella
specie, da' appunto luogo alla soluzione indicata. 
    E cio' anche considerando, a contrario, che una declaratoria  che
non fosse di infondatezza della questione, e che espungesse,  quindi,
la norma censurata dall'ordinamento, inciderebbe necessariamente  sul
regime pensionistico in  esame,  cosi'  contraddicendo  non  solo  il
sistema nazionale di valori  nella  loro  interazione,  ma  anche  la
sostanza della decisione della Corte EDU di cui  si  tratta,  che  ha
negato accoglimento alla domanda dei ricorrenti di riconoscimento del
criterio di calcolo della contribuzione ad essi piu' favorevole. 
    Conclusivamente,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata con l'ordinanza in  epigrafe  deve  essere  dichiarata  non
fondata.