ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  157,
quinto comma, del codice penale, come sostituito  dall'art.  6  della
legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e  alla
legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche,  di
recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato  per
i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dal Giudice di pace
di Livorno con due ordinanze del 12 febbraio 2007 e con una ordinanza
del 5 marzo 2007, pervenute alla  Corte  costituzionale  l'11  giugno
2012, iscritte, rispettivamente, ai nn. 124, 125 e 126  del  registro
ordinanze del  2012  e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che il Giudice di pace di Livorno, con due ordinanze del
12 febbraio 2007 (r.o. nn. 124 e 125 del 2012) ed  una  del  5  marzo
2007  (r.o.  n.  126  del   2012),   tutte   pervenute   alla   Corte
costituzionale l'11 giugno 2012, ha sollevato - in  riferimento  agli
articoli 3 e 27, secondo comma, della  Costituzione  -  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 157, quinto comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione),  nella  parte  in  cui  non  dispone  che  il  termine
triennale di prescrizione, previsto  per  i  reati  puniti  con  pene
diverse da quella detentiva e da quella  pecuniaria,  si  applichi  a
tutti i reati di competenza del giudice di pace; 
    che nel primo dei giudizi a quibus (r.o.  n.  124  del  2012)  il
rimettente  e'  investito  di  una  richiesta  di   archiviazione   -
relativamente ai delitti di minaccia (art. 612 c.p.) e ingiuria (art.
594 c.p.), commessi in epoca compresa tra i mesi di luglio  e  agosto
del 2003 - sul presupposto dell'intervenuta prescrizione  dei  reati,
essendo trascorsi piu' di tre anni dalla relativa commissione; 
    che analogamente, nel procedimento cui si  riferisce  l'ordinanza
r.o. n. 125 del 2012, il giudice a quo  e'  chiamato  a  valutare  la
richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero in  ordine
ad un delitto di lesioni  personali  colpose  (art.  590  c.p.),  sul
presupposto  della  intervenuta  prescrizione  del   reato,   essendo
trascorsi piu' di tre anni dal fatto (avvenuto il 6 settembre 2003); 
    che  anche  l'ordinanza  r.o.  n.  126  del  2012   concerne   un
procedimento nel quale e' stata formulata richiesta di  archiviazione
in ordine ai delitti di ingiuria (art. 594 c.p.) e minaccia (art. 612
c.p.), commessi il 10 luglio 2003, sul  presupposto  dell'intervenuta
maturazione del termine prescrizionale di tre anni; 
    che le richieste di archiviazione, formulate nei giudizi a quibus
prima che quattro anni fossero trascorsi dai fatti considerati,  sono
state espressamente giustificate in base all'assunto che,  quando  la
loro cognizione e' rimessa al giudice di pace, i reati puniti con  la
sola pena  pecuniaria  non  sarebbero  soggetti  a  prescrizione  nel
termine generale previsto dal primo comma  dell'art.  156  cod.  pen.
(cioe' quattro e sei anni per i reati  puniti,  rispettivamente,  con
l'ammenda o con la multa), ma piuttosto nel termine triennale fissato
dal quinto comma dell'art.  156  cod.  pen.,  che  concerne  i  reati
sanzionati con le cosiddette pene «paradetentive»; 
    che tale soluzione interpretativa, secondo il pubblico ministero,
sarebbe imposta dalla necessita' di evitare che la  normativa  assuma
un significato irragionevole, e percio' contrastante con  il  dettato
costituzionale,  prevedendo  che  i  reati  meno  gravi,  tra  quelli
attribuiti alla competenza del giudice di  pace,  si  prescrivano  in
tempi piu' lunghi di quelli utili per  l'estinzione  dei  reati  piu'
gravi; 
    che il  rimettente,  sollevando  in  tutti  i  giudizi  a  quibus
l'identica questione,  assume  invece,  implicitamente,  che  l'unica
ipotesi  di  effettiva  applicazione   del   termine   triennale   di
prescrizione fissato al quinto comma  dell'art.  157  cod.  pen.  sia
quella dei reati per i quali  possono  essere  irrogate  le  sanzioni
«paradetentive» della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica
utilita' (art. 52 del decreto legislativo 28  agosto  2000,  n.  274,
recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace,  a
norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre  1999,  n.  468»),
mentre, riguardo agli ulteriori reati attribuiti alla competenza  del
giudice di pace, varrebbe il disposto del primo comma  dell'art.  157
cod. pen.; 
    che tale disciplina, secondo il  giudice  a  quo,  determina  una
irragionevole sperequazione in  danno  degli  autori  di  fatti  meno
gravi, con «violazione dell'art. 3 Cost.  (principio  di  uguaglianza
sostanziale)» e dell'art. 27, «secondo comma», Cost.  («principio  di
rieducativita' delle pene»); 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto in  tutti
i giudizi con atti depositati il 16 luglio  2012,  chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate infondate; 
    che l'Avvocatura generale ricorda come, con diversi provvedimenti
(sono citate la sentenza n. 2 del  2008  e  l'ordinanza  n.  223  del
2008),  la  Corte  costituzionale  abbia  gia'   ritenuto   infondate
questioni dello stesso genere; 
    che in particolare, secondo la stessa Avvocatura  generale  dello
Stato, un unico termine triennale di prescrizione varrebbe per  tutti
i reati di competenza del giudice di pace, cosi' da  restare  esclusa
ogni ingiustificata disparita' di trattamento. 
    Considerato che il Giudice di pace di Livorno, con due  ordinanze
del 12 febbraio 2007 (r.o. nn. 124 e 125 del 2012) ed una del 5 marzo
2007  (r.o.  n.  126  del   2012),   tutte   pervenute   alla   Corte
costituzionale l'11 giugno 2012, ha sollevato - in  riferimento  agli
artt. 3 e 27,  secondo  comma,  della  Costituzione  -  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 157, quinto comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione),  nella  parte  in  cui  non  dispone  che  il  termine
triennale di prescrizione, previsto  per  i  reati  puniti  con  pene
diverse da quella detentiva e da quella  pecuniaria,  si  applichi  a
tutti i reati di competenza del giudice di pace; 
    che  risulta  opportuno  disporre,  in  forza  della  sostanziale
identita' di  oggetto  delle  questioni  proposte,  la  riunione  dei
relativi giudizi; 
    che deve  anzitutto  dichiararsi  la  manifesta  inammissibilita'
delle questioni presumibilmente sollevate con riguardo  al  principio
di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, di cui al  terzo
comma dell'art. 27 Cost.; 
    che, infatti, il rimettente non ha  chiarito  in  alcun  modo  le
ragioni dell'asserito contrasto tra la norma censurata  e  l'invocato
principio di «rieducativita'», collegando tra l'altro quest'ultimo al
secondo comma dell'art. 27 Cost. (che concerne la presunzione di  non
colpevolezza) e non al terzo (per il quale  le  pene  devono  tendere
alla rieducazione del condannato); 
    che le questioni sollevate con assoluta  carenza  di  motivazione
circa  i  profili  di  contrasto  tra  norma  censurata  e  parametro
costituzionale evocato, secondo la costante giurisprudenza di  questa
Corte, sono manifestamente inammissibili (da  ultimo,  ordinanze  nn.
174 e 181 del 2012); 
    che i dubbi circa  la  legittimita'  costituzionale  della  norma
censurata,  in  rapporto  all'art.  3  Cost.,   sono   manifestamente
infondati, in quanto espressi sulla base di  un  erroneo  presupposto
interpretativo; 
    che questa Corte, dichiarando non fondate «nei sensi  di  cui  in
motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste con  riguardo
al primo ed al quinto comma dell'art. 157 cod. pen., ha gia' chiarito
come debba essere esclusa l'attuale vigenza di un  termine  triennale
di prescrizione per  i  reati  di  competenza  del  giudice  di  pace
punibili mediante le cosiddette sanzioni «paradetentive» (sentenza n.
2 del 2008); 
    che con la citata pronuncia n. 2 del 2008  e'  stata  negata,  in
particolare, la riferibilita' della norma contenuta nel quinto  comma
dell'art.  157  cod.  pen.  a  fattispecie  incriminatrici  che   non
prevedano  in  via  diretta  ed  esclusiva  pene  diverse  da  quelle
pecuniarie o detentive, ed e' stata altresi' rilevata  la  perdurante
equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell'obbligo
di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile,  irrogabili
dal giudice di  pace  in  alternativa  alle  pene  pecuniarie,  e  le
sanzioni detentive  originariamente  previste  per  i  reati  che  le
contemplano (art. 58, comma 1,  del  decreto  legislativo  28  agosto
2000, n. 274,  recante  «Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468»); 
    che l'opzione appena descritta e'  stata  confermata,  da  questa
Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni  sollevate  con
riguardo alla disciplina della prescrizione dei reati  di  competenza
del giudice di pace (ordinanze nn. 223, 381 e 433 del  2008,  n.  135
del 2009, n. 45 del 2012); 
    che non si rinvengono, nella motivazione  dei  provvedimenti  dai
quali  origina  il  presente  giudizio,  argomenti  che  inducano   a
modificare le valutazioni appena richiamate; 
    che la ritenuta applicabilita' delle  disposizioni  previste  nel
primo comma dell'art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del
giudice  di  pace  esclude  l'incongrua  diversita'  di   trattamento
denunciata dal rimettente. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.