ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  63,
comma 1, numero 4, del decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267
(Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti   locali),
promosso dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento  vertente
tra P. P. e B. E. ed altri,  con  ordinanza  del  1°  febbraio  2012,
iscritta al n. 128 del registro ordinanze  2012  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  26,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 ottobre  2012  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio - promosso da un cittadino
elettore nei confronti del Sindaco di Azzano Decimo,  per  accertarne
l'incompatibilita'  sopravvenuta  a  mantenere  tale  carica  e   per
dichiararne la  decadenza,  in  ragione  della  opposizione,  da  lui
proposta davanti al Giudice  di  pace  di  Pordenone,  alla  sanzione
amministrativa irrogatagli  dalla  Polizia  municipale  dello  stesso
Comune per violazione del codice della strada - la Corte d'appello di
Trieste, con ordinanza emessa  il  1°  febbraio  2012,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 63,  comma  1,
numero 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali),  per  contrasto  con
gli articoli 3, 51 e 24 della Costituzione, «nella parte in cui  esso
non esclude [recte: "nella parte in cui esso esclude"]  le  cause  di
opposizione ex lege 681/1989 dal novero di quelle che non determinano
la decadenza ovvero l'incompatibilita' al pari di quelle tributarie»; 
    che - descritte analiticamente le vicende processuali  che  hanno
condotto,  da  un  lato,  il  Tribunale  ordinario  di  Pordenone  ad
accogliere il  ricorso  in  primo  grado  e,  dall'altro  lato,  alla
riassunzione del giudizio di appello a seguito della  cassazione,  da
parte della Suprema Corte, della sentenza con cui la  medesima  Corte
d'appello aveva dichiarato l'estinzione del giudizio  elettorale  per
mancata integrazione del contraddittorio  con  altri  soggetti  -  la
rimettente osserva che la legislazione in materia di incompatibilita'
degli  amministratori  locali,  nell'ipotesi  di  lite  pendente,  ha
progressivamente circoscritto l'ambito di applicazione  dell'istituto
attenuandone i suoi effetti limitativi in  relazione  al  diritto  di
elettorato passivo, escludendo dal  suo  ambito  diverse  fattispecie
(quali la lite per fatto connesso con  l'esercizio  del  mandato;  la
lite  in  materia  tributaria;  la   lite   promossa   nell'esercizio
dell'azione popolare; la semplice costituzione di  parte  civile  nel
processo penale; la lite promossa in esito a sentenza di condanna,  o
ad essa conseguente, in mancanza di affermazione  di  responsabilita'
con sentenza passata in giudicato); 
    che - ritenuto peraltro che (come anche affermato  dal  Tribunale
ordinario di Pordenone nella impugnata decisione di primo  grado)  la
fattispecie dedotta in giudizio non rientra in alcuna delle  predette
cause di esclusione e  che  (come  chiarito  dalla  stessa  Corte  di
cassazione nella sentenza 24 febbraio 2006, n. 4252) il  giudizio  di
opposizione   avverso   ordinanza-ingiunzione    costituisce    "lite
pendente",   incompatibile   con   l'assunzione   della   carica   di
amministratore  comunale  o  provinciale,  ai   sensi   della   norma
censurata, atteso che tale  procedimento  va  annoverato  tra  quelli
civili di cognizione ordinaria - la rimettente deduce (in termini  di
rilevanza della questione) che il ricorso in  appello  (basato  sulla
tesi, non condivisibile, secondo la quale la norma censurata andrebbe
interpretata estensivamente nel senso che anche una lite  in  materia
di applicazione di  sanzioni  amministrative  non  determinerebbe  la
sopravvenuta incompatibilita'  essendo  perfettamente  ragguagliabile
alla lite in materia tributaria) potrebbe  essere  accolto  solo  ove
venisse dichiarata l'incostituzionalita' della norma medesima; 
    che, in ordine alla non  manifesta  infondatezza,  la  rimettente
osserva che (diversamente da quanto affermato da questa  Corte  nella
sentenza n. 160  del  1997,  relativamente  alla  legittimita'  della
mancata   inclusione   delle   cause   di    lavoro)    l'opposizione
all'ordinanza-ingiunzione e' omologa alla lite tributaria, in  quanto
in entrambi i casi si e' alla presenza di un titolo, a fondamento  di
una pretesa patrimoniale, dell'Ente pubblico, a fronte del  quale  il
cittadino non puo' che proporre l'annullamento o  la  riforma  ed  in
relazione al quale, per converso, l'Ente  non  potrebbe  assumere  un
atteggiamento processuale "affievolito" ne' provvedere  a  "rinunce",
trattandosi  di  somme  derivanti  da  un'obbligazione   di   diritto
pubblico; 
    che, dunque, il Collegio a quo rileva che - essendo pacifico  che
la disposizione censurata e' norma di natura eccezionale,  in  quanto
pone una limitazione al diritto di elettorato passivo sancito proprio
dal predetto art. 51 Cost., e non potendo  porsi  in  dubbio  che  le
ragioni ostative all'assunzione di cariche elettive debbono essere il
risultato  di  principi  coerenti   e   di   obbiettive   necessita',
consistenti nell'impedire l'insorgere di un  conflitto  di  interessi
(potenziale o attuale) tra l'eletto e l'ufficio che ricopre -  se  il
legislatore ha  ritenuto  di  non  impedire  l'accesso  alle  cariche
elettive di chi sia parte in un  contenzioso  tributario,  appare  in
contrasto con gli artt.  3  e  51  della  Costituzione  applicare  un
diverso trattamento alla fattispecie regolata dalla legge n. 689  del
1981; 
    che,  infine,  secondo   la   rimettente,   «escludere   che   la
proposizione di un ricorso per opposizione ex lege  689/81  impedisca
la decadenza o l'incompatibilita' dalla carica elettiva, diversamente
da quanto accade  invece  nell'ipotesi  di  lite  tributaria,  appare
altrettanto irragionevolmente lesivo del principio del pieno  diritto
alla tutela giurisdizionale (art. 24  Cost.),  tenuto  conto  che  la
permanenza alla carica elettiva non e' un "diritto", ma un munus,  di
tal che l'eletto non puo' automaticamente e  liberamente  operare  un
"bilanciamento" tra la permanenza alla carica pubblica e  il  diritto
di opporsi  all'ordinanza  ingiunzione,  dovendo  tener  conto  della
responsabilita' che egli assume nei confronti dell'elettorato in caso
di  dimissioni  (dimissioni  la  cui  ineludibilita',  normativamente
imposta, finisce  con  il  determinare  un  irragionevole  vulnus  al
principio di rappresentativita' democratica)»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso per la non fondatezza della questione; 
    che  -  premesso  che  spetta  al  legislatore,  nel  ragionevole
esercizio  della  sua  discrezionalita',  attuare  l'art.  51  Cost.,
stabilendo   il   regime   delle   cause   di    ineleggibilita'    e
incompatibilita' -  la  difesa  erariale  (anche  in  una  successiva
memoria) osserva che l'obbligazione tributaria ha natura e fondamento
completamente    diversi    rispetto    all'obbligazione    derivante
dall'ordinanza-ingiunzione, da  cio'  derivando  la  incomparabilita'
delle situazioni messe a confronto e  quindi,  da  un  lato,  la  non
praticabilita'  dello  scrutinio  di  uguaglianza   tra   fattispecie
diverse;  e,   dall'altro   lato,   l'esclusione   delle   denunciate
violazioni:  sia  dell'art.  51  Cost.,  giacche'  nel  giudizio   di
opposizione a ordinanza-ingiunzione (che e' un giudizio ordinario  di
cognizione) sembra che la possibilita' di un conflitto  di  interessi
tra  l'eletto  e  l'ufficio  che  esso  ricopre  non   possa   essere
ragionevolmente escluso; sia dell'art. 24 Cost. in quanto non  sembra
che possa ritenersi sussistente alcuna violazione  del  diritto  alla
tutela  giurisdizionale,   cosi'   come   prospettata   dal   giudice
remittente. 
    Considerato che il censurato articolo 63, comma 1, numero 4,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento   degli   enti    locali),    sotto    la    rubrica
"Incompatibilita'", dispone quanto  segue:  «Non  puo'  ricoprire  la
carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere  comunale,
provinciale o circoscrizionale: [...] 4) colui che ha lite  pendente,
in  quanto  parte  di  un  procedimento  civile  od   amministrativo,
rispettivamente, con il comune o la provincia.  La  pendenza  di  una
lite in materia tributaria ovvero  di  una  lite  promossa  ai  sensi
dell'articolo 9 del presente decreto non determina  incompatibilita'.
Qualora  il  contribuente  venga  eletto   amministratore   comunale,
competente a decidere sul suo ricorso e' la  commissione  del  comune
capoluogo di circondario sede di tribunale ovvero sezione staccata di
tribunale. Qualora  il  ricorso  sia  proposto  contro  tale  comune,
competente a decidere e'  la  commissione  del  comune  capoluogo  di
provincia.  Qualora  il  ricorso  sia  proposto  contro  quest'ultimo
comune, competente a decidere e', in ogni caso,  la  commissione  del
comune capoluogo di Regione. Qualora il ricorso sia  proposto  contro
quest'ultimo comune, competente a  decidere  e'  la  commissione  del
capoluogo di provincia territorialmente piu' vicino. La lite promossa
a  seguito  di  o  conseguente  a  sentenza  di  condanna   determina
incompatibilita' soltanto in caso di affermazione di  responsabilita'
con sentenza passata in giudicato. La costituzione  di  parte  civile
nel processo penale non costituisce  causa  di  incompatibilita'.  La
presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso»; 
    che la Corte d'appello di  Trieste  censura  tale  norma,  «nella
parte in cui [...] non esclude  [recte:  "nella  parte  in  cui  esso
esclude"] le cause di opposizione ex  lege  681/1989  dal  novero  di
quelle che non determinano la decadenza ovvero l'incompatibilita'  al
pari di quelle tributarie», per denunciato contrasto con gli articoli
3 e 51 della Costituzione, poiche', se il legislatore ha ritenuto  di
non impedire l'accesso alle cariche elettive di chi sia parte  in  un
contenzioso  tributario,  appare  in  contrasto  con  tali  parametri
applicare un diverso  trattamento  alla  fattispecie  regolata  dalla
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  tenuto
conto   della   equivalenza   del   giudizio   di   opposizione    ad
ordinanza-ingiunzione alla lite tributaria; nonche' con gli  articoli
3 e 24 della Costituzione, in quanto «escludere che  la  proposizione
di un ricorso per opposizione ex lege 689/81 impedisca la decadenza o
l'incompatibilita' dalla  carica  elettiva,  diversamente  da  quanto
accade invece nell'ipotesi di  lite  tributaria,  appare  altrettanto
irragionevolmente lesivo del principio del pieno diritto alla  tutela
giurisdizionale, tenuto conto che la permanenza alla carica  elettiva
non e' un "diritto", ma un  munus,  di  tal  che  l'eletto  non  puo'
automaticamente e  liberamente  operare  un  "bilanciamento"  tra  la
permanenza alla carica pubblica e il diritto di opporsi all'ordinanza
ingiunzione, dovendo  tener  conto  della  responsabilita'  che  egli
assume  nei  confronti  dell'elettorato   in   caso   di   dimissioni
(dimissioni la cui ineludibilita',  normativamente  imposta,  finisce
con  il  determinare  un  irragionevole  vulnus   al   principio   di
rappresentativita' democratica)»; 
    che, in particolare - sul rilievo che la legislazione in  materia
di incompatibilita' degli amministratori locali, nell'ipotesi di lite
pendente, ha progressivamente circoscritto il campo  di  applicazione
dell'istituto attenuandone i suoi effetti limitativi in relazione  al
diritto di elettorato passivo,  escludendo  dal  suo  ambito  diverse
fattispecie (quali la lite per fatto  connesso  con  l'esercizio  del
mandato;  la  lite  in   materia   tributaria;   la   lite   promossa
nell'esercizio dell'azione  popolare;  la  semplice  costituzione  di
parte civile nel  processo  penale;  la  lite  promossa  in  esito  a
sentenza  di  condanna,  o  ad  essa  conseguente,  in  mancanza   di
affermazione di responsabilita' con sentenza passata in giudicato)  -
la  denuncia  di  incostituzionalita'  della  norma  impugnata  viene
fondata sull'assunto che l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione  sia
perfettamente omologa alla  lite  tributaria  e  che  la  conseguente
lesione del principio di uguaglianza (per  la  differente  previsione
della operativita' della causa di incompatibilita' per lite pendente)
determini pertanto anche la  violazione  del  diritto  all'elettorato
passivo e alla tutela giurisdizionale dell'eletto; 
    che  va  premesso,   in   termini   generali,   che   costituisce
orientamento costante l'affermazione secondo cui, se l'art. 51  Cost.
assicura in via generale il diritto di elettorato passivo senza porre
discriminazioni sostanziali tra cittadini, e' proprio  tale  precetto
costituzionale a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto
politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri
dell'inviolabilita'  e  dell'uguaglianza  (ex  artt.  2  e  3   della
Costituzione); e che, pertanto, le restrizioni del contenuto di  tale
diritto sono ammissibili in presenza di situazioni  peculiari  ed  in
ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla  tutela
di un interesse generale, che presuppone un  bilanciamento  che  deve
operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la  tutela
delle cariche pubbliche, cui possono accedere e permanere solo coloro
che sono in possesso delle condizioni  che  tali  cariche,  per  loro
natura, appunto richiedono (sentenze n. 25 del  2008  e  n.  288  del
2007); 
    che, dunque, spetta al  legislatore,  nel  ragionevole  esercizio
della sua discrezionalita', attuare  l'art.  51  della  Costituzione,
stabilendo   il   regime   delle   cause   di    ineleggibilita'    e
incompatibilita' (sentenza n. 240 del 2008); 
    che, d'altronde, la stessa rimettente ricorda che questa Corte  -
chiamata a scrutinare una  questione  del  tutto  analoga  (anche  se
prospettata in maniera diversa)  riguardante  la  contestata  mancata
inclusione delle cause di lavoro nelle ipotesi di  litispendenza  che
sono  fonte  di  incompatibilita',  anche  in  considerazione   della
esclusione dal novero delle incompatibilita' delle liti tributarie  -
ha affermato che «l'aver escluso le liti tributarie dalle fattispecie
di  litispendenza  che  sono  causa  di  incompatibilita'  non  vizia
d'irragionevolezza la disposizione: una cosa sono,  invero,  le  liti
tributarie, altra le cause di lavoro» (sentenza n. 160 del 1997); 
    che, anche rispetto alla odierna questione non e' ravvisabile  la
dedotta    omogeneita'    del    giudizio    di    opposizione     ad
ordinanza-ingiunzione rispetto alla lite in materia  tributaria,  che
dunque non puo' essere assunta  quale  idoneo  tertium  comparationis
onde operare il riscontro della asserita violazione del principio  di
uguaglianza; 
    che,  infatti,  la  rimettente  trascura  che  questa  Corte   ha
costantemente affermato, e qui ribadisce, la peculiare  natura  della
giurisdizione tributaria,  che  «deve  ritenersi  imprescindibilmente
collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (sentenze n.  130  e
n. 64 del 2008); tant'e' che la "materia tributaria", che costituisce
elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale, non
puo' essere "snaturata"  (per  preciso  limite  costituzionale),  dal
legislatore in caso di modifiche normative, se non a costo di violare
il divieto di istituzione di nuovi giudici speciali di  cui  all'art.
102 Cost. (sentenza n. 39 del 2010); 
    che,  dall'altra  parte,  come  anche  sottolineato  dalla  Corte
d'appello, la giurisprudenza di legittimita' (Cassazione 24  febbraio
2006, n. 4252) ha annoverato il procedimento di cui alla legge n. 689
del  1981  tra  quelli  civili  a   cognizione   ordinaria   tendente
all'accertamento  negativo  della  pretesa  sanzionatoria  da   parte
dell'autorita' competente e proponibili davanti al  giudice  di  pace
ovvero al tribunale (come ora risulta ai  sensi  dell'art.  6,  commi
1-5, del decreto  legislativo  1  settembre  2011,  n.  150,  recante
«Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69»); 
    che, pertanto, la natura speciale  "a  materia  vincolata"  della
giurisdizione  tributaria  implica   una   ontologica   eterogeneita'
rispetto alla  natura  di  giudizio  civile  a  cognizione  ordinaria
attribuita alla opposizione ex lege n. 689 del 1981, determinando  di
conseguenza l'incomparabilita' delle situazioni poste a raffronto; 
    che,  infine,  quanto  alla   violazione   dell'art.   24   Cost.
(denunciata sempre in combinato disposto  con  l'art.  3  Cost.),  si
osserva che, come detto, e'  la  previsione  stessa  della  causa  di
incompatibilita' per causa pendente che rappresenta il risultato  del
complessivo  bilanciamento  (spettante  alla   discrezionalita'   del
legislatore: sentenza n. 240  del  2008,  citata)  di  valori  aventi
uguale  rilievo  costituzionale,  specificamente   finalizzato   alla
attuazione dell'art. 51 Cost., onde impedire che  possano  concorrere
all'esercizio delle funzioni comunali soggetti portatori di interessi
confliggenti con quelli del Comune o i quali comunque si  trovino  in
condizioni che ne possano compromettere l'imparzialita' (sentenza  n.
288 del 2007); 
    che,  d'altronde,  l'amministratore  locale  non  soggiace   alla
operativita' della causa di incompatibilita', ma ha  egli  stesso  la
facolta' di eliminarla, ai sensi dell'art. 69, commi 2-4, del  d.lgs.
n. 267 del 2000, mediante una scelta personale che, lungi dall'essere
normativamente coartata, consente al medesimo interessato  -  che  si
trova in un contesto di inconciliabilita'  tra  la  permanenza  nella
carica e la prosecuzione della lite - di essere arbitro di se  stesso
e di preservare il valore costituzionale che egli ritiene  prevalente
come cittadino e come eletto a cariche pubbliche; 
    che, di conseguenza, la questione di legittimita'  costituzionale
e' manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.