ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  5,
commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'articolo 6 della legge  della  Provincia
autonoma  di  Bolzano  16  marzo   2012,   n.   7   (Liberalizzazione
dell'attivita' commerciale), promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 17-21 maggio 2012,  depositato
in cancelleria il 21 maggio 2012 ed iscritto al n.  79  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano; 
    udito nell'udienza pubblica  del  12  febbraio  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Romano  Vaccarella  per   la
Provincia autonoma di Bolzano. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  consegnato
per la notifica il 17 maggio 2012 (previa deliberazione del Consiglio
dei ministri in data 11 maggio 2012), notificato il  21  maggio  2012
mediante il servizio postale e depositato in cancelleria il 21 maggio
2012, ha impugnato l'articolo 5 (commi 1, 2, 3, 4 e 7) e l'articolo 6
della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012,  n.  7
(Liberalizzazione dell'attivita' commerciale), pubblicata nel  B.U.R.
del 20 marzo 2012, n. 7. 
    Dopo aver trascritto le disposizioni censurate, il ricorrente, in
primo luogo, denunzia, in relazione all'articolo 117, secondo  comma,
lettera e), della Costituzione, violazione della potesta' legislativa
esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, nonche'
violazione dell'art. 41 Cost. e degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello statuto
del Trentino-Alto Adige, di  cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige). 
    La difesa dello Stato richiama l'orientamento di questa Corte, in
forza del quale rientrano nel  concetto  di  concorrenza  -  previsto
dall'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.  -  le  misure  «che
mirano ad aprire un mercato o a  consolidarne  l'apertura  eliminando
barriere  all'entrata,  riducendo  o  eliminando  vincoli  al  libero
esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della  competizione  tra
imprese» (sono richiamate le sentenze n. 401 e n. 430 del  2007).  In
sintesi, farebbero parte del concetto  di  concorrenza,  previsto  in
Costituzione, non soltanto le misure di tutela in senso  proprio,  ma
anche quelle pro-concorrenziali. 
    Le disposizioni di cui all'art. 5, commi 1, 2 e  3,  della  legge
provinciale  impugnata,  considerate  singolarmente  e  in  combinato
disposto, nel prevedere che il  commercio  al  dettaglio  nelle  zone
produttive sia ammesso soltanto  come  eccezione,  nei  limiti  delle
categorie merceologiche individuate e dei relativi accessori  (questi
ultimi, a loro volta, determinati  da  una  successiva  deliberazione
della Giunta provinciale), traducendosi in  disposizioni  restrittive
della concorrenza (nel  significato  emergente  dalla  giurisprudenza
richiamata), si porrebbero in contrasto con i principi  e  le  regole
dettati dall'art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.
201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,   l'equita'   e   il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla  legge  22  dicembre  2011,  n.  214,  norma   introdotta   dal
legislatore statale nell'esercizio della competenza di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    Il detto art. 31, comma 2 - prosegue il ricorrente - sancisce  il
principio (nel rispetto della disciplina comunitaria  in  materia  di
concorrenza,  liberta'  di  stabilimento  e  libera  prestazione  dei
servizi) della liberta' di apertura di  nuovi  esercizi  commerciali,
senza contingenti e limiti territoriali o altri vincoli di  qualsiasi
altra natura. Le uniche restrizioni  ammesse  attengono  alla  tutela
della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente  (incluso  l'ambiente
urbano) e dei beni culturali. La previsione normativa si conclude con
l'indicazione, cogente per le Regioni e gli  altri  enti  locali,  di
adeguare i propri ordinamenti ai principi cosi' declinati entro il 30
settembre 2012. 
    Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, risulterebbe evidente  che
le limitazioni previste dalla normativa impugnata sarebbero in palese
contrasto  con  le  richiamate  disposizioni  statali,   perche'   si
tradurrebbero nell'introduzione di restrizioni all'apertura di  nuovi
esercizi  per  il  commercio  al  dettaglio  nelle  zone  produttive,
apertura  ammessa  soltanto  per  la  vendita  di  alcune   categorie
merceologiche. Il che verrebbe ad integrare gli estremi di un vincolo
inammissibile, perche' non giustificato dagli interessi  indicati  in
modo espresso dal citato art.  31,  comma  2,  quali  uniche  ipotesi
legittimanti la permanenza di limitazioni alla liberta'  di  apertura
di esercizi commerciali. 
    Invero, l'apodittico riferimento contenuto nelle norme  impugnate
alle   esigenze   di   tutelare   l'ambiente   urbano,   nonche'   la
pianificazione ambientale e culturale (pur volendo prescindere  dalla
vaghezza dei concetti richiamati), non varrebbe a rendere tali  norme
conformi ai principi  in  materia  di  liberalizzazioni  dettati  dal
legislatore nazionale; cio', da un lato,  proprio  in  ragione  della
rilevata  assenza  di  motivazione  in  ordine  alla  necessita'   di
prevedere limiti all'apertura di esercizi di commercio al  dettaglio,
al fine di  salvaguardare  gli  interessi  indicati  dal  legislatore
provinciale e, dall'altro, in considerazione  della  circostanza  che
non risulterebbe comprensibile in qual modo possa venire  in  rilievo
l'esigenza di  tutelare  «l'ambiente  urbano»  e  «la  pianificazione
ambientale e culturale» in  zone  gia'  destinate  agli  insediamenti
produttivi, cioe'  gia'  di  per  se'  aventi  vocazione  tipicamente
commerciale. 
    Le disposizioni  in  esame,  peraltro,  risulterebbero  anche  in
palese contrasto con l'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico
e sociale, per il contenimento e  la  razionalizzazione  della  spesa
pubblica, nonche' interventi in materia di  entrate  e  di  contrasto
all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla  legge  4
agosto 2006, n. 248. 
    Ai  sensi  di  tale  norma,  le   attivita'   commerciali,   come
individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  114  (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art.
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997,  n.  59),  nonche'  quelle  di
somministrazione di alimenti e bevande, si svolgono senza limitazioni
quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi. 
    Ne' sarebbe utile obiettare che  la  materia  disciplinata  dalla
legge in esame, siccome relativa al «commercio» e, quindi, rientrante
nella  competenza  regionale,  non  potrebbe  essere  censurata   dal
ricorrente per violazione delle regole sul riparto di competenze  tra
legislatore   nazionale   e   provinciale.   Come   chiarito    dalla
giurisprudenza di questa Corte, anche se una disciplina regionale sia
riconducibile alla materia  del  commercio  «e'  comunque  necessario
valutare se la stessa nel suo contenuto determini o  meno  un  vulnus
alla  tutela  della  concorrenza,  tenendo  presente  che  e'   stata
riconosciuta la possibilita' per  le  regioni,  nell'esercizio  della
potesta' legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme
che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali. Infatti la
materia "tutela  della  concorrenza",  di  cui  all'art.  117,  comma
secondo, lettera e), Cost., non ha soltanto un ambito  oggettivamente
individuabile, attinente alle misure legislative di tutela  in  senso
proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli  atti  e  i
comportamenti delle imprese incidenti in senso negativo  sull'assetto
concorrenziale  dei  mercati  e  ne  disciplinano  le  modalita'   di
controllo, ma, dato il suo carattere "finalistico", anche una portata
piu' generale e trasversale, non  preventivamente  delimitabile,  che
deve essere valutata in  concreto  al  momento  dell'esercizio  della
potesta' legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle  materie
di loro rispettiva competenza» (e' richiamata la sentenza n. 150  del
2011). In tale pronuncia si e' altresi' affermato, tra  l'altro,  che
«e' illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile
alla materia "commercio" di  competenza  legislativa  delle  Regioni,
produca,  in  concreto,  effetti  che  ostacolino   la   concorrenza,
introducendo nuovi o  ulteriori  limiti  o  barriere  all'accesso  al
mercato e alla libera esplicazione della  capacita'  imprenditoriale»
(e' richiamata la sentenza n. 18 del 2012). 
    Nel caso di specie non si potrebbe dubitare che  le  disposizioni
dettate dal legislatore provinciale si traducano nella violazione dei
principi pro-concorrenziali posti  dal  legislatore  nazionale.  Cio'
varrebbe, a maggior ragione, con riferimento al comma 3  della  norma
censurata, che, ai fini  dell'individuazione  degli  accessori  delle
categorie merceologiche di cui e' ammessa la vendita, rinvia  ad  una
determinazione della Giunta provinciale, in  tal  modo  operando  una
delegificazione della  materia  che  rende  ancor  piu'  evidente  la
violazione dell'ambito di competenza statale nella materia in esame. 
    2.- La difesa dello Stato prosegue osservando  che  la  Provincia
autonoma di Bolzano esercita, ai sensi dell'art. 8, comma 1,  nn.  3,
4, 5, 9 e 12  del  d.P.R.  n.  670  del  1972,  potesta'  legislativa
primaria in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico,
artistico  e  culturale,   usi   e   costumi   locali,   urbanistica,
artigianato, fiere e mercati. Inoltre, ai sensi dell'art.  9,  n.  3,
esercita potesta' legislativa concorrente in materia di commercio. 
    Ad avviso del ricorrente, le norme impugnate  ricadrebbero  nella
materia del «commercio», essendo destinate a regolare le modalita' di
apertura di attivita' di vendita al dettaglio. 
    Pertanto, essendo esercitabile l'attivita' legislativa in materia
di commercio, ai sensi dell'art. 9 dello statuto, nei limiti indicati
dall'art. 5, tra cui il rispetto  dei  principi  stabiliti  da  leggi
dello  Stato,  risulterebbe  palese  il  contrasto  delle  previsioni
impugnate con il combinato disposto dei citati  artt.  2  e  9  dello
statuto stesso. 
    La natura di principio degli interventi del  legislatore  statale
in materia di concorrenza emergerebbe da quanto esposto e,  comunque,
non sarebbe revocabile in dubbio. 
    Ne'  la  conclusione  potrebbe  mutare  invocando  l'applicazione
dell'art. 10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda  della  Costituzione),  ai
sensi del quale le disposizioni del nuovo titolo V si applicano anche
alle Regioni ad autonomia speciale per  le  parti  in  cui  prevedono
«forme di autonomia piu' ampie di quelle gia'  attribuite»:  infatti,
in  ogni  caso  la  potesta'  legislativa  della  Provincia  autonoma
andrebbe  esercitata  nel   rispetto   dei   limiti   imposti   dalla
Costituzione e dall'ordinamento comunitario, alla stregua dei  quali,
qualora la potesta' legislativa regionale o provinciale  interferisca
con la materia della «tutela della concorrenza», attribuita, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  e),  Cost.,  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, essa dovrebbe ritenersi esercitata
in modo illegittimo, ove  produca  -  come  nella  specie  -  effetti
restrittivi della concorrenza medesima (sono richiamate  le  sentenze
n. 18 del 2012, n. 326 e n. 1 del 2008, n. 443 del 2007). 
    Sulla  scorta  della  medesima   giurisprudenza   si   dovrebbero
considerare del pari illegittime le  norme  censurate,  anche  se  si
volesse ritenere che la materia da tali  norme  disciplinata  rientri
tra quelle di cui all'art. 8 dello statuto, in relazione  alle  quali
la competenza legislativa va esercitata nei limiti di cui all'art. 4,
ossia nel rispetto della Costituzione e dei principi dell'ordinamento
giuridico della Repubblica, degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme di riforma economico-sociale
della Repubblica, nel  cui  novero  senza  dubbio  rientrerebbero  le
disposizioni dettate dall'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011  a  tutela
della concorrenza. 
    Del resto, la giurisprudenza di questa Corte avrebbe  piu'  volte
messo in luce che, nel caso in  cui  una  materia,  attribuita  dallo
Statuto alla potesta' primaria delle Regioni  a  statuto  speciale  o
delle Province autonome, interferisca in tutto  o  in  parte  con  un
ambito spettante - ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  Cost.  -
alla potesta' legislativa esclusiva statale, il legislatore nazionale
potrebbe incidere sulla  materia  di  competenza  regionale,  qualora
l'intervento sia diretto a garantire standard minimi e uniformi e  ad
introdurre limiti unificanti che rispondano ad esigenze riconducibili
ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello  Stato,  con  una
prevalenza della competenza  esclusiva  statale  su  quella  primaria
delle Regioni a statuto speciale  e  delle  Province  autonome  (sono
richiamate le sentenze n. 447 del 2006 e n. 536 del 2002). 
    Risulterebbe chiaro, dunque, che le norme impugnate sono  viziate
anche dalla violazione delle norme statutarie. 
    3.- In relazione all'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,
all'art. 41 Cost., agli artt. 4, 5, 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972,
poi, sussisterebbero violazioni della potesta' legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di tutela della concorrenza, violazioni  della
liberta' di iniziativa  economica  e  violazioni  dello  statuto  del
Trentino-Alto Adige anche con riguardo all'art.  5,  comma  4,  della
legge  provinciale  n.  7  del  2012.  Tale  norma,  nel  fare  salve
dall'applicazione dei primi tre commi  le  strutture  di  vendita  al
dettaglio gia' autorizzate o gia' in esercizio - nelle  quali,  nelle
aree interessate, sono vendute merci diverse da quelle  elencate  nel
comma 2 - stabilisce che dette strutture, pur potendo  continuare  la
loro  attivita',  non   possono   essere   ampliate,   trasferite   o
concentrate. 
    La citata norma costituirebbe  un'ingiustificata  restrizione  al
libero svolgimento dell'attivita' di  commercio  al  dettaglio  delle
merci differenti da quelle ammesse,  risolvendosi  in  una  sorta  di
"congelamento" delle attivita' in essere, che non  potrebbero  essere
modificate  nelle  loro  modalita'  di  svolgimento  fino   al   loro
esaurimento, come sarebbe dimostrato dalla  disposizione  di  cui  al
successivo comma 7, ai sensi della quale,  nel  momento  in  cui  una
delle  attivita'  di  cui  al  comma  4  decade,  verrebbe  meno   la
possibilita' di esercitare l'attivita' stessa. 
    I commi in esame, ancor piu' di quelli precedenti, si  porrebbero
in palese contrasto con l'art. 31, comma 2, del citato  d.l.  n.  201
del 2011, (poi convertito), impedendo di fatto che  le  attivita'  in
essi contemplate possano adattarsi alle mutate esigenze del  mercato,
con evidenti riflessi anticoncorrenziali, e che, al cessare di  esse,
le attivita' medesime possano essere di nuovo esercitate. 
    La palese restrizione  della  concorrenza  renderebbe  chiara  la
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., alla luce
della richiamata giurisprudenza di  questa  Corte,  come  altrettanto
chiara   sarebbe   la   violazione   del   principio   di    liberta'
nell'iniziativa economica di cui  all'art.  41  Cost.,  in  quanto  i
vincoli menzionati sarebbero un evidente ostacolo  alla  possibilita'
di adottare strategie  differenziate  da  parte  degli  esercenti  e,
dunque, un ostacolo  all'ampliamento  dell'offerta  a  beneficio  dei
consumatori,  nonche'  al  potenziale  aumento  o,  quanto  meno,  al
mantenimento del proprio giro di affari. 
    In definitiva, le norme di cui al censurato art. 5, commi 4 e  7,
avrebbero il chiaro scopo di avvantaggiare la chiusura degli esercizi
in essere, imponendo loro vincoli che ne rendono  piu'  difficile  la
sopravvivenza ed impedendo che, nel momento in cui quelle  attivita',
per qualunque motivo, cessino, possano essere avviate nuove attivita'
negli stessi esercizi. 
    4.- Ancora, in riferimento all'art. 117, secondo  comma,  lettera
e),  Cost.,  e'  denunziata  violazione  della  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, nonche'
violazione degli artt. 4, 5, 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972. 
    Contrario ai parametri invocati risulterebbe l'impugnato  art.  6
della legge regionale, ai sensi del quale la  Giunta  provinciale  e'
autorizzata ad emanare appositi indirizzi  in  materia  di  orari  di
apertura  al  pubblico  degli  esercizi  di  vendita  al   dettaglio,
indirizzi che dovrebbero garantire una effettiva tutela degli  usi  e
costumi ai sensi dell'art. 8 dello statuto del  Trentino-Alto  Adige,
la tutela dei lavoratori autonomi e dipendenti e  il  rispetto  delle
esigenze di ordine pubblico e di tutela della salute. 
    Tale norma, benche'  non  introduca  nell'immediato  disposizioni
vincolanti, favorirebbe l'adozione di  iniziative  locali  idonee  ad
introdurre vincoli che la  normativa  nazionale  di  liberalizzazione
avrebbe abolito. Infatti, l'art. 31, comma 1, del  d.l.  n.  201  del
2011, (poi convertito), nel modificare l'art.  3,  comma  1,  lettera
d-bis), del d.l. n. 223 del 2006, (poi convertito), stabilisce che le
attivita' commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114  del  1998,
nonche' le attivita' di somministrazione di alimenti  e  bevande,  si
svolgano senza limiti e prescrizioni quanto al rispetto  degli  orari
di apertura e di chiusura,  dell'obbligo  di  chiusura  domenicale  e
festiva,  nonche'  di  quello  della  mezza  giornata   di   chiusura
infrasettimanale. 
    Risulterebbe evidente che attribuire alla Giunta la  facolta'  di
reintrodurre  in  ambito   provinciale   le   suddette   prescrizioni
comporterebbe  una  potenziale  limitazione  alla   possibilita'   di
differenziare il servizio,  adattandolo  alle  caratteristiche  della
domanda,  con  conseguente  possibilita'   di   peggioramento   delle
condizioni dell'offerta e della liberta' di scelta  dei  consumatori,
senza  che  di  cio'  la  norma   di   legge   fornisca   un'adeguata
giustificazione. 
    Tali considerazioni troverebbero ancora una volta conforto  nella
giurisprudenza di questa Corte (e' richiamata la sentenza n. 150  del
2011),  alla  luce  della  quale  sarebbe  evidente  l'illegittimita'
costituzionale della norma impugnata. 
    Tenuto   conto,   peraltro,   della   formulazione    chiaramente
inderogabile del citato art. 31,  comma  1,  che  non  prevede  alcun
margine d'intervento in senso restrittivo rispetto al  suo  disposto,
sarebbe palese che il legislatore provinciale non potrebbe legiferare
in senso (anche potenzialmente) modificativo rispetto allo stesso. 
    5.- Con atto depositato in data 25 giugno 2012, si e' costituita,
nel giudizio di legittimita' costituzionale, la Provincia autonoma di
Bolzano in persona del suo Presidente, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata. 
    In  primo  luogo,  la  difesa  della   Provincia   osserva   come
l'impugnazione investa singole disposizioni della  legge  provinciale
n. 7 del 2012, ignorando  del  tutto  il  contesto  in  cui  esse  si
inseriscono; le norme suddette, infatti, sono collocate in una  legge
dichiaratamente volta ad attuare «i principi previsti dalla normativa
comunitaria,  dalle  leggi  quadro  nazionali,   dall'art.   31   del
decreto-legge 6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito  in  legge  22
dicembre 2011, n. 214,  tenendo  conto  della  particolare  autonomia
attribuita alla Provincia autonoma di Bolzano dal Testo  unico  delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  Statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige,  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, nonche' dell'articolo  117,  comma
4, della Costituzione». 
    Inoltre, nella memoria di costituzione si  riporta  il  contenuto
dell'art. 1, comma  2,  della  legge  in  esame  e  dell'art.  2  che
disciplina  la  procedura  per  l'avvio  o   per   il   trasferimento
dell'attivita' commerciale o per l'ampliamento  delle  superficie  di
vendita,  dalle   quali   risulta   che   sono   totalmente   rimossi
autorizzazioni amministrative, limiti alla superficie degli esercizi,
limiti   alla   qualita'   delle   merci   (tabelle   merceologiche),
contingentamenti geografici e cosi' via. 
    La difesa della Provincia pone,  poi,  in  rilievo  il  contenuto
dell'art. 1, comma 3,  della  legge  provinciale  -  non  oggetto  di
censura  -  secondo  cui   «la   liberalizzazione   delle   attivita'
commerciali e della struttura dell'offerta commerciale  al  dettaglio
deve adeguarsi alle esigenze connesse alla tutela dell'ambiente,  ivi
compreso l'ambiente urbano, della natura e del paesaggio, alla tutela
dei monumenti e dei beni culturali, alla tutela della  salute  e  del
diritto al riposo dei lavoratori e dei cittadini, alla tutela e  allo
sviluppo equilibrato dello spazio vitale urbano ed alla necessita' di
uno sviluppo organico e controllato del territorio e del traffico». 
    La difesa provinciale ritiene  che  detta  disposizione  non  sia
stata oggetto di censura in quanto non potrebbe esser posto in dubbio
che  la  liberalizzazione  dell'attivita'   commerciale   non   possa
sacrificare le esigenze connesse ad un razionale ed ordinato  assetto
del territorio; non possa cioe' significare - come invece si sostiene
da parte dell'Avvocatura dello Stato - «piena liberta' di apertura di
nuovi esercizi commerciali sul  territorio  nazionale»,  ma  dovrebbe
essere intesa nel senso che la rimozione di ostacoli al dispiegamento
di energie e capacita'  imprenditoriali  e  di  barriere  all'accesso
all'attivita' commerciale  dovrebbe  coordinarsi  con  la  «tutela  e
conservazione del patrimonio  storico,  artistico  e  popolare»,  con
«l'urbanistica e piani regolatori», con  «la  tutela  del  paesaggio»
(art. 8, nn. 3, 5 e 6 dello statuto). 
    Sicche', fermo restando che  la  Provincia  autonoma  di  Bolzano
avrebbe  il  diritto-dovere  di  far  si  che  la   «liberalizzazione
dell'attivita' commerciale» si coordini con quanto lo statuto  affida
alla sua  cura,  attribuendole  una  potesta'  legislativa  primaria,
l'unico problema  sarebbe  quello  di  verificare  se  la  disciplina
realizzata dalla legge in  questione  sia  o  meno  coerente  con  le
finalita' dichiarate all'art. 1, comma 3, della citata  legge  prov.:
finalita'  che  il  ricorso  dello  Stato,   non   contestandone   la
legittimita', riconoscerebbe essere evidentemente «in armonia con  la
Costituzione  ed  i   principi   dell'ordinamento   giuridico   della
Repubblica e con il rispetto degli obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali [...]  nonche'  delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica» (art. 4 dello statuto). 
    Cio' premesso, la difesa della  Provincia  osserva  come  sia  la
struttura stessa della legge n. 7  del  2012  a  rendere  palese  che
l'ente territoriale abbia  esercitato  la  sua  potesta'  legislativa
primaria  all'esclusivo  fine  di  coordinare   la   liberalizzazione
dell'attivita' commerciale con il governo del territorio:  l'art.  3,
infatti, disciplina «senza  alcuna  restrizione  delle  superfici  di
vendita e dell'offerta merceologica» il commercio al dettaglio  nelle
zone  residenziali  esigendo  soltanto  «conformita'  alla  normativa
edilizia ed  alla  destinazione  urbanistica»;  l'art.  4  disciplina
l'esercizio del commercio al dettaglio «nel verde agricolo, nel verde
alpino e nelle zone boschive»; l'art. 5 disciplina  il  commercio  al
dettaglio nelle zone produttive, con norme, quelle appunto oggetto di
impugnazione,  «finalizzate   all'integrazione   del   commercio   al
dettaglio nelle zone residenziali». 
    La legge in esame, dunque, disciplina il commercio  al  dettaglio
in funzione  delle  caratteristiche  urbanistiche,  paesaggistiche  e
ambientali del territorio affidato al suo governo: un territorio  del
tutto particolare, esteso per circa due terzi ad una quota  superiore
ai 1500 metri  e  con  insediamenti  concentrati  su  una  superficie
inferiore al 3 per cento, e pertanto caratterizzato  dalla  scarsita'
di aree  utilizzabili  per  ulteriori  attivita'  edificatorie  senza
incidere sull'equilibrio dell'ecosistema. 
    Al riguardo, la difesa provinciale osserva  che  non  a  caso  la
legge urbanistica provinciale n. 13  del  1997  tiene  presente  tali
elementi quando, all'art. 1, comma  3,  individua  le  ragioni  e  le
finalita' della pianificazione urbanistica. 
    Dopo  aver  riportato  il  contenuto  integrale  di  tale  ultima
disposizione,  la  Provincia  afferma  come  sia   indiscutibile   la
coerenza, con la detta legge urbanistica, dell'art. 4 della legge  n.
7 del 2012 la' dove vieta in  linea  di  principio  il  commercio  al
dettaglio nel verde agricolo, nel verde alpino e nelle zone boschive.
Ma altrettanto  indiscutibile  sarebbe  la  coerenza,  con  la  legge
urbanistica citata, dell'art. 5, comma 1, la' dove ammette solo  come
eccezione  il  commercio  al  dettaglio  nelle  zone  produttive;  in
particolare, si  rileva  la  coerenza  -  stante  l'esigenza  di  non
sacrificare  le  scarse  aree  idonee  all'esercizio   di   attivita'
produttive e di commercio all'ingrosso - con il principio per cui  e'
possibile l'utilizzo di nuove risorse territoriali  solo  quando  non
esistono alternative alla  riorganizzazione  e  riqualificazione  del
tessuto insediativo esistente (art. 1,  comma  3,  lettera  h,  della
legge n. 13 del 1997). 
    L'art. 5 della legge n. 7  del  2012,  esattamente  come  il  non
impugnato art. 4 della medesima legge, costituisce norma  di  governo
di quel territorio destinato ad attivita' produttive ed al  commercio
all'ingrosso, che mira ad un razionale utilizzo delle limitate aree a
cio' destinate e ad evitare il  deterioramento  dell'ambiente  urbano
anche in conseguenza di un piu' intenso traffico  non  connesso  alla
destinazione dell'area; si tratterebbe di una norma  di  governo  del
territorio del tutto coerente con l'intento di integrare il commercio
al dettaglio nelle zone residenziali. 
    Ad avviso della resistente, dunque, la  pretesa  del  Governo  di
contestare la legittimita' costituzionale dell'art. 5,  e  non  anche
dell'art.  4,  sembrerebbe  scaturire  dall'idea  che  le  scelte  di
pianificazione   territoriale   operate   dalla   Provincia   possano
legittimamente riguardare soltanto le aree verdi e  boschive,  e  non
anche le zone produttive: sicche' nelle une sarebbe  consentito  alla
legge provinciale vietare il commercio  al  dettaglio,  mentre  nelle
altre il consentirlo solo  quale  eccezione,  costituirebbe  indebita
interferenza nella materia «tutela della concorrenza». 
    Inoltre, secondo la logica sottesa al ricorso, la  «tutela  della
concorrenza» non verrebbe in rilievo a proposito del divieto relativo
alle aree verdi, mentre sarebbe  rilevante  e  decisiva  a  proposito
delle aree produttive; cio' costituirebbe - ad avviso della Provincia
-  inequivoca  prova  della  infondatezza  del  ricorso:  «quasi  che
relativamente alle aree produttive la  potesta'  della  Provincia  di
dettare norme per il governo del territorio sia di rango inferiore». 
    Quanto  affermato  trasparirebbe  dal  ricorso  la'   dove   esso
definisce «apodittico»  il  riferimento  alla  esigenza  di  tutelare
l'ambiente  urbano;  sicche'  sarebbe  evidente   che,   secondo   il
ricorrente, la  «liberalizzazione  dell'attivita'  commerciale»  puo'
cedere il passo di fronte all'ambiente naturale, ma non di fronte  ad
un razionale utilizzo dell'ambiente urbano; in tal modo  dimenticando
che  il  citato  art.  31,  comma  2,  del  d.l.  n.  201  del   2011
esplicitamente include la tutela dell'ambiente urbano tra i valori in
ragione dei quali e'  consentito  prevedere  limiti  o  vincoli  alla
liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio. 
    Sotto tale aspetto rileverebbe anche una pronunzia della Corte di
giustizia dell'Unione europea (sentenza del 24 marzo 2011,  in  causa
C-400) nella  quale  e'  stato  ribadito  che  «le  restrizioni  alla
liberta' di stabilimento, che siano applicabili senza discriminazioni
basate sulla cittadinanza,  possono  essere  giustificate  da  motivi
imperativi di interesse generale (punto n. 73)  precisando  che  «fra
tali motivi imperativi riconosciuti dalla  Corte  figurano,  tra  gli
altri, la protezione dell'ambiente (sentenza dell'11 marzo  2010,  in
causa C/384/08) e la razionale gestione del  territorio  (sentenza  1
ottobre 2009, in causa C/567/07)» (punto n. 74). 
    Chiarito, dunque, che la legge  provinciale  n.  7  del  2012  e'
relativa alla materia «commercio» solo nella parte in cui,  recependo
i  principi  comunitari  e  nazionali,  elimina  ogni   ostacolo   al
dispiegamento della capacita' imprenditoriale  e  qualsiasi  barriera
all'accesso all'attivita'  commerciale,  la  difesa  della  Provincia
sottolinea che essa costituisce esercizio della potesta'  legislativa
primaria, ai sensi dell'art. 8, nn. 3, 5, 6 e 9 dello statuto,  nella
residua parte volta a disciplinare la dislocazione del  commercio  al
dettaglio in relazione alle caratteristiche del  territorio  ed  alla
destinazione che, in funzione di quelle caratteristiche,  alle  varie
zone e' stata assegnata. Pertanto, l'art. 31, comma 2,  del  d.l.  n.
201 del 2011, quando  prevede  che  la  tutela  dell'ambiente  urbano
consente  di  introdurre  limiti  o  vincoli  alla  pur  fondamentale
liberta' di apertura di nuovi esercizi  commerciali  sul  territorio,
farebbe riferimento proprio alla pianificazione urbanistica. 
    La difesa della Provincia,  dunque,  ritiene  che  non  sarebbero
pertinenti le considerazioni svolte nel ricorso, in quanto sviluppate
con riguardo alla materia «commercio»; in particolare, non  sarebbero
pertinenti perche', fondandosi su  tale  materia,  sarebbero  a  loro
volta incentrate sui limiti in se' e per se' considerati, volutamente
omettendo di tenere adeguato conto del fatto  che  si  tratta,  nella
specie,  di  limiti  disposti  in   relazione   alla   tutela   della
destinazione urbanistica di varie zone e funzionali ad  un  razionale
assetto del territorio ispirato al principio per cui il commercio  al
dettaglio - con tutto cio' che e' ad esso connesso  (in  particolare,
il  traffico)  -  deve  avere  la  sua  sede  preminente  nelle  zone
residenziali. 
    Nel comma 1 dell'art.  5  della  legge  in  esame,  pertanto,  si
espliciterebbe la  scelta  urbanistica,  indiscutibilmente  spettante
alla  Provincia,  circa  il  carattere  di  eccezione  dell'attivita'
commerciale al dettaglio nelle zone  produttive;  tale  disposizione,
quindi, non interferirebbe con la materia «tutela della  concorrenza»
se non nei limiti esplicitamente consentiti dall'art.  31,  comma  2,
del d.l. n. 201 del 2011,  oppure  verrebbe  ad  interferire  come  i
requisiti igienico-sanitari  dei  locali  di  cui  all'art.  2  o  la
normativa edilizia di cui all'art. 3. Cio' posto, nessun limite  alla
concorrenza potrebbe a fortiori  ravvisarsi  nei  commi  2  e  3  che
descrivono le  "eccezionali"  attivita'  di  commercio  al  dettaglio
ammesse nelle zone produttive. 
    Proprio perche' si tratta di attivita' consentite  in  deroga  al
generale divieto sancito,  per  ragioni  urbanistiche,  dal  comma  1
dell'art. 5 della legge provinciale, le disposizioni in questione non
introdurrebbero  limiti,  ma  "allenterebbero"  detto  divieto;  cio'
avverrebbe sulla base di una caratteristica oggettiva:  il  volume  e
l'ingombro delle merci che renderebbe urbanisticamente  consigliabile
«per la difficolta' connessa alla loro movimentazione e ad  eventuali
limitazioni del traffico» che il loro commercio  avvenga  nelle  zone
produttive. 
    L'integrazione   del   commercio   al   dettaglio   nelle    zone
residenziali, perseguita nel governo del territorio  dal  legislatore
provinciale, subisce per le  dette  esigenze  oggettive  («volume  ed
ingombro   delle   merci   e   difficolta'   connessa    alla    loro
movimentazione»),  una  deroga  mirante  ad  agevolare  proprio  tale
attivita' al dettaglio; il riferimento ad «eventuali limitazioni  del
traffico» (al riguardo si indica, quale esempio, una bisarca  per  il
trasporto di auto, o autoarticolati per il  trasporto  di  macchinari
per l'agricoltura o l'edilizia o ancora  autocisterne  e  cosi'  via)
chiarisce che  le  eccezioni  previste  dalla  norma  non  mirano  ad
introdurre surrettiziamente tabelle merceologiche, ma al contrario  a
favorire nuove attivita' commerciali che, per ragioni  oggettive,  di
regola troverebbero non  poche  difficolta'  ad  insediarsi  in  zone
residenziali. 
    Si tratterebbe, dunque, di una tipica  norma  pro-concorrenziale,
mirante   ad   agevolare   peculiari   attivita'   commerciali    che
incontrerebbero, se l'unico insediamento consentito fosse nelle  zone
residenziali, gravi difficolta'; cosi' come al medesimo fine il comma
3, consente l'attivita' di commercio al dettaglio degli accessori  di
quelle peculiari  merci,  ammessi  con  determinazione  della  Giunta
provinciale (determinazione che risponde all'evidente fine di evitare
che, per tale via,  sia  aggirata  la  norma  generale  che  tende  a
riservare il commercio al dettaglio alle zone residenziali). 
    Inoltre, il comma 3, come anche il  comma  2,  non  introdurrebbe
alcun limite all'assortimento merceologico, sicche' sarebbe del tutto
ingiustificato e forzato il richiamo al parametro di cui all'art.  3,
comma 1, lettera c), del d.l. n. 223  del  2006:  l'intervento  della
Giunta provinciale avrebbe -  secondo  la  difesa  provinciale  -  la
medesima funzione antielusiva della pianificazione  urbanistica,  che
nel medesimo art. 5 esso ha a proposito dei prodotti vendibili presso
le loro sedi dalle imprese  artigiane  ed  industriali  (comma  5)  o
vendibili nei cinema o presso cooperative agricole (comma  6).  Detti
interventi della Giunta, peraltro, non sono stati oggetto di censura. 
    La difesa della Provincia  autonoma  osserva,  ancora,  come  non
abbia maggior fondamento il ricorso la' dove si impugnano i commi 4 e
7; al riguardo, si rileva come si tratti di una «lettura  rovesciata»
di dette disposizioni, la quale trascura la circostanza secondo cui -
consentendo  che  continuino  a  svolgersi  nelle   zone   produttive
attivita' che il comma 1 riserva alle zone residenziali - in  realta'
si   favorirebbe    l'attivita'    commerciale,    sacrificando    la
pianificazione urbanistica. 
    Ad  avviso  della  difesa  provinciale,   infatti,   risulterebbe
evidente che tale pianificazione sarebbe  totalmente  sacrificata  se
fossero   consentiti   l'espansione   o   il   trasferimento   o   la
concentrazione delle attivita'  esistenti:  la  zona  produttiva  non
sarebbe quella dedicata alle  attivita'  produttive  e  al  commercio
all'ingrosso, ma il commercio al dettaglio  gia'  esistente  potrebbe
svilupparsi attraverso ampliamenti, trasferimenti o concentrazioni di
attivita' che, quindi, vanificherebbero la pianificazione urbanistica
disegnata dalla legge. 
    Alla medesima logica si ispirerebbe il comma 7, la' dove  esclude
che alla cessazione di una attivita' consentita come eccezione  possa
seguire una nuova; il che non  significa  avvantaggiare  la  chiusura
degli esercizi in essere, come sostiene il ricorrente,  ma  piuttosto
impedire che sia  frustrato  il  disegno  urbanistico  che  vuole  il
commercio  al  dettaglio  tendenzialmente  concentrato   nelle   zone
residenziali. 
    Neppure sussisterebbe  la  lamentata  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., da parte dell'art.  6  della  legge
provinciale. Al riguardo, si osserva come sia lo stesso ricorrente  a
ricordare che la sentenza di  questa  Corte,  n.  150  del  2011,  ha
ribadito la consolidata giurisprudenza (sentenze n. 288 del 2010;  n.
283 del 2009, nn. 431 e 430 del 2007) secondo la quale gli  orari  di
apertura degli esercizi commerciali non rientrano nella materia della
tutela della concorrenza: sicche' occorrerebbe valutare  in  concreto
la  loro  eventuale  indiretta  incidenza  su  quella   materia.   Ne
discenderebbe che la facolta' della Giunta di  emanare  indirizzi  in
materia non soltanto escluderebbe che si  tratti  -  come  assume  il
ricorrente  -  di  disposizioni  vincolanti  o  di  prescrizioni,  ma
escluderebbe anche, conseguentemente, che possa parlarsi di contrasto
con il disposto dell'art. 3, comma 1, lettera d-bis, del d.l. n.  223
del 2006: l'impugnazione del ricorrente dovrebbe,  dunque,  ritenersi
inammissibile per carenza di interesse. Inoltre, si aggiunge che  gli
indirizzi  che  in  futuro  la  Giunta  dovesse   emanare   sarebbero
sindacabili davanti al giudice amministrativo anche, in ipotesi,  per
profili  attinenti  alla  idoneita'  della  loro  fonte  legislativa,
costituita dall'art. 6 della legge n. 7 del 2012, a giustificarne  il
concreto contenuto. 
    Alla luce delle esposte considerazioni la difesa della  Provincia
autonoma di Bolzano chiede che il ricorso sia dichiarato non  fondato
e, in relazione al terzo motivo, inammissibile. 
    6.- In prossimita' dell'udienza di  discussione  le  parti  hanno
depositato  memorie,  nelle  quali  sono  ribadite  ed  ulteriormente
argomentate le tematiche esposte nei precedenti scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso  indicato
in epigrafe ha promosso, in via principale, questioni di legittimita'
costituzionale dell'articolo 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'articolo
6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7
(Liberalizzazione dell'attivita' commerciale),  in  riferimento  agli
articoli 117, secondo comma, lettera  e)  e  41  della  Costituzione,
nonche' agli articoli 4, 5, 8 e 9 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige). 
    Il ricorrente ritiene che le  disposizioni  di  cui  all'art.  5,
commi 1, 2 e 3,  della  citata  legge  provinciale  n.  7  del  2012,
«singolarmente considerate e in combinato disposto» -  nel  prevedere
che il commercio al  dettaglio  nelle  zone  produttive  sia  ammesso
soltanto come eccezione (comma 1),  per  le  categorie  merceologiche
indicate (comma 2) e per i relativi accessori determinati ed  ammessi
da una successiva deliberazione della Giunta provinciale (comma 3)  -
siano in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,
in relazione all'articolo 31, comma 2, del decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214.  Detta  norma  sancisce  il
principio della liberta' di apertura di nuovi  esercizi  commerciali,
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di  qualsiasi
natura, ad eccezione di quelli attinenti alla  tutela  della  salute,
dei lavoratori, dell'ambiente (incluso l'ambiente urbano) e dei  beni
culturali,    sicche'    le    norme    provinciali,     traducendosi
nell'introduzione di limitazioni all'apertura di  nuovi  esercizi  di
commercio  al  dettaglio  nelle  zone  produttive,   determinerebbero
restrizioni alla concorrenza, cosi' invadendo la potesta' legislativa
esclusiva dello Stato in tale materia. Inoltre,  la  disposizione  di
cui  al  comma  3,  rinviando  ad  un  provvedimento   della   Giunta
provinciale  la  determinazione  degli  accessori   delle   categorie
merceologiche  di  cui  e'  ammessa  la   vendita,   opererebbe   una
delegificazione della materia stessa, in contrasto  con  la  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato. 
    Le stesse norme, poi, si porrebbero in violazione:  a)  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all'art. 3, comma
1, lettera c), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223  (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006,  n.  248,  secondo  cui  le
attivita' commerciali, come individuate dal  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore  del
commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15  marzo  1997,
n. 59), nonche' quelle di somministrazione di alimenti e bevande,  si
svolgono senza limitazioni quantitative all'assortimento merceologico
offerto negli esercizi; b) degli artt. 4, 5,  8  e  9  dello  statuto
speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige,  in   quanto   le   suddette
disposizioni provinciali andrebbero oltre le competenze statutarie in
materia di commercio. Cio' sia se alla Provincia autonoma di  Bolzano
si riconosca, in  virtu'  della  clausola  di  equiparazione  di  cui
all'art.  10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo  V  della  parte  seconda  della  Costituzione),
competenza legislativa esclusiva ai sensi dell'art. 8  dello  statuto
speciale, in quanto la violazione dell'art. 31 del d.l.  n.  201  del
2011, (poi convertito), determinerebbe il contrasto con l'art. 4  del
detto  statuto;  sia   se   si   riconosca   competenza   legislativa
concorrente, ai sensi dell'art. 9 dello statuto speciale,  in  quanto
la violazione dei citati principi stabiliti dalle leggi  dello  Stato
si porrebbe in contrasto con l'art. 5 dello statuto stesso. 
    Ancora, ad avviso del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
l'art. 5, comma 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n.
7 del 2012, nel prevedere che sono fatte salve dall'applicazione  dei
primi tre commi le strutture di vendita al dettaglio gia' autorizzate
o gia' in esercizio (alla data di  entrata  in  vigore  della  legge)
nelle aree produttive, nelle quali  sono  vendute  merci  diverse  da
quelle elencate nel comma 2, e nello stabilire che esse, pur  potendo
continuare l'attivita', non possono  essere  ampliate,  trasferite  o
concentrate, nonche' l'art. 5, comma 7,  della  medesima  legge,  nel
disporre che la possibilita' di esercitare l'attivita'  di  commercio
al dettaglio, di cui al comma 4, decade, se l'attivita' stessa  viene
a cessare, incorrerebbero in violazione: 1)  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., in relazione  all'art.  31,  comma  2,  del
citato d.l. n.  201  del  2011.  Infatti,  le  suddette  disposizioni
comporterebbero una ingiustificata restrizione al libero  svolgimento
dell'attivita' di commercio al dettaglio delle  merci  differenti  da
quelle ammesse, risolvendosi in una  sorta  di  "congelamento"  delle
attivita' in corso, le quali non potrebbero essere  modificate  nelle
loro modalita' di svolgimento  fino  al  loro  esaurimento,  rendendo
cosi' impossibile che le attivita' medesime  possano  adattarsi  alle
mutate    esigenze    del    mercato,    con    evidenti     riflessi
anticoncorrenziali; 2) dell'art. 41 Cost.,  sotto  il  profilo  della
violazione della liberta' d'iniziativa economica, perche'  i  vincoli
in questione costituirebbero un evidente ostacolo  alla  possibilita'
di adottare strategie  differenziate  da  parte  degli  esercenti  e,
quindi, un ostacolo  all'ampliamento  dell'offerta  a  beneficio  dei
consumatori ed al potenziale aumento,  o  mantenimento,  del  proprio
giro di affari, e, inoltre, impedirebbero che,  nel  momento  in  cui
quelle attivita' vengano a  cessare,  possano  essere  avviate  negli
stessi esercizi nuove attivita'; 3) degli artt.  4,  5,  8  e  9  del
d.P.R. n. 670 del 1972, per le stesse motivazioni sopra esposte. 
    Infine, sempre secondo il ricorrente, l'art. 6 della legge  della
Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2012,  nel  prevedere  che  la
Giunta provinciale e' autorizzata ad emanare  appositi  indirizzi  in
materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al
dettaglio, indirizzi che  dovrebbero  garantire  un'effettiva  tutela
degli  usi  e  costumi,  ai  sensi  dell'art.  8  dello  statuto  del
Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori autonomi e dipendenti e
il rispetto delle esigenze di  ordine  pubblico  e  di  tutela  della
salute, violerebbe: a) l'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,
in relazione all'art.  31,  comma  1,  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  214  del  2011  -  il
quale, nel modificare l'art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l.  n.
223  del  2006,  (poi  convertito),  stabilisce  che   le   attivita'
commerciali (come individuate dal  d.lgs.  n.  114  del  1998)  e  di
somministrazione di alimenti e bevande si svolgono senza  limitazioni
e prescrizioni quanto al  rispetto  degli  orari  di  apertura  e  di
chiusura, dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva,  nonche'  di
quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale - in  quanto
favorirebbe l'adozione di iniziative  locali  idonee  a  reintrodurre
vincoli che la normativa nazionale  di  liberalizzazione  ha  abolito
dall'ordinamento, cosi' invadendo la potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di tutela della concorrenza; b) gli  artt.  4,
5, 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972, per le stesse motivazioni  sopra
richiamate. 
    2.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
commi 1, 2 e 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n.  7
del 2012 e' fondata. 
    Le norme ora citate dispongono: 
    «1. Stante la scarsita' di aree idonee all'esercizio di attivita'
produttive e  di  commercio  all'ingrosso  e  in  considerazione  del
prevalente  interesse  generale  di   salvaguardia   delle   esigenze
dell'ambiente urbano, della pianificazione ambientale e del traffico,
e di quelle culturali e  sociali,  finalizzato  all'integrazione  del
commercio al dettaglio  nelle  zone  residenziali,  il  commercio  al
dettaglio nelle zone produttive e' ammesso solo quale  eccezione  nei
casi di seguito elencati. 
    2. Le merci  che  per  il  loro  volume  ed  ingombro  e  per  la
difficolta' connessa alla loro movimentazione,  nonche'  a  causa  di
eventuali limitazioni al traffico,  non  possono  essere  offerte  in
misura sufficiente a soddisfare la richiesta e  il  fabbisogno  nelle
zone residenziali, possono essere vendute  al  dettaglio  nelle  zone
produttive senza limitazioni di superficie. 
    Queste sono: a) autoveicoli a due o piu' ruote, incluse  macchine
edili; b) macchinari  e  prodotti  per  l'agricoltura;  c)  materiali
edili, macchine utensili e combustibili; d)  mobili;  e)  bevande  in
confezioni formato all'ingrosso. 
    3. Possono, altresi', essere venduti gli accessori alle merci  di
cui al  comma  2.  La  Giunta  provinciale  determina  gli  accessori
ammessi. La Giunta provinciale, fermo restando quanto  gia'  previsto
dalle norme  urbanistiche,  determina  inoltre,  di  concerto  con  i
comuni, il numero dei posti  macchina  necessari  in  relazione  alla
superficie di vendita». 
    Cio' posto, si deve premettere che l'art. 31, comma 2,  del  d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  214
del 2011, stabilisce che «Secondo la disciplina dell'Unione Europea e
nazionale in materia  di  concorrenza,  liberta'  di  stabilimento  e
libera  prestazione  di  servizi,  costituisce   principio   generale
dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi  esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti, limiti  territoriali  o
altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla
tutela della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente,  ivi  incluso
l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali
adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni  del  presente  comma
entro il 30 settembre 2012». 
    Questa  Corte,  chiamata  ad   esaminare   varie   questioni   di
legittimita' costituzionale relative al citato art. 31, sollevate  da
diverse Regioni (alcune delle  quali  a  statuto  speciale),  con  la
recente sentenza n. 299 del 2012 le ha dichiarate inammissibili o non
fondate, ponendo in luce, tra l'altro (e per quanto qui rileva)  che:
1)  per  costante  giurisprudenza  costituzionale   la   nozione   di
concorrenza - di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. -
«riflette quella operante in ambito comunitario e comprende:  a)  sia
gli interventi regolatori che  a  titolo  principale  incidono  sulla
concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso  proprio,
che contrastano  gli  atti  ed  i  comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e  che
ne disciplinano le modalita' di  controllo,  eventualmente  anche  di
sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che  mirano  ad
aprire un mercato o a consolidarne  l'apertura,  eliminando  barriere
all'entrata, riducendo o  eliminando  vincoli  al  libero  esplicarsi
della capacita' imprenditoriale e  della  competizione  tra  imprese,
rimuovendo cioe', in generale, i vincoli alle modalita' di  esercizio
delle attivita' economiche (ex multis: sentenze n. 270 e  n.  45  del
2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401  del  2007)»;  2)  la  materia
«tutela della concorrenza», dato il suo carattere finalistico, non e'
una materia di estensione certa o  delimitata,  ma  e'  configurabile
come trasversale, «corrispondente ai  mercati  di  riferimento  delle
attivita' economiche incise dall'intervento e in  grado  di  influire
anche su materie attribuite alla competenza legislativa,  concorrente
o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005,
n. 272 e n. 14 del 2004)». 
    Dalla natura trasversale della competenza esclusiva  dello  Stato
in materia di tutela della concorrenza  questa  Corte  ha  tratto  la
conclusione «che il titolo  competenziale  delle  Regioni  a  statuto
speciale in materia di commercio non e' idoneo ad impedire  il  pieno
esercizio della suddetta  competenza  statale  e  che  la  disciplina
statale della concorrenza costituisce un limite alla  disciplina  che
le medesime  Regioni  possono  adottare  in  altre  materie  di  loro
competenza»  (sentenza  n.  299  del  2012  citata,  punto  6.1.  del
Considerato in diritto). 
    In particolare, con riferimento all'art. 31, comma 2, del d.l. n.
201 del 2011, (poi convertito), la Corte ha affermato che detta norma
deve  essere  ricondotta  nell'ambito  della  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato, di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
e), Cost., «tutela della concorrenza», «trattandosi di una disciplina
di liberalizzazione e di eliminazione di vincoli al libero esplicarsi
dell'attivita' imprenditoriale nel settore commerciale.» (sentenza n.
299 citata, punto 7. del Considerato in diritto). 
    Del resto, la stessa legge provinciale n.  7  del  2012,  qui  in
esame, enunciando nell'art. 1 le finalita' della disciplina con  essa
introdotta, chiarisce nel comma 2 di tale articolo di dare attuazione
ai principi previsti dalla normativa comunitaria, dalle leggi  quadro
nazionali, dall'art. 31 del d.l. n. 201 del  2011,  convertito  dalla
legge n. 214 del  2011,  disposizione  alla  quale  e'  riconosciuta,
dunque, la natura di "norma interposta" nella materia de qua. 
    In questo quadro, risulta evidente  come  il  censurato  art.  5,
commi 1, 2 e 3, della citata legge provinciale si ponga in  contrasto
con l'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,  in  relazione  al
menzionato art. 31, comma 2, il quale introduce il principio generale
della  liberta'  di  apertura  di  nuovi  esercizi  commerciali   sul
territorio. Invero, nelle zone destinate all'esercizio  di  attivita'
produttive il commercio al dettaglio viene ad essere, in  concreto  e
in via generale, vietato, essendo ammesso  soltanto  come  eccezione,
per il ben circoscritto catalogo di merci elencate nel comma 2 (con i
relativi accessori, la cui determinazione e'  demandata  alla  Giunta
provinciale: comma 3). Il fatto stesso che al commercio al  dettaglio
nelle zone produttive sia attribuito carattere eccezionale rivela  lo
spessore della limitazione arrecata  alla  liberta'  di  apertura  di
nuovi  esercizi  commerciali,  limitazione  che  incide  direttamente
sull'accesso degli operatori  economici  al  mercato  e,  quindi,  si
risolve in un vincolo per la  liberta'  d'iniziativa  di  coloro  che
svolgono, o che intendano svolgere, attivita' di vendita al dettaglio
nelle zone produttive. 
    Ad avviso della difesa della resistente, la normativa provinciale
in  esame  sarebbe  esplicazione  della  potesta'  legislativa  della
Provincia in tema di pianificazione  urbanistica,  sicche'  i  limiti
posti dalle disposizioni censurate  sarebbero  legittimi,  in  quanto
rientranti nel novero delle eccezioni previste dall'art. 31, comma 2,
del d.l. n. 201 del 2011, poi  convertito,  (in  particolare,  limiti
connessi alla tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano,  avuto
riguardo  anche  alla  particolare   conformazione   del   territorio
provinciale). 
    Inoltre, la difesa della Provincia autonoma richiama il  disposto
dell'art. 1, comma 3, della legge provinciale n. 7  del  2012  (norma
non impugnata dalla difesa  statale),  alla  stregua  del  quale  «La
liberalizzazione  delle  attivita'  commerciali  e  della   struttura
dell'offerta commerciale al dettaglio deve  adeguarsi  alle  esigenze
connesse alla tutela dell'ambiente, ivi compreso  l'ambiente  urbano,
della natura e del paesaggio, alla tutela dei monumenti  e  dei  beni
culturali, alla tutela della salute  e  del  diritto  al  riposo  dei
lavoratori e dei cittadini, alla tutela e allo  sviluppo  equilibrato
dello spazio  vitale  urbano  ed  alla  necessita'  di  uno  sviluppo
organico del territorio e del traffico». Da tale norma la  resistente
trae spunto per  affermare  che  la  liberalizzazione  dell'attivita'
commerciale non puo' sacrificare le esigenze connesse ad un razionale
ed ordinato  assetto  del  territorio,  ne'  puo'  significare  piena
liberta' di apertura di nuovi esercizi sul territorio  nazionale,  ma
«significa che la rimozione di ostacoli al dispiegamento di energie e
capacita' imprenditoriali e  di  barriere  all'accesso  all'attivita'
commerciale deve coordinarsi  con  la  "tutela  e  conservazione  del
patrimonio storico, artistico e  popolare",  con  l'urbanistica  e  i
piani regolatori, con la tutela del paesaggio». In  questo  contesto,
dunque, l'art. 5 della legge n. 7 del  2012  costituirebbe  norma  di
governo delle zone destinate ad attivita' produttive e  al  commercio
all'ingrosso, coerente alla finalita'  d'integrare  il  commercio  al
dettaglio nelle zone residenziali. 
    Questa tesi non puo' essere condivisa. 
    Invero, si deve replicare che la normativa in esame e' diretta  a
disciplinare le zone idonee all'esercizio  di  attivita'  produttive.
Tali zone, ai sensi dell'art. 44, comma 2, della legge provinciale 11
agosto 1997, n. 13 (Legge urbanistica  provinciale),  sono  destinate
«all'insediamento d'imprese industriali, artigianali, di attivita' di
prestazione di servizio e di commercio all'ingrosso  per  l'esercizio
delle rispettive attivita' aziendali». Si tratta, cioe', di zone gia'
in possesso di una vocazione commerciale, onde non si  giustifica  la
compressione  dell'assetto  concorrenziale  del  mercato,  realizzata
attraverso la drastica riduzione della possibilita' di esercitare  in
dette aree il commercio  al  dettaglio,  la  cui  negativa  incidenza
sull'ambiente non e', peraltro, individuabile. 
    A questo rilievo si deve  aggiungere  la  considerazione  che  il
coordinamento, cui la difesa della Provincia autonoma  si  riferisce,
non puo' realizzarsi introducendo un consistente  vincolo  al  libero
esplicarsi della liberta' imprenditoriale  nel  settore  commerciale,
quale deve ritenersi quello introdotto dalla norma censurata, perche'
in tal modo detta norma viene a porsi  in  palese  contrasto  con  il
disposto dell'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011,  convertito
dalla legge n. 214 del 2011, che pure la legge provinciale  in  esame
(art. 1, comma 2) dichiara di voler attuare. 
    Alla resistente non giova il richiamo all'art. 8,  n.  3,  5,  6,
dello statuto di autonomia, che attribuisce alla  Provincia  autonoma
competenza primaria in tema (tra l'altro) di tutela  e  conservazione
del patrimonio storico, artistico e popolare, di urbanistica e  piani
regolatori, nonche' di tutela del paesaggio. Infatti, come lo  stesso
art. 8, comma primo,  stabilisce,  la  potesta'  della  Provincia  di
emanare  norme  legislative  si  esercita  entro  i  limiti  indicati
dall'art.  4  dello  statuto  medesimo,  cioe'  «in  armonia  con  la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e con il rispetto degli obblighi  internazionali  e  degli  interessi
nazionali  [...]  nonche'  delle  norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della  Repubblica»;  e,  come  dianzi  si  e'  gia'
rilevato, il disposto dell'art. 31, comma 2,  del  d.l.  n.  201  del
2011, (poi convertito),  deve  essere  ricondotto  nell'ambito  della
tutela della concorrenza,  rientrante  nella  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato, di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
e), Cost., norma in presenza della quale i titoli competenziali delle
Regioni, anche a statuto speciale,  in  materia  di  commercio  e  di
governo del territorio non sono idonei ad impedire l'esercizio  della
detta competenza statale (ex multis: sentenza n. 299 del 2012 citata,
punto 6.1. del Considerato in diritto), che assume  quindi  carattere
prevalente. 
    Il richiamo - effettuato nella memoria  depositata  dalla  difesa
della Provincia autonoma il 22 gennaio 2013  -  alla  sentenza  della
Corte di giustizia dell'Unione europea in  data  24  marzo  2011  (in
causa C-400/08) si rivela non pertinente. Detta  pronuncia,  infatti,
riguarda, in riferimento a grandi esercizi  commerciali,  restrizioni
alla  liberta'  di  stabilimento,   che   siano   applicabili   senza
discriminazioni basate sulla cittadinanza. Tali  restrizioni  possono
essere giustificate da  motivi  imperativi  d'interesse  generale,  a
condizione  che   siano   idonee   a   garantire   la   realizzazione
dell'obiettivo perseguito e non vadano  oltre  quanto  necessario  al
raggiungimento dello stesso. Fra  i  motivi  imperativi  riconosciuti
dalla Corte figurano, tra gli altri, la protezione dell'ambiente e la
razionale gestione del territorio. Come si vede,  si  tratta  di  una
fattispecie diversa da quella qui in esame, sia per la diversita' del
principio evocato  (liberta'  di  stabilimento  e  non  tutela  della
concorrenza), sia per le caratteristiche di fatto delle due vicende. 
    Sulla  base  delle   precedenti   considerazioni,   deve   essere
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 1, 2  e
3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2012. 
    3.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
commi 4 e 7, di detta legge sono fondate. 
    Il citato comma 4 cosi' dispone: «Sono fatte salve  le  strutture
di vendita al dettaglio che  all'entrata  in  vigore  della  presente
legge sono gia' state autorizzate  o  hanno  gia'  iniziato  la  loro
attivita' nelle aree produttive nelle  quali  vengono  vendute  merci
diverse da  quelle  elencate  al  comma  2.  Tali  strutture  possono
continuare  la  loro  attivita',  ma  non  possono  essere  ampliate,
trasferite o concentrate». 
    Il successivo comma 7 stabilisce quanto segue:  «La  possibilita'
di esercitare l'attivita' di commercio al dettaglio di cui al comma 4
decade, se cessa l'attivita' di commercio al dettaglio». 
    La prima di tali disposizioni, dunque, pur consentendo nelle zone
produttive la prosecuzione delle attivita' di  vendita  al  dettaglio
gia' autorizzate o gia' iniziate prima dell'entrata in  vigore  della
legge provinciale n. 7 del 2012,  vieta  che  le  relative  strutture
destinate  alla  vendita  al  dettaglio  possano   essere   ampliate,
trasferite o concentrate. La seconda prevede addirittura la decadenza
dalla possibilita' di esercitare l'attivita' di cui  al  comma  4  in
caso di cessazione,  cosi'  precludendo  ogni  forma  di  conversione
imposta o giustificata dall'andamento del mercato. 
    Entrambi i precetti introducono  consistenti  vincoli  al  libero
svolgimento dell'attivita'  di  commercio  al  dettaglio  nelle  zone
produttive, andando ad incidere sulle prospettive di  sviluppo  delle
imprese commerciali,  che  si  vedono  impedire  la  possibilita'  di
adeguare le proprie aziende alle esigenze  del  mercato  sia  con  il
divieto di ampliare o  trasferire  la  sede,  sia  con  la  decadenza
comminata  per  il  caso  di  cessazione  dell'attivita'.   Pertanto,
richiamate le considerazioni svolte dianzi, va ribadito il  contrasto
della normativa censurata con il disposto dell'art. 31, comma 2,  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
214 del 2011, e per il suo tramite con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost. 
    Ne deriva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 4  e
7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2012. 
    4.- La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6  di
tale legge e' fondata. 
    Detta norma stabilisce che «La Giunta provinciale e'  autorizzata
ad emanare appositi indirizzi in materia  di  orari  di  apertura  al
pubblico degli esercizi  di  vendita  al  dettaglio.  Tali  indirizzi
dovranno garantire un'effettiva tutela degli usi e costumi  ai  sensi
dell'art. 8 dello Statuto speciale per  il  Trentino-Alto  Adige,  la
tutela dei lavoratori autonomi e  dipendenti  ed  il  rispetto  delle
esigenze di ordine pubblico e della tutela della salute». 
    Al riguardo, si deve considerare che l'art. 1, comma 1, del  d.l.
n. 201 del 2011, (poi convertito), ha modificato l'art. 3,  comma  1,
lettera d-bis), del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, (poi convertito). Nel
testo attualmente vigente, la citata norma dispone che  le  attivita'
commerciali, come individuate dal d.lgs. n.  114  del  1998,  nonche'
quelle di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i
limiti e le prescrizioni elencati nel medesimo art. 3,  tra  cui  «il
rispetto degli orari di  apertura  e  di  chiusura,  l'obbligo  della
chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di
chiusura  infrasettimanale  dell'esercizio».  Cio'  «Ai  sensi  delle
disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela  della
concorrenza e libera circolazione delle merci e  dei  servizi  ed  al
fine di garantire la liberta' di concorrenza  secondo  condizioni  di
pari opportunita'  ed  il  corretto  ed  uniforme  funzionamento  del
mercato, nonche' di  assicurare  ai  consumatori  finali  un  livello
minimo ed uniforme di condizioni di  accessibilita'  all'acquisto  di
prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai  sensi  dell'articolo
117, comma secondo, lettere e) ed  m)  della  Costituzione»  (art.  3
citato comma 1, prima parte). 
    Nell'interpretazione della  citata  normativa,  questa  Corte  ha
ritenuto che essa attui un principio di liberalizzazione,  rimuovendo
vincoli  e  limiti  alle  modalita'  di  esercizio  delle   attivita'
economiche, e ha cosi' proseguito: «L'eliminazione  dei  limiti  agli
orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi  commerciali
favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione  di  un  mercato
piu' dinamico e piu' aperto all'ingresso di nuovi operatori e  amplia
la possibilita' di scelta del consumatore. 
    Si  tratta,  dunque,  di  misure  coerenti  con  l'obiettivo   di
promuovere la concorrenza, risultando  proporzionate  allo  scopo  di
garantire  l'assetto  concorrenziale  del  mercato   di   riferimento
relativo alla distribuzione commerciale» (sentenza n.  299  del  2012
citata, punto 6.1. del Considerato in diritto). 
    In questo quadro il censurato art. 6 della legge della  Provincia
autonoma di Bolzano n. 7 del 2012, autorizzando la Giunta ad  emanare
«appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli
esercizi di vendita al dettaglio», si presta a reintrodurre limiti  e
vincoli in contrasto con la normativa  statale  di  liberalizzazione,
cosi' invadendo la potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di tutela della concorrenza e violando, quindi,  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost. 
    La tesi della resistente, secondo cui l'impugnazione del  Governo
in parte qua dovrebbe essere  dichiarata  inammissibile  per  carenza
d'interesse, essendo non valutabile in concreto l'eventuale incidenza
sull'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.  degli  indirizzi
ancora da emanare, non puo' essere condivisa. 
    Infatti, nel caso di specie, il vulnus  al  menzionato  parametro
costituzionale  e'  gia'   insito   nell'attribuzione   alla   Giunta
provinciale del potere di assumere «appositi  indirizzi»  in  materia
devoluta alla competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato,  alla
stregua delle considerazioni dianzi svolte. 
    Pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale anche del
citato art. 6. 
    Ogni altro profilo rimane assorbito.