ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   dell'articolo
11-quater, comma 4, del  decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203
(Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni  urgenti  in
materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito   in   legge,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005,  n.
248, promosso dalla Corte di cassazione con ordinanza del  13  giugno
2012, iscritta al n. 195 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che, con ordinanza deliberata  il  13  giugno  2012,  la
Corte di cassazione ha  sollevato,  in  riferimento  all'articolo  77
[secondo  comma]  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 11-quater, comma  4,  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,  della  legge  2
dicembre 2005, n. 248; 
    che,  secondo  quanto  riferisce  la  rimettente,   il   giudizio
principale ha ad oggetto  il  ricorso,  proposto  dall'Agenzia  delle
entrate,  avverso  la  sentenza  resa  dalla  Commissione  tributaria
regionale di  Ancona,  che  ha  ritenuto  fondata  la  pretesa  della
societa' Megas Net s.p.a.; 
    che quest'ultima aveva chiesto  la  restituzione  delle  maggiori
imposte  versate  in  applicazione  del   regime   di   ammortamento,
introdotto dal  citato  art.  11-quater,  dei  beni  strumentali  per
l'esercizio delle attivita'  di  distribuzione  e  trasporto  di  gas
naturale; 
    che la sentenza oggetto di impugnazione  ha  accolto  la  pretesa
della Megas Net s.p.a. sul rilievo che, essendo la predetta  societa'
estranea al processo di distribuzione  del  gas  naturale,  essa  non
rientrerebbe tra i soggetti indicati dall'art. 2,  comma  1,  lettera
n), del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione  della
direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il  mercato  interno  del
gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n.
44), ai quali si applica il regime di ammortamento previsto dall'art.
11-quater, donde il diritto alla restituzione  dei  maggiori  importi
versati; 
    che  la  ricorrente   Agenzia   delle   entrate   contesta   tale
interpretazione della normativa in esame, osservando che il regime di
ammortamento riguarda i beni utilizzati per l'attivita' di  trasporto
e di distribuzione del gas naturale, e dunque ha come destinatario il
soggetto proprietario dei beni stessi, essendo del tutto  irrilevante
che questi eserciti l'indicata attivita'; 
    che la societa' Megas Net ha chiesto il rigetto dell'impugnazione
e, nelle note  d'udienza,  ha  eccepito,  comunque,  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 11-quater del d.l. n.  203  del  2005,  come
convertito dalla legge n. 248 del 2005, per violazione  dell'art.  77
Cost.; 
    che  il  giudice  a  quo  esamina  preliminarmente  la   suddetta
eccezione, a sostegno della quale e' stata richiamata la sentenza  n.
22 del 2012 della Corte costituzionale; 
    che nella citata  pronuncia,  secondo  la  parte,  sarebbe  stato
confermato il principio per  cui  «le  leggi  di  conversione  di  un
decreto-legge non possono contenere anche norme  contenute  in  altri
decreti-legge»; 
    che la rimettente riporta alcuni passi della  sentenza,  dove  si
trova affermato, in particolare, che «l'esclusione della possibilita'
di  inserire  nella  legge  di  conversione   di   un   decreto-legge
emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalita' del testo
originario  non  risponde  soltanto  ad  esigenze  di  buona  tecnica
normativa, ma [e'] imposto dallo stesso art. 77, secondo comma, della
Costituzione, che istituisce un nesso  di  interrelazione  funzionale
tra decreto-legge, formato dal  Governo  ed  emanato  dal  Presidente
della Repubblica,  e  legge  di  conversione,  caratterizzata  da  un
procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario»; 
    che,  nell'argomentare  la  non  manifesta   infondatezza   della
questione avente ad oggetto l'art. 11-quater, comma 4,  del  d.l.  n.
203  del  2005,  la  Corte  di  cassazione   ripercorre   l'iter   di
approvazione della indicata disposizione, segnalando  che  la  stessa
era  originariamente  contenuta  nell'art.  2  del  decreto-legge  17
ottobre 2005, n. 211 (Misure  urgenti  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi   di   finanza   pubblica   e   disposizioni   in   materia
aeroportuale), non convertito in legge e quindi decaduto; 
    che, in data 2 dicembre 2005, era approvata la legge n.  248  del
2005, che convertiva il d.l. n. 203 del  2005,  al  cui  interno  era
stato inserito il testo  dell'art.  2  del  d.l.  n.  211  del  2005,
rubricato come art. 11-quater; 
    che l'innesto della disposizione censurata nel d.l.  n.  203  del
2005,  «avente  ad  oggetto  materie  diverse  e   [...]   tutt'altre
finalita'» sarebbe avvenuto in assenza di qualsiasi riferimento  alla
circostanza che la disposizione in oggetto facesse parte, in origine,
di un diverso decreto-legge, e senza considerare la specificita'  del
titolo della legge di conversione, che riguardava  esclusivamente  il
d.l. n. 203 del 2005; 
    che, avuto riguardo alla rilevanza della questione, la rimettente
osserva che gli  obblighi  fiscali  della  societa'  controricorrente
derivano dall'applicazione del disposto dell'art. 11-quater, comma 4,
del d.l. n. 203 del  2005,  sicche'  una  eventuale  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale   avrebbe   sicura   incidenza   sulla
definizione del giudizio principale; 
    che, con atto depositato il 23 ottobre 2012,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso chiedendo
che la  questione  sia  dichiarata  manifestamente  inammissibile  o,
comunque, non fondata; 
    che la difesa statale si sofferma sul contenuto della sentenza n.
22  del  2012  della  Corte  costituzionale,  e  in  particolare  sul
principio secondo cui l'inserimento, nel testo di  un  decreto-legge,
in sede di conversione, di norme aventi contenuto eterogeneo rispetto
alla materia trattata  ed  alle  finalita'  perseguite  dal  medesimo
decreto, rompe il necessario  legame  tra  decretazione  d'urgenza  e
legge di conversione, risolvendosi in un «uso improprio, da parte del
Parlamento, di un potere che la  Costituzione  gli  attribuisce,  con
speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di  convertire,  o
non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012); 
    che, tuttavia, la Corte costituzionale ha avuto cura di precisare
che il conseguente vulnus al parametro di  riferimento  non  discende
dall'operazione di integrazione, in  se'  considerata,  bensi'  dalla
eterogeneita', per materia e finalita', delle norme inserite, con  la
conseguenza che la verifica del rispetto del predetto parametro  deve
essere condotta caso per caso,  avuto  riguardo  al  contenuto  delle
norme; 
    che, secondo la difesa dello  Stato,  l'ordinanza  di  rimessione
risulterebbe priva di adeguata motivazione al  riguardo,  poiche'  la
rimettente non avrebbe indicato neppure genericamente  i  profili  di
eterogeneita'  della  disposizione  censurata  rispetto   al   corpus
normativo contenuto nel d.l. 203  del  2005,  essendosi  limitata  ad
affermare che l'art. 11-quater e' stato inserito in un  decreto-legge
«avente ad oggetto materie diverse e perseguente diverse finalita'»; 
    che la segnalata carenza motivazionale  renderebbe  la  questione
manifestamente inammissibile; 
    che, osserva ancora in via preliminare la difesa dello Stato,  il
giudice a quo ha piu' volte evidenziato come la norma  censurata,  in
origine, fosse contenuta nel d.l. n. 211 del 2005, non  convertito  e
quindi decaduto, senza peraltro formulare  sul  punto  una  esplicita
doglianza, sicche' l'ordinanza di rimessione risulterebbe «in qualche
misura   perplessa»,   non   essendo    chiaro    il    profilo    di
incostituzionalita' che lo stesso giudice intende far valere; 
    che, nel merito, la questione sarebbe  comunque  infondata  sotto
entrambi i possibili profili  di  violazione  dell'art.  77,  secondo
comma, Cost.; 
    che  la  norma  censurata  conterrebbe  disposizioni  di   natura
tributaria che limitano - relativamente all'esercizio di  imposta  in
corso (art. 11-quater, comma 1) - gli ammortamenti dei beni materiali
strumentali per l'esercizio  di  alcune  attivita'  regolate,  ed  e'
chiaramente  finalizzata  a  realizzare  un  incremento  del  gettito
fiscale, risultando cosi' omogenea, per contenuto e scopo, al d.l. n.
203 del 2005, recante «Misure di  contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria»; 
    che la difesa statale richiama altre disposizioni del d.l. n. 203
del 2005  a  suo  dire  riconducibili  alla  materia  tributaria,  in
particolare gli artt.  5,  6  e  7,  la  cui  finalita',  consistente
nell'incremento delle entrate erariali,  sarebbe  comune  alla  norma
censurata, pur nella diversita' dei meccanismi di realizzazione; 
    che,  dunque,  i  risultati  dell'analisi  comparativa   tra   la
disposizione denunciata e l'articolato del  d.l.  n.  203  del  2005,
prima della sua conversione in legge, condurrebbero ad uno  scrutinio
positivo di conformita' al parametro  evocato,  con  conseguente  non
fondatezza del dubbio di legittimita' costituzionale; 
    che la questione risulterebbe non fondata anche sotto il profilo,
pure  non  esplicitato  dalla  rimettente,  relativo   all'originario
inserimento della disposizione censurata nell'articolato del d.l.  n.
211 del 2005, poi decaduto; 
    che la  difesa  statale  richiama  sul  punto  la  giurisprudenza
costituzionale che  ha  affermato  il  divieto  di  reiterazione  dei
decreti-legge non convertiti, fatta eccezione per i casi  in  cui  il
«nuovo decreto» risulti fondato su autonomi motivi di  necessita'  ed
urgenza (sono citate le sentenze n. 398 del 1998 e n. 360 del 1996); 
    che,  in  ogni  caso,  il  tema  risulterebbe  nella  specie  non
pertinente, giacche' il d.l. n. 211 del 2005, in origine  recante  la
norma censurata, non era affatto decaduto al momento in cui la stessa
norma e' stata inserita, come art. 11-quater, nel testo del  d.l.  n.
203 del 2005, dalla legge di conversione di quest'ultimo; 
    che, infatti, il termine per la conversione in legge del d.l.  n.
211 del 2005 e' scaduto il 17  dicembre  2005,  mentre  la  legge  di
conversione del d.l. n.  203  del  2005  e'  stata  pubblicata  il  2
dicembre 2005; 
    che,  dunque,  evidenti  ragioni  di  economia  della  produzione
legislativa avrebbero indotto il legislatore a trasferire nel d.l. n.
203 del 2005, in sede  di  conversione,  la  disposizione  censurata,
unitamente  all'intero  testo  del  d.l.  n.  211  del  2005,  attesa
l'omogeneita' della materia disciplinata; 
    che,  d'altra  parte,  non  sarebbe  dubitabile  l'esistenza   di
autonome ragioni di urgenza della norma censurata, dovendo la  stessa
trovare applicazione per il periodo di  imposta  in  corso,  relativo
all'anno 2005; 
    che la medesima disciplina e'  stata  inserita  «a  regime»,  con
effetto a partire dal 2006, dall'art. 1, comma 325,  della  legge  23
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006),  che  ha
introdotto il nuovo art. 102-bis del d.P.R. n. 917 del 1986; 
    che, in conclusione, l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea
come la norma censurata non sia stata  introdotta  nel  corpo  di  un
"altro"  decreto-legge,  ma  adottata  dal  Parlamento,  in  sede  di
conversione, sicche' essa, in realta', ha fatto parte dell'articolato
della  legge  di  conversione,  con  la  conseguenza  che,  a   tutto
concedere, si  sarebbe  realizzato  l'«effetto  sanante»  individuato
dalla sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale. 
    Considerato che la Corte di  cassazione  dubita,  in  riferimento
all'art. 77, secondo comma, della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 11-quater, comma  4,  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,  della  legge  2
dicembre 2005, n. 248; 
    che la disposizione denunciata, in origine contenuta nell'art.  2
del decreto-legge 17 ottobre 2005, n.  211  (Misure  urgenti  per  il
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e disposizioni  in
materia aeroportuale), non convertito in legge e quindi decaduto,  e'
stata introdotta nel testo del d.l. n.  203  del  2005,  in  sede  di
conversione di quest'ultimo in legge; 
    che, a parere della rimettente, la predetta disposizione  sarebbe
eterogenea, per contenuto e finalita', rispetto al  testo  originario
del d.l. n. 203 del 2005, sicche' e' denunciata  come  frutto  di  un
improprio esercizio del potere legislativo,  richiamando  i  principi
stabiliti dalla sentenza n. 22 del 2012 di questa Corte; 
    che preliminarmente  occorre  esaminare  le  eccezioni  sollevate
dalla difesa dello  Stato,  riguardanti  la  carenza  di  motivazione
dell'ordinanza di rimessione in punto di non manifesta  infondatezza,
e il carattere «perplesso» della questione; 
    che il limite motivazionale segnalato  dalla  difesa  statale  in
riferimento al mancato esame della norma censurata, e al  conseguente
mancato raffronto tra la stessa e le disposizioni contenute nel testo
originario del d.l. n. 203 del 2005, si connette, in realta', ad  una
erronea interpretazione del dictum della sentenza n. 22 del  2012,  e
dunque attiene al merito della questione; 
    che,  quanto  all'eccezione  relativa  alla  "perplessita'  della
questione", il richiamo della rimettente alla circostanza che il d.l.
n.  211  del  2005,  nel  quale  era  originariamente  contenuta   la
disposizione censurata, fosse  poi  decaduto,  non  assume  effettivo
rilievo nell'economia della questione prospettata; 
    che infatti,  come  osservato  anche  dalla  difesa  statale,  la
rimettente non ha formulato in proposito  specifiche  censure,  e  lo
stesso dispositivo dell'ordinanza di rimessione e' circoscritto  alla
denunciata eterogeneita' della norma introdotta nel d.l. n.  203  del
2005 in sede di conversione in legge, con la conseguenza che il  tema
della reiterazione  dei  decreti-legge  non  convertiti  non  risulta
posto; 
    che, nel merito, la questione e' manifestamente infondata; 
    che, all'esito dei richiami alla motivazione della sentenza n. 22
del 2012 di questa Corte, la rimettente ritiene incompatibili con  il
parametro evocato le disposizioni che, al pari di quella  oggetto  di
censura, siano state introdotte dal Parlamento in sede di conversione
di un decreto-legge, e che in origine fossero contenute in  un  altro
testo normativo, pure predisposto dal Governo; 
    che in cio' e' ravvisata l'«eterogeneita'», per contenuto  e  per
finalita', della disposizione denunciata rispetto al testo  del  d.l.
n. 203 del 2005; 
    che il ragionamento della  rimettente  si  basa  su  una  lettura
erronea della citata pronuncia; 
    che questa Corte, con la sentenza n. 22 del 2012,  ha  fissato  i
limiti  alla  emendabilita'  del  decreto-legge  in  una  prospettiva
contenutistica   ovvero    finalistica,    richiamando    le    norme
procedimentali che riflettono la natura della  legge  di  conversione
come legge «funzionalizzata e specializzata», che non puo' aprirsi  a
qualsiasi contenuto ulteriore  (art.  96-bis  del  Regolamento  della
Camera dei  deputati;  art.  97  del  Regolamento  del  Senato  della
Repubblica; art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400  del
1988, recante «Disciplina dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri»); 
    che la coincidenza tendenziale tra oggetto  del  decreto-legge  e
oggetto della legge di conversione  implica  che  le  Camere  possono
emendare il testo del decreto-legge  nel  rispetto  del  contenuto  o
della finalita' del provvedimento governativo, in  quanto  «cio'  che
esorbita dalla sequenza tipica profilata dall'art. 77, secondo comma,
Cost., e' l'alterazione dell'omogeneita'  di  fondo  della  normativa
urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta,
possieda tale caratteristica» (ancora sentenza n. 22 del 2012); 
    che, nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto
eterogeneo, il limite all'introduzione di ulteriori  disposizioni  in
sede di conversione e' costituito dal rispetto della ratio; 
    che, nella questione decisa con la citata sentenza, questa  Corte
ha sanzionato  l'inserimento,  nel  decreto-legge  cosiddetto  "mille
proroghe", di «un frammento, relativo ai rapporti  finanziari,  della
disciplina generale e  sistematica,  tuttora  mancante,  del  riparto
delle funzioni e degli oneri  tra  Stato  e  Regioni  in  materia  di
protezione  civile»,   ritenendo   che   le   relative   disposizioni
risultassero  del  tutto  estranee  alla  ratio   del   provvedimento
governativo, registrandosi in tal senso uno scostamento intollerabile
della funzione legislativa dal parametro evocato; 
    che, dunque, secondo il paradigma tracciato dalla sentenza n.  22
del 2012, la verifica di compatibilita' con l'art. 77, secondo comma,
Cost. delle  disposizioni  introdotte  dal  Parlamento,  in  sede  di
conversione   di    un    decreto-legge,    impone    di    procedere
all'individuazione,  da  un  lato,  della  ratio  del   provvedimento
governativo, e, dall'altro lato,  del  contenuto  delle  disposizioni
aggiunte, per poi raffrontarli; 
    che, nel caso prospettato dall'odierna  rimettente,  la  verifica
indicata conduce ad un esito positivo dello scrutinio di legittimita'
costituzionale; 
    che, infatti, il  d.l.  n.  203  del  2005,  recante  «Misure  di
contrasto all'evasione fiscale  e  disposizioni  urgenti  in  materia
tributaria e finanziaria», ha introdotto, al Titolo III (artt. da 4 a
7), norme in  tema  di  «perequazione  delle  basi  imponibili»,  con
effetto di incremento del gettito fiscale; 
    che la  disposizione  censurata,  la  quale  reca  la  disciplina
dell'ammortamento dei beni strumentali all'esercizio di  impresa  per
alcune  attivita'  cosiddette  regolate,  da  applicarsi  per  l'anno
d'imposta 2005, presenta contenuto  all'evidenza  omogeneo  a  quello
delle richiamate disposizioni del d.l. n. 203 del 2005; 
    che non riveste significato, ai fini  del  sindacato  sollecitato
dalla rimettente, la collocazione impropria dell'art.  11-quater  nel
Titolo IV, rubricato «previdenza e sanita'», anziche' nel Titolo  III
del testo normativo, nel quale sono inserite  le  norme  in  tema  di
perequazione delle basi imponibili; 
    che,  pertanto,   non   essendo   riscontrabile   la   denunciata
eterogeneita' dell'art. 11-quater, comma 4,  rispetto  all'oggetto  e
alle finalita' del d.l. n. 203 del 2005,  la  questione  deve  essere
dichiarata manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.