ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 35  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento   dei   conti   pubblici)
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il  21  febbraio
2012, depositato in cancelleria il 23 febbraio 2012 ed iscritto al n.
29 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  7  novembre  2012  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini, Bruno  Barel,  Andrea  Manzi  e
Daniela Palumbo per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 21 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 23 febbraio (r.r. n. 29 del 2012), la  Regione  Veneto  ha
promosso questione di legittimita' costituzionale in via  principale,
tra l'altro, dell'articolo 35 del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.
201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,   l'equita'   e   il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    La ricorrente deduce la violazione degli articoli  3,  97,  primo
comma, 113, primo comma, 117, sesto comma  e  118,  primo  e  secondo
comma, della Costituzione,  nonche'  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione) e del principio di leale collaborazione. 
    La Regione rileva che il citato art. 35 conferisce  all'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato il potere di intervenire  con
un  parere  motivato,  entro  sessanta  giorni,  su  tutti  gli  atti
amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi
amministrazione pubblica, statale, regionale o  locale,  che  ritenga
emanati in violazione delle norme a tutela della  concorrenza  e  del
mercato. La disposizione impugnata, prevede, poi, che, se la pubblica
amministrazione non si conforma entro i sessanta  giorni  successivi,
l'Autorita' puo' presentare, per  il  tramite  dell'Avvocatura  dello
Stato, ricorso giurisdizionale entro i successivi trenta giorni. 
    In questo modo -  sostiene  la  ricorrente  -  si  finirebbe  col
sottoporre gli atti regolamentari ed amministrativi regionali  ad  un
nuovo e generalizzato controllo di  legittimita',  su  iniziativa  di
un'autorita' statale, per certi aspetti analogo al controllo che  era
previsto dal previgente art.  125,  primo  comma,  Cost.,  norma  poi
abrogata con la legge costituzionale n. 3 del 2001. 
    Per tale ragione la disposizione denunciata eccederebbe i  limiti
ricavabili dalla sentenza di questa Corte n. 64 del 2005, secondo cui
«E' vero che, con il nuovo titolo V della Costituzione,  i  controlli
di legittimita' sugli atti amministrativi degli enti  locali  debbono
ritenersi espunti dal nostro ordinamento, a seguito  dell'abrogazione
del primo comma dell'art. 125 e dell'art. 130 della Costituzione,  ma
questo non esclude la  persistente  legittimita',  da  un  lato,  dei
cosiddetti controlli interni (cfr. art. 147 del d.lgs. n. 267 del  18
agosto 2000) e, dall'altro, dell'attivita'  di  controllo  esercitata
dalla  Corte  dei  conti,  legittimita'  gia'  riconosciuta  da   una
molteplicita' di decisioni di  codesta  Corte  sulla  base  di  norme
costituzionali diverse da quelle abrogate (cfr. sentenze n.  470  del
1997; 335 e 29 del 1995)». 
    2.- Sotto altro profilo, con l'attribuzione all'Autorita' di  una
generale legittimazione processuale  attiva  ad  impugnare  gli  atti
amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi
pubblica amministrazione che, a suo parere, violino le norme a tutela
della concorrenza e del  mercato,  la  disposizione,  modificando  la
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della  concorrenza
e del mercato), verrebbe a configurare, come e' gia' stato  affermato
da una parte  della  dottrina,  una  surrettizia  introduzione  della
figura  del   pubblico   ministero   nel   processo   amministrativo,
contrastante  con  la  sua  natura   strutturale   di   giurisdizione
soggettiva. 
    Sotto questo profilo, il citato art. 35  violerebbe  l'art.  113,
primo comma, Cost., in base al quale la condizione per agire  davanti
al giudice amministrativo e' data dalla titolarita' di una  posizione
giuridica sostanziale e dalla  lesione  della  stessa  ad  opera  del
potere amministrativo. 
    La ricorrente esclude, al riguardo, che l'Autorita' garante della
concorrenza  e  del  mercato  possa  godere  di  una   legittimazione
straordinaria a tutela dell'interesse collettivo degli imprenditori o
dei consumatori. 
    3.- Non mancherebbero, poi,  nella  disposizione  «vari  elementi
sintomatici  di  irragionevolezza  e  di  lesione  del  principio  di
certezza del diritto».  In  particolare,  non  sarebbe  prevista  una
disciplina del termine di decorrenza  dei  sessanta  giorni  entro  i
quali  l'Autorita'  puo'  formulare  il  proprio   parere   motivato,
prodromico alla eventuale proposizione  del  ricorso  giurisdizionale
entro  i  successivi  trenta  giorni.  Tale  incertezza   in   ordine
all'indicato dies a quo si rifletterebbe sulla stabilita' degli  atti
regolamentari e provvedimentali della Regione, menomando la  potesta'
regolamentare e amministrativa costituzionalmente garantita  a  detto
ente,  con  ulteriore  lesione  -  per  difetto  di   ragionevolezza,
censurabile anche ai sensi dell'art. 3 Cost. e ai sensi dell'art.  97
Cost., che prevede il principio  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione   -    della    sfera    di    autonomia    regionale
costituzionalmente garantita. 
    Inoltre, la ricorrente pone in evidenza come la legittimazione ad
agire dell'Autorita' non risulti  coordinata  con  la  legittimazione
propria delle parti private, sicche' il ricorso della prima  potrebbe
risolversi in un intervento di supplenza o surrogazione in favore  di
parti  private  decadute  dal  termine  per  proporre   l'impugnativa
ordinaria. 
    Infine,  sarebbe  palese  l'incongruenza  che  si  determinerebbe
quando   l'Autorita',   tenuta   ad    avvalersi    del    patrocinio
dell'Avvocatura   generale   dello    Stato,    impugni    atti    di
un'amministrazione  statale  tenuta  anch'essa  ad  avvalersi   della
medesima Avvocatura generale. 
    4.- Con memoria depositata in data 8 maggio 2012 si e' costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le  questioni  di
legittimita' costituzionale proposte con il  suddetto  ricorso  siano
dichiarate non fondate. 
    In particolare, la difesa  erariale  contesta  le  argomentazioni
della ricorrente rilevando come la norma impugnata abbia la finalita'
di assicurare il rispetto delle regole della  "concorrenza",  materia
rientrante nella competenza legislativa esclusiva statale. 
    Pertanto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il
legislatore statale puo'  legittimamente  prevedere  che  l'Autorita'
garante della concorrenza  e  del  mercato  censuri  gli  atti  della
pubblica amministrazione emessi in violazione delle regole  a  tutela
della  concorrenza,  concedendo  anche  alla  stessa   Autorita'   la
legittimazione ad agire in giudizio. Sotto questo profilo,  la  norma
impugnata  rientrerebbe  nella   materia   dell'ordinamento   civile.
Inoltre, la difesa erariale sottolinea come non si comprenda in  qual
modo la norma censurata rappresenti una violazione delle  prerogative
regionali. 
    5.- In data 16 ottobre 2012 la Regione Veneto ha  depositato  una
memoria illustrativa, con la quale, in riferimento all'impugnato art.
35, si riporta alle argomentazioni esposte  nel  ricorso,  insistendo
per l'accoglimento della questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto, con il ricorso indicato  in  epigrafe,  ha
promosso,  tra  l'altro,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo  35  del  decreto-legge  6  dicembre   2011,   n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, per contrasto con gli articoli  3,  97,  primo
comma, 113, primo comma, 117, sesto comma, e  118,  primo  e  secondo
comma, della Costituzione, nonche' con  la  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione) e con il principio di leale collaborazione. 
    Riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle   restanti
questioni di legittimita' costituzionale sollevate con il  menzionato
ricorso, vengono qui all'esame della Corte le censure mosse al citato
art. 35. 
    2.- Le questioni sono inammissibili. 
    2.1.- La norma censurata -  aggiungendo  alla  legge  10  ottobre
1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e  del  mercato),
l'articolo 21-bis ( la cui rubrica e' «Poteri dell'Autorita'  garante
della  concorrenza  e  del  mercato  sugli  atti  amministrativi  che
determinano distorsioni della  concorrenza»)  -  cosi'  dispone:  «1.
L'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e' legittimata ad
agire  in  giudizio  contro  gli  atti  amministrativi  generali,   i
regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione  pubblica
che violino le norme a tutela della concorrenza  e  del  mercato.  2.
L'Autorita' garante, se  ritiene  che  una  pubblica  amministrazione
abbia emanato un atto  in  violazione  delle  norme  a  tutela  della
concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni,  un  parere
motivato, nel quale indica gli  specifici  profili  delle  violazioni
riscontrate. Se la  pubblica  amministrazione  non  si  conforma  nei
sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorita'
puo' presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso,  entro
i successivi trenta giorni. 3. Ai giudizi  instaurati  ai  sensi  del
comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV,  Titolo  V,  del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104». 
    Va ancora premesso che, per  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, alle Regioni e' preclusa la possibilita' di impugnare le leggi
statali  adducendo  la   violazione   di   un   qualsiasi   parametro
costituzionale,  in  quanto  ad  esse  e'  riconosciuta  soltanto  la
possibilita' di far valere eventuali violazioni  di  competenze  alle
Regioni medesime costituzionalmente attribuite. 
    Tali enti possono evocare parametri di  legittimita'  diversi  da
quelli che sovraintendono al riparto di attribuzioni solo quando  «la
violazione denunciata sia  potenzialmente  idonea  a  determinare  un
vulnus  alle  attribuzioni  costituzionali  delle  regioni  e  queste
abbiano  sufficientemente  motivato  in  ordine  ai  profili  di  una
"possibile ridondanza"  della  predetta  violazione  sul  riparto  di
competenze» (ex plurimis: sentenze n. 199, n. 151 e n. 80  del  2012;
n. 128 e n. 33 del 2011; n. 325 e n. 278 del 2010). 
    3.-  Orbene,  quanto  alla  prima   censura,   secondo   cui   la
disposizione  denunziata   finirebbe   «col   sottoporre   gli   atti
regolamentari ed amministrativi regionali ad un nuovo e generalizzato
controllo di legittimita', su iniziativa  di  un'autorita'  statale»,
cosi' travalicando i limiti desumibili dalla sentenza di questa Corte
n. 64 del 2005 e violando gli artt. 117, sesto comma, e 118, primo  e
secondo comma, Cost., si deve osservare che e'  inesatto  parlare  di
«nuovo e generalizzato controllo di legittimita'», la' dove la  norma
- integrando  i  poteri  conoscitivi  e  consultivi  gia'  attribuiti
all'Autorita' garante dagli artt. 21 e seguenti della  legge  n.  287
del 1990 - prevede un potere di iniziativa finalizzato a  contribuire
ad  una  piu'  completa  tutela  della  concorrenza  e  del  corretto
funzionamento del mercato (art. 21, comma 1, della legge  citata)  e,
comunque, certamente non generalizzato, perche' operante soltanto  in
ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela  della
concorrenza e del  mercato»  (norma  censurata,  comma  1).  Esso  si
esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel
quale  sono  indicati  gli   specifici   profili   delle   violazioni
riscontrate), e in una seconda (eventuale)  fase  di  impugnativa  in
sede giurisdizionale, qualora  la  pubblica  amministrazione  non  si
conformi al parere stesso. 
    La detta disposizione, dunque, ha un  perimetro  ben  individuato
(quello, per l'appunto, della concorrenza), compreso in  una  materia
appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato  (art.
117, secondo comma, lettera e, Cost.), concernente anche la  potesta'
regolamentare, ai sensi dell'art. 117, sesto  comma,  primo  periodo,
Cost. 
    La ricorrente non tiene conto di tali  aspetti,  non  indica  gli
atti  amministrativi  regionali  sottoposti  al  (preteso)  «nuovo  e
generalizzato controllo di legittimita'», non chiarisce quale sarebbe
la materia di competenza concorrente o residuale, cui dovrebbe essere
correlata la potesta' regolamentare e legislativa  regionale  che  si
assume lesa  dalla  norma  censurata.  Inoltre  adduce  una  asserita
violazione della legge costituzionale n. 3  del  2001,  senza  alcuna
ulteriore specificazione. 
    Tali carenze, da un lato, rendono la censura stessa generica  (ex
plurimis: sentenze n. 199, n. 115 e n. 99 del 2012; n. 185 e  n.  129
del 2011; n.  325  del  2010)  e,  dall'altro,  quanto  ai  parametri
estranei al Titolo V  della  Parte  seconda  della  Costituzione,  si
risolvono in un difetto di motivazione sulla  «possibile  ridondanza»
delle denunciate violazioni sul riparto  di  competenze  legislative,
sicche' le violazioni stesse non risultano  potenzialmente  idonee  a
determinare  una  lesione  delle  attribuzioni  costituzionali  della
Regione (ex plurimis: sentenze n. 80 del 2012, n. 128 del 2011). 
    Alla stregua di tali rilievi  la  doglianza  ora  esaminata  deve
essere dichiarata inammissibile. 
    4.- Quanto alla censura mossa in riferimento all'art. 113,  primo
comma, Cost., si  deve  ribadire  la  consolidata  giurisprudenza  di
questa  Corte,  secondo  la  quale  la  questione   di   legittimita'
costituzionale  e'  inammissibile  allorche'  sia  omesso   qualsiasi
accenno  alla  stessa  nella  delibera  di  impugnazione  dell'organo
politico, dovendo,  in  questo  caso,  «escludersi  la  volonta'  del
ricorrente di promuoverla» (ex pluribus: sentenze n. 227 del 2011, n.
365 e n. 275 del 2007). Nel caso di specie,  l'esame  della  delibera
della Giunta regionale n. 150 del 31  gennaio  2012  (che  autorizzo'
l'impugnazione) consente di rilevare  che,  nella  medesima,  non  si
trova alcun riferimento al parametro costituzionale dettato dall'art.
113, primo comma, Cost. 
    Peraltro,  sotto  diverso  profilo,  la  questione  promossa  con
riferimento al citato art. 113,  primo  comma,  Cost.  e',  comunque,
inammissibile, perche' - a parte  il  non  pertinente  richiamo  alla
figura del pubblico ministero, che sarebbe stato introdotto  in  modo
surrettizio nel processo amministrativo - si tratta di questione  non
attinente al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione
e non incidente sulle attribuzioni costituzionali di  questa  (nessun
argomento al  riguardo  risulta  addotto  nel  ricorso),  sicche'  la
ricorrente non e' legittimata a proporla. 
    5.-  Ad  avviso  della  ricorrente,  «non  mancano,  poi,   nella
disposizione, vari elementi  sintomatici  di  irragionevolezza  e  di
lesione del principio  di  certezza  del  diritto».  In  particolare,
farebbe difetto una disciplina in ordine alla decorrenza del  termine
di sessanta giorni  entro  i  quali  l'Autorita'  puo'  formulare  il
proprio parere motivato, prodromico  all'eventuale  proposizione  del
ricorso  giurisdizionale  entro  i  successivi  trenta  giorni.  Tale
incertezza  sul  menzionato  dies  a  quo  si   rifletterebbe   sulla
stabilita' degli atti regolamentari e provvedimentali regionali, «con
ulteriore lesione - per difetto di ragionevolezza, censurabile  anche
ai sensi dell'art. 3 della Costituzione e ai sensi dell'art.  97  sul
buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -  della  sfera  di
autonomia regionale costituzionalmente garantita». 
    Inoltre,  la   legittimazione   ad   agire   dell'Autorita'   non
risulterebbe coordinata con la  legittimazione  propria  delle  parti
private, sicche' il ricorso della prima  potrebbe  risolversi  in  un
intervento di supplenza o surrogazione in  favore  di  parti  private
decadute dal termine per proporre  l'impugnativa  ordinaria.  Palese,
poi, sarebbe l'incongruenza che si determinerebbe quando l'Autorita',
tenuta ad  avvalersi  del  patrocinio  dell'Avvocatura  dello  Stato,
impugni atti di un'amministrazione statale  tenuta  a  sua  volta  ad
avvalersi della detta Avvocatura. 
    Anche tali censure sono inammissibili. 
    Esse riguardano, per  la  maggior  parte,  questioni  di  diritto
processuale,  che  non  hanno  alcuna  attinenza  col  riparto  delle
competenze legislative tra Stato e Regioni e sono, invece,  demandate
alla cognizione dei giudici comuni  che  le  decideranno  secondo  le
norme dei  rispettivi  ordinamenti.  L'unico  aspetto,  che  potrebbe
assumere qui rilievo, concerne il presunto riflesso sulla  stabilita'
degli atti regionali, conseguente alla  (asserita)  incertezza  della
decorrenza dei termini disciplinati dalla norma de qua. Tuttavia,  si
tratta di doglianza avente carattere  meramente  eventuale,  che  non
puo' trovare ingresso in questa sede. Peraltro, i  parametri  evocati
esulano dalle norme comprese nel Titolo V della Parte  seconda  della
Costituzione e non si rivelano potenzialmente  idonei  a  determinare
una lesione delle attribuzioni costituzionali della Regione. 
    6.- Infine, quanto alla dedotta violazione del principio di leale
collaborazione, va rilevato che esso non  puo'  trovare  applicazione
con riferimento all'attivita' legislativa; del resto nessuna adeguata
motivazione risulta addotta sul punto. 
    7.- In definitiva, il ricorso deve  essere  dichiarato,  nel  suo
complesso, inammissibile.