ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
2, lettera c), della legge della Regione Toscana 18 dicembre 2008, n.
66 (Istituzione del fondo  regionale  per  la  non  autosufficienza),
promosso dal Tribunale amministrativo regionale per  la  Toscana  nel
procedimento  vertente  tra  G.M.,  in  proprio  e  in  qualita'   di
procuratore generale di A.L., G.N. e la Regione Toscana ed altri, con
ordinanza del 22  novembre  2011,  iscritta  al  n.  5  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana,  nonche'  gli
atti di intervento, fuori termine, della  Associazione  Senza  limiti
Onlus e della ANFFAS  Onlus  -  Associazione  nazionale  famiglie  di
persone con disabilita' intellettiva e/o relazionale; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  23  ottobre  2012  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella; 
    uditi gli  avvocati  Alessandra  Mari  per  l'Associazione  Senza
limiti Onlus, Ilaria Romagnoli  per  l'ANFFAS  Onlus  -  Associazione
nazionale  famiglie  di  persone  con  disabilita'  intellettiva  e/o
relazionale e Marcello Cecchetti per la Regione Toscana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22  novembre  2011,  depositata  presso  la
cancelleria di questa Corte l'11 gennaio 2012 (reg.  ord.  n.  5  del
2012), il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Toscana  ha
sollevato, in riferimento all'articolo 117,  secondo  comma,  lettera
m), della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 14, comma 2, lettera  c),  della  legge  della  Regione
Toscana 18 dicembre 2008, n. 66, (Istituzione del fondo regionale per
la  non  autosufficienza),  in  quanto  dispone  che  nel   caso   di
prestazioni di tipo residenziale a favore  di  persone  disabili  «la
quota   di   compartecipazione   dovuta   dalla   persona   assistita
ultrasessantacinquenne e'  calcolata  tenendo  conto  altresi'  della
situazione reddituale e patrimoniale del coniuge  e  dei  parenti  in
linea retta entro il primo grado». 
    2.- Il giudice remittente ritiene  che  tale  disposizione  violi
l'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto contrasta con
l'art. 3, comma 2 ter, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109,
che  imponendo  di  evidenziare  la  situazione  economica  del  solo
assistito, anche in relazione alle modalita' di compartecipazione  al
costo della prestazione a favore di  soggetti  ultrasessantacinquenni
con handicap  permanente  grave  accertato  dalle  aziende  sanitarie
locali,  costituisce  un   livello   essenziale   delle   prestazioni
concernenti diritti civili e sociali che devono essere  garantiti  su
tutto il territorio nazionale. 
    2.1.- Nell'ordinanza di rimessione si premette che  con  atto  di
costituzione in trasposizione dal ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica, per opposizione ex art. 10 d.P.R. 24 novembre 1971,
n. 1199 (Semplificazione  dei  procedimenti  in  materia  di  ricorsi
amministrativi), della Regione  Toscana  in  quella  sede,  G.M.,  in
proprio e quale procuratore generale  della  moglie,  e  G.N.,  nella
qualita' di figlio, chiedevano l'annullamento, previa  sospensione  -
oltre a domanda di accertamento e conseguente risarcimento del  danno
- dei provvedimenti con i quali la Comunita'  montana  del  Casentino
aveva determinato l'integrazione della retta a favore  della  signora
L.A., ricoverata presso una struttura residenziale (RSA)  nel  Comune
di S., nella misura del 65 per cento, e di  considerare  gli  importi
erogati quali anticipi da  recuperare  nei  confronti  della  persona
ricoverata o degli eventuali eredi. 
    I ricorrenti nel giudizio a quo avevano esposto  che  la  persona
assistita,  affetta  da  sclerosi  laterale  amiotrofica  (SLA),  era
ricoverata  presso  una  RSA  dal  febbraio  2009  e  necessitava  di
assistenza continua, essendo attaccata  a  respiratore  e  alimentata
artificialmente. Pertanto, gli stessi familiari avevano chiesto  alla
Comunita'  montana  del  Casentino  un  aiuto  finanziario   per   la
compartecipazione alla retta, in applicazione dell'art. 3,  comma  2,
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 (Definizioni di criteri
unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti  che
richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma  dell'articolo  59,
comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449). 
    La Comunita' aveva pero' ritenuto di  individuare  a  suo  carico
solo una compartecipazione del 65 per cento, mentre la parte  residua
era posta a carico del coniuge, per una quota del 15 per cento, e del
figlio per il restante 20 per cento. 
    Nel giudizio davanti al Tribunale amministrativo regionale per la
Toscana i ricorrenti lamentavano, in primo luogo, la violazione della
normativa nazionale, che in riferimento agli interventi assistenziali
di natura socio-sanitaria rivolti a persone con handicap  grave  o  a
soggetti  ultrasessantacinquenni  non  autosufficienti,  imponeva  di
valutare  la  situazione  economica  del  solo  assistito,  anche  in
relazione alle modalita' di contribuzione al costo della prestazione. 
    Ad avviso dei ricorrenti, il richiamato art. 3, comma 2 ter,  del
decreto legislativo  n.  109  del  1998,  pur  rinviando  l'ulteriore
regolamentazione a un d.P.C.M. non ancora adottato, e' immediatamente
applicabile per il principio di gerarchia delle fonti, trattandosi di
prescrizione  direttamente  precettiva,  come  rilevato   da   alcune
pronunce giurisprudenziali. 
    Un  vizio  ulteriore  era  individuato  nella  previsione   della
compartecipazione alla spesa, per il  20  per  cento,  da  parte  del
figlio dell'assistita, il  quale,  in  quanto  tenuto  agli  alimenti
secondo quanto previsto  dall'art.  433,  cod.  civ.,  poteva  essere
sollecitato ad intervenire solo dal soggetto che versava in stato  di
bisogno, e non dall'amministrazione pubblica o  da  terzi,  ai  sensi
degli artt. 3, comma 2, e 2, comma 6, del decreto legislativo n.  109
del 1998. 
    Inoltre, i ricorrenti affermavano che l'art. 14 della legge della
Regione Toscana n. 66 del 2008 - il quale prevede  che  la  quota  di
compartecipazione      dovuta      dalla      persona       assistita
ultrasessantacinquenne e'  calcolata  tenendo  conto  altresi'  della
situazione reddituale e patrimoniale del coniuge  e  dei  parenti  in
linea retta entro  il  primo  grado  -  contrasta  con  la  normativa
nazionale, da intendersi come "legge quadro",  e  non  poteva  essere
compresa  nella  materia  dell'assistenza  sociale,   di   competenza
regionale ai sensi dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  rientrando
invece  nell'ambito  dei   livelli   essenziali   delle   prestazioni
concernenti diritti civili e sociali che devono essere  garantiti  su
tutto il territorio nazionale, di cui all'art.  117,  secondo  comma,
lett. m), Cost., ovvero nella materia della previdenza sociale, o  in
quella relativa alla tutela della salute, di  competenza  legislativa
concorrente. 
    2.2.- A seguito della  costituzione  in  giudizio  della  Regione
Toscana e della Comunita' montana, con  sentenza  non  definitiva  il
giudice a quo rigettava le loro eccezioni preliminari, fra  le  quali
quella   relativa   alla   tardivita'   del   ricorso   straordinario
originariamente proposto. 
    2.3.- Nell'ordinanza di rimessione si rileva che la prima censura
dei ricorrenti e' riferita alla violazione della normativa statale di
cui all'art. 3, comma 2 ter, del decreto legislativo n. 109 del 1998,
che impone di considerare la situazione economica del solo assistito,
anche in relazione alle modalita' di  contribuzione  al  costo  della
prestazione a favore di soggetti ultrasessantacinquenni con  handicap
permanente grave accertato dalle aziende sanitarie locali. Il giudice
remittente aderisce  infatti  all'interpretazione  con  la  quale  il
Consiglio di Stato, nella sentenza del 16 marzo 2011, n. 1607, ed  in
altre pronunce, ha affermato l'immediata applicabilita' della  citata
norma statale, anche in assenza dell'adozione del  d.P.C.M.  previsto
dalla medesima disposizione per la sua attuazione. 
    Lo  stesso  giudice  ritiene  pertanto  rilevante  la   questione
sollevata,  dal  momento  che  «la  legittimita'  dei   provvedimenti
impugnati deve essere delibata  proprio  in  relazione  alla  diretta
applicazione della norma regionale sopra richiamata»; e  riportandosi
alla giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla  natura
della competenza statale nella determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, osserva che
la norma impugnata risulta indirizzata in maniera puntuale  a  carico
dell'assistito, riferendosi alla quota  di  compartecipazione  dovuta
dalla persona assistita ultrasessantacinquenne,  con  la  conseguenza
che la mancata corresponsione di tale quota si riflette  direttamente
sui livelli di assistenza erogabili allo stesso assistito. 
    In questa sua specificita', ed  in  particolare  nell'imposizione
del calcolo del reddito dell'assistito come comprensivo  anche  della
situazione patrimoniale del coniuge e  dei  parenti  in  linea  retta
entro il primo grado,  la  norma  impugnata  si  distingue  da  altre
disposizioni regionali, come quella prevista dall'art.  8,  comma  1,
della legge della Regione Lombardia 13  marzo  2008,  n.  3  (Governo
della rete degli interventi e dei  servizi  alla  persona  in  ambito
sociale e socio-sanitario), considerata  nella  citata  sentenza  del
Consiglio di Stato n. 1607 del 2011. Quest'ultima  norma  si  sarebbe
limitata ad aggiungere  un  elemento  ai  criteri  di  determinazione
dell'indicatore  della  situazione  economica   equivalente   (ISEE),
riferito alla partecipazione dei  soggetti  civilmente  obbligati,  e
quindi nei limiti della  norma  statale  indicata,  che  consente  la
possibilita' di introdurre  criteri  differenziati  e  aggiuntivi  di
selezione dei destinatari degli interventi, come previsto dagli artt.
1 e 3 del decreto legislativo n. 109 del 1998. 
    Pertanto, il giudice a quo ritiene che la questione sollevata sia
non manifestamente infondata, dal momento  che  la  comprensione  nel
reddito dell'assistito di situazioni  patrimoniali  di  terzi  incide
direttamente  sui   livelli   essenziali   di   assistenza,   potendo
l'assistito  stesso,  dall'applicazione   di   tale   norma,   subire
conseguenze negative nell'ipotesi -  come  quella  rappresentata  nel
caso di specie  dai  ricorrenti  -  di  diminuzione  delle  spese  di
compartecipazione, autolimitate  dalla  pubblica  amministrazione  in
virtu' del calcolo reddituale dell'assistito, nel senso di  cui  alla
norma censurata. 
    Infine,  lo   stesso   giudice   sottolinea   che   la   garanzia
costituzionale  dei   livelli   essenziali   delle   prestazioni   e'
preordinata ad assicurare un nucleo essenziale  di  diritti  in  modo
uniforme  su  tutto  il   territorio   nazionale,   essendo   ammesse
differenziazioni,  purche'  "in   melius",   nei   diversi   contesti
regionali. 
    3.- Nel giudizio davanti alla Corte  ha  spiegato  intervento  la
Regione  Toscana,  per  chiedere  che  la  questione  sollevata   sia
dichiarata non fondata. 
    La Regione osserva che ai  sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., la materia dei servizi sociali,  nel  cui  ambito  rientra  la
norma impugnata, e' ormai attribuita alla competenza residuale  delle
Regioni, alle quali spetta  in  via  esclusiva  la  disciplina  e  la
predisposizione    delle    strutture    organizzative     necessarie
all'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali. 
    3.1.- In secondo luogo, per contrastare  l'orientamento  espresso
dal Consiglio di  Stato  in  relazione  all'immediata  applicabilita'
dell'art. 3 del decreto legislativo n. 109 del 1998,  si  rileva  che
successivamente alla disciplina prevista dal decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 109, modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000,
n.  130  (Disposizioni  correttive   ed   integrative   del   decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di criteri unificati di
valutazione della situazione economica dei  soggetti  che  richiedono
prestazioni sociali agevolate), sono intervenute la legge 8  novembre
2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali) e, soprattutto, la  riforma  di  cui
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al  titolo
V della parte  seconda  della  Costituzione),  che  attribuendo  alla
esclusiva competenza delle Regioni la materia dei servizi sociali, ha
anche determinato un  "superamento"  dell'assetto  configurato  dalla
stessa legge quadro n. 328 del 2000 e, per quanto qui piu' interessa,
della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 109 del 1998. 
    3.2.- Inoltre la Regione, pur riconoscendo la competenza  statale
nella definizione dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e  la
natura  trasversale  di  tale   competenza,   come   definita   dalla
giurisprudenza costituzionale, osserva che il legislatore statale  ha
individuato, all'art. 22 della legge n. 328 del 2000, gli  interventi
da  considerare  livelli  essenziali,  e,  successivamente   a   tale
disposizione, non sono intervenute  altre  disposizioni  statali  che
abbiano definito in concreto  le  modalita'  di  partecipazione  alla
spesa sociale da parte dei cittadini destinatari delle prestazioni. 
    Pertanto,  la  Regione  ritiene  che  tale  profilo  non  rientra
nell'ambito dei livelli  essenziali,  che  dovranno  comunque  essere
adottati all'esito di una concertazione tra Stato,  Regioni  ed  enti
locali, ma attiene alle loro modalita'  organizzative,  rimesse  alla
competenza regionale residuale; ed  afferma  anche  che  l'intervento
legislativo statale nella determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni sociali  dovra'  contenere  l'indicazione  delle  risorse
economiche necessarie a finanziarli, tema del  quale  lo  Stato  deve
necessariamente  farsi   carico   per   non   lasciare   le   Regioni
nell'impossibilita'  pratica  di   garantire   l'esigibilita'   delle
prestazioni cosi' definite, nel rispetto dei principi  di  efficacia,
efficienza, economicita' e copertura finanziaria. 
    Per queste considerazioni la Regione ribadisce, in contrasto  con
la giurisprudenza richiamata nell'ordinanza di  rimessione,  che  non
puo' ritenersi  applicabile  l'art.  3,  comma  2  ter,  del  decreto
legislativo n. 109 del 1998, e che tale interpretazione contrasta con
gli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., nonche' con il principio di
ragionevolezza. 
    3.3.- Nell'atto di intervento si  sostiene  anche  che  la  legge
regionale n.  66  del  2008  e'  stata  adottata  per  potenziare  ed
estendere i servizi per le persone non autosufficienti  e  migliorare
l'integrazione  delle  prestazioni  sanitarie  con  quelle   sociali,
secondo i principi universalistici previsti dalla legge  n.  328  del
2000. L'unica scelta che la stessa Regione  riconosce  "difforme"  da
tali principi, e' quella contenuta nella disposizione  impugnata,  ma
essa e' stata resa necessaria dall'inerzia dello Stato,  che  non  ha
provveduto  alla  definizione  ed  al   finanziamento   dei   livelli
essenziali delle prestazioni sociali, lasciando le Regioni e gli enti
locali nella impossibilita' pratica di dare attuazione  al  principio
contenuto nell'art. 3, comma 2 ter, del decreto  legislativo  n.  109
del 1998. In tal senso, si  osserva  che  anche  altre  Regioni,  con
diverse  modalita',  hanno  previsto  il  coinvolgimento  del  nucleo
familiare dell'anziano non autosufficiente, ricoverato  in  struttura
residenziale, nel pagamento delle relative rette. 
    Queste scelte regionali sono  state  motivate  esclusivamente  da
motivi di  sostenibilita'  finanziaria,  accresciuti  dalla  costante
riduzione dei fondi destinati alle  politiche  sociali  e  sanitarie,
operata dalle leggi finanziarie e di stabilita' degli ultimi anni, ed
al fine di garantire i servizi essenziali  a  tutti  i  cittadini.  A
conferma di questa ricostruzione, la Regione richiama anche il parere
espresso dal Consiglio di Stato n. 569 del 2009, che ha ritenuto  non
immediatamente applicabile il principio previsto dall'art. 3, comma 2
ter, del decreto  legislativo  n.  109  del  1998,  nella  perdurante
assenza  del  d.P.C.M.  previsto  dalla  stessa  norma  per  la   sua
attuazione, e ribadisce che la diversa interpretazione, che impone la
considerazione della situazione economica del solo assistito, sarebbe
irragionevole ed in contrasto con l'art. 119 Cost., dal  momento  che
le Regioni sarebbero costrette a ricorrere a mutui ed al  conseguente
indebitamento per la copertura delle minori entrate. Questo  aggravio
finanziario  potrebbe  produrre  situazioni   di   forte   iniquita',
ammettendo all'assistenza pubblica nuclei familiari abbienti. 
    3.4.- Infine, si sottolinea  che  la  disposizione  impugnata  e'
stata espressamente adottata «in via transitoria e  in  attesa  della
definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale  (LIVEAS)  e
del loro relativo finanziamento», e che in base alla  delibera  della
Giunta Regione Toscana, 11 maggio 2009, n. 385,  (Atto  di  indirizzo
regionale per  le  modalita'  di  compartecipazione  al  costo  delle
prestazioni di cui all'art.  14  della  legge  regionale  n.  66/2008
"Istituzione del fondo regionale per la  non  autosufficienza")  puo'
procedersi alla valutazione del nucleo familiare di appartenenza solo
«qualora l'ISEE del beneficiario non comporti la copertura  del  100%
del costo della prestazione». 
    Un elemento ulteriore, che secondo la Regione delimita la portata
applicativa della norma impugnata, e' costituito dal suo  riferimento
ai soli casi di ricovero in strutture residenziali, con esclusione di
quelli relativi a cure domiciliari o in  strutture  semiresidenziali,
rispetto ai quali e' prevista una soglia di esenzione  totale,  sotto
la   quale   non   sussiste   alcuna   compartecipazione   da   parte
dell'assistito. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Toscana,  con
l'ordinanza indicata in  epigrafe  (reg.  ord.  n.  5  del  2012)  ha
sollevato, in riferimento all'articolo 117,  secondo  comma,  lettera
m), della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 14, comma 2, lettera  c),  della  legge  della  Regione
Toscana 18 dicembre 2008, n. 66, in quanto dispone che  nel  caso  di
prestazioni di tipo residenziale a favore  di  persone  disabili  «la
quota   di   compartecipazione   dovuta   dalla   persona   assistita
ultrasessantacinquenne e'  calcolata  tenendo  conto  altresi'  della
situazione reddituale e patrimoniale del coniuge  e  dei  parenti  in
linea retta entro il primo grado». 
    1.1.- Al fine di  chiarire  il  quadro  normativo  nel  quale  si
inserisce la disposizione impugnata, giova premettere che l'art.  14,
comma 1, della legge regionale n. 66 del 2008,  prevede  che  in  via
transitoria, in attesa della definizione dei  livelli  essenziali  di
assistenza sociale (LIVEAS), e del loro relativo finanziamento,  sono
previste forme di compartecipazione da parte della persona  assistita
ai costi delle prestazioni non  coperti  dai  livelli  essenziali  di
assistenza sanitaria, secondo  livelli  differenziati  di  reddito  e
patrimoniali  definiti  da  apposito  atto  regionale  di  indirizzo,
tenendo conto dei principi in materia di indicatore della  situazione
economica equivalente (ISEE), di cui al decreto  legislativo  n.  109
del 1998. 
    Il comma 2 dello stesso art. 14, indica  i  criteri  generali  ai
quali deve attenersi il richiamato atto di indirizzo, ed a tal  fine,
alla lettera b),  dispone  che  «nel  caso  di  prestazioni  di  tipo
residenziale, oltre alla situazione reddituale e  patrimoniale  della
persona assistita, determinata secondo il metodo ISEE, sono computate
le indennita' di natura previdenziale e assistenziale  percepite  per
il  soddisfacimento  delle  sue  esigenze  di  accompagnamento  e  di
assistenza»; e, alla lettera c), prevede che «nel caso  di  cui  alla
lettera  b)  la  quota  di  compartecipazione  dovuta  dalla  persona
assistita ultrasessantacinquenne e' calcolata tenendo conto  altresi'
della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei  parenti
in linea retta entro il primo grado». 
    Il giudice remittente ritiene che quest'ultima disposizione violi
l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in  quanto
contrasta con l'art. 3, comma 2 ter, del decreto legislativo  n.  109
del 1998, che imponendo di evidenziare la  situazione  economica  del
solo   assistito,   anche   in   relazione    alle    modalita'    di
compartecipazione al costo della prestazione  a  favore  di  soggetti
ultrasessantacinquenni con handicap permanente grave, accertato dalle
aziende sanitarie locali, costituisce  un  livello  essenziale  delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali  che  devono  essere
garantiti su tutto il territorio nazionale. In particolare, il citato
comma  2  ter,  prevede:  «Limitatamente  alle  prestazioni   sociali
agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali  integrati
di  natura  sociosanitaria,  erogate  a  domicilio  o   in   ambiente
residenziale a ciclo diurno o continuativo,  rivolte  a  persone  con
handicap permanente grave, di cui  all'articolo  3,  comma  3,  della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato  ai  sensi  dell'articolo  4
della stessa legge, nonche' a soggetti ultra sessantacinquenni la cui
non autosufficienza fisica  o  psichica  sia  stata  accertata  dalle
aziende unita' sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto
si applicano nei limiti stabiliti  con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la  solidarieta'
sociale e della sanita'. Il  suddetto  decreto  e'  adottato,  previa
intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza
dell'assistito presso  il  nucleo  familiare  di  appartenenza  e  di
evidenziare la situazione economica  del  solo  assistito,  anche  in
relazione alle modalita' di contribuzione al costo della prestazione,
e sulla base delle indicazioni contenute  nell'atto  di  indirizzo  e
coordinamento di cui all'articolo 3-septies,  comma  3,  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni». 
    Lo stesso giudice a quo, aderendo  all'orientamento  espresso  da
alcune  pronunce  del  Consiglio  di  Stato,  ritiene  che  la  norma
suddetta, relativa alla evidenziazione della situazione economica del
solo assistito, da un lato, sia immediatamente applicabile,  malgrado
il d.P.C.M.  previsto  per  la  sua  attuazione  non  sia  mai  stato
adottato, e, dall'altro,  che  esso  costituisca  determinazione,  da
parte  dello  Stato,  di  un  livello  essenziale  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e  sociali  nella  materia  relativa  ai
servizi sociali. 
    2.- La questione sollevata non e' fondata. 
    La prospettazione del giudice remittente si fonda sul presupposto
secondo il quale la  disposizione  dell'art.  3,  comma  2  ter,  del
decreto legislativo n. 109 del 1992, costituisce,  anche  in  assenza
del  previsto  d.P.C.M.,  un  livello  essenziale  delle  prestazioni
relative  ai   servizi   sociali   a   favore   degli   anziani   non
autosufficienti e delle altre categorie protette ivi indicate. 
    Questo presupposto interpretativo deve ritenersi errato,  per  le
ragioni indicate di seguito. 
    Innanzitutto, il tenore letterale della norma statale ora  citata
non risulta considerato nella sua interezza dal giudice  a  quo,  che
nell'ordinanza di rimessione si limita a richiamare alcune  decisioni
del giudice amministrativo che hanno qualificato  livello  essenziale
la  norma  relativa  alla  valorizzazione  del  patrimonio  del  solo
assistito nei casi indicati. 
    Come emerge dal testo sopra riportato, quella di «evidenziare  la
situazione  economica  del  solo  assistito»,  cui  si  riferisce  la
disposizione statale in esame, costituisce solo una  delle  finalita'
del d.P.C.M. ivi previsto, ma finora non adottato, accanto  a  quella
di «favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo  familiare
di appartenenza»,  e  le  due  descritte  finalita'  possono,  almeno
parzialmente, divergere tra loro, dal momento che  la  previsione  di
una  compartecipazione   ai   costi   delle   prestazioni   di   tipo
residenziale, da parte dei familiari, puo'  costituire  un  incentivo
indiretto che contribuisce  a  favorire  la  permanenza  dell'anziano
presso il proprio nucleo familiare. 
    Deve quindi ritenersi che a  tale  decreto  di  attuazione  fosse
rimessa  la  scelta  tra  le  modalita'  per  perseguire  le  diverse
finalita'  indicate,  specificando  le  prestazioni  per   le   quali
dovessero valere i principi indicati dallo stesso  art.  3,  comma  2
ter. 
    Il contenuto del d.P.C.M.  in  oggetto  avrebbe  dovuto  pertanto
specificare le modalita' di attuazione dei  principi  e  dei  criteri
indicati dall'art. 3, comma 2 ter, operando le scelte coerenti con le
indicate finalita', idonee ad individuare «i limiti» entro i quali le
norme del decreto  legislativo  n.  109  del  2009  avrebbero  dovuto
applicarsi. In particolare, oltre a fissare le norme  sul  metodo  di
calcolo della situazione economica equivalente,  il  decreto  avrebbe
dovuto  procedere  all'individuazione   delle   prestazioni   sociali
comprese «nell'ambito di percorsi assistenziali integrati  di  natura
sociosanitaria, erogate a domicilio o  in  ambiente  residenziale,  a
ciclo diurno o continuativo», nonche' a  meglio  definire,  sotto  un
profilo soggettivo, le molteplici  categorie  dei  destinatari  delle
prestazioni:  esse  comprendono  infatti  i  soggetti  con   handicap
permanente grave, ai sensi  dell'art.  3,  comma  3,  della  legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate),  accertato  in  base
all'art. 4 della stessa legge, «ed i soggetti  ultrasessantacinquenni
la cui non autosufficienza fisica  o  psichica  sia  stata  accertata
dalle aziende sanitarie locali». Anche il richiamo alle  disposizioni
della  legge-quadro  n.  104  del  1992  non  e'  infatti  idoneo  ad
individuare  le  caratteristiche  specifiche  e   le   modalita'   di
erogazione delle prestazioni considerate, dal momento che l'art. 3 di
tale legge si limita a definire, in linea di principio,  il  criterio
di identificazione delle situazioni  connotate  da  «gravita'»  della
minorazione, e l'art. 4  stabilisce  solo  le  modalita'  procedurali
dell'accertamento, ed i  relativi  compiti  delle  aziende  sanitarie
locali e delle commissioni mediche di cui all'art. 1 della  legge  15
ottobre 1990, n. 295 (Modifiche ed integrazioni  all'articolo  3  del
D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla  L.
26 luglio 1988, n. 291, e successive  modificazioni,  in  materia  di
revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti). 
    La qualifica di livello essenziale delle prestazioni  in  materia
di  assistenza  sociale,  affermata   dal   giudice   remittente   in
riferimento all'art. 3, comma 2  ter,  non  trova  pertanto  conferma
dall'esame letterale di tale  disposizione,  che  appare  invece  una
norma  contenente  principi  e  criteri  direttivi  da  attuarsi  nel
successivo decreto allo scopo di perseguire diverse finalita', tra le
quali quella di «evidenziare», in  determinati  casi,  la  situazione
economica del solo assistito  ai  fini  del  calcolo  dell'ISEE.  Nel
quadro descritto, non puo' neppure ritenersi che il perseguimento  di
tale finalita' implichi necessariamente che la "evidenziazione" della
situazione del solo assistito ai fini del calcolo dell'ISEE,  avrebbe
dovuto realizzarsi in termini identici per tutte le prestazioni e per
tutte le categorie cui si e' fatto riferimento. 
    2.1.- Inoltre, il giudice  remittente,  nel  qualificare  livello
essenziale delle prestazioni sociali il contenuto della norma statale
piu' volte citata, non tiene conto dell'ampia elaborazione svolta  da
questa Corte al fine di individuare  la  natura  e  i  requisiti  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale,
e di conseguenza omette di argomentare in merito alla sussistenza  di
tali requisiti nella norma di principio in esame. 
    In particolare, nell'ordinanza di rimessione non si considera che
la Corte ha ripetutamente affermato  che  l'attribuzione  allo  Stato
della competenza esclusiva e trasversale di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., «si  riferisce  alla  determinazione  degli
standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il
soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti,
con carattere di generalita', a tutti gli aventi diritto», precisando
che «questo  titolo  di  legittimazione  dell'intervento  statale  e'
invocabile in relazione  a  specifiche  prestazioni  delle  quali  la
normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»  (ex
plurimis, sentenze n. 203 del 2012, n. 322 del 2009, n. 168 e  n.  50
del 2008). 
    Ora, nel caso in esame, il contenuto della norma statale  risulta
carente proprio nell'individuazione specifica  delle  prestazioni  da
erogare, limitandosi a rinviare ad un successivo decreto le scelte in
ordine al perseguimento delle finalita' sopra indicate, tra le  quali
quella di «evidenziare», per determinate prestazioni,  la  situazione
economica del solo assistito. 
    2.2.- Sotto diverso profilo,  comunque,  la  convinzione  che  lo
Stato non abbia organicamente esercitato  la  propria  competenza  ex
art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., nella materia dei servizi
sociali,  risulta   confermata   dall'esame   dell'evoluzione   della
legislazione nell'ultimo quindicennio. 
    Successivamente al decreto legislativo n. 109 del 1998, e'  stata
infatti approvata la prima legge quadro in materia. Il riferimento e'
alla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge  quadro  per  realizzazione
del sistema integrato di  interventi  e  servizi  sociali),  adottata
nella vigenza del precedente assetto  costituzionale,  nel  quale  la
materia  della  «beneficenza  pubblica»,  poi   ridefinita   «servizi
sociali» dall'art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo  I  della  L.  15
marzo 1997, n. 59), rientrava  tra  quelle  nelle  quali  le  Regioni
avevano  competenza  legislativa  concorrente,  secondo  il  disposto
dell'art. 117, primo comma, Cost., all'epoca vigente. 
    La legge quadro n. 328 del 2000 indicava, tra l'altro, i principi
fondamentali della materia, le  funzioni  rimesse  allo  Stato,  alle
Regioni ed agli enti locali, le fonti di finanziamento del sistema e,
all'art. 18, istituiva il piano  nazionale  degli  interventi  e  dei
servizi sociali quale strumento di  programmazione  per  individuare,
con cadenza triennale, i principi  e  gli  obiettivi  della  politica
sociale. In particolare, al piano  era  rimessa  anche  l'indicazione
delle «caratteristiche e  dei  requisiti  delle  prestazioni  sociali
comprese nei livelli essenziali previsti dall'art. 22»  della  stessa
legge quadro, che, a sua volta, delimitava le  aree  nel  cui  ambito
specificare gli interventi costitutivi dei livelli  essenziali  delle
prestazioni. Queste aree comprendevano le misure  di  contrasto  alla
poverta' e quelle a favore delle  persone  non  autosufficienti,  dei
minori in situazione di disagio, delle persone dipendenti da alcool o
sostanze stupefacenti. 
    Il descritto  sistema  di  programmazione  ebbe  solo  temporanea
attuazione con l'adozione del piano nazionale per gli anni 2001-2003,
approvato  con  il  d.P.R.  3  maggio  2001  (Piano  nazionale  degli
interventi e dei servizi sociali 2001 - 2003),  ma  fu  profondamente
modificato  dalla  riforma  costituzionale  introdotta  dalla   legge
costituzionale  n.  3  del  2001,  che  ha  conferito  alle   Regioni
competenza legislativa di tipo residuale nella  materia  dei  servizi
sociali, come ribadito dalla costante giurisprudenza di questa Corte,
che ha affermato che «tutte  le  attivita',  come  quella  in  esame,
"relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a
pagamento, o  di  prestazioni  economiche  destinate  a  rimuovere  e
superare le situazioni di bisogno e di  difficolta'  che  la  persona
umana incontra nel corso della  sua  vita,  escluse  soltanto  quelle
assicurate  dal  sistema  previdenziale  e  da   quello   sanitario",
rientrano nel piu' generale ambito  dei  servizi  sociali  attribuito
alla competenza legislativa residuale delle Regioni» (sentenze n. 121
del 2010, n. 124 del 2009, e n. 287 del 2004). 
    Il rilevante mutamento del quadro  costituzionale  nella  materia
dei servizi sociali, ha avuto l'ulteriore effetto di non  consentire,
nel periodo successivo alla riforma di cui alla legge  costituzionale
n. 3 del 2001, l'adozione degli strumenti di programmazione  previsti
dalla legge quadro n. 328 del 2000.  In  particolare,  l'attribuzione
della competenza legislativa residuale alle Regioni nella materia qui
considerata preclude allo Stato di fissare  i  principi  fondamentali
della materia, e di indicare gli obiettivi della programmazione, come
era invece previsto dalla legge n. 328 del  2000,  approvata  in  una
fase nella  quale  la  materia  in  esame  rientrava  tra  quelle  di
competenza concorrente tra Stato e Regioni. 
    2.3.- Inoltre, l'esigenza  di  adeguare  l'ordinamento  al  nuovo
assetto   costituzionale   e'   stata   evidentemente    alla    base
dell'approvazione dell'art. 46, comma  3,  della  legge  27  dicembre
2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003). Questa  norma,  al
fine  di  predisporre  uno  strumento  per  l'adozione  dei   livelli
essenziali delle prestazioni nella materia dei  servizi  sociali,  ha
disciplinato ex novo la procedura per la loro approvazione, indicando
i vincoli posti dalla finanza pubblica, il potere di proposta rimesso
al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il concerto con  il
Ministro dell'economia e delle finanze, e l'intesa con la  Conferenza
unificata. E' stata cosi' riformata  la  precedente  regolamentazione
prevista dalla legge n. 328 del 2000, dal momento che la natura della
nuova competenza regionale, di tipo residuale e non piu' concorrente,
risulta incompatibile con la previsione di un piano statale nazionale
e con l'indicazione  da  parte  dello  Stato  dei  principi  e  degli
obiettivi della politica sociale, nonche'  delle  «caratteristiche  e
dei  requisiti  delle  prestazioni  sociali  comprese   nei   livelli
essenziali» (art. 18, comma 3, lettera a)  della  legge  n.  328  del
2000). 
    Cio' malgrado, anche la nuova disciplina per l'individuazione dei
livelli essenziali  delle  prestazioni  nella  materia  in  esame  e'
rimasta inattuata nel periodo considerato;  e  questa  carenza  trova
esplicita conferma sia nella normativa della Regione Toscana, sia  in
quella di altre Regioni. 
    L'art. 14, comma 1, della legge della Regione Toscana n.  66  del
2008, prevede che «in via transitoria, e in attesa della  definizione
dei livelli essenziali di assistenza  sociale  (LIVEAS)  e  del  loro
relativo finanziamento, sono previste forme di  compartecipazione  da
parte della persona assistita ai costi delle prestazioni non  coperti
dai livelli  essenziali  di  assistenza  sanitaria,  secondo  livelli
differenziati di reddito e patrimoniali  definiti  da  apposito  atto
regionale di indirizzo, tenendo conto  dei  principi  in  materia  di
indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)  di  cui  al
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109». Il comma 2  del  medesimo
art.  14,  ribadisce  che  «Nelle  more  della  definizione   e   del
finanziamento dei LIVEAS, l'atto di indirizzo di cui al  comma  1  si
attiene  ai  seguenti  criteri  generali»,  facendo  poi  seguire  la
formulazione  della   lettera   c),   censurata   nell'ordinanza   di
rimessione. 
    Analogamente, altre disposizioni regionali, hanno giustificato la
disciplina relativa alla compartecipazione dei privati alla spesa per
l'erogazione di prestazioni  sociali  e  sociosanitarie.  Tra  queste
rientra l'art. 49, comma 2, della legge della Regione  Emilia-Romagna
12 marzo 2003, n. 2  (Norme  per  la  promozione  della  cittadinanza
sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi  e
servizi sociali), che cosi' dispone: «in via transitoria e in  attesa
della  definizione  dei  livelli  essenziali  di  assistenza  sociale
(LIVEAS) e del loro relativo finanziamento, sono  previste  forme  di
compartecipazione della persona assistita ai costi, non  coperti  dal
Fondo  regionale  per  la  non  autosufficienza,  delle   prestazioni
relative  ai  servizi  socio-sanitari  a  favore  delle  persone  non
autosufficienti anziane o disabili». 
    L'assenza  di  un'organica  disciplina  dei   LIVEAS   e'   anche
indirettamente   confermata   dalle   progressive   riduzioni   degli
stanziamenti relativi al Fondo per le non autosufficienze,  istituito
dall'art. 1, comma  1264,  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007), che hanno comportato,  per  le
Regioni, la necessita' di intervenire al fine di rendere  compatibili
tali riduzioni con l'esigenza di garantire le prestazioni sociali  in
oggetto   al   piu'   ampio   numero   possibile   di   anziani   non
autosufficienti, in attesa della determinazione dei LIVEAS. 
    2.4.- Infine,  si  osserva  che  solo  nelle  more  del  presente
giudizio e'  intervenuta  la  disposizione  di  cui  all'art.  5  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
il quale ha previsto che, con d.P.C.M, su proposta del  Ministro  del
lavoro e delle politiche sociali, si  proceda  alla  revisione  delle
«modalita'  di  determinazione  e   [dei]   campi   di   applicazione
dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine
di: adottare una definizione di reddito disponibile  che  includa  la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione  fiscale,  e  che
tenga conto delle quote  di  patrimonio  e  di  reddito  dei  diversi
componenti della famiglia nonche' dei pesi dei carichi familiari,  in
particolare dei figli successivi al secondo e di persone  disabili  a
carico;   migliorare   la   capacita'   selettiva    dell'indicatore,
valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale  sita  sia
in Italia sia all'estero, al netto del debito residuo per  l'acquisto
della stessa e tenuto conto delle imposte  relative;  permettere  una
differenziazione  dell'indicatore  per  le   diverse   tipologie   di
prestazioni». 
    Anche tale disposizione di riforma complessiva dell'ISEE  non  ha
trovato finora attuazione mediante l'adozione del previsto  d.P.C.M.,
e non puo' avere alcuna incidenza nel giudizio a quo. 
    Pertanto, la questione sollevata nel  presente  giudizio  non  e'
fondata, dal momento che deve escludersi che la norma di cui all'art.
3, comma 2 ter, del decreto legislativo n. 109 del 1998,  costituisca
un livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti civili  e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale,
idoneo a vincolare le Regioni ai sensi dell' art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., nella materia di competenza legislativa  residuale
relativa ai servizi sociali.