ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  in  relazione  alla  legge  24  dicembre  2012,  n.  231,   di
conversione, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n.
207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e  dei
livelli occupazionali, in caso di crisi di  stabilimenti  industriali
di interesse strategico nazionale), promosso  dal  Procuratore  della
Repubblica presso il  Tribunale  ordinario  di  Taranto  con  ricorso
depositato in cancelleria il 28 gennaio 2013 ed iscritto al n. 2  del
registro  conflitti  tra   poteri   dello   Stato   2013,   fase   di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che, con ricorso  depositato  il  28  gennaio  2013,  il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Taranto
ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  -  per
violazione  degli  articoli  107,   quarto   comma,   e   112   della
Costituzione,   nonche'   delle    disposizioni    legislative    che
costituiscono attuazione ed  integrazione  dell'art.  112  Cost.  (in
particolare, degli artt. 50, 405, 423, 517, comma 1, e 518 del codice
di procedura penale) - nei confronti del Parlamento della Repubblica,
nelle persone del Presidente del Senato e del Presidente della Camera
dei deputati, in relazione alla legge 24 dicembre 2012,  n.  231,  di
conversione, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n.
207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e  dei
livelli occupazionali, in caso di crisi di  stabilimenti  industriali
di interesse strategico nazionale); 
    che, secondo il ricorrente, il  decreto-legge  n.  207  del  2012
(riguardo al quale la Procura ricorrente ha gia' proposto ricorso per
conflitto di attribuzione, iscritto al n. 7  del  registro  conflitti
tra poteri dello  Stato  del  2012,  fase  di  ammissibilita')  e  la
relativa  legge  di  conversione   avrebbero   reso   inefficace   il
provvedimento cautelare con il  quale  il  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Taranto  aveva  sottoposto  a  sequestro
preventivo i beni dell'ILVA S.p.A. ed avrebbe  altresi'  legittimato,
attraverso la prosecuzione dell'attivita' produttiva per  un  periodo
di tempo determinato,  «la  sicura  commissione  di  ulteriori  fatti
integranti i medesimi reati» per i quali la Procura procede; 
    che  l'Autorita'  ricorrente  riepiloga  la  vicenda  giudiziaria
sottostante i due conflitti, ricordando come gia'  nel  1998  fossero
state  emesse  sentenze  di  condanna,  divenute  irrevocabili,   nei
confronti di dirigenti dell'ILVA S.p.A., gestore  dello  stabilimento
siderurgico   di   Taranto,   per    violazione    della    normativa
anti-inquinamento e degli artt. 437, 674, 635, secondo comma,  numero
3), del codice penale; 
    che la Procura riferisce inoltre di aver ricevuto, a partire  dal
2007,   segnalazioni   da   parte   dell'ARPA    Puglia,    dell'ASL,
dell'Ispettorato del lavoro e  della  Questura  di  Taranto,  nonche'
numerose denunzie-querele di  privati  cittadini  e  del  Sindaco  di
Taranto,   che   determinavano   l'apertura   di   un'indagine,   con
acquisizione  di  documentazione  ed   espletamento   di   consulenze
tecniche; 
    che, in esito agli accertamenti disposti, era  emerso  che  dallo
stabilimento  gestito   dell'ILVA   S.p.A.   «si   sprigionava,   con
continuita', una quantita' imponente di emissioni diffuse e fuggitive
nocive, provenienti dalla c.d. "area  a  caldo"  (e  cioe'  dall'area
parchi, cokeria, agglomerato,  altiforni,  acciaieria  e  GRF);  che,
all'interno  dello  stabilimento  veniva   posta   in   essere,   con
continuita', un'attivita' di sversamento nell'aria-ambiente di  varie
sostanze  nocive  per  la  salute  umana,  animale  e  vegetale   (in
particolare IPA, benzo(a)pirene, diossine, metalli e  altre  polveri)
che si diffondevano nelle aree interne del  siderurgico,  nonche'  in
quelle rurali e urbane circostanti,  idonee  a  cagionare  eventi  di
malattia e di morte tra i lavoratori e la popolazione  residente  nei
quartieri viciniori; che si era gia'  verificato  l'avvelenamento  di
2.271 capi di bestiame (ovini), poi abbattuti»; 
    che, a  fronte  delle  indicate  risultanze,  la  stessa  Procura
riteneva di formulare un'ipotesi accusatoria in cui, accanto ai reati
previsti dal decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia  ambientale)  e  dagli  artt.  674,  635  e  437  cod.  pen.,
figuravano «anche i delitti di cui agli artt. 434 e 439 cod. pen.»; 
    che, secondo quanto riferisce ancora il  ricorrente,  le  perizie
chimico-ambientale e medico-epidemiologica, disposte dal Giudice  per
le  indagini  preliminari  in  seguito  a  richiesta   di   incidente
probatorio, ai  sensi  dell'art.  392,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
confermavano l'esistenza dei gravissimi  fenomeni  gia'  indicati  ed
evidenziavano «l'impossibilita'  di  ovviare  agli  stessi  senza  il
previo risanamento (dal punto di  vista  ambientale)  degli  impianti
funzionanti all'interno dello stabilimento»; 
    che, in esito a tali ultimi accertamenti,  la  Procura  formulava
richiesta di misure cautelari personali e reali; 
    che il Giudice  per  le  indagini  preliminari  di  Taranto,  con
ordinanza-decreto del 25 luglio 2012, applicava la custodia cautelare
nei confronti di alcuni indagati e disponeva il sequestro  preventivo
di tutta la cosiddetta area a caldo dello  stabilimento  siderurgico,
nominando  custodi-amministratori  con   il   compito   di   «avviare
immediatamente le procedure tecniche di sicurezza per il blocco delle
specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti»; 
    che,  con  riferimento  a  quest'ultimo  profilo,  il  ricorrente
sottolinea che il provvedimento  del  Giudice  e'  stato  oggetto  di
parziale  modifica  in  sede  di   gravame,   proposto   dal   legale
rappresentante dell'ILVA S.p.A.; 
    che il Tribunale del riesame, con  ordinanza  7-20  agosto  2012,
aveva infatti disposto «l'utilizzo degli impianti  solo  in  funzione
della realizzazione  di  tutte  le  misure  tecniche  necessarie  per
eliminare la situazione di pericolo e della attuazione di un  sistema
di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti»; 
    che, per la restante parte,  sempre  secondo  il  ricorrente,  il
provvedimento impugnato era stato  confermato  ed  il  Tribunale  del
riesame aveva ribadito il divieto di uso degli impianti per finalita'
di produzione; 
    che  la  decisione  del  Tribunale  del  riesame  non  era  stata
impugnata,  sicche'  su  di  essa  dovrebbe  ritenersi   formato   il
cosiddetto giudicato cautelare; 
    che l'Autorita'  giudiziaria  ricorrente  richiama  i  successivi
accadimenti e, in particolare, evidenzia come, a  distanza  di  circa
quattro  mesi  dall'esecuzione   del   provvedimento   di   sequestro
preventivo dell'area  a  caldo,  i  dirigenti  dell'ILVA  S.p.A.  non
avessero ottemperato alle  prescrizioni  giudiziali,  proseguendo  al
contrario l'attivita' produttiva; 
    che si giungeva cosi' alla richiesta del secondo provvedimento di
sequestro, disposto dal Giudice per le indagini preliminari  in  data
22 novembre 2012, ai sensi dell'art. 321, commi 1  e  2,  cod.  proc.
pen., avente ad oggetto i materiali prodotti fino a tale data; 
    che la stessa Procura aveva anche provveduto,  nel  contempo,  ad
inviare informazione di garanzia, per  i  reati  prima  indicati,  ai
dirigenti che non  avevano  ottemperato  all'ordine  di  bloccare  la
produzione; 
    che, nel contesto fin qui descritto, sono intervenuti il  Governo
della Repubblica, con il d.l. n. 207 del 2012, e il  Parlamento,  con
la legge di conversione del predetto decreto; 
    che  il   ricorrente   richiama   il   preambolo   del   suddetto
decreto-legge  dal  quale  emerge  che  l'intervento  governativo  e'
finalizzato a realizzare il bilanciamento tra la tutela della  salute
e  dell'ambiente,  da  un  lato,  e  le  esigenze   di   salvaguardia
dell'occupazione e della produzione industriale, dall'altro; 
    che, a tal fine, l'Autorizzazione integrata ambientale (AIA) e il
Piano  operativo  «assicurano  l'immediata   esecuzione   di   misure
finalizzate alla tutela della salute e della protezione ambientale  e
prevedono graduali ulteriori interventi sulla base di  un  ordine  di
priorita' finalizzato al risanamento progressivo degli impianti»; 
    che  il  decreto-legge  prevede,  in  presenza  di   stabilimenti
industriali  di  interesse  strategico  nazionale,  qualora  vi   sia
assoluta  necessita'  di  salvaguardia   dell'occupazione   e   della
produzione,  la  possibilita'  per  il  Ministro   dell'ambiente   di
autorizzare, mediante AIA, la prosecuzione dell'attivita'  produttiva
di uno o piu' stabilimenti, per un periodo determinato, non superiore
a 36 mesi,  e  a  condizione  che  siano  adempiute  le  prescrizioni
contenute nel provvedimento autorizzativo (art. 1, comma 1); 
    che il d.l. n. 207 del 2012 riconosce inoltre, nel preambolo, che
«la  continuita'  del  funzionamento  produttivo  dello  stabilimento
siderurgico  ILVA  S.p.A.  costituisce   una   priorita'   strategica
nazionale» e, al comma 4 dell'art. 1, stabilisce che «le disposizioni
di cui al comma  1  trovano  applicazione  anche  quando  l'autorita'
giudiziaria  abbia  adottato  provvedimenti  di  sequestro  sui  beni
dell'impresa  titolare   dello   stabilimento.   In   tale   caso   i
provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo  di
tempo  indicato   nell'autorizzazione,   l'esercizio   dell'attivita'
d'impresa a norma del comma 1»; 
    che il ricorrente richiama l'art. 2 del  decreto,  nel  quale  si
stabilisce che,  nei  limiti  consentiti  dal  medesimo  decreto,  la
gestione e la responsabilita'  della  conduzione  degli  impianti  di
interesse  strategico  nazionale  rimangano  in  capo   ai   titolari
dell'AIA, ed il successivo art. 3, che fa salva l'efficacia  dell'AIA
rilasciata all'ILVA S.p.A. in data 26 ottobre 2012; 
    che, all'esito della disamina delle disposizioni  introdotte  con
il decreto-legge e con la legge di conversione  oggetto  dell'odierno
conflitto, la Procura ricorrente segnala che, secondo la dottrina, vi
e' stato un impiego abnorme della funzione normativa,  tale  da  aver
dato luogo ad una sorta di «revoca legislativa» di  un  provvedimento
giudiziario di sequestro; 
    che l'asserita abnormita' dell'intervento risulterebbe tanto piu'
evidente trattandosi di materia penale, nella quale l'esigenza di una
tutela immediata e diretta del bene giuridico rafforza le ragioni  di
garanzia  della  certezza  del  diritto   e   dell'integrita'   delle
attribuzioni costituzionali dei diversi poteri dello Stato; 
    che,  del  resto,  prosegue  il  ricorrente,  la   giurisprudenza
costituzionale sarebbe univoca nel vietare al legislatore  l'adozione
di provvedimenti che  incidano  sulla  «funzione  giurisdizionale  in
ordine alla decisione delle cause in corso» (e' citata la sentenza n.
267 del 2007); 
    che le  considerazioni  svolte  consentirebbero,  sempre  per  il
ricorrente, di «affermare [...]  che  le  disposizioni  in  esame  si
pongono in termini di assoluta incompatibilita' con  gli  artt.  101,
102, 103, 104, 111, 113 e 117, primo comma,  Cost.  (quest'ultimo  in
relazione  all'art.  6  CEDU)  e,   cioe',   con   i   principi   che
caratterizzano la funzione giurisdizionale e con quelli  del  "giusto
processo" e della separazione dei poteri»; 
    che,  inoltre,  la  legge  di  conversione  avrebbe  previsto  la
reimmissione dell'ILVA S.p.A. nel possesso  delle  merci  sequestrate
anche riguardo alla produzione antecedente all'entrata in vigore  del
decreto-legge, in cio' innovando le prescrizioni di  quest'ultimo  in
assenza del carattere d'urgenza, con conseguente violazione dell'art.
77 Cost.; 
    che tuttavia, secondo la Procura ricorrente,  «quelle  suesposte»
sarebbero questioni che «potranno e dovranno formare  oggetto  di  un
giudizio costituzionale in via incidentale»; 
    che, cio' posto, l'Autorita' giudiziaria ricorrente  reputa  «non
[...] tollerabile», nella fattispecie, il vulnus arrecato dal d.l. n.
207 del 2012, e dalla relativa legge di conversione, ai  principi  di
obbligatorieta' dell'azione penale e  di  indipendenza  del  pubblico
ministero; 
    che  si  realizzerebbe,  in  particolare,   una   situazione   di
interferenza sull'esercizio delle attribuzioni dello stesso  pubblico
ministero, ovvero di menomazione della relativa sfera di  competenza,
rientrante a pieno titolo nella nozione di conflitto di attribuzione; 
    che, su queste  premesse,  il  Procuratore  della  Repubblica  di
Taranto ritiene  sussistenti  i  presupposti  di  ammissibilita'  del
conflitto sotto il profilo soggettivo ed oggettivo; 
    che,  quanto  all'aspetto   soggettivo,   sarebbe   pacifica   la
qualificazione di potere dello Stato in capo al  pubblico  ministero,
come emergerebbe dalla giurisprudenza costituzionale, nella quale  si
trova ripetutamente affermata sia la competenza del Procuratore della
Repubblica a dichiarare definitivamente la  volonta'  del  potere  di
appartenenza, sia la  natura  di  potere  dello  Stato  dello  stesso
pubblico  ministero,  in  quanto  titolare   diretto   ed   esclusivo
dell'attivita'  d'indagine,  finalizzata  all'esercizio  obbligatorio
dell'azione penale (sono richiamate le sentenze n. 420 e n.  216  del
1995, n. 204 del 1991, n. 731 del 1988); 
    che  sussisterebbe,  del  pari,  la  legittimazione  passiva  dei
Presidenti dei due rami  del  Parlamento,  quali  organi  deputati  a
rappresentare lo stesso Parlamento  relativamente  alle  attribuzioni
conferite dal secondo e dal terzo comma dell'art. 77 Cost.; 
    che, quanto  al  profilo  oggettivo,  il  ricorrente  lamenta  la
lesione dei principi costituzionali previsti dagli artt. 112  e  107,
quarto comma, Cost., i quali sanciscono che il pubblico ministero  ha
l'obbligo  di  esercitare  l'azione  penale  e  gode  delle  garanzie
stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario; 
    che e' evocata, a questo punto, la giurisprudenza  costituzionale
la quale - pur escludendo, in  linea  generale,  l'ammissibilita'  di
conflitti promossi  contro  atti  legislativi  nel  caso  in  cui  la
violazione dei  parametri  attributivi  di  competenze  possa  essere
denunciata mediante una questione incidentale di legittimita'  -  non
ha negato in radice la possibilita'  di  censurare  con  ricorso  per
conflitto   norme   lesive    delle    attribuzioni    costituzionali
dell'Autorita' giudiziaria  (sono  citate  le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 221 del 2002 e n. 457 del 1999); 
    che, in particolare, nel caso oggetto dell'odierno  giudizio,  la
Procura ricorrente non potrebbe valersi di  un  rimedio  diverso  dal
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; 
    che, quanto al  merito,  la  medesima  Procura  si  sofferma  sul
significato del  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale,
osservando che lo stesso incontra il solo limite della  richiesta  di
archiviazione, sul  presupposto  del  riconoscimento,  da  parte  del
titolare dell'accusa, dell'infondatezza di una eventuale imputazione; 
    che, nel caso in cui ravvisi  un  fatto  di  reato,  il  pubblico
ministero deve esercitare l'azione penale, secondo un automatismo che
impedisce  valutazioni  di  convenienza,  di  qualsiasi  genere   (e'
richiamata la sentenza n. 88 del 1991 della Corte costituzionale); 
    che il ricorrente elenca numerose disposizioni che  costituiscono
attuazione  del  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale,
ovvero ne integrano la portata; 
    che sono richiamati in primo luogo l'art. 50 cod. proc. pen., che
sancisce la titolarita'  esclusiva  dell'azione  penale  in  capo  al
pubblico ministero, e l'art. 405  cod.  proc.  pen.,  che  disciplina
l'esercizio dell'azione medesima, a partire dal quale  si  snoda  una
serie di atti  che  «ha  come  epilogo  irrinunciabile  la  decisione
giurisdizionale»; 
    che strumentale all'esercizio dell'azione penale  e'  l'attivita'
investigativa, mediante la  quale  sono  raccolti  gli  elementi  che
consentono di definire il fatto di reato, individuare la persona alla
quale addebitarlo e verificare la fondatezza della notitia criminis; 
    che l'esito positivo dell'attivita'  investigativa  rende  dunque
concreto il dovere del  pubblico  ministero  di  esercitare  l'azione
penale; 
    che quest'ultima, secondo  quanto  rilevato  dal  ricorrente,  e'
connotata,  oltre  che  dalla  obbligatorieta'   nel   senso   appena
precisato, dalla ufficialita' e dall'irretrattabilita'; 
    che, prima di motivare sulle ragioni del conflitto, il ricorrente
precisa come i reati ipotizzati a carico  della  dirigenza  dell'ILVA
S.p.A. siano reati «di pericolo, di natura permanente o, al  massimo,
istantanea ad effetti permanenti, riguardando nella specie,  impianti
industriali a ciclo continuo»; 
    che la disciplina impugnata varrebbe, per un verso, ad  annullare
l'efficacia  di  un  provvedimento  adottato  al  fine   di   evitare
l'aggravamento delle conseguenze dei reati commessi e la consumazione
di nuovi reati e, per altro verso, a «legittimare»  la  realizzazione
di ulteriori reati  dello  stesso  genere,  quale  conseguenza  della
prosecuzione dell'attivita' produttiva; 
    che tali reati non potrebbero essere perseguiti, proprio in forza
del  decreto-legge  in  questione  e  della   successiva   legge   di
conversione,   con   conseguente   violazione   del   principio    di
obbligatorieta' dell'azione penale; 
    che la disciplina impugnata si porrebbe,  inoltre,  in  contrasto
con il principio della separazione dei poteri,  rendendo  impossibile
l'applicazione delle misure  cautelari  nei  casi  in  cui,  «secondo
l'insindacabile giudizio di  merito  degli  organi  giurisdizionali»,
sussista grave pericolo di lesione di beni alla  cui  protezione  gli
strumenti cautelari sono preordinati; 
    che sarebbe in tal modo violato «il  dovere  dell'Ordinamento  di
reprimere e prevenire i reati»,  desumibile  dal  combinato  disposto
degli artt. 25, 27 e 112 Cost.; 
    che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario
di Taranto chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che non  spetta
al  Parlamento  della  Repubblica,  in  sede   di   conversione   del
decreto-legge  n.  207  del  2012,   «autorizzare   la   prosecuzione
dell'attivita' produttiva per il periodo di tempo predeterminato  ne'
[prevedere] che tale disposizione  trova  applicazione  anche  quando
l'A.G.  abbia  adottato   provvedimenti   di   sequestro   sui   beni
dell'impresa titolare dell'A.I.A., nella parte in cui e' previsto che
tali provvedimenti non impediscono, nel corso del  predetto  periodo,
l'esercizio dell'attivita' d'impresa». 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale),  ad  effettuare,  senza  contraddittorio,  una
delibazione preliminare di ammissibilita'  del  ricorso,  concernente
l'esistenza della materia di un conflitto la cui  risoluzione  spetti
alla sua competenza,  con  riferimento  ai  requisiti  soggettivi  ed
oggettivi indicati dal primo comma dello stesso art. 37; 
    che, per  quanto  attiene  all'aspetto  soggettivo  del  presente
conflitto, questa Corte ha riconosciuto, con giurisprudenza costante,
la natura di potere dello Stato  al  pubblico  ministero,  in  quanto
investito dell'attribuzione, costituzionalmente  garantita,  inerente
all'esercizio  obbligatorio  dell'azione  penale  (art.   112   della
Costituzione), cui si connette la titolarita' delle indagini ad  esso
finalizzate (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2013, n. 88 e n.  87  del
2012, ordinanze n.  218  del  2012,  n.  241  e  n.  104  del  2011),
ritenendo, altresi', legittimato ad agire e a resistere  nei  giudizi
per conflitto di attribuzione il Procuratore della Repubblica  presso
il Tribunale, in  quanto  competente  a  dichiarare  definitivamente,
nell'assolvimento della ricordata funzione, la  volonta'  del  potere
cui appartiene (ordinanza n. 60 del 1999); 
    che, ancora dal punto di vista soggettivo, nessun dubbio sussiste
in ordine  alla  legittimazione  delle  due  Camere  a  resistere  al
conflitto; 
    che, con riferimento ai  presupposti  oggettivi,  il  ricorso  e'
indirizzato alla tutela della sfera di  attribuzioni  determinata  da
norme  costituzionali,  in  quanto  la  lesione  lamentata   concerne
l'attribuzione, costituzionalmente garantita al  pubblico  ministero,
inerente all'esercizio  obbligatorio  dell'azione  penale  (art.  112
Cost.), nonche' le  garanzie  stabilite  nei  riguardi  dello  stesso
pubblico ministero dalle  norme  sull'ordinamento  giudiziario  (art.
107, quarto comma, Cost.); 
    che, circa l'idoneita' di una legge a determinare conflitto, deve
rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso, in  linea
di principio, la configurabilita' del conflitto  di  attribuzione  in
relazione ad una norma recata da una legge o da un atto avente  forza
di legge tutte le volte in cui  da  essa  «possono  derivare  lesioni
dirette dell'ordine costituzionale delle  competenze»  (ordinanza  n.
343 del 2003), ad eccezione dei casi in cui esista un  «giudizio  nel
quale tale norma debba trovare applicazione  e  quindi  possa  essere
sollevata la questione incidentale sulla legge» (sentenza n. 221  del
2002; in senso analogo, sentenza n. 284 del 2005, ordinanze n. 38 del
2008, n. 296 e n. 69 del 2006); 
    che, nel caso di specie, non ricorrono le condizioni  alle  quali
e' subordinata l'ammissibilita' del conflitto avente ad oggetto norme
recate da una legge o da un atto con forza di legge; 
    che, in particolare, non solo sussiste «la  possibilita',  almeno
in  astratto,  di  attivare  il  rimedio  della  proposizione   della
questione di legittimita' costituzionale nell'ambito di  un  giudizio
comune»  (sentenza  n.  284  del  2005),  ma  siffatta  possibilita',
prospettata gia' dal ricorrente nell'atto introduttivo  del  presente
giudizio, si e' poi concretizzata con la rimessione -  sia  da  parte
del Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 19  del  2013),
sia da parte del Tribunale  ordinario  di  Taranto,  in  funzione  di
giudice  dell'appello  ai  sensi  dell'art.  322-bis  del  codice  di
procedura penale (reg. ord.  n.  20  del  2013)  -  di  questioni  di
legittimita' costituzionale, anche in riferimento al parametro di cui
all'art. 112 Cost., sulle norme recate dal decreto-legge  3  dicembre
2012,  n.  207  (Disposizioni  urgenti   a   tutela   della   salute,
dell'ambiente e dei livelli di  occupazione,  in  caso  di  crisi  di
stabilimenti industriali  di  interesse  strategico  nazionale),  nel
testo risultante dalla sua conversione ad opera dell'art. 1, comma 1,
della legge 24 dicembre 2012, n. 231; 
    che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.