ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  656,
comma 9, lettera a), del codice di procedura penale  e  dell'articolo
4-bis, comma 1-quater, della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative  e  limitative  della  liberta'),  promosso   dalla   Corte
d'appello di Bologna nel procedimento penale a carico di S.E.M.,  con
ordinanza del  27  marzo  2012,  iscritta  al  n.  172  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 16 gennaio  2013  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 27 marzo 2012 (r.o.  n.
172 del 2012), la Corte di appello di Bologna, in funzione di giudice
dell'esecuzione penale, ha sollevato, con riferimento agli articoli 3
e 27, terzo comma,  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale sia dell'articolo 4-bis, comma 1-quater,  della  legge
26 luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte in cui si riferisce anche  ai  condannati  per  il  reato
previsto dall'art. 609-quater del codice penale,  attenuato  a  norma
del quarto comma dello stesso articolo, sia dell'articolo 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, nella  parte  in  cui,
rinviando all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, prevede  che
non possa disporsi la sospensione dell'esecuzione della pena inflitta
per tale reato; 
    che il giudice a quo premette di essere investito di un incidente
di esecuzione, ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen., nei  confronti
del provvedimento con cui il Procuratore generale presso la Corte  di
appello di Bologna «aveva eseguito nella forma carceraria» la pena di
un anno e sei mesi di reclusione, oggetto di una sentenza di condanna
della Corte di appello di Bologna per il delitto di  cui  agli  artt.
81, secondo comma, e 609-quater, primo comma,  numero  1),  e  quarto
comma, cod. pen.; 
    che, come riferisce il giudice a quo, la difesa del condannato ha
censurato il fatto che, in base al  combinato  disposto  degli  artt.
656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. e  4-bis,  comma  1-quater,
dell'ordinamento penitenziario nel caso di condanna  per  il  delitto
previsto dall'art. 609-quater  cod.  pen.,  attenuato  ai  sensi  del
quarto comma dello stesso articolo, non e' possibile «la  sospensione
dell'emissione dell'ordine di  carcerazione  ne'  la  concessione  di
misure alternative alla detenzione prima del decorso di  un  anno  di
osservazione intramuraria», a differenza di quanto e'  stabilito  nel
caso di condanna per il delitto previsto dall'art. 609-bis cod. pen.,
attenuato ai sensi del terzo comma dello stesso articolo; 
    che,  riportandosi  espressamente   alle   argomentazioni   della
giurisprudenza di legittimita', il  giudice  a  quo  precisa  che  il
catalogo dei delitti ostativi alla sospensione dell'esecuzione  delle
pene  detentive  brevi  coincide  con  quello  dei  delitti  ostativi
all'applicazione delle misure alternative alla detenzione,  contenuto
nell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario,  a  cui  l'art.  656,
comma 9, lettera a), cod. proc. pen. fa rinvio mobile o recettizio; 
    che a fronte del  dato  normativo,  assolutamente  esplicito  nel
senso di escludere dal divieto della sospensione  dell'esecuzione  le
sole condanne per il delitto dell'art. 609-bis cod.  pen.,  attenuato
ai sensi del terzo comma dello stesso articolo, non vi sarebbe spazio
per una interpretazione estensiva di tale deroga alle condanne per  i
reati di cui all'art. 609-quater cod. pen., attenuati  ai  sensi  del
quarto comma di quest'ultimo articolo; 
    che,  pertanto,  secondo  il  rimettente,  alla   stregua   della
normativa richiamata, non sarebbe accoglibile la richiesta,  avanzata
dal condannato, di sospensione dell'esecuzione; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di  appello
di Bologna afferma di non condividere le argomentazioni  della  Corte
di cassazione (sezione I, sentenza 22 ottobre 2009, n. 41958),  poste
a fondamento di una precedente pronuncia di  «rigetto  dell'eccezione
di costituzionalita' avanzata»; 
    che tali argomentazioni sarebbero basate sulla palese  diversita'
del delitto previsto dall'art. 609-bis cod. pen.  rispetto  a  quello
previsto dall'art. 609-quater cod. pen., con la  conseguenza  che  il
delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen.,  non  aggravato  ai  sensi
dell'art. 609-ter e attenuato  dalla  «minore  gravita'»  del  fatto,
costituirebbe tertium comparationis «eterogeneo rispetto  al  delitto
di cui all'art. 609-quater cod. pen., quand'anche pure questo risulti
attenuato»; 
    che  un  ulteriore  passaggio  argomentativo   della   Corte   di
cassazione, espressamente richiamato e non condiviso dal  rimettente,
concerne   l'affermazione   che   la   disciplina   dell'art.   4-bis
dell'ordinamento penitenziario riguarda  scelte  di  opportunita'  in
materia di politica penitenziaria, su cui la Corte costituzionale non
puo'  incidere,  poiche'  esse   rientrano   nella   discrezionalita'
riservata  al  legislatore  e  non  risultano  esercitate   in   modo
arbitrario; 
    che  la   ratio   della   differenziazione   risiederebbe   nella
particolare natura dei reati di violenza sessuale in danno di minori,
«riconosciuti di particolare gravita'  da  un  lato  ed  espressione,
dall'altro,  di  una  particolare  e  patologica  espressione   della
personalita'  dell'autore»,  si'  da  giustificare  che   le   misure
alternative alla detenzione  e  l'accesso  al  lavoro  esterno  e  ai
permessi premio siano possibili solo dopo  un  anno  di  osservazione
personologica condotta dall'equipe carceraria; 
    che secondo il rimettente, pero',  il  legislatore  e  la  stessa
Corte di cassazione non hanno valutato appieno  la  gamma  dei  fatti
coperti dalla previsione dell'art.  609-quater,  ultimo  comma,  cod.
pen.; 
    che in particolare «la considerazione dell'ipotesi di  fatto  del
processo» a carico del ricorrente,  che  «ha  portato  all'inflizione
della pena della cui esecuzione si discute nel presente incidente  di
esecuzione, mostra in tutta evidenza un profilo  di  irragionevolezza
nel complesso normativo applicabile alla fase esecutiva,  cosi'  come
correttamente  ed  inevitabilmente  interpretato   dalla   Corte   di
cassazione»; 
    che, infatti, la condanna riguarda «fatti di congiunzione carnale
con una minorenne» con la quale il ricorrente «aveva  allacciato  una
relazione - nec vi nec clam e consenzienti i genitori della vittima -
iniziata quando anch'egli era minorenne e proseguita nel corso  degli
anni sino all'instaurazione di una stabile convivenza dalla quale era
nato anche un figlio»; 
    che, pertanto, secondo il  giudice  a  quo,  trattandosi  di  una
relazione «nata  nell'ambito  del  gruppo  dei  pari  e  sfociata  in
rapporti  sessuali  privi  di  qualunque  connotato  di  violenza   o
clandestinita'», non sarebbe possibile individuare nell'agente «alcun
profilo personologico patologico tale da  suggerire  o  imporre  quel
periodo di  osservazione  intramuraria  di  un  anno  previsto  dalla
legge»; 
    che nel caso di sottoposizione della vittima ad  atti  di  natura
sessuale con violenza o minaccia, con l'attenuante  del  terzo  comma
dell'art. 609-bis cod. pen., pur residuando  nell'autore  un  profilo
personologico tale da consigliare un'osservazione della personalita',
l'esecuzione della pena verrebbe  riportata  alle  regole  ordinarie,
mentre in una situazione di fatto di minore gravita', quale quella di
cui all'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., sopra riferita,  il
condannato subirebbe  un  trattamento  ingiustificatamente  deteriore
rispetto al primo, con violazione del principio di uguaglianza di cui
all'art. 3 Cost.; 
    che, secondo la Corte di appello  di  Bologna,  inoltre,  sarebbe
ravvisabile la violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.; 
    che  tale  precetto,  attuato  a  livello  penitenziario  con  la
previsione della «forma carceraria di esecuzione della pena  soltanto
come extrema ratio», laddove forme diverse di  esecuzione  non  siano
possibili o praticabili, troverebbe un  suo  «corollario  inevitabile
nell'adeguatezza della forma di esecuzione della pena  alla  concreta
esigenza rieducativa»; 
    che  nei  casi  come  quello  di  specie  non  sussisterebbe   la
particolare «esigenza rieducativa» che ha condotto il  legislatore  a
stabilire un regime  differenziato  e  piu'  gravoso  dell'esecuzione
penale, con la previsione dell'anno di osservazione intramuraria; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata; 
    che, secondo l'Avvocatura, la  normativa  denunciata  non  appare
irragionevole, essendo evidente  che  «la  ratio  che  giustifica  la
differenziazione  tra  il  trattamento  penitenziario  riservato   ai
soggetti condannati per  reati  di  violenza  sessuale  ai  danni  di
minorenni, sia pure attenuati ai sensi dell'art.  609-quater,  quarto
comma, cod. pen.», e il trattamento riservato alle persone condannate
per reati di violenza sessuale attenuati ai sensi dell'art.  609-bis,
terzo comma, cod. pen. si rinviene nell'esigenza  «di  assicurare  la
particolare  protezione  di  soggetti  minorenni  e   di   affrontare
adeguatamente casi che  mettono  in  luce  profili  patologici  della
personalita' dei rei»; 
    che ugualmente non fondata risulterebbe la questione  concernente
la  violazione  dell'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  la
finalita'  della  rieducazione   del   condannato   potrebbe   essere
realizzata solo sulla base di  un'attenta  osservazione  intramuraria
della personalita' delle persone condannate  per  reati  di  violenza
sessuale ai danni di minorenni. 
    Considerato che la Corte di appello di Bologna,  in  funzione  di
giudice dell'esecuzione penale, ha sollevato,  con  riferimento  agli
articoli 3 e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale sia dell'articolo 4-bis, comma  1-quater,
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), nella parte in cui si riferisce anche ai  condannati
per il reato di cui all'art. 609-quater del codice penale,  attenuato
a norma del quarto comma dello  stesso  articolo,  sia  dell'articolo
656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte
in cui,  rinviando  all'art.  4-bis  dell'ordinamento  penitenziario,
prevede che non possa disporsi la sospensione  dell'esecuzione  della
pena inflitta per tale reato; 
    che in particolare, per il  giudice  a  quo,  «la  considerazione
dell'ipotesi di fatto del processo» a carico del ricorrente, che  «ha
portato all'inflizione della pena della cui esecuzione si discute nel
presente incidente di esecuzione, mostra in tutta evidenza un profilo
di irragionevolezza nel complesso  normativo  applicabile  alla  fase
esecutiva»; 
    che la condanna riguarda «fatti di congiunzione carnale  con  una
minorenne» con la quale il ricorrente «aveva allacciato una relazione
- nec vi nec clam e consenzienti i genitori della vittima -  iniziata
quando anch'egli era minorenne e proseguita nel corso degli anni sino
all'instaurazione di una stabile  convivenza  dalla  quale  era  nato
anche un figlio»; 
    che, trattandosi di una relazione «nata  nell'ambito  del  gruppo
dei pari e sfociata in rapporti sessuali privi di qualunque connotato
di  violenza  o  clandestinita'»,   non   sarebbe   stato   possibile
individuare nell'agente «alcun profilo personologico patologico  tale
da suggerire o imporre quel periodo di osservazione  intramuraria  di
un anno previsto dalla legge»; 
    che nell'ipotesi di  sottoposizione  della  vittima  ad  atti  di
natura sessuale con violenza o minaccia, attenuata ai sensi del terzo
comma dell'art. 609-bis cod.  pen.,  pur  residuando  nell'autore  un
profilo  personologico  tale  da  consigliare  un'osservazione  della
personalita', l'esecuzione della pena verrebbe riportata alle  regole
ordinarie, mentre in una situazione  di  fatto  di  minore  gravita',
quale quella di cui all'art. 609-quater,  quarto  comma,  cod.  pen.,
sopra   riferita,   il   condannato    subirebbe    un    trattamento
ingiustificatamente  deteriore,  con  violazione  del  principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; 
    che, secondo la Corte di appello  di  Bologna,  inoltre,  sarebbe
ravvisabile la violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost. in  quanto
nei casi come quello  di  specie  non  sussisterebbe  la  particolare
«esigenza rieducativa» che ha condotto il legislatore a stabilire  un
regime differenziato e piu' gravoso dell'esecuzione  penale,  con  la
previsione dell'anno di osservazione intramuraria; 
    che successivamente alla pronuncia dell'ordinanza  di  rimessione
e' intervenuta  la  legge  1°  ottobre  2012,  n.  172  (Ratifica  ed
esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione
dei minori  contro  lo  sfruttamento  e  l'abuso  sessuale,  fatta  a
Lanzarote  il  25  ottobre  2007,  nonche'   norme   di   adeguamento
dell'ordinamento interno); 
    che  questa  legge  ha,  tra  l'altro,  inciso  sull'art.   4-bis
dell'ordinamento penitenziario, sia modificando  il  comma  1-quater,
con  l'ampliamento  del  catalogo  dei  delitti  rispetto  ai   quali
l'accesso a taluni benefici penitenziari e' subordinato ai  risultati
positivi  dell'osservazione  scientifica   della   personalita'   del
detenuto, sia, soprattutto, inserendo il comma  1-quinquies,  secondo
il quale ai  fini  della  concessione  dei  benefici  ai  detenuti  e
internati «per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, anche
se  relativo  al   materiale   pornografico   di   cui   all'articolo
600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies
del codice penale, nonche' agli articoli  609-bis  e  609-octies  del
medesimo codice, se commessi  in  danno  di  persona  minorenne»,  e'
previsto un trattamento  psicologico  con  finalita'  di  recupero  e
sostegno  del  condannato  e  la  sua  «positiva  partecipazione»  e'
valutata  dal  magistrato  di  sorveglianza  o   dal   tribunale   di
sorveglianza; 
    che lo jus superveniens appare idoneo ad influire sulle  proposte
questioni di legittimita' costituzionale; 
    che, in  particolare,  devono  essere  considerate  le  possibili
implicazioni  derivanti  dall'introduzione  del   comma   1-quinquies
dell'art.   4-bis   dell'ordinamento   penitenziario,   posto    che,
richiamando l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. l'intero
art.  4-bis,  un  ulteriore   vincolo   ostativo   alla   sospensione
dell'esecuzione  delle  pene  detentive   brevi   potrebbe,   secondo
un'interpretazione, derivare dal nuovo  comma  1-quinquies  dell'art.
4-bis, riflettendosi sulla rilevanza delle questioni di  legittimita'
costituzionale relative al comma 1-quater; 
    che la nuova disposizione potrebbe incidere sulla valutazione del
tertium comparationis, in quanto comprende anche l'ipotesi  attenuata
dell'art. 609-bis cod.  pen.,  quando  concerne  minori,  sicche'  si
potrebbe  ritenere  che,  in  ogni  caso  (e  non  solo  in  presenza
dell'aggravante dell'art. 609-ter, primo comma, numero 1, cod.  pen.,
richiamata dalla prima  parte  del  comma  1-quater  dell'art.  4-bis
dell'ordinamento penitenziario),  operi  il  divieto  di  sospensione
dell'esecuzione; 
    che,  inoltre,  la  legge  di  ratifica  della   Convenzione   di
Lanzarote,  ridefinendo  l'assetto  della  tutela  dei   minori,   ha
comportato modifiche al quadro di  riferimento  che  potrebbero  aver
rilievo rispetto alle questioni prospettate dal rimettente; 
    che una valutazione sull'incidenza della legge sopravvenuta sulle
censure in esame, effettuata per la  prima  volta  da  questa  Corte,
senza che su di essa abbia potuto  interloquire  il  giudice  a  quo,
comporterebbe «un'alterazione dello  schema  dell'incidentalita'  del
giudizio di  costituzionalita',  spettando  anzitutto  al  rimettente
accertare se ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto»
con la Costituzione (ordinanza n. 150 del 2012); 
    che,   pertanto,   alla   luce   della   sopravvenuta   normativa
rappresentata dalla legge n. 172 del 2012, deve  essere  ordinata  la
restituzione  degli  atti,  affinche'  il  rimettente  proceda  a  un
rinnovato esame della rilevanza e della  non  manifesta  infondatezza
delle questioni.