ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  48,
comma  4,  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
promosso dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Milano  nel
giudizio vertente tra la societa' Ing. Claudio Salini  Grandi  Lavori
s.p.a., la societa'  Quadratec  s.r.l.  e  l'Agenzia  delle  entrate,
ufficio di Milano 3, con ordinanza del 7 febbraio 2012,  iscritta  al
n. 264 del  registro  ordinanze  2012  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 47,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  maggio  2013  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  La  Commissione  tributaria  provinciale  di   Milano,   con
ordinanza del 7 febbraio 2012 ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 48, comma 4, del decreto legislativo  31
dicembre 1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413),  nella  parte  in  cui  non  prevede,  ne'
consente, che la Commissione tributaria, avendo esperito d'ufficio il
tentativo di conciliazione, possa o debba  assegnare  alle  parti  un
termine per l'esame e per l'eventuale accettazione della proposta, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, asserendo la  lesione  del
principio di ragionevolezza. 
    2.- Espone il giudice a quo che, all'udienza pubblica fissata per
la trattazione della controversia avente  ad  oggetto  l'impugnazione
dell'avviso di rettifica e  liquidazione,  ai  fini  dell'imposta  di
registro, del valore di un ramo di azienda  compravenduto,  le  parti
avevano chiesto un termine per l'adeguato  esame  della  proposta  di
conciliazione fatta d'ufficio, ai sensi del comma 2 dello stesso art.
48 del d.lgs. n. 546 del 1992. 
    3.- Assume il rimettente,  tuttavia,  che  l'art.  48,  comma  4,
prevede la concessione di un termine alle parti solo nel caso in  cui
la proposta di conciliazione provenga  da  una  di  esse,  non  anche
quando provenga dall'ufficio. 
    Cio'  contrasterebbe  con  l'art.  3  Cost.,   per   difetto   di
ragionevolezza: l'impossibilita' di  rinviare  la  trattazione  della
causa  ad  altra  udienza  vanificherebbe  qualsiasi   tentativo   di
conciliazione  esperito  o  che  potrebbe   essere   esperito   dalla
Commissione tributaria. 
    Ad avviso del rimettente,  inoltre,  non  puo'  essere  data  una
interpretazione diversa della norma che possa consentire di  superare
i dubbi di costituzionalita', cosicche' - in  punto  di  rilevanza  -
secondo la Commissione tributaria solo se  la  norma  fosse  ritenuta
illegittima potrebbe accogliersi l'istanza di rinvio. 
    4.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La  difesa   dello   Stato,   in   primo   luogo,   ha   eccepito
l'inammissibilita' della questione, evidenziando un possibile  errore
nell'individuazione della norma impugnata,  atteso  che  la  proposta
conciliativa effettuata dalla Commissione tributaria dovrebbe  essere
ricondotta all'art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 546  del  1992  e  non
all'art. 48, comma 4. 
    In secondo luogo, ha rilevato come la questione sia non  fondata,
atteso che la norma si sottrae alla censura formulata in  ragione  di
una  interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   stessa.
Difatti, la possibilita' di  assegnare  un  termine  alle  parti  per
esaminare  la  proposta  conciliativa   della   Commissione   sarebbe
desumibile dalle finalita' deflative dell'istituto medesimo, conformi
ai principi del giusto processo  di  cui  all'art.  111  Cost.  e  al
principio di ragionevolezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Milano  sospetta  di
illegittimita' costituzionale l'articolo 48,  comma  4,  del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), che prevede:  «qualora  una
delle parti abbia proposto la conciliazione e  la  stessa  non  abbia
luogo nel corso della prima udienza, la commissione puo' assegnare un
termine non superiore a sessanta giorni, per  la  formazione  di  una
proposta ai sensi del comma 5». 
    Premette il giudice a quo di aver esperito, alla  prima  udienza,
il tentativo di conciliazione ai sensi dell'art.  48,  comma  2,  del
citato decreto legislativo, e che entrambe le parti  avevano  chiesto
un termine per esaminare  la  proposta;  sennonche',  a  suo  avviso,
l'istanza non avrebbe potuto  trovare  accoglimento  in  ragione  del
contenuto  della  disposizione  impugnata:  difatti  il  comma  4  in
questione ammette il rinvio dell'udienza solo  per  la  conciliazione
proposta dalle parti e non per quella proposta d'ufficio. 
    Secondo il rimettente, tale mancata previsione sarebbe  priva  di
ragionevolezza e violerebbe l'art. 3 della  Costituzione,  in  quanto
vanificherebbe di fatto il tentativo di conciliazione esperito  dalla
Commissione tributaria. 
    2.- La questione e' inammissibile. 
    3.- Preliminare, anche rispetto all'eccezione di aberratio  ictus
proposta dalla difesa dello Stato, e'  la  verifica  dell'adeguatezza
della  valutazione  del  rimettente   circa   l'interpretazione   del
complesso normativo in questione. 
    Tale  valutazione  si  fonda  sul  presupposto  che  il  comma  2
dell'articolo 48, nel prevedere che  il  tentativo  di  conciliazione
d'ufficio debba essere effettuato - come quello avanzato dalle  parti
- non oltre la prima udienza, esiga che la possibilita' di un  rinvio
della causa ad altra udienza sia espressamente disciplinata anche  in
questo caso, analogamente a quanto fa il successivo comma  4  per  il
tentativo di conciliazione di parte. 
    4.- Osserva tuttavia la Corte che la  previsione  del  rinvio  in
quest'ultima  ipotesi   trova   la   ragione   d'essere   nella   sua
specificita': l'accordo fra le parti si realizza qui al di fuori  del
processo e quindi richiede una disciplina procedimentale,  quale  e',
appunto, quella dettata dal quinto comma dello stesso articolo. 
    Del resto, la peculiarita' di questa fattispecie  e'  evidenziata
anche dalla Corte di cassazione, che la definisce come «conciliazione
aderita», distinguendola dall'altra qualificata come «giudiziale» (ex
multis, sentenza n. 4626 del 2007). 
    Quanto  a  quest'ultima,  essa,   esaurendosi   interamente   nel
processo, trova gia' la sua disciplina sia nelle regole  proprie  del
processo  tributario  che  in  quelle  dell'ordinamento   processuale
generale. 
    E' dunque alla stregua di tali regole che il  rimettente  avrebbe
dovuto verificare la possibilita' di una interpretazione del comma 2,
piu' volte citato, tale da non comportare la preclusione lamentata. 
    Si ritiene, peraltro,  che  a  questo  proposito  non  sia  senza
rilievo l'art. 34, comma  3,  primo  periodo,  dello  stesso  decreto
legislativo. 
    Tale disposizione, nel prevedere  che  all'udienza  pubblica  «la
Commissione puo' disporre il differimento della discussione a udienza
fissa, su istanza della  parte  interessata,  quando  la  sua  difesa
tempestiva, scritta o orale,  e'  resa  particolarmente  difficile  a
causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle  altre
parti», potrebbe indurre a ritenere che la Commissione,  in  presenza
della seria prospettazione delle parti  dell'esigenza  di  rinvio  ad
altra udienza, per esaminare la proposta  di  conciliazione  esperita
d'ufficio, possa acconsentire alla richiesta. 
    Cio', fra l'altro, sarebbe in piena aderenza al  principio  della
ragionevole durata del processo affermato dall'art. 111 Cost., attesa
la possibilita' di una rapida e semplificata  chiusura  del  giudizio
con il verbale di conciliazione. 
    Si aggiunga che la disposizione, lungi dall'essere  un'eccezione,
appare in linea con le norme del processo ordinario di cognizione che
regolano la scansione procedimentale delle udienze, in  presenza  del
tentativo di conciliazione, norme alle quali fa  rinvio,  nel  limite
della compatibilita', il comma 2 dell'art. 1 del d.lgs.  n.  546  del
1992, disciplinando il processo tributario. 
    Difatti, l'art. 183, terzo comma, del codice di procedura  civile
sancisce che, all'udienza fissata per  la  prima  comparizione  delle
parti e la trattazione, il giudice istruttore fissi una nuova udienza
se deve esperire il tentativo di conciliazione di  cui  all'art.  185
dello stesso codice. 
    In termini  ancor  piu'  generali,  si  consideri  che  le  norme
processuali  attribuiscono  al  giudice  poteri  che  attengono  alla
conduzione del processo, e di cui lo stesso deve  fare  buon  governo
anche nel gestirne la scansione temporale, in un corretto  equilibrio
tra i diversi interessi costituzionalmente protetti. 
    5.- Nella specie, il rimettente si e' limitato ad  affermare  che
la  lettera  della  legge   non   consente   alcuna   interpretazione
adeguatrice.  La  questione,  quindi,  risulta  viziata  da  una  non
compiuta  sperimentazione  del  tentativo   di   dare   una   lettura
costituzionalmente conforme della norma impugnata (in tema, ordinanze
n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011). 
    Cio' anche alla luce del principio della ragionevole  durata  del
processo: l'istituto della conciliazione giudiziale,  infatti,  offre
la  possibilita'  di  una  risoluzione  conveniente  e  rapida  delle
controversie nel  processo,  analoga  a  quella  realizzata  in  sede
extragiudiziaria dalla Alternative Dispute Resolution - ADR, anche in
ragione della non obbligatorieta' di quest'ultima  (sentenza  n.  272
del 2013).